La letteratura sulle accuse di «omicidio rituale» di bambini (e talora adulti) cristiani rivolte agli ebrei è immensa. Decine di processi sono stati ricostruiti minuziosamente, e si è tentata anche qualche interpretazione d'insieme. Curiosamente, uno dei documenti più spesso citati in questa letteratura, nato in lingua italiana, non è mai stato pubblicato in Italia. Si tratta del «voto» (parere) approvato il 24 dicembre 1759 preparato per il Sant'Uffizio dal cardinale Lorenzo Ganganelli (1769-1774), che diventerà più tardi Papa con il nome di Clemente XIV. Riprendendo una tesi che compare in documenti del magistero pontificio fin dal Medioevo, il voto mette in guardia i cattolici dal prestare fede a false accuse contro gli ebrei, e presenta la questione dell'omicidio rituale come quella che oggi chiameremmo una «leggenda urbana», non senza ricordare che le stesse accuse erano state rivolte dai pagani ai primi cristiani.
Massimo Introvigne, fondatore e direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), membro del gruppo «Religioni» dell'Associazione Italiana di Sociologia, nonché collaboratore del Settimanale di Padre Pio - che ha già dedicato, con lo studioso americano J. Gordon Melton, un recente studio all'ebraismo: L'ebraismo moderno, Elledici, Leumann (Torino) 2004; per una recensione si veda Il Settimanale di Padre Pio, n. 33, 28 agosto 2005, p. 29 - è autore di un volume in cui affronta la questione «accusa del sangue» rivolta agli ebrei: Cattolici, antisemitismo e sangue. Il mito dell'omicidio rituale. In appendice il voto del cardinale Lorenzo Ganganelli, O.F.M. (poi Papa Clemente XIV) approvato il 24 dicembre 1759, Sugarco, Milano 2004, pp. 144, € 16,00. In esso, oltre a pubblicare in appendice - come si evince dallo stesso titolo - il citato voto del cardinale Ganganelli, sono presi in esame i più noti casi storici di presunto omicidio rituale avvenuti per lo più nell'area occidentale, dal Medioevo a tempi recenti.
È certamente difficile ripercorrere il vero andamento di fatti ormai lontani, tuttavia scrive Introvigne, «sappiamo però con ragionevole certezza storica che cosa non è successo negli episodi» (p. 12). E la certezza è che non vi sono state uccisioni di cristiani (adulti o bambini) al fine dell'utilizzo rituale del loro sangue deriva dal fatto che per gli ebrei è assolutamente proibito l'assumere il sangue di qualsiasi animale, come d'altro canto rivelano le prescrizioni rituali riguardo la macellazione delle carni destinate all'alimentazione. Comunque sia, in nessuno dei casi studiati si è avuta la certezza che i colpevoli designati dal popolo - e appartenenti alla comunità ebraica - fossero realmente i responsabili dei delitti loro attribuiti.
La credenza relativa alla pratica ebraica dei crimini «rituali» si fonda su un vero e proprio mito che ha preso corpo e si è radicato fino oltre la prima metà del XX secolo all'interno di un certo cristianesimo popolare, riuscendo a far breccia presso alcune autorità civili e religiose locali e pure individuando, nonché attribuendo un culto pubblico, alcuni presunti piccoli «martiri» dell'omicidio rituale, come lo spagnolo Domenichino del Val e Simonino di Trento (1475), inserito nel Martirologio Romano nel 1584. Tali culti sono stati decisamente e ufficialmente abbandonati dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. D'altra parte - e al di sopra di alcune «eccezioni» locali - la Chiesa di Roma non ha mai considerato legittimo, ma ha piuttosto sempre e da subito condannato l'espressione di anti-giudaismo fondata sulle accuse di omicidio a scopo rituale.
L'esempio più evidente dell'atteggiamento della Chiesa ufficiale è appunto rappresentato dal voto del futuro papa Clemente XIV, cardinale Lorenzo Ganganelli, al momento della stesura consultore del Santo Uffizio, nel quale l'autore suggerisce motivatamente di evitare qualunque tendenza anti-giudaica fondata sull'esistenza dell'omicidio rituale. Un documento questo pressoché sconosciuto, di cui pregevolmente il volume di Introvigne consente la conoscenza a un vasto pubblico.