(Antimeridiana)
Seguito della discussione dei disegni di legge:
(1777) ALBERTI CASELLATI. - Disposizioni concernenti il reato di manipolazione mentale
(800) MEDURI ed altri. - Norme per contrastare la manipolazione psicologica
(Relazione orale) (ore 12,02)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 1777 e 800.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 23 giugno è stata respinta una questione pregiudiziale ed è stata dichiarata aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Brutti Massimo. Ne ha facoltà.
BRUTTI Massimo (DS-U). Signor Presidente, l'articolo 603 del codice penale, promulgato nel 1930, prevedeva e puniva - come è noto - il reato di plagio. Esso fu dichiarato, nel 1981, incostituzionale dalla sentenza n. 96 della Corte.
Ora il provvedimento che stiamo esaminando mira a reintrodurre nel diritto italiano lo stesso reato, con una formulazione appena un po' diversa.
Il Gruppo dei DS è fermamente contrario a questa proposta. Da un lato, noi siamo convinti che la norma, assai vaga nei suoi enunciati, sia in contrasto con l'articolo 25 della Costituzione, essendo la fattispecie delineata priva della necessaria tipicità. Dall'altro lato, crediamo che la norma esprima una non accettabile ingerenza autoritaria nei rapporti interpersonali.
La nozione di plagio è antica e la sua storia è strettamente connessa con la storia della schiavitù. Nel diritto romano il termine plagium indica un crimen, di cui una lex Fabia, fra III e II secolo avanti Cristo, aveva determinato i confini e la pena.
A cinque secoli di distanza, nell'età dei Severi, il giurista Ulpiano, in un libro di istruzioni e regole destinato ai magistrati-funzionari dell'Impero, espone puntualmente il contenuto dell'antica legge, trattandola come attuale. Scrive: «È responsabile in forza della legge Fabia chi abbia celato, incatenato o tenuto in catene, venduto o comprato un cittadino romano oppure uno schiavo che sia stato liberato in Italia, così come è responsabile chi sia stato complice in queste attività (…)». A questi è comminata la pena secondo il primo capo della legge. In base al secondo capo della stessa legge è responsabile chi abbia persuaso il servo altrui a fuggire dal padrone o chi contro il volere del padrone abbia dolosamente celato, venduto o comprato un servo altrui, ed ugualmente sono responsabili i complici.
Le parole «celare», «vincire» - tenere in catene - «emere» - comprare - «vendere», riferite ad un uomo libero, implicano la sua riduzione allo stato di servus. Nelle società premoderne è una condizione giuridicamente definita. Le parole «persuadere», «celare» - nascondere - «emere» - comprare - «vendere» sono riferite invece, nel secondo paragrafo del giurista, ad uno schiavo di cui si appropria l'autore del plagio (per utilizzarlo nel lavoro o per farlo oggetto di negozi giuridici). Anche qui si instaura, sulla base di un atto illecito, un rapporto identico a quello socialmente tipizzato e riconosciuto dai mores (i costumi) come potestas (potere) sul servo.
La repressione penale del crimen è posta a tutela del rapporto di schiavitù e dell'ordine che attorno ad esso si costruisce. Lo schiavo è una cosa diversa dalle altre perché pensa e parla. Io posso sottrarlo al dominus attraverso la persuasione. La sua scelta di fuggire dal dominus, di nascondersi, di venire con me può essere intellettualmente libera, ma costituisce comunque una trasgressione che spezza il rapporto di schiavitù, l'assolutezza del dominium e della potestas. Questo secondo il diritto romano.
Come è stato messo in luce nella sentenza della Corte, che nel 1981 ha fatto cadere l'articolo n. 603, la tradizione romanistica, vale a dire la scienza giuridica dell'Europa continentale che muoveva dai modelli del Corpus iuris civilis, ha continuato, dall'età di mezzo fino alle codificazioni moderne e contemporanee, ad ancorare saldamente la figura del plagio alla schiavitù.
Prima e per lungo tempo il plagio è stato definito come illecita appropriazione di uno schiavo, o come assoggettamento di un uomo libero, obbligato al lavoro e fatto oggetto di commercio. Poi, dalla fine del '700, il significato di plagio nel linguaggio giuridico e negli enunciati normativi dei codici è cambiato: non più sottrazione di uno schiavo, ma soltanto riduzione dalla libertà in schiavitù.
Con le leggi che progressivamente hanno abolito la condizione servile, a partire dal 1791 in Francia fino alla Convenzione internazionale di Saint Germain del 1919, ed hanno vietato ogni forma schiavistica di produzione, la figura del plagio si è identificata nell'instaurazione di una relazione fattualmente identica a quella dominus-servus, ma ormai sotto ogni profilo illecita; una relazione che viene perseguita sul piano penale.
Questa identificazione tra plagio e riduzione in schiavitù, ben chiara nel codice penale italiano del 1889, cede il passo, nel codice Rocco del 1930, ad una figura inedita, nella quale si punisce chi esercita un potere su una persona con il risultato di assoggettarla a sé, ma senza giungere a qualcosa che rassomigli alla schiavitù. Qui non appare il concetto di riduzione in schiavitù che figura - come vedremo tra un momento - in un'altra norma del codice penale del 1930. Non c'è un dominio sull'altro, tale da dar luogo, come per i servi, alla costrizione, al lavoro coatto, a prestazioni imposte.
«Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione (…)»: queste sono le parole dell'articolo 603, ed esse non si riferiscono più alla schiavitù, ma piuttosto ad una specie di signoria mentale ed emotiva, ad un potere immateriale.
L'innovazione, che non ha precedenti in alcuna legislazione europea, né sembra essere stata ripresa da altri dopo il 1930, è scarsamente illustrata e motivata nella relazione del Guardasigilli al progetto definitivo del codice. Soprattutto, non viene spiegata la differenza tra questa norma e l'articolo 600 del codice penale che riguarda proprio l'imposizione di uno stato servile: «Chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni» (così recitava il vecchio articolo 600).
Ma la differenza si ricava induttivamente. Se la soggezione totale di cui parla l'articolo 603 è cosa diversa da ogni possibile condizione analoga alla schiavitù, individuabile da parte del giudice e su cui egli può fondare una sentenza di condanna secondo l'articolo 600, allora bisogna pensare che questa soggezione, ricollegata invece al termine «plagio» nell'articolo 603, non riguardi casi di costrizione, di imposizione di prestazioni, di obbedienza obbligata, di lavoro coatto, ma piuttosto casi, assai ardui da definire con certezza, di influenza psicologica, di persuasione e di suggestione.
