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India al voto con il rebus fondamentalista

di Massimo Introvigne (il Giornale, 27 febbraio 2004)

imgCon l’approssimarsi delle elezioni politiche in India, torna sulla stampa la questione se la grande organizzazione indiana Rashtriya Swayamsevak Sangh (Associazione dei Volontari della Nazione, Rss), che a diverso titolo è alle origini dell’associazione internazionale di propaganda dell’induismo Vishva Hindu Parishad (Vhp) e del Bharatiya Janata Party (Bjp), possa essere definita “fondamentalista” e rappresenti un pericolo per l’Occidente. Il Bjp è il partito politico che – dopo una lunga marcia dall’emarginazione al centro della scena politica, apertasi con la partecipazione a governi di coalizione – nel 1998 ha conquistato la maggioranza relativa in India e ha espresso il primo ministro, Atal Binari Vajpayee; parte favorito nelle prossime elezioni.
Queste organizzazioni (il cui insieme è chiamato in India Sangh Parivar) propongono una difesa dell’identità indù dell’India, con campagne e leggi contro i missionari cristiani e musulmani, e gesti simbolici come la distruzione da parte della folla, nel 1992, della moschea eretta in epoca Mogul sul luogo, ad Ayodhya, dove la tradizione indù colloca la nascita di Rama, una delle più popolari incarnazioni di Vishnu.
Si tratta di “fondamentalismo”? La tesi è stata vigorosamente rifiutata da illustri studiosi del fondamentalismo, tra cui lo storico svizzero Jean-François Mayer. Quello che chiamiamo induismo è un mosaico di principi e di correnti diverse, che la Vhp ha tentato di unificare in una sorta di “Chiesa” induista, senza però riuscire a costruire più di una federazione di gruppi che rimangono diversi, e che comunque rappresentano solo una parte del variegato mondo induista.
Il Sangh Parivar propone un’immagine essenziale e mitica dell’induismo quale elemento unificatore della nazione indiana, e bastione contro il colonialismo culturale “straniero” (cioè musulmano e cristiano). Perché questa immagine tenga, occorre ridurre al minimo i dettagli, così che il riferimento alla religione costruisce più un “nazionalismo religioso” che non un autentico fondamentalismo. La coalizione che si esprime nel partito Bjp comprende una ricca varietà di correnti e gruppi che vanno da un estremismo religioso radicale a forme di semplice conservatorismo. Non è impossibile che siano queste ultime a prevalere (anche se non senza compromessi con tendenze più estremiste, presenti nell’elettorato e tra i quadri del partito) nella classe dirigente del Bjp, dove il presidente Vajpayee e la sua équipe rappresentano una posizione pragmatica. Squalificare il Bjp come “fondamentalista” è una tentazione che percorre la politica europea, la Chiesa cattolica (comprensibilmente turbata dalle leggi anti-missionari) e naturalmente gran parte del mondo islamico. Diverso il discorso per gli Stati Uniti, dove l’attuale amministrazione ha buoni rapporti con il Bjp, cui riconosce gli sforzi per avviare un difficile processo di pace per il Pakistan. La prudenza è un dovere quando si osservano le evoluzioni del Bjp. La semplice ripetizione della propaganda del Partito del Congresso della famiglia Gandhi – le cui impeccabili credenziali laiciste si accompagnano a una lunga storia di brogli e corruzione – sembra invece una deriva cui si dovrebbe cercare di resistere.

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