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L'ambiguità in corteo

di Massimo Introvigne (il Giornale, 19 marzo 2004)

imgCarrie e David McDonnall, 26 e 29 anni, si erano sposati meno di un anno fa in Texas. Colpiti dalle notizie sull’Irak, avevano deciso di andarci a lavorare per un anno come volontari in una missione della Chiesa battista. Jean e Larry Elliott, 58 e 60 anni, erano una coppia vicina alla pensione. Erano andati in Irak, presso la stessa missione, come specialisti nella costruzione di impianti di purificazione dell’acqua, una necessità vitale per salvare vite irachene, soprattutto di bambini. Karen Watson, 38 anni, era vice-sceriffo in California. Aveva scelto di andare in Irak con i suoi amici Elliott per proteggere il loro lavoro. Le regole della missione erano formali: limitarsi all’attività umanitaria, aiutare cristiani e musulmani senza discriminazioni, parlare di cristianesimo solo se richiesti. Le bare di David, Jean, Larry e Karen stanno arrivando negli Stati Uniti, mentre Carrie lotta tra la vita e la morte in un ospedale di Bagdad. Lunedì scorso il gruppo di volontari è caduto in un’imboscata, prontamente rivendicata dalla sedicente «Resistenza» irachena e celebrata sui siti Internet jihadisti come un altro colpo inferto ai «crociati».
Una lacrima per questi e tanti altri volontari civili barbaramente trucidati in Irak sfiorerà le gote dei manifestanti «pacifisti» del 20 marzo? C’è da dubitarne. Un comunicato dei «Comitati per la Resistenza del Popolo Iracheno» ci informa infatti che questi signori, che chiedono «libertà per Saddam Hussein e per tutti i partigiani» e continuano a raccogliere offerte di dieci euro «per la Resistenza», sfileranno a Roma insieme con Sammi Alaà, «esponente della Resistenza irachena». Del resto, l’appello ufficiale della manifestazione (non quello dei Comitati) proclama esplicitamente «il diritto dei fratelli e delle sorelle iracheni a resistere ad una occupazione militare illegittima». I Comitati «per la Resistenza», fra l’altro, sono fra i pochi a non essere rimasti folgorati sulla via di Madrid e di Zapateros. Il loro documento condanna infatti la tesi secondo cui «ove l’ONU rimpiazzasse gli aggressori imperialisti, l’occupazione armata dell’Irak diventerebbe “legittima” e accettabile. Questa tesi (…) è sbagliata e inaccettabile. La Resistenza irachena ha già fatto capire chiaramente che respingerà l’occupazione anche con le insegne delle Nazioni Unite. La Resistenza ha ragione».
Presumibilmente i «Comitati per la Resistenza del Popolo Iracheno» e Sammi Alaà – che danno appuntamento a un sit-in conclusivo della manifestazione «lungo il viale di Circo Massimo, prima di Piazza di Porta Capena» – non rischiano «ceffoni democratici», né risulta che la loro presenza sia stata contestata dagli organizzatori. Chi pensa di andare a manifestare insieme «contro la guerra» e «contro il terrorismo», invece, dovrebbe porsi qualche problema. Non solo le Nazioni Unite ma anche l’Unione Europea definiscono il terrorismo come l’attività di organizzazioni private che compiono con scopi politici atti violenti contro civili non combattenti. Le numerose formazioni – da Al Qaida a semplici bande criminali – che si nascondono dietro la pomposa etichetta di «Resistenza irachena» rientrano certamente in questa definizione. Un «esponente della Resistenza irachena» è quindi, per definizione, un esponente del terrorismo. Il 20 marzo, chi sfila senza protestare con lui e con i suoi amici sfila con e non contro i terroristi.

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