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Gli assassini non devono averla vinta

di Massimo Introvigne (il Giornale, 17 aprile 2004)

Assassini. È l’unica definizione per chi rapisce e uccide ostaggi, da sempre l’atto più vile tra i tanti che le organizzazioni criminali compiono. Non ci deve più essere spazio politico per chi continua a parlare di «insorgenti» o di «resistenza» irakena, e forma addirittura comitati per sostenerla. Chi inneggia agli assassini, sfila per loro, li sostiene, li finanzia si pone fuori del dialogo politico e della stessa convivenza civile. Con chi fa l’apologia dei «resistenti irakeni», cioè degli assassini – magari sostenendo, capziosamente, di non volere giustificare questo o quel singolo crimine – non si può più dibattere come niente fosse nei salotti televisivi. Di chi giustifica e promuove il terrorismo omicida si deve piuttosto occupare la magistratura. Quanto alle sinistre – e in particolare a Romano Prodi, cui i sondaggi pronosticano possibilità di vittoria solo in caso di alleanza con Rifondazione Comunista –, si deve loro consigliare una visita urgente al sito del Campo Antiimperialista (se avessero dimenticato l’indirizzo, eccolo: www.antiimperialista.org). Vedranno – al di là delle affermazioni, talora non prive di buon senso, di Fausto Bertinotti – quanti esponenti anche istituzionali di Rifondazione Comunista lasciano messaggi di solidarietà per i dirigenti del Campo Antimperialista – che sono nello stesso tempo dirigenti dei Comitati per la resistenza del popolo iracheno – arrestati nell’ambito dell’inchiesta avviata a Perugia contro chi sostiene, nasconde e finanzia terroristi. Si va dal Comitato Politico della Federazione di Parma di Rifondazione al gruppo consiliare dello stesso partito alla Regione Sardegna. È con costoro che l’Ulivo pensa di formare un cartello elettorale, di governare il paese e di tutelarne la sicurezza interna e internazionale?
C’è un tempo per la condanna – senza se e senza ma – e c’è un tempo per la risposta politica. Il politologo Robert Pape ha sostenuto che gli atti più efferati dei terroristi non sono affatto privi di logica. In realtà, spesso «il terrorismo paga» e le organizzazioni terroristiche decidono di compiere crimini tremendi perché pensano di ricavarne un tornaconto, e spesso di fatto lo ricavano. In Libano gli Hezbollah ottennero negli anni 1980 con gli attentati suicidi e le uccisioni sistematiche di ostaggi rapiti lo scopo del ritiro dei contingenti americano e francese. In Palestina, Hamas ha spesso ottenuto i suoi scopi: far fallire trattative di pace o interferire nella vita politica israeliana. Quali che siano le concause che hanno interagito con gli attentati dell’11 marzo 2004, questi hanno certamente avuto un qualche effetto sulle elezioni spagnole. Moqtada Sadr ha enunciato a chiare lettere lo scopo di far perdere le elezioni a Bush. Le organizzazioni terroristiche, ben lungi dall’essere mosse da impulsi puramente irrazionali, agiscono sulla base di un calcolo razionale dei costi e dei benefici.
Più gli assassini sperimentano che davvero «il terrorismo paga», più continuano ad assassinare. C’è un solo modo – lungo, difficile e doloroso – per fermare le bande assassine. Convincerle che il crimine non paga, non ottiene concessioni, non consegue risultati politici, ma anzi rafforza la determinazione di tutti di combattere il terrorismo. Le nazioni forti, gli Stati seri agli assassini rispondono in questo modo. Per gli altri, vale il monito di Churchill a chi cedeva ai ricatti nazisti: avete sacrificato l’onore per avere la pace, e avrete insieme il disonore e la guerra.

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