Insomma, la norma, se deve coprire un ambito diverso da quello disegnato nell'articolo 600, non può che applicarsi a relazioni interpersonali diverse dall'antico schema del dominio, nelle quali non si verifica alcuna coazione, ma vi è piuttosto un soggetto che guadagna la fiducia, l'attaccamento, il consenso di un altro. Il plagiato è maggiore di età, è libero, ma c'è un altro individuo che lo sovrasta e - per usare le parole di Alfredo Rocco - «si impadronisce completamente della sua personalità».
È proprio questo il contenuto specifico del reato di plagio, che la dottrina ha cercato di mettere a fuoco, senza superare mai l'incertezza di fondo della norma. Che cosa significa «impadronirsi di una personalità»? La scarsa giurisprudenza in materia ha insistito sull'idea del «dominio psichico» come elemento essenziale della fattispecie, ma non è mai riuscita a chiarire i confini di un dominio senza una coazione esterna e fisica.
Il disegno di legge che discutiamo esplicita questo significato, che è l'unico attribuibile alla norma incriminatrice del codice Rocco. Ripropone l'idea di un potere immateriale illecito; ipotizza la realizzazione, mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticata anche soltanto con mezzi psicologici, di uno stato di soggezione continuativa, che però non esclude la libertà di autodeterminazione (se la escludesse, infatti, saremmo di fronte ad una condizione analoga alla schiavitù). Alla fine, quindi, la soggezione si identifica in un mero stato psicologico. E tutto ciò viene denominato «manipolazione mentale».
Ma una tipizzazione del comportamento, nonostante l'abbondanza delle parole nel disegno di legge, è ben lontana dall'essere raggiunta. Come distinguere, infatti, la suggestione dalla persuasione? Nella realtà queste due forme di influenza sull'altro sono spesso tutt'uno. E come misurare la soggezione continuativa in cui dovrebbe trovarsi una persona, quando questa non è inferma né è affetta da deficienza psichica e non è stata privata della libertà? La continuità e la somiglianza rispetto all'articolo 603 del vecchio codice, dichiarato incostituzionale, sono del tutto evidenti. La nuova norma è simile alla vecchia ed è ugualmente in contrasto con la Costituzione.
Essa nasce con una pesante ipoteca: è la restaurazione di un potere di ingerenza dello Stato nei rapporti di comunicazione, di fiducia, di affetto, di devozione, di dedizione che si formano liberamente fra persone maggiori di età. Pensiamo alla influenza psicologica che si realizza con l'innamoramento, a quella del sacerdote sul fedele, del maestro sull'allievo, del medico sul paziente, dell'operatore sociale che dirige una comunità di recupero di tossicodipendenti sui giovani che lo seguono. In ciascuna di queste relazioni la volontà di un soggetto può prevalere su quella dell'altro e possono crearsi fenomeni di suggestione e persuasione, tali da modificare i comportamenti e formare le personalità. Con la norma sulla manipolazione mentale, così come avveniva con quella del 1930 sul plagio (che forse era scritta meglio), lo Stato pretende di controllare e di interdire le forme più spiccate di influenza psicologica nei rapporti interpersonali, che evidentemente considera socialmente dannose e contrarie all'ordine, senza peraltro poter indicare un criterio certo di determinazione.
Non regge l'argomento di chi dice: con questa norma vogliamo colpire alcune cosiddette "sette", che sono in realtà congreghe di malfattori e che puntano a sfruttare per interessi economici e a fini di lucro l'assoggettamento di persone deboli.
Ebbene, le norme idonee a perseguire penalmente i comportamenti di questi gruppi e dei loro capi già esistono. C'è l'articolo 643 del codice penale (circonvenzione di persone incapaci), che in particolare può applicarsi se taluno induce un maggiore di età ad atti dannosi per lui o per altri, abusando della sua infermità o della sua deficienza psichica, anche se questi non sia interdetto né inabilitato. C'è l'articolo 640 (truffa). C'è l'articolo 600, di cui abbiamo già parlato, che prevede e punisce la riduzione in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù. Questa norma esplicitamente estende l'azione penale a tutti i casi in cui una persona possa definirsi in condizione analoga alla schiavitù (ad esempio perché priva della libertà di locomozione o di corrispondenza con terzi).
Invece, se i reati che ho appena indicato non sono ravvisabili, se c'è soltanto una scelta libera del soggetto che si affilia al gruppo, ogni intervento penale porta con sé il rischio dell'arbitrio. Del resto, perseguendo penalmente chi seduce una persona maggiore di età, non otterremo il risultato di ricondurre questa persona allo stato psicologico, agli affetti, ai vincoli familiari che precedentemente erano i suoi.
Osservo, infine, che uno spazio interpretativo assai ampio rimane aperto in base alla norma dell'articolo 600. Al di là di questa possibile estensione del concetto di schiavitù in via analogica (per cui viene punito chi determina uno stato simile a quello servile), dare al giudice ancora più poteri di controllo nei rapporti interpersonali (attraverso la restaurazione del reato di plagio) significa creare le premesse per soluzioni oscillanti ed arbitrarie.
Né ha senso l'aggravante prevista per la manipolazione mentale commessa nell'ambito di un gruppo, dal momento che il reato a cui essa si riferisce è così sfuggente e indefinito.
Ma soprattutto, collega Ziccone, questo intervento repressivo per fattispecie che sono tutte rimesse all'interpretazione libera del giudicante presuppone un postulato ideologico. Presuppone il principio - autenticamente illiberale - secondo il quale deve essere lo Stato (in questo caso attraverso l'autorità giudiziaria) a stabilire di volta in volta i limiti entro i quali l'individuo libero può manifestare nel rapporto privato, fatto di comunicazioni ed emozioni con un altro individuo, la propria fede in quest'ultimo o nei suoi insegnamenti, il proprio amore, la propria identificazione ideale con l'altro. Così, insomma, lo Stato si fa portatore di una politica dei sentimenti, decide fin dove possano arrivare i rapporti affettivi ed invade con la norma penale la sfera della vita interiore dei singoli.
Noi consideriamo questo disegno di legge un'altra manifestazione della tendenza regressiva e delle pulsioni avverse ai princìpi e al dettato della Costituzione che prevalgono nella maggioranza di centro-destra e che hanno ispirato in questi anni la sua politica del diritto. Alla quale, signor Presidente, noi con determinazione ci opponiamo. (Applausi del senatore Castagnetti).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Zancan. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Lasciatemi dire, cari e pochi colleghi che assistete a questa discussione, che essa, fuor da ogni polemica, è molto più importante, sul piano della filosofia del diritto e sul piano del diritto penale, di quella che affronteremo con ben altri clamori e mediaticità nel pomeriggio di oggi.
