Chiamato, grazie alla cortesia di colleghi americani, a pronunciare la allocuzione di apertura a un congresso sulla trasformazione dei movimenti islamici organizzato a Salt Lake City dall'Universitý dello Utah, che ospita uno dei pi˜ avanzati centri internazionali per lo studio dell'islam politico, mi sono trovato al centro di un dibattito che la cronaca quotidiana rischia costantemente di mettere in secondo piano, ma che rimane cruciale a tre anni dall'11 settembre: Ë possibile un islam senza fondamentalismo?
Il dibattito, non solo accademico, rivela una profonda differenza di impostazione fra una parte dell'Europa, guidata dalla Francia e - almeno sotto il regno di Romano Prodi - dalle istituzioni comunitarie, e gli Stati Uniti. I francesi intendono "islam senza fondamentalismo" come "islam senza proiezione politica"; di conseguenza, vanno alla ricerca nei paesi musulmani di una "politica senza islam". Certamente, almeno dall'inizio del XX secolo, un islam ridotto a pura esperienza religiosa individuale, senza ambizioni di farsi progetto sociale e politico, esiste: cercando bene, si possono fare i nomi di diverse decine di intellettuali. Il problema di questi intellettuali Ë che hanno quasi tutti concluso la loro carriera come professori di qualche universitý occidentale; quelli che sono rimasti a casa loro sono stati nel migliore dei casi emarginati, nel peggiore (purtroppo non infrequente) giustiziati o linciati da folle inferocite. Il problema, infatti, Ë che l'islam Ë definito da una stretta unitý di religione e politica, cosÏ che la separazione "alla francese" fra le due appare alla maggioranza dei musulmani un sacrilegio. Pi˜ fortunati degli intellettuali, diversi militari (molti dei quali educati in accademie europee) hanno imposto la "politica senza islam" sulla punta delle baionette, evitando come la peste la verifica elettorale: la "politica senza islam" Ë diventata cosÏ "politica senza democrazia".
Gli Stati Uniti hanno capito da diversi anni sia che il governo senza consenso Ë una fabbrica di terroristi, sia che l'"islam senza proiezione politica" e la "politica senza islam" sono costruzioni intellettuali buone per i congressi in Occidente ma senza seguito nei paesi islamici. Hanno dunque deciso di accettare come un fatto con cui Ë inutile discutere che la democrazia nei paesi islamici puÚ essere solo una democrazia ispirata dall'islam. PuÚ questa "democrazia islamica" (il termine ha una non casuale assonanza con "democrazia cristiana") essere qualche cosa di diverso dall'accesso al potere di movimenti "fondamentalisti" per via elettorale? No, se continuiamo a chiamare "fondamentalisti" tutti coloro che vogliono una politica esplicitamente ispirata dall'islam. SÏ, se diamo fiducia - come del resto fanno gli elettori in Turchia, Indonesia, Malaysia e dovunque si voti onestamente - a quei movimenti islamici conservatori che non sono laicisti, vogliono mantenere un riferimento religioso, ma non sono tecnicamente "fondamentalisti", nel senso che ripudiano il terrorismo e considerano la legge islamica un orizzonte ideale e non un libro di ricette immutabili da applicare alla lettera. Con questo islam conservatore l'America ha deciso di dialogare. La ricerca di un "islam senza proiezione politica" ha portato invece l'Europa a sostenere intellettuali irrilevanti, associazioni che rappresentano poco pi˜ dei loro dirigenti, o generali che impongono il laicismo tramite la pi˜ dura repressione.
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