Sono passati dieci anni dal precipitoso abbandono della Somalia da parte delle truppe americane nel 1994. Pochi ricordano le vicende drammatiche, i linciaggi, i morti descritti in Occidente dal film di Ridley Scott Black Hawk Down e nel mondo islamico dai proclami di Osama bin Laden, che esalta quella prima disfatta americana come la prova che gli Stati Uniti possono essere sconfitti. Le truppe di pace dell'Onu, italiani compresi, sono rimaste ancora un anno, ma anche loro hanno gettato la spugna nel 1995. Sono seguiti dieci anni di inferno, con decine di migliaia di morti e un milione di rifugiati. Nel caos si è insediata Al Qaida, che gode di eccellenti relazioni con il gruppo terrorista locale al-Itihaad, a suo tempo armato e finanziato dal governo sudanese. Lo stesso Osama bin Laden, secondo una delle ipotesi prese in esame a Washington, potrebbe avere passato qualche mese nel 2002 in Somalia.
I legami storici con la Somalia e la presenza nel nostro paese di un'importante comunità somala hanno indotto da tempo l'Italia a cercare di sensibilizzare l'Unione Europea, gli Stati Uniti e alcuni paesi africani democratici perché si occupino di una tragedia che molti preferiscono ignorare. Un governo provvisorio costituito nel 2000, con un mandato di tre anni scaduto nel 2003, non è mai riuscito a farsi riconoscere dai vari clan e ha governato soltanto sulla carta. Un nuovo processo per la formazione di un parlamento è stato avviato durante il semestre italiano di presidenza europea, con risultati che stavolta sembrano incoraggianti. Domenica l'ambasciatore italiano in Kenya, Carlo Calia, ha presieduto la cerimonia di insediamento a Nairobi della maggioranza dei membri del nuovo Parlamento provvisorio, dopo faticosissimi negoziati. Il parlamento dovrebbe comprendere 275 deputati, nominati dalle autorità tribali dei vari clan che controllano il territorio. Ognuno dei quattro clan maggiori dovrebbe nominare 61 deputati, con i rimanenti 31 scelti da una coalizione dei clan più piccoli. Ma uno dei quattro clan maggiori, il clan Darod, ha nominato solo due dei suoi 61 rappresentanti, e sta ancora discutendo sul peso che i deputati leali al signore della guerra Abdullahi Yussuf, che controlla un ampio territorio nella Somalia centrale, devono avere nella sua delegazione.
Se nonostante questo intoppo l'operazione andrà, come si spera, in porto, si dovrà registrare un nuovo successo - come al solito, più riconosciuto e celebrato all'estero che nel nostro Paese - della politica estera del governo Berlusconi. Il nostro governo ha già dato un contributo decisivo alla pace nel Sud del Sudan, e si muove anche per risolvere la seconda crisi sudanese, quella del Darfur. Certamente è necessario che anche altri facciano la loro parte. I contributi economici di altri paesi alla soluzione della crisi somala sono scarsissimi; l'Italia ha perfino dovuto saldare il conto di alcuni alberghi di Nairobi, che minacciavano di buttare fuori i delegati che non pagavano le camere da mesi. Sono soldi ben spesi: mentre la formazione del Parlamento è l'unica via per integrare l'islam politico somalo non violento - che esiste, e non va discriminato - in un processo di riconciliazione nazionale. Un caos che dovesse continuare in Somalia andrebbe invece a tutto vantaggio di Al Qaida e delle sue filiali locali, e sarebbe immediatamente esportato nell'emigrazione somala in Europa, cioè soprattutto in Italia.
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