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I tre obiettivi di Osama

di Massimo Introvigne (il Giornale, 16 marzo 2004)

img Che cosa vuole Al Qaida? I suoi tre obiettivi sono chiaramente enunciati negli scritti di Osama Bin Laden e del numero due (forse oggi numero uno) del movimento, il medico egiziano Ayman a-Zawahiri. Primo scopo: rovesciare i governi apostati e corrotti dei Paesi arabi, sciocchi imitatori delle leggi e dei costumi occidentali, per sostituirli con altri che applichino integralmente la shari’a, la legge islamica. Secondo: una volta instaurati governi autenticamente islamici in un certo numero di Paesi, unificarli in una federazione nuovamente guidata da un’unica autorità insieme spirituale e politica che porti il titolo di califfo. Terzo: dotare il nuovo califfato di armi di distruzione di massa («ottenerle – afferma Bin Laden – è un dovere morale per i musulmani») e riprendere il progetto di conquista islamica del mondo interrotto sotto le mura di Vienna nel 1683.
Il secondo e il terzo obiettivo – restaurazione del califfato e conquista del mondo – sono di tipo utopico, e Al Qaida li propone per un futuro caratterizzato dall’irruzione millenarista di elementi divini e miracolosi nella storia umana. Ma il primo obiettivo – rovesciare i governi arabi «apostati» e sostituirli con governi fondamentalisti amici – è considerato a portata di mano attraverso l’uso mirato del terrorismo. Il libro del 2001 di al-Zawahiri Cavalieri sotto la bandiera del profeta – essenziale per capire che cosa sta succedendo – insiste sulla polemica con quei movimenti fondamentalisti che considerano l’attentato al presidente egiziano Sadat, assassinato nel 1981, la prova che il terrorismo non serve. Certo, Sadat è morto ma in Egitto non sono andati al potere i fondamentalisti; anzi, l’assassinio del presidente li ha resi più impopolari e perseguitati.
Zawahiri risponde che questi problemi attengono a una prima fase della campagna terroristica, in cui il fondamentalismo colpisce all’interno dei Paesi arabi guidati da governi «apostati»: Paesi non democratici, dove la stampa non è libera e non si tengono elezioni genuine. L’intuizione di Al Qaida è passare a una seconda fase: portare l’attacco fuori dei Paesi arabi, direttamente in Occidente, dove nulla ferma giornalisti e telecamere e la paura può diventare fattore politico. Con l’11 settembre, Al Qaida dimostra ai suoi critici quale impatto si può avere colpendo direttamente negli Stati Uniti.
Con l’11 marzo, si passa alla terza fase, chiaramente articolata nel libro Il jihad in Iraq, ritrovato in Iraq nel 2003 e attribuibile allo shaykh saudita Yousef al-Ayiri o alla sua cerchia. Il libro – cui si accompagnano documenti che mostrano la grande attenzione di Al Qaida per i movimenti pacifisti europei – invita a colpire nell’imminenza delle elezioni (richiamando esplicitamente quelle spagnole del 14 marzo) per influenzarne l’esito e rovesciare governi considerati ostili. Si tratta di un enorme salto di qualità: Al Qaida non si limita a turbare l’economia, ma distorce direttamente i processi elettorali. Nel testo Il jihad in Iraq gli elettorati della Spagna e dell’Italia sono identificati come gli anelli deboli della catena occidentale, ma si mira anche alla Gran Bretagna. Dopo l’11 marzo una nuova Al Qaida entra direttamente nelle campagne elettorali. Con risultati, come la Spagna dimostra, devastanti.

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