Pure lieti della liberazione dei due giornalisti francesi rapiti in Irak, vorremmo consigliare al governo francese di non gonfiare troppo il petto per quello che è il risultato, apprezzabile sul piano umanitario, di una serie di mosse catastrofiche sul piano politico. Noi italiani abbiamo una lunga esperienza di rapimenti politici e no, dall’Anonima Sequestri alle Brigate Rosse, il cui numero si è grandemente ridotto grazie alla linea dura di governo e magistrati che, se hanno qualche volta potuto transigere sui riscatti in danaro, non hanno mai ceduto sul principio secondo cui non si danno riconoscimenti politici ai sequestratori. Il nostro governo ha fatto lo stesso in Irak: se anche fosse vero che sia corso del denaro nel caso delle due Simone, non è stato comunque mai concesso un riconoscimento al terrorismo che va sotto il nome di “resistenza”.
La Francia si è comportata diversamente. Ha cominciato con il chiamare “resistenti” i terroristi in atti ufficiali del governo di Parigi. Ha mandato suoi diplomatici in pellegrinaggio da Hamas, la branca palestinese dei fondamentalisti Fratelli Musulmani responsabile di oltre un migliaio di sanguinosi attentati che non hanno risparmiato neppure donne incinte e bambini degli asili. Tutto questo non è bastato ai terroristi iracheni che, come fa ogni ricattatore che conosca bene il suo mestiere, hanno alzato il prezzo giocando continuamente al rialzo. Parigi ha così dovuto lanciarsi in lodi sperticate di Arafat, condannare Israele, celebrare la vergognosa “opinione” della Corte di Giustizia dell’Aja che ha dichiarato illegittimo il muro di separazione fra Israele e i Territori Palestinesi. Ha dovuto opporsi a sanzioni al Sudan e a che sia chiamato “genocidio” il massacro degli innocenti che è in corso nel Darfur. Ha dovuto continuare a contrastare in ogni sede il progetto americano del “Grande Medio Oriente”, cioè della democratizzazione dei paesi a maggioranza islamica, e in particolare dell’Irak.
I ricattatori sanno che le corde si possono tirare a lungo ma non all’infinito. Parigi ha così finalmente incassato la liberazione dei giornalisti e quello che il comunicato dei sequestratori chiama “apprezzamento delle posizioni della Francia”, un apprezzamento che venendo da terroristi dediti al taglio delle teste degli ostaggi dovrebbe fare arrossire di vergogna i destinatari.
No, questa non è grandeur, non è multilateralismo, non è politica europea autonoma. Chiamiamo, per una volta, le cose con il loro nome. Si è trattato di pagare ripetutamente ricattatori tanto abili quanto spietati, di cedere per non perdere, di rompere il fronte della fermezza contro il terrorismo. Dopo che l’eroe per caso e per merito Fabrizio Quattrocchi aveva fatto vedere agli assassini come muore in italiano, altri ci hanno mostrato come paga un francese (in gesti politici, il che è ben più grave che versare danaro) dopo che Zapatero e Gloria Arroyo, ritirando le loro truppe dall’Irak dopo le minacce dei terroristi, avevano fatto vedere come scappano uno spagnolo e una presuntuosa presidentessa delle Filippine.
Si dirà che due vite umane valgono più di ogni ragionamento politico. Occorre rispondere con chiarezza che non solo ci sono altre vie, politicamente meno pericolose e rovinose, per liberare ostaggi, ma che cedere ai rapitori incoraggia futuri rapimenti, molti dei quali finiranno male, e mette così in pericolo molte altre vite. Chi paga i ricattatori danneggia anche noi: se non riesce a capirlo, almeno non se ne vanti.
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