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Il caso di Perugia: giudici e terroristi

di Massimo Introvigne

Il Tribunale del Riesame di Perugia ha disposto la scarcerazione dei tre dirigenti del Campo Antiimperialista e dei Comitati per la Resistenza del Popolo Irakeno che erano stati arrestati nel corso di quella che il settimanale americano Time ha definito la più importante operazione anti-terrorismo europea degli ultimi anni. I tre erano tra l’altro accusati di avere ospitato, nascosto e finanziato terroristi turchi del Devrimci Halk Kurtulus Partisi-Cephesi (DHKP/C), una formazione marxista sospettata di fungere oggi da anello di collegamento fra il vecchio terrorismo comunista e le nuove organizzazioni del terrore islamico. Gli “ospiti” turchi del terzetto italiano, Avni Er e Zeynep Kilic, restano in carcere: i giudici di Perugia li giudicano troppo pericolosi per attendere le conclusioni dell’inchiesta a piede libero, mentre meno pericolosi sarebbero gli italiani. Da buoni garantisti, siamo per principio reticenti a sostenere le virtù della carcerazione preventiva in genere. Si impongono, tuttavia, tre considerazioni.
In primo luogo, l’ultimo anello di una serie di atti di sostegno al terrorismo da parte dei leader del Campo Antiimperialista è stata la stretta collaborazione fra i tre arrestati e il DHKP/C, ed è questo capo d’accusa specifico che ne ha causato l’arresto. I giudici di Perugia confermano la pericolosità dei dirigenti del DHKP/C (formazione che figura del resto nella lista dei movimenti terroristi stilata dall’insospettabile Unione Europea), ma – con una curiosa disparità di giudizio – giudicano diversamente chi a loro appare legato a filo triplo.
In secondo luogo, una frequentazione degli ambienti internazionali che si occupano di terrorismo conferma l’altissima opinione che questi hanno delle nostre forze di polizia e dei Carabinieri, accompagnata però da molti dubbi su certi nostri giudici. Gli stessi pubblici ministeri che conducono inchieste sul terrorismo a Milano e altrove hanno spesso espresso, in pubblico e in privato, riserve sulla facilità con cui soggetti su cui pesano gravi sospetti sono rimessi in libertà dai giudici del riesame. Con un lassismo, sarebbe facile aggiungere, di cui non c’è traccia per altri tipi di reati. Si criticano la Gran Bretagna e gli Stati Uniti per la possibilità di imporre ai sospetti di terrorismo lunghissime carcerazioni preventive come semplici misure di polizia; da noi si sta però cadendo nell’eccesso opposto.
Una terza considerazione è che – come era ovvio prevedere – gli arrestati e i loro sodali del Campo Antiimperialista presentano una misura tecnica come una vittoria politica, e un’implicita autorizzazione giudiziaria a continuare a sostenere e finanziare non solo il terrorismo turco ma anche quello irakeno che va sotto il nome di “resistenza”. Un loro comunicato festeggia il “duro colpo” inflitto a chi ritiene illecito “il sostegno alla lotta di resistenza del popolo irakeno”, cioè in sostanza al governo italiano, e anche a una parte dell’opposizione. Imbaldanzito dal successo giudiziario, il Campo annuncia un convegno a Firenze il 5 giugno prossimo:
“in quell’occasione verrà ribadito il sostegno alla Resistenza irachena con la presenza di un suo rappresentante in Europa”. “Sostenere le forze della Resistenza fino alla vittoria”: su questa strada riprendono con rinnovato vigore il sostegno al terrorismo e le gite in Italia di terroristi irakeni. Attività che qualche giudice considera “non immediatamente pericolose”.

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