Gli albanesi che hanno sequestrato un autobus in Grecia erano criminali comuni, che volevano estorcere denaro al governo. Tuttavia la notizia che uno dei due delinquenti abbia insistito sul fatto che il suo nome è Hassan, si sia dichiarato prigioniero politico e abbia inneggiato al jihad islamico è forse più di una semplice furbizia da criminale.
In Kosovo il 95% degli albanesi è musulmano, benché molti siano scarsamente praticanti. La percentuale è la stessa nell'agitata minoranza albanese in Macedonia, e scende al 70% negli attuali confini dell'Albania.
Già nella guerra del Kosovo l'intreccio fra terrorismo islamico e criminalità comune era così complesso da non poter dire con certezza dove finisse l'uno e cominciasse l'altra.
L'islam albanese è molto complicato. Ha certamente subito duri colpi dalla repressione antireligiosa del regime comunista di Enver Hoxha, ma nel Kosovo è rimasto più forte a causa della politica di relativa tolleranza praticata dalla Jugoslavia.
L'Università di Teologia Islamica di Sarajevo ha così formato generazioni di imam sunniti che seguono la scuola detta hanafita, relativamente moderata, il cui punto di riferimento è l'islam dell'antico Impero Ottomano e dell'attuale Turchia.
Ai turchi della vecchia generazione si contrappongono però gli imam arabi delle nuove leve, formati grazie a generose borse di studio in paesi della Penisola Arabica dopo la caduta del comunismo. I nuovi imam seguono il puritano islam wahhabita dell'Arabia Saudita e lottano a colpi di petrodollari, tra l'altro costruendo lussuosi centri culturali, contro il tradizionale islam turco del Kosovo. Si sono pure scontrati con le Nazioni Unite quando hanno cominciato a demolire antiche moschee hanafite che comprendevano decorazioni figurative di stile turco, considerate sacrileghe e vietate dall'iconoclastico islam wahhabita.
Certo, l'Arabia Saudita oggi è ostile a Bin Laden. Ma spesso la sua propaganda per un islam ultra-puritano fa oggettivamente da battistrada agli arruolatori di Al Qaida.
La presenza dell'organizzazione di Bin Laden è stata ripetutamente segnalata nelle moschee del Kosovo, dove Al Qaida cerca sia di inserirsi nel conflitto generazionale fra arabi e turchi, sia di sfruttare il malcontento che si diffonde tra i seguaci dei movimenti nazionalisti di ispirazione laica e marxista, accusati di non avere ottenuto nulla e di essere guidati da dirigenti incapaci e corrotti.
E la tentazione del jihad fa proseliti anche in una gioventù sbandata coinvolta in piccole e grandi attività criminali.
Sembrerebbe che una barriera alla penetrazione di Al Qaida possa venire dalle confraternite Bektashi, maggioritarie in Albania e rappresentate anche in Kosovo, tradizionalmente ostili al puritanesimo saudita e al fondamentalismo. Tuttavia il dibattito sull'identità dei Bektashi è aperto, e non è solo una controversia scientifica. Per alcuni i Bektashi sono una confraternita sufi; per altri sono una forma autonoma di islam sciita; per altri ancora, una religione indipendente dall'islam.
Tuttavia in Albania molti cedono alle sirene dell'Iran e degli Hizbullah libanesi, che sono disposti ad accoglierli nella grande famiglia sciita, ma nella versione fondamentalista diffusa dagli ayatollah di Teheran, a loro volta non privi di ambigui legami con il terrorismo. Anche sul versante Bektashi le infiltrazioni sono dunque possibili.
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