CESNUR - center for studies on new religions

Il nuovo Khomeini

di Massimo Introvigne (il Giornale, 6 aprile 2004)

imgIn Irak non è in atto nessuna rivolta degli sciiti contro gli Stati Uniti per avere elezioni a breve. È precisamente il contrario: un gruppo minoritario di sciiti ultra-fondamentalisti cerca di scatenare una guerra civile contro la maggioranza sciita che, pure tra mille problemi, collabora con gli Stati Uniti. Lo scopo degli ultra-fondamentalisti è evitare che si completi la transizione verso libere elezioni, perché nelle elezioni sarebbero sconfitti.
Il mondo sciita in Irak è diviso in tre fazioni. La prima, conservatrice ma non fondamentalista, era guidata dall’ayatollah Abdul Majid Khoi (1962-2003), assassinato a Najaf nel 2003 e figlio del «grande ayatollah» (cioè della massima autorità del mondo sciita) Abdul Qasim Khoi (1905-1992). Oggi è influente nella cerchia dell’attuale «grande ayatollah» Ali Sistani, già allievo di Khoi padre. Sistani pensa che una coalizione da lui ispirata possa vincere le elezioni politiche, e le attende con impazienza. Erede di una tradizione politica che cerca di preservare l’unità dell’Irak, guarda con grande sospetto al separatismo curdo. Non si è opposto alle norme della Costituzione provvisoria sui diritti umani, ma solo a quelle che tutelano (a suo avviso in modo eccessivo) i curdi. Non dispera di potere esercitare la sua egemonia su quella parte del fondamentalismo filo-iraniano che dichiara di ripudiare il terrorismo ed è disposto a una certa collaborazione con gli Stati Uniti, che si esprime nei partiti SCIRI e Da‘wa. Anche il leader dello SCIRI, l’ayatollah Mohammed Bagher al-Hakim (1939-2003) – pure lui figlio di un «grande ayatollah» – è stato ucciso il 29 agosto 2003, in un attentato in cui sono morte oltre ottanta persone, ed è stato sostituito dal fratello Abdulaziz al-Hakim. L’ala ultra-fondamentalista che ha scatenato i disordini di questi giorni è guidata da Muktada al-Sadr, figlio di quell’ayatollah Mohammed Baqir al-Sadr (1935-1980) che è per molti versi il vero ideatore dell’ideologia teocratica iraniana. Chiede per l’Iraq un regime rigorosamente khomeynista, è responsabile dell’assassinio di Khoi e forse anche di quello di al-Hakim.
Che cosa vuole al-Sadr? Anzitutto, consolidare la sua egemonia sulla base arrabbiata, giovane e povera del movimento, concentrata soprattutto a Baghdad Est («Saddam City», ribattezzata «Sadr City» in onore del padre di Muktada dopo la guerra). Quindi farsi prendere sul serio dagli iraniani, fino ad ora piuttosto scettici. In terzo luogo, terrorizzare i leader della maggioranza sciita e allontanare il più possibile le elezioni, dove al-Sadr non può competere con Sistani e al-Hakim. Muktada al-Sadr si è chiuso in «ritiro inviolabile» nella moschea di Kufa, dopo un sermone in cui parla della sua «ascensione al cielo». È possibile che consideri la partita perduta e pensi a una fine apocalittica nella morte e nel fuoco che ripeterebbe in terra sciita quella dei millenaristi americani Branch Davidians asserragliati a Waco, in Texas, nel 1993. Non sarebbe uno scenario desiderabile. Ma il modo per neutralizzare al-Sadr passa per un rinnovato, difficile dialogo fra l’Occidente e gli sciiti conservatori che fanno capo a Sistani.

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