La premessa dell'argomentare in questa materia è abbastanza ovvia: la salvaguardia del patrimonio psichico della persona, sia statico che dinamico, è certamente tutelata nell'articolo 2 della Carta costituzionale. Ma come si articola la libertà della persona?
Si articola anche nella volontà e nel desiderio di sottomettersi, nella libertà di sottomettersi ad idee, credenze, fedi e superstizioni perché - come ha scritto Dostoevskij - la libertà è il bene sommo, ma anche il bene più difficile da sopportare.
Fra noi qualcuno ha certamente conosciuto parenti di malati terminali che hanno avuto desiderio di aiutarli con cure basate sulla superstizione. Questo rientra nella libertà della persona. Lo stesso Dostoevskij, con una espressione che sarà ripresa ed anzi sarà il tessuto di tutta la filosofia del Ventesimo secolo, ha utilizzato la straordinaria espressione secondo cui l'uomo ha diritto anche al disonore.
Fatta questa premessa sull'enorme estensione della manifestazione della libertà umana, dobbiamo affrontare in sede di discussione generale, e poi specificatamente in sede emendativa, il seguente problema: qual è il limite che il deterioramento indotto dalla capacità di autodeterminazione deve raggiungere per imporre la sanzione penale, deterioramento indotto dalla capacità di autodeterminazione.
Presidenza del vice presidente FISICHELLA (ore 12,21)
(Segue ZANCAN). Come ha già giustamente ricordato il collega Brutti, la tutela nella materia che ci occupa è assicurata da una pluralità numerosa e variegata di norme che sono per l'appunto quelle relative alla violenza privata, alla minaccia, al sequestro di persona, alle lesioni personali, alla circonvenzione di incapace, alla riduzione in schiavitù come limite massimo di privazione della libertà e di tutela penale.
Bisogna però prestare attenzione. Specie in materia di circonvenzione di incapace, la interpretazione giurisprudenziale si è ormai allontanata dal ritenere indispensabile, per il verificarsi della fattispecie, la presenza di una interdizione ed inabilitazione. Ormai secondo la giurisprudenza applicabile è sufficiente qualsiasi sfruttamento della debolezza del soggetto passivo. Se volete, si tratta di una pericolosa genericità. Tuttavia, poiché il reato di circonvenzione di incapace è legato all'ottenimento di un atto di disposizione patrimonialmente vantaggioso e contestualmente svantaggioso per la persona offesa, attraverso questo elemento di fattispecie si garantisce la genericità di quello che può sembrare un troppo dilatato concetto dello sfruttamento della debolezza altrui.
Allora il Senato della Repubblica si accinge a verificare se sia il caso di formare una norma nuova in un campo che - ripeto - è penalisticamente presidiato da una pluralità di norme, interpretate anche estensivamente, come ho già ricordato. Una nuova struttura deve necessariamente rispettare il principio di determinatezza perché, se non lo fa, va a cozzare in modo inesorabile contro l'articolo 25 della Carta costituzionale.
Deve essere dunque una norma determinata, determinata nella comprensibilità da parte del giudice ma soprattutto da parte del cittadino. Su questo proprio non c'è alcuna possibilità di fare passi indietro.
La sentenza n. 96 del 1981, quella straordinaria sentenza cui tutti facciamo riferimento (anche perché straordinario fu il suo relatore, il professor Volterra) scolpisce la determinatezza di comprensibilità con una espressione che non posso non ricordare ai colleghi: deve verificarsi l'intellegibilità del precetto e quest'ultima deve realizzarsi - cito sempre la sentenza - in termini tali che il fenomeno ipotizzato dal legislatore sia effettivamente accertabile dall'interprete in base a criteri razionalmente ammissibili allo stato della scienza e dell'esperienza attuale.
Allora noi abbiamo tracciato il percorso e in termini così precisi, così lucidi, così chiari che non possiamo uscire fuori da questo terreno, tenendo conto che - come ricorda sempre la sentenza n. 96 del 1981 - è estremamente difficile, se non impossibile, distinguere, a fini di conseguenze giuridiche, l'attività psichica di persuasione da quella, anch'essa psichica, di suggestione. È certo che sono distinguibili la persuasione e la suggestione, ma il problema non è distinguerle; il problema è distinguerle ai fini di conseguenze giuridiche e deve essere una comprensibilità non soltanto da parte del giudice, ma da parte di quei soggetti che sono chiamati a rispondere a una norma penale, sia che essi siano autori della violazione del patto sociale, sia che ne siano vittime. Il precetto deve essere compreso.
Se dunque questi sono i criteri che quella sentenza ha scolpito ormai da quasi 25 anni, come possiamo accettare che nel testo proposto - e cito indifferentemente sia il testo del disegno di legge, sia il testo uscito dall'elaborazione della Commissione - ci possano essere espressioni come: "tecniche di condizionamento della personalità"? Come possiamo accettare che ci siano espressioni come: "suggestione praticata con mezzi materiali o psicologici? Cosa vuol dire questo, signor relatore? Come lo caliamo nella realtà della vita e poi del giudizio? Come possiamo parlare di una "soggezione continuativa"? Come possiamo parlare di "grave limitazione della libertà di autodeterminazione"? Cosa è comprensibile da tutto questo?
Sono tutti termini che sono utilizzati nel disegno di legge e che non individuano una fattispecie determinata né nei mezzi, né nei fini, né nelle conseguenze, né nella struttura, che sono indispensabili per l'individuazione della fattispecie. Continuo a pensare che nella materia, che pure ha suscitato le preoccupazioni che hanno dato luogo al progetto di legge, la via maestra per una corretta sanzionabilità sia quella della previsione della articolo 643 del codice penale nella interpretazione giurisprudenziale che ho detto.
Insomma, come primo approccio al problema, per concludere, la storia ci insegna che le più gravi compromissioni alla libertà si realizzano proprio in nome della tutela della libertà.
Con l'intento di tutelare la libertà di autodeterminazione questo testo di legge violenta la libertà, attraverso il recupero di una sanzione per fatti che, non incidendo in modo casualmente efficiente rispetto ad atti di disposizione vantaggiosa o svantaggiosa, finiscono per essere una anticipata sanzione, lasciata all'arbitrio interpretativo, non compresa dai cittadini, limitativa in modo violento dello stesso bene della libertà.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Fassone. Ne ha facoltà.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, il tema affrontato dal disegno di legge in questione è uno dei più delicati dell'intero diritto penale, perché sono in campo diritti di libertà diversamente atteggiati e diversamente esposti a pericolo.
