Le bugie hanno le gambe corte. Hanno anche l'aspetto tozzo e l'aria trasandata da falso povero di Michael Moore, il regista di cui Feltrinelli annuncia ora in libreria Fahrenheit 9/11, in versione Dvd ampliata accompagnata dall'omonimo libro. È un peccato che nessuno pensi di tradurre la replica di uno spiritoso avvocato di Washington, David T. Hardy, che con Jason Clarke è a sua volta approdato in America nella lista dei best seller con Michael Moore Is a Big, Fat, Stupid White Man.
Clarke ci spiega che Moore ha cominciato a mentire al liceo (mai terminato) a proposito del suo luogo di nascita: Flint, nel Michigan, dove numerosi lavoratori, molti dei quali afro-americani, furono licenziati in massa nel 1986 dalla General Motors. In effetti, Moore è nato a Davison, una cittadina vicina a Flint dove vivono i ricchi della zona, le case costano il doppio che a Flint, e i neri sono solo lo 0,5% della popolazione. Il regista diventa noto nel 1989 grazie a un documentario contro la General Motors, Roger & Me, dove l'azienda è mostrata mentre consola i lavoratori licenziati invitando a Flint celebrità come Ronald Reagan e il predicatore Robert Schuller e aprendo un parco dei divertimenti. La General Motors risponde che il parco è stato aperto nel 1984, Reagan invitato nel 1980 e Schuller nel 1982, anni prima dei licenziamenti del 1986. Ma chi dà retta a una malvagia multinazionale?
Nel 2002 Moore vince l'Oscar con Bowling for Columbine, dove imputa il massacro perpetrato da due allievi del liceo di Columbine, presso Denver (15 morti) nel 1999 alla tenacia con cui i repubblicani e la lobby delle armi da fuoco, la National Rifle Association (NRA), si rifiutano di modificare la norma della Costituzione che autorizza ogni americano maggiorenne a possedere un'arma. Hardy e i suoi colleghi dimostrano che i discorsi dell'attore Charlton Heston, allora presidente della NRA e crudelmente preso in giro dal regista mentre è vittima del morbo di Alzheimer, sono stati manipolati da Moore, tagliandoli e cucendoli per fargli dire cose che non ha mai detto, e che un annuncio elettorale del presidente Bush padre è stato modificato aggiungendo inesistenti riferimenti razzisti.
Si arriva così all'attacco frontale contro l'attuale presidente Bush, con tesi note ma contraddittorie. Da una parte non sarebbe stato bin Laden, ma il governo saudita sostenuto da Bush, a causare i fatti dell'11 settembre. Dall'altra Bush è un criminale perché è amico della famiglia bin Laden. Le prove? Entrambi investono nel fondo di investimento Carlyle, e Bush nei giorni successivi all'11 settembre ha lasciato tornare diversi parenti di bin Laden in Arabia Saudita. Peccato però che nel fondo Carlyle investano milioni di americani (e di stranieri), e che uno dei maggiori investitori sia il finanziere anti-Bush George Soros, amico e sostenitore di Moore. E che, timoroso che chiunque si chiamasse bin Laden rischiasse di essere ucciso da qualche fanatico, a rispedire in Arabia i parenti di Osama (rispettati uomini d'affari mai accusati di avere a che fare con Al Qaida) sia stato Richard Clarke, allora responsabile della sicurezza interna e nemico giurato di Bush. Il messaggio di Moore, di solito scritto in tutte maiuscole, è NON ESISTE NESSUNA MINACCIA TERRORISTICA. Infatti ci sono più morti per infarto o per incidenti automobilistici che per attentati del terrorismo islamico. Si vergogni, lui e i suoi diffusori e amici italiani, e provi a raccontarlo ai genitori dei bambini di Beslan.
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