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Il fantascenario della pace senza se e senza ma

di Massimo Introvigne (il Giornale, 10 aprile 2004)

imgProviamo a immaginare che cosa succederebbe se i governi occidentali cedessero al popolo dei balconi, dei cortei e della bandiere arcobaleno e si ritirassero subito dall’Irak senza se e senza ma. La fantapolitica, qualche volta, aiuta a essere più realisti.
Dicembre 2004. Dopo la vittoria di Kerry – ormai in balia della sinistra democratica e di sondaggi che mostrano come la maggioranza degli elettori non ne può più dei morti e degli attentati –, il trionfo delle sinistre nei principali paesi europei e una serie di spettacolari attentati di Al Qaida, mentre l’ONU è paralizzata da veti incrociati e da una cronica incertezza, il presidente americano annuncia il ritiro unilaterale dall’Irak. “Non farò come Johnson – spiega Kerry –. Mi ritiro dall’Irak prima che i morti diventino decine di migliaia come in Vietnam”. In Irak rimangono solo consiglieri militari americani per assistere un fragile governo irakeno presieduto dal laico Ahmad Chalabi, che di fatto controlla meno di metà del paese. Vaste zone sono in balia di una decina di diverse milizie, e fra le bande armate sciite regna una fragile tregua imposta da Teheran.
Chalabi muore in un attentato suicida messo a segno contro il palazzo del governo da terroristi di Ansar al-Islam fedeli ad Al Qaida. Non regge la tregua fra sciiti: già sfuggito a numerosi attentati, l’ayatollah Sistani è pugnalato durante una cerimonia religiosa da uno sconosciuto che riesce a dileguarsi. L’attentato sacrilego – che nessuno rivendica e che la voce popolare attribuisce ora agli estremisti sciiti, ora a sunniti nostalgici di Saddam Hussein – scatena a Baghdad la caccia al sunnita, con gravi atrocità e centinaia di morti. Nelle città sante e nel Sud si scontrano fra di loro le diverse milizie sciite, ormai sfuggite al controllo iraniano: i morti sono decine di migliaia. In Irak non c’è più un governo: ovunque emergono signori della guerra, terroristi, elementi della criminalità organizzata che controllano un villaggio o un quartiere. La CIA segnala la presenza di Ayman al Zawahiri che guida personalmente l’addestramento di un migliaio di militanti di Al Qaida destinati a missioni suicide in Europa e negli Stati Uniti.
I curdi, come avevano minacciato in caso di fallimento del progetto nazionale irakeno, proclamano l’indipendenza del Kurdistan, che è riconosciuta dai soli Stati Uniti. Si realizza così l’incubo della Turchia che, preoccupata dai riflessi nel suo vasto territorio curdo, invade il Kurdistan. Il governo civile turco cerca di scongiurare l’invasione, ma è deposto da un colpo di Stato militare, che causa una grave crisi nella NATO. In Pakistan le notizie delle violenze irakene contro i sunniti scatenano una caccia all’uomo contro la minoranza sciita. Il generale Musharraf non riesce a controllare le milizie fondamentaliste sunnite che, imbandalzite dai primi successi, si coalizzano in una rivolta nazionale che costringe il generale all’esilio. Il nuovo governo pakistano, un’alleanza fra tutti i partiti fondamentalisti, sospende immediatamente le trattative con l’India e minaccia l’invasione del Kashmir. L’India, appoggiata dagli Stati Uniti, fa sapere che le sue testate atomiche sono già puntate su Karachi. “La guerra atomica – dichiara uno sconsolato Kofi Annan – non è mai stata così vicina”. Un sondaggio rivela che il 70% degli americani si pente di non avere rieletto Bush. È il trionfo della pace, senza se e senza ma.

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