Da un lato c'è il diritto di espressione, di pensiero, di proselitismo religioso e politico, cioè i diritti di quello che potremmo chiamare l'attrattore o il sospetto plagiante, e ci sono anche i diritti di libertà del preteso plagiato, cioè il diritto di scelta religiosa e il diritto di scelta di vita, che magari comprendono aspetti di disciplina assai rigorosi e che quindi ne limitano molto la libertà, ma a seguito di una libera scelta.
Sul versante opposto ci sono i diritti di autodeterminazione del possibile plagiato e sono questi che rendono il mio intervento problematico, anche se sensibile - e molto sensibile - a tutte le considerazioni svolte dai senatori Brutti e Zancan.
Infatti, il problema, che è delicato come ho detto, non può fare a meno di essere affrontato anche alla luce di alcuni fenomeni sociali nuovi, diffusi e inquietanti, tutti successivi alla nota sentenza della Corte costituzionale del 1981.
Intendo riferirmi alle associazioni parareligiose, che oggi si diffondono e che sono connotate da forti vincoli sugli associati; intendo parlare delle sette sataniche, delle quali le cronache hanno reso noti fenomeni cruenti e raccapriccianti; intendo riferirmi a vari fenomeni di suicidi collettivi, non realizzati per fortuna nel nostro Paese, ma sì in altri Paesi, anche vicini a noi, come in Francia nel 1995, tant'è vero che la Francia, Paese di non sospetta cultura liberale, adottò una legislazione molto penetrante nei confronti di queste sette religiose. E poi in Svizzera, negli Stati Uniti e nella Guiana inglese; cioè fenomeni vasti e preoccupanti, a cui potremmo aggiungere anche le scuole nelle quali si formano i futuri suicidi terroristici, oltre che il grande fenomeno moderno dei maghi e dei guaritori, nei confronti dei quali si indirizza appunto una petizione rivolta a questa Camera.
Dunque bisogna essere attenti su entrambi i fronti, quello del contrasto, se possibile tecnicamente, a questi fenomeni e quello del non tornare indietro, non riportare la legislazione a quel plagio che fu cancellato dal nostro ordinamento un quarto di secolo fa.
A questo riguardo, è stato già ben ricordata dal senatore Brutti l'evoluzione della nozione di plagio, nata sotto ben altro clima e con altri obiettivi, perché nell'accezione romanistica il plagio era appunto la condotta di chi assoggetta un uomo libero o liberto a schiavitù, cioè individuava un vincolo fisico e Marziale adoperava poi la parola in senso figurato, paragonando ad esso la falsa attribuzione a se medesimo di opera letteraria altrui, che è la nozione secondo la quale oggi intendiamo il plagio.
Dunque, il codice penale del 1930 lo affianca ai delitti di schiavitù in senso proprio o fisico, costruendo una forma di schiavitù psichica collaterale e parallela. L'articolo 603 affermava - come ben ricordiamo - che "chiunque sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione è punito (…)" con quel che segue. Si trattava, dunque, di un reato a condotta libera ed è già, quindi, molto importante, se vogliamo e se tecnicamente l'operazione regge, non connotarlo più come reato a condotta libera.
Perché questo reato è stato dichiarato incostituzionale?
La sentenza della Corte del 9 aprile 1981, n. 96, da tutti citata, non sempre analizzata nella sequenza dei suoi passaggi, parte da una considerazione empirica: nella giurisprudenza che si è avuto dal 1930 al 1981 - quindi nell'arco di mezzo secolo - le vicende giudiziarie sono state poche ma nessuna ha mai ravvisato il totale stato di soggezione di cui parla l'articolo 603. Le situazione più frequentemente portate al vaglio dei giudici, cioè il sottoporre taluno a lavoro obbligatorio, il rapire fanciulli per destinarli all'accattonaggio, il sequestrare donne per farle andare a finire in un Harem di Paesi stranieri in cui questa situazione è consentita, anche se realizzate con concomitante azione di sudditanza psichica ricadevano o nell'articolo 600 della riduzione in schiavitù, o comunque non evidenziavano mai un totale stato di soggezione, cioè la riduzione della persona a cosa eterodiretta.
Pertanto, questa empiria nell'uso della norma, nell'inveramento della norma, costringeva la dottrina e la giurisprudenza a parlare di una quasi integrale soppressione della libertà di autodeterminazione. Una importante sentenza della Corte di cassazione del 1961 in effetti metteva in luce formalmente e con rigore la caratteristica psichica del reato, il quale - secondo il Supremo collegio - consiste nell'instaurazione di un rapporto psichico di assoluta soggezione del soggetto passivo al soggetto attivo in modo che il primo viene sottoposto al potere del secondo con completa o quasi integrale soppressione della libertà del proprio determinismo.
Allora, su questo si è appuntata la censura della Corte costituzionale: se la soggezione integrale non è verificabile e non è realizzabile con mezzi psichici, perché così ci ha detto l'esperienza giudiziaria e così ci dicono anche le cognizioni di psicologia e medicina, allora entriamo nell'indeterminato (e in questo sono fondate le censure); la quasi integrale soggezione apre su un campo a pareti inesistenti, in sostanza. Il reato, che già è a condotta libera e quindi vicino all'indeterminatezza, diventa anche ad evento fluttuante, ad evento non abbastanza definito.
Il nostro ordinamento ne conosce di delitti a condotta libera, tipico e noto a tutti l'omicidio: chiunque cagiona la morte di una persona è reato a condotta libera in cui l'attività strumentale può essere la più indefinita possibile ma è focalizzata da un evento nitido e chiaro; qui, invece, abbiamo una condotta libera e un evento che per effetto della giurisprudenza ha assunto contorni non ben definiti.
Ecco che, allora, è il quasi totale stato di soggezione quella vaghezza che apre sulla difficilissima e forse impossibile distinzione tra suggestione e persuasione. Ecco, allora, le preoccupazioni della Corte, cioè il timore che si profilino situazioni concrete e usuali in cui il rapporto fra due persone è fortemente sbilanciato, per la presenza di un intenso ascendente dell'una sull'altra. Gli esempi ripetutamente addotti lo testimoniano: il rapporto tra medico e paziente, tra direttore spirituale e persona che gli si affida, tra maestro e discepolo, persino il rapporto amoroso e il rapporto genitoriale possono produrre queste situazioni di forte soggezione che evidentemente nessuno si sogna di punire.
Allora, la conclusione della Corte costituzionale è che appare estremamente difficile, se non impossibile, individuare sul piano pratico e distinguere a fini di conseguenze giuridiche l'attività psichica di persuasione da quella, anch'essa psichica, di suggestione. Questo è stato il percorso che ha condotto la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo l'articolo 603.
Allora, forse si potranno lasciare le cose come stanno per non fare un passo indietro. Ciò è possibile: se la tecnica giuridica ci dimostrerà che è troppo elevato il rischio di colpire situazioni che attentano a diritti fondamentali, la coscienza giuridica dovrà fermarsi perché questo rischio prevale sull'esigenza socio-politica di contrastare il fenomeno. Certamente ciò significa indifferenza a fenomeni che stanno emergendo con diffusione e gravità e verso i quali spesso, ma non sempre, è possibile e sufficiente impiegare gli strumenti normali del codice penale: la truffa (non sempre ci sono le finalità patrimoniali), la circonvenzione di incapace (presuppone che la persona sia già incapace e non che sia resa tale attraverso gli strumenti dell'assoggettamento psichico) e così via. L'esperienza giudiziaria ci ha dimostrato che, in alcuni casi, in effetti manca la norma idonea a raggiungere l'obiettivo di contrasto.
Allora, partendo da un testo che si prestava effettivamente a parecchie critiche, la Commissione ha cercato di lavorare in un modo che non considero ancora soddisfacente. Innanzi tutto, ha definito meglio l'evento: quello che era un evento molto labile ed evanescente è stato abbastanza positivamente puntualizzato, riprendendo la stessa formula usata poco tempo fa per la tratta delle persone. Si è parlato di una specifica relazione tra autore e soggetto passivo, definita dallo stato di soggezione continuativa, e si è individuata meglio la condizione della persona offesa precisando che essa è tale da escludere o limitare grandemente la libertà di autodeterminazione. Sotto questo profilo, lo sforzo è abbastanza accettabile, volendo seguire la Corte costituzionale che ha cancellato quella dizione concretamente impraticabile della soggezione totale.
Quanto alla condotta, la difficoltà è maggiore e, quindi è maggiore l'insoddisfazione. In parte appagante è la nozione delle tecniche di condizionamento perché queste evidentemente non permetteranno mai di considerare punibile una relazione instaurata tra soggetto attivo e soggetto passivo basata semplicemente sull'ascendente, sul carisma, sulla personalità e anche sulla semplice arte retorica. Pertanto, le tecniche di suggestione puntualizzano già in una certa misura la condotta e ci permettono di essere meno preoccupati a fronte del ritorno indietro. L'insoddisfazione - almeno mia personale - è più elevata sul piano tecnico in relazione al terzo elemento necessario per una puntualizzazione, che è l'elemento psicologico soggettivo. Una puntualizzazione in termini di dolo, così come abbiamo proposto attraverso un emendamento che sarà esaminato quanto prima, dovrebbe migliorare il testo e forse ridurre le preoccupazioni affacciate.
Concludo, signor Presidente, evidenziando che in effetti siamo tutti - me compreso - preoccupati di una certa novellistica a largo raggio con cui la maggioranza sta intervenendo a chiazze sul codice penale, a proposito della legittima difesa in abitazione, dell'oltraggio, della recidiva e in qualche misura anche a proposito di questa materia. Non siamo, però, insensibili all'esigenza di contrastare i gravi fenomeni sociali evidenziati in premessa. Allora, pur dando atto al relatore di essersi adoperato per disegnare una fattispecie che non ricada pesantemente nei difetti che hanno cagionato la scomparsa del vecchio delitto di plagio (in questo raccogliendo proposte e suggerimenti dell'opposizione), ci auguriamo che il testo del provvedimento possa essere ulteriormente migliorato e rimuova le numerose preoccupazioni che esso, al momento, suscita ancora.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Boco. Ne ha facoltà.
BOCO (Verdi-Un). Signor Presidente, non ho potuto ascoltare tutti i colleghi, essendosi tenuta la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari, ma leggerò i loro interventi sul resoconto stenografico. Mi scuso, dunque, per non aver potuto udire la relazione e la parte della discussione generale svolta dai dotti ed esperti colleghi intervenuti prima di me: li avrei voluto ascoltare, proponendo loro e ai molti altri che non sono qui presenti alcune riflessioni da esaminare e da discutere.
Quando si ha all'esame un provvedimento legato a due petizioni, che è stato esaminato dalla Commissione di merito (la Commissione giustizia) e che tocca, a mio avviso, la delicatezza profonda di una materia così difficile ci vorrebbe veramente capacità di ascolto, per sentire davvero le ragioni dei molti che ne possono discutere.
Già con il relatore avevo posto il problema della sua relazione, che aveva analizzato bene il disegno di legge n. 1777, di iniziativa della senatrice Alberti Casellati, osservando però che noi abbiamo costruito la fase emendativa su tutt'altro testo; quindi il relatore, quando potrà intervenire, svolgerà nuovamente la sua analisi.
Signor Presidente, vorrei partire in particolare dal testo e da quanto ha chiesto la 1a Commissione permanente a chi deve poi deliberare e costruire il provvedimento: mi riferisco, in qualità di estensore del parere della 1a Commissione permanente, riportato nello stampato del provvedimento, al senatore Boscetto. La 1a Commissione permanente, dunque, esprime «un parere non ostativo, osservando tuttavia che le disposizioni proposte dai disegno di legge possono presentare profili problematici quanto al rispetto del principio di tipicità della sanzione penale di cui all'articolo 25 della Costituzione e invitando la Commissione stessa ad individuare una formulazione che delinei tale delitto con caratteri di maggiore differenziazione rispetto ad altre ipotesi già attualmente previste dal codice penale»: tale è il parere espresso.
Mi sembra che il testo proposto dalla Commissione e portato al nostro esame non ponga soluzione a quanto aveva richiesto la 1a Commissione permanente, perché permane una forte indeterminatezza. Sono presenti sullo stampato del provvedimento anche due petizioni, che sembrano essere una delle ragioni alla base del provvedimento e di esse intendo dare lettura.
La petizione presentata dal signor Franco Friuli chiede, in tre righe, che «a tutela del diritto alla salute, l'adozione di norme che limitino più rigorosamente l'utilizzazione dei mezzi di informazione per la pubblicità di maghi e guaritori». Giusto, giusto. La petizione è riportata nel fascicolo del provvedimento in esame.
L'altra petizione è del signor Vincenzo Fontana, che «chiede l'adozione di norme più severe contro le attività tendenti a sfruttare la credulità altrui». Giusto. Ma cosa c'entrano, con questo provvedimento? Cosa rappresenta questo testo di legge alle persone che vengono citate, in quanto le loro petizioni sono stampate nel fascicolo del provvedimento?
Ma il senatore Fassone, prima di me, ha cercato di collegare il provvedimento anche ad un cammino internazionale. Dunque mi permetterò, cari colleghi, di farlo anch'io, esaminando come altri Paesi costruiscono, pongono questo problema. Perché il legislatore onesto (è ovvio che lo sia) ha il dovere di cercare di interpretare delle istanze, come le petizioni (che non io ho collegato a questo disegno di legge, in quanto stampate e presenti nel fascicolo), armonizzando il disegno di legge con quello che viene chiesto.
Cosa vogliamo fare? Cosa vogliamo colpire? C'è una legislazione in corso, ci sono vari Paesi che lo fanno: la manipolazione mentale? O, se lo vogliamo individuare con altri sinonimi, il plagio psicologico: vediamo gli altri Paesi cosa fanno.
Il codice penale spagnolo ha una norma contro le alterazioni ed il controllo della personalità: è l'articolo 515, n. 3. E una sentenza molto severa del novembre 1996 in Spagna ha criticato tutto questo e ha criticato la nozione di controllo della personalità sotto il profilo sia empirico che costituzionale, in un caso in cui era coinvolta l'associazione antisette, si chiama AIS in Spagna. È bene dirsi le cose per decidere insieme, per vedere se facciamo un servizio alla nostra collettività. È ovvio che in tutti i cammini internazionali, quando si affronta questo, troveremo una costante. Queste associazioni combattono contro le sette, a differenza di quanto il signor Friuli chiedeva, non contro i maghi e guaritori, ma contro le truffe; ma c'è un'elaborazione internazionale contro le sette. Giusto.
In Spagna questa associazione si chiama AIS, ha un'impostazione aggressivamente laicista, ma gode oggettivamente (questo lo troviamo su tutti i siti) di appoggi in ambienti politici, soprattutto in Catalogna, se questo interessa i colleghi. Questa associazione ha ripetutamente attaccato l'Opus Dei e ha diffuso e diffonde diversi volumi in cui sostiene che l'Opus Dei usa l'alterazione ed il controllo della personalità. Recentemente ha allegato agli attacchi all'Opus Dei, sempre in modo pubblico, anche attacchi contro i Legionari di Cristo (mi scuso, non sono di mia conoscenza, ma ci possiamo informare).
Questa è l'evoluzione in Spagna in questi anni, perché queste associazioni si pongono in tal modo. Ma in Francia - citata dal senatore Fassone - il rapporto parlamentare del 1996, «Le sette in Francia», contiene una contestatissima lista di 172 sette pericolose. E allora il legislatore italiano, se davvero lo spirito è quello di voler aiutare i nostri concittadini, si assuma la responsabilità di fare la lista dei buoni e dei cattivi. Sento invitare spesso a colpire le sette sataniche, perché in alcuni Paesi l'hanno fatto, ed è lì che trovo le ragioni della violenza e dell'impossibilità di discernere. In Francia - e mi farebbe piacere farvi l'elenco delle 172 - il settimanale «La Civiltà Cattolica» ha combattuto per anni questa lista di 172 pericolosissime sette, perché è stato poi allegato alla valutazione di legge e a quella che è stata la definizione di manipolazione mentale, quindi la legge del 30 maggio del 2001.
Anche qui vi sono associazioni che combattono le sette, certo, fortemente laiche, benissimo; e ritroviamo fra le pericolosissime sette da estirpare l'Opus Dei, anche in Francia, la Comunità del rinnovamento dello spirito, e potrei continuare l'elenco, ma è pubblico; lo possiamo fare, qualsiasi legislatore, quando vuole ripercorrere queste strade - ci sono leggi in vigore - lo può riscontrare. Di sicuro c'è che la Conferenza episcopale francese ha preso una posizione contrarissima a tutto questo e ha fatto una battaglia, una battaglia del diritto, della difesa del diritto a costruire e a portare il proprio messaggio religioso.
Ma andiamo avanti, perché non è finita. In Belgio, sull'onda francese, nel 1997 viene fatto esattamente questo, viene messa in appendice al rapporto parlamentare belga sulle sette una lista di sette pericolose. È molto interessante quella belga, soprattutto per chi vive a Roma: una delle sette che in Belgio viene considerate pericolose è la Comunità di S. Egidio, alla quale è impedito di operare in questo momento della storia, come a tutte le altre sette, ovviamente in Belgio. Questa lista è stata ovviamente pubblicata ed è stata mandata ad albergatori e alle comunità locali la lista degli ospiti non graditi. Per la Comunità di S. Egidio, l'Opus Dei ed altri è impedita in Belgio l'organizzazione, ad esempio, di un evento pubblico, di prendere una sala a pagamento.
Continuo l'analisi americana. Negli Stati Uniti c'è una politica organizzata contro le sette, ma esistono delle aggressivissime dinamiche di organizzazioni contro le sette, e guardate che i nomi sono sempre costanti: Opus Dei, Rinnovamento dello Spirito. Queste pericolosissime sette sono sempre legate (io cito solamente quelle che hanno un imprinting più cattolico, ma ce ne sono molte altre) a tutto ciò che viene costruito in un meccanismo di rapporto con la fede, che va da una fede come quella che ho citato, vicina alle nostre interpretazioni di cattolici, a tutte le altre chiese.
Ma andiamo ancora avanti. In Italia cosa sta avvenendo, mentre si svolge questa discussione, mentre il signor Friuli ci manda la petizione per colpire maghi e guaritori? Leggiamolo: «In Italia una delle associazioni che più si batte a favore del disegno di legge sulla "manipolazione mentale", la FAVIS, propaganda sul suo sito il libro di Gordon Urquhart "Le armate del Papa. Focolarini, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione. I segreti delle misteriose e potenti nuove sette cattoliche" (…)» (è in libreria, si può comprare, per informazioni basta aprire un sito, è edito da Ponte alle Grazie, Firenze 1996) «il cui titolo non fa precisamente mistero di quali gruppi intenda accusare di "manipolazione mentale"». Complimenti, collega. «D'altro canto, nella nostra memoria collettiva la sentenza della Corte Costituzionale (…)» (qui l'avete citata, non ho bisogno di ritornare su questo).
Ma vediamo chi invece cerca di dirvi, dotti colleghi: forse stiamo sbagliando strada. Voglio citare alcune pericolose sette le quali dicono che questa non è la strada giusta.
Vi cito la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, il cui acronimo è FCEI. Scrive il presidente Gianni Long: «La Commissione delle Chiede evangeliche per i rapporti con lo Stato ribadisce la propria preoccupazione sul disegno di legge n. 1777 all'esame dell'Aula del Senato, che prevede il reato di manipolazione mentale. La formulazione è tale da costituire un pericolo anche per la libertà religiosa. Essa rischia di configurare come reato ogni conversione indotta dalla predicazione e dall'esempio. La Commissione ritiene che effettivamente esista il pericolo di coartazione della volontà dei singoli mediante tecniche di condizionamento.» (lo ribadisce). «Tuttavia, l'indeterminatezza della fattispecie sembra riprodurre gli aspetti che a suo tempo avevano portato alla dichiarazione di incostituzionalità del reato di plagio. La stessa Federazione nota tra l'altro che non si prevede come condizione necessaria di punibilità un utile per la gente, colpendo così ogni forma di convinzione e di trasmissione di pensiero e di fede».
Non ci sono solo le petizioni allegate a questo disegno di legge, ci sono le chiese, le storie, le persone, che cercano di dire al legislatore di combattere le truffe, ma di avere rispetto delle proprie idee, della propria fede e della libertà che questo Paese deve considerare.
Io mi domando (perché è bene in una discussione generale così affollata poter parlare in modo esplicito, è bene dirsi tutto, come si può fare in un'Aula parlamentare): dov'è il problema? Se vogliamo colpire i truffatori, senza citare i famosi cognomi delle truffe televisive, credo che si debba fare uno sforzo insieme. Se però vogliamo colpire alla base il diritto di poter professare la propria fede e di non ripercorrere le strade che ho citato, solo alcune, lascerò il molto che non ho detto alla discussione sulla fase emendativa.
Ma vi sembra corretto e possibile che alla Comunità di Sant'Egidio sia interdetto fare un'assemblea in Belgio? Vi sembra democrazia? E' questo che volete fare? Costruire, dare la possibilità - attraverso una forma come questa, che introduce nel nostro ordinamento l'indeterminatezza - di dire dove finisce il mago ICS e dove inizia ciò che è possibile!
Un esempio solo. E Francesco? Quando in quel d'Assisi partì, per una sua convinzione folle, e contaminò le menti di ragazzi che lasciarono tutto e con i sandali ai piedi si ritirarono a costruire una delle parti del monachesimo dell'anno Mille, o giù di lì, i loro genitori cosa avrebbero detto? Mi hanno plagiato il figlio. Dove c'è, se vogliamo essere onesti, null'altro che la capacità di convinzione, il dire che quei ragazzi avevano il diritto di portare con sé le loro cose, i loro averi, con i quali hanno costruito la storia dei francescani. Non lo dico provocatoriamente per sostenere che, allora, niente può essere colpito. Guardate, i parenti di quelle persone avrebbero detto: quel ragazzo pazzo di Assisi ha plagiato mio figlio.
Questa è la storia, e questo è il meccanismo che adoperate quando scrivete su un articolo «salvo che il fatto costituisca più grave reato …»; ma non ve lo leggo, perché vedo che in Aula sono presenti coloro che lo hanno elaborato. Ebbene, state dicendo la stessa cosa, ossia che si dà la possibilità di colpire chiunque, ad un certo punto, senza che si possa definire colui che fa una scelta per convinzione. Dov'è il limite in questo? Ci sarà sempre qualcuno che dirà: guardate che la persona è stata aggirata.
Ecco perché la citazione che vi ho fatto dei "pericolosi", come il presidente Long della Federazione delle Chiese evangeliche, o la ricostruzione di tutte le battaglie che la Chiesa sta conducendo, in Francia come in Belgio, cercano semplicemente di dire che la libertà di culto, la possibilità di professare la propria fede e di costruire il proprio diritto è molto più importante di tutto il resto.
Allora, noi legislatori abbiamo il dovere di rispondere al signor Friuli, benissimo, ma non con questo articolo, perché così reintroducete un omicidio del diritto, estirpate la possibilità di garantire che uno non sia messo alla berlina, ai Franceschi di ieri e a quelli di oggi, se ci fossero: a chiunque.
Non c'è niente di più importante in una democrazia che la libertà, e la libertà di culto appartiene alle grandi famiglie della libertà. Ecco perché combatterò una battaglia democratica, legittima, per cercare non di affossare questo disegno di legge, ma di convincere l'Aula che questa strada è sbagliata. Spero di riuscirci, almeno in parte.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il relatore.
ZICCONE, relatore. Signor Presidente, replicherò molto brevemente. Innanzitutto, non posso non prendere atto del dibattito, che è stato elevato, approfondito, tecnicamente apprezzabile e, direi, moralmente molto suggestivo.
Tutti gli interventi hanno messo in evidenza i due dati che - come ho detto nella relazione - hanno in qualche modo tormentato la Commissione nell'elaborazione, nel tentativo costante di migliorare il testo.
Nel corso del dibattito non si è levata alcuna voce che non ha colto l'importanza del tema e soprattutto i pericoli e gli inconvenienti reali di un certo vuoto normativo. Come è stato detto in molte sentenze nel tempo (non sono molti i casi in tutto il territorio dello Stato, ma sono prevalenti nel Nord d'Italia), si avverte l'esigenza di trovare un modo attraverso cui sconfiggere, combattere i pericoli evidenti che hanno suscitato tante proteste e accorati appelli.
Dall'altra parte, è certamente un tema assai delicato, trattandosi di libertà, anche quello relativo a chi opera il convincimento sugli altri, alla libertà di autodeterminarsi; mi riferisco al fatto di cogliere un limite di per sé difficile tra il convincimento - come è stato detto soprattutto dal collega Brutti - e la persuasione, che sono strumenti fondamentali della nostra civiltà e cultura, e forme di suggestione e violenza, anche soltanto psicologica, che possono arrivare fino alla distruzione della capacità e della libertà di autodeterminazione.
Costante è stato lo sforzo di cogliere questo confine, sforzo forse non ancora ultimato, e di trovare frasi e parole che limitano il più possibile il pericolo di invadenza di quel rapporto interpersonale e privato, che va salvaguardato e che la nostra Costituzione salvaguarda, e l'attività che produce danni sociali rilevanti, varie volte sottolineati.
Ringrazio in modo particolare il collega Fassone per l'intervento tecnicamente molto preciso che ha compiuto e per lo sforzo di trovare concetti il più possibile rigidi, perché non facilmente sconfinanti nell'incertezza e nella genericità che la Costituzione impedisce in tema di diritto penale. È uno sforzo che ha ottenuto già alcuni risultati.
Non si può affermare che l'espressione «soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione» non abbia un significato rilevante. È stata analizzata la sentenza della Corte costituzionale, appartiene alla nostra civiltà. Nessuno in questo dibattito ha criticato tale sentenza. Non esito però a dire che essa rappresenta un momento fondamentale del riconoscimento delle libertà. È quindi una sentenza da rispettare, alla quale dobbiamo guardare con attenzione. È proprio questo che abbiamo fatto: cercare di cogliere, proprio dai suggerimenti che in qualche modo venivano dalla sentenza della Corte costituzionale, i margini entro cui è possibile raggiungere un sufficiente grado di determinazione e certezza.
