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Hamas e l'anatema contro le gesta del «rivale» Osama

di Massimo Introvigne (il Giornale, 4 giugno 2004)

Sul sito Internet di Hamas è apparsa una dura dichiarazione che condanna gli attentati di al-Khobar, in Arabia Saudita. Hamas «dichiara la sua severa condanna e manifesta la sua tristezza per l’attacco criminale» che ha «causato la morte di dozzine di civili, persone innocenti. Rifiutiamo questo tipo di attacchi, sottolineiamo che danneggiano la pace e la sicurezza dei nostri paesi, gli interessi nazionali e islamici. Chiediamo ai responsabili di questi attacchi di fermarli».
Si tratta senza dubbio di un documento fuori del comune. È molto raro che un movimento terrorista dell’ultra-fondamentalismo islamico condanni pubblicamente un attentato condotto da un altro. I panni sporchi, semmai, si lavano in famiglia. Che cosa è successo? Una prima risposta è banale: Hamas riceve cospicui finanziamenti dall’Arabia Saudita. La spiegazione non è falsa, ma è insufficiente. Già in anni passati il terrorismo ha colpito i sauditi, e Hamas ha taciuto.
L’interpretazione più ottimistica – che divide però gli stessi ambienti di intelligence israeliani – è che si tratti di un messaggio cifrato a Israele da parte del nuovo capo politico di Hamas, Khaled Mashaal. Fino all’11 settembre 2001 Israele distingueva nel movimento palestinese i «più estremisti» e i «meno estremisti» (parlare di moderati sarebbe in questo caso fuori luogo). Riteneva che i «meno estremisti» fossero guidati dallo stesso fondatore Yassin, e con questi manteneva un qualche dialogo sotterraneo e discreto. Negli ultimi anni gli analisti israeliani hanno concluso che questa dialettica era finita, e Yassin si era appiattito sulle posizioni più estremiste: da qui la decisione di eliminare lo stesso fondatore di Hamas, quindi il suo successore immediato Rantisi.
Domenica scorsa gli israeliani hanno ucciso a Gaza il capo della branca militare di Hamas, Wael Nassar, una figura da sempre identificata con i «più estremisti». C’è chi ipotizza che, condannando chi uccide i «civili» e le «persone innocenti» – una pratica che per Hamas è peraltro quotidiana – Mashