Non si arresta la saga dei Protocolli dei Savi di Sion, il più noto falso antisemita del XX secolo esposto due mesi fa nella nuova grande Biblioteca di Alessandria dEgitto. Dopo avere presentato ai visitatori di una mostra sui testi sacri ebraici unedizione dei Protocolli come fonte di informazioni autentiche e importanti sullebraismo, la direzione della Biblioteca ha ceduto alle critiche della stampa di diversi paesi (Italia compresa), e ha tolto dallesposizione il volume contestato. Ora lassociazione dei Fratelli Musulmani, la maggiore organizzazione fondamentalista mondiale che ha la sua sede centrale in Egitto, chiede le dimissioni del direttore della Biblioteca, accusato di servilismo nei confronti dellOccidente e di Israele. Cinquecento intellettuali lo difendono in un appello, dove non manca peraltro limmancabile riferimento ai «legittimi diritti arabi».
I Protocolli sono il presunto «documento» di un piano ebraico di controllo del mondo, compilato secondo le ipotesi più recenti e attendibili in Russia tra il 1902 e il 1903 da ambienti antisemiti russi, da cui passa alla polizia zarista, che sembra non ne sia stata però il committente, sulla base di un testo anti-bonapartista del 1864 dellavvocato parigino Maurice Joly (1829-1879), cambiando il soggetto del complotto, dalla famiglia Bonaparte agli ebrei, e del romanzo Biarritz (1868) del giornalista tedesco antisemita Hermann Goedsche (1815-1878). Sono pubblicati per la prima volta, in russo, nel 1903 in versione ridotta sul giornale Znamia, quindi nel 1905 come opuscolo a San Pietroburgo. Di qui passano più o meno in tutto il mondo. Che si tratti di un falso è da decenni del tutto ovvio a chiunque abbia studiato la questione.
O, almeno, è ovvio in Occidente. Scrive il professor Menahem Milson in uno studio del 2003 che «quando i Protocolli sono menzionati nei media arabi, sono sempre presentati come assolutamente autentici». Nel 2002 la serie televisiva egiziana «Cavalieri senza cavallo» ha messo in scena i Protocolli nel mese di Ramadan, con indici di ascolto fenomenali in tutto il mondo arabo. Dopo le proteste occidentali, per il Ramadan 2003 diverse stazioni televisive arabe hanno mandato in onda un altro sceneggiato questa volta siriano, La Diaspora che nella sostanza ha gli stessi riferimenti e anzi rincara la dose, pur dichiarando in unavvertenza prima di ogni puntata di non essere basato sui Protocolli.
Lantisionismo arabo spesso usa alla rinfusa argomenti tratti dallantigiudaismo e dallantisemitismo occidentali, Protocolli compresi, senza dimenticare lesistenza di un antigiudaismo religioso specificamente islamico. La miscela è esplosiva. Può esplodere facilmente, anche grazie alla tolleranza di quello che in Occidente si manifesta, come ha dichiarato il filosofo Jürgen Habermas in unintervista a Le Monde, come «antisemitismo di sinistra sotto forma di amalgama di temi anticapitalisti e antisionisti», unito a un «anti-americanismo che serve agli incorreggibili come copertura al loro antisemitismo». Un autentico complesso antisionista spinge questa sinistra a tollerare benevolmente presso gli amici arabi quella che non è una legittima critica a Israele ma un ritorno alle manifestazioni più oscure dellantisemitismo. E i medici compiacenti alimentano il morbo da cui il mondo arabo dovrebbe semmai essere aiutato a guarire.
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