La tematica penalistica è costantemente preoccupata di alcune espressioni. Cito tra parentesi la seguente: «tale da escludere o da limitare grandemente», che è espressione analoga a quelle usate per la capacità di intendere e volere.
La dottrina e la giurisprudenza, per decenni e ancora oggi, continuano a dibattere sull'opportunità di prevedere, oltre all'infermità totale e all'incapacità totale di intendere e di volere, la semi-incapacità. È un dibattito che non riguarda soltanto l'Italia, ma l'intera Europa e forse anche altra parte del mondo, proprio perché l'espressione «limitare grandemente» non raggiunge quel livello di certezza che però poi finisce con il rendere anche abbastanza ininfluente una norma che si affida a formule assolutamente certe. Tutto il diritto penale è intriso di concetti che in qualche misura sono affidati al giudice per poter essere determinati. Naturalmente, il compito del legislatore è quello di usare espressioni che limitino il più possibile questa forma di libertà, di apprezzamento del giudice, che non può sconfinare nell'arbitrio.
Sotto questo aspetto, mi meraviglia che in qualche intervento siano state considerate queste espressioni come pericolose per i limiti della certezza del diritto e non altre espressioni, come ad esempio quella «o stati analoghi», che viceversa sono molto probabilmente - così come in varie sentenze è stato sottolineato dalla Corte costituzionale - ancora più pericolose circa i limiti della certezza del diritto.
In conclusione, cosa voglio dire e cosa riaffermo? La Commissione e questo testo indiscutibilmente hanno apportato dei limiti di maggiore garanzia e di maggiore certezza rispetto a quella norma che la Corte costituzionale ha considerato illegittima. Se lo scopo è stato completamente raggiunto, questo probabilmente dovrà e potrà essere oggetto di valutazione dell'Aula. Non escludo che il testo possa essere migliorato attraverso ulteriori elementi che possono dare specificazioni maggiori.
Fin da questo momento, a tale proposito, non ho difficoltà a dichiarare che, ad esempio, l'elemento soggettivo, che in molte fattispecie del diritto penale finisce con l'avere anche un significato oltre che direttamente connesso all'elemento soggettivo anche al comportamento, e diventa in qualche modo un limite di certezza per il comportamento, possa giocare questo doppio ruolo: da un lato, essere elemento soggettivo più specifico; dall'altro lato, attraverso la specificità dell'elemento soggettivo, andare verso forme di comportamenti che sono più vincolati rispetto alla forma libera che però, in qualche misura, trova il suo vero contenuto e il limite proprio nel fatto che alla fine si descrive un risultato e un evento che è il vero segno del limite attraverso cui si deve muovere il giudice e sta proprio in quella espressione fondamentale: soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente.
Queste non sono espressioni che possono dare luogo agli inconvenienti che sono stati lamentati in qualche intervento. Penso che alcuni esempi che sono stati fatti con riferimento alle religioni non hanno mai il pericolo di sconfinare in illecito penale, attività che alla fine si trasformano semmai in una esaltazione della libertà di autodeterminazione dell'individuo.
L'esempio di Francesco, che abbiamo più volte ripetuto in Commissione sotto questo aspetto, è evidente. Nessuno ha mai pensato a forme di società in cui atti non consueti - come, ad esempio, considerare il proprio patrimonio poca cosa rispetto a esigenze spirituali o ideali - significa compiere atti che qualcuno può non comprendere o qualcuno può addirittura ritenere atti incomprensibili o psicologicamente non spiegabili.
E diciamo un'altra cosa, che questi atti normalmente non sono mai stati considerati - e penso che non saranno mai considerati da nessuno - atti che si trasformano in una limitazione grande o in una esclusione dalla capacità di autodeterminazione.
Credo che San Francesco oggi non sarebbe considerato da nessun giudice dello Stato italiano persona incapace di intendere, o di volere, o che ha raggiunto il livello della incapacità dell'autodeterminazione, ma continuerebbe ad essere considerato persona che liberamente ha compiuto una scelta, nella quale ha dato valore ad alcuni beni e ad alcune idee rispetto ad altri, che erano i beni patrimoniali oppure quelli materiali.
Lo sforzo che è stato fatto, a mio avviso, probabilmente riesce ad evitare i pericoli che sono stati avanzati. Ritengo che sia opportuno che, attraverso la tecnica degli emendamenti, si possa ulteriormente migliorare, nel senso di maggiore certezza del diritto e soddisfare però le esigenze molto forti che sono state avanzate dalla società contemporanea per tutta una serie di inconvenienti, che sono stati riferiti e che sono arrivati purtroppo anche a suicidi collettivi o ad altre forme altrettanto gravi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
SAPORITO, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, desidero intervenire solo per effettuare alcune precisazioni.
Il Governo, come è noto, pure se è stato accusato da qualche intervento ancora una volta, in qualità di espressione della maggioranza parlamentare di centro-destra, di occuparsi di codice penale in maniera inadeguata o punitiva, è estraneo al provvedimento in esame, che è di iniziativa parlamentare e addirittura popolare.
In questo quadro, vogliamo ringraziare i presentatori del disegno di legge ed il relatore, che ha compiuto lo sforzo di trovare quella tipicità e legittimazione di aspetto di un reato che, voglio ricordare, è vero che è stato cancellato dal codice penale, ma esiste nella realtà.
A mio avviso, l'azione nobile del Parlamento e dei parlamentari è quella di individuare norme che in qualche modo vengano incontro alle esigenze che esprime la società.
Mi sembra quindi che alla strada pregiudizialmente contraria di alcuni interventi di alcuni colleghi si contrapponga invece un'iniziativa dialogante, soprattutto da parte del senatore Fassone, che ha detto di aver già preso atto di un miglioramento del testo. Lui ed altri, avendo presentato alcuni emendamenti, scelgono la strada di tentare di costruire questa fattispecie di reato e di delitto in maniera adeguata, per dare una risposta e non lasciare il vuoto legislativo che la sentenza n. 96 del 1981 ha lasciato nel nostro ordinamento.
Il Governo infine prende le distanze, perché non condivide, da alcune proiezioni effettuate dall'intervento del senatore Boco, intelligente che si voglia, secondo cui organizzazioni molto cattoliche come la Opus Dei, i Focolarini, la Comunità di Sant'Egidio, i movimenti catecumenali - e ha citato anche altre organizzazioni del mondo cattolico - sono in qualche modo da considerarsi sette.
Il Governo non condivide per niente questa posizione, perché deve ringraziare questi movimenti che nella Chiesa di Roma, nella Chiesa universale mi pare vadano a difesa, come ha detto il relatore, delle libertà degli uomini, soprattutto degli uomini più deboli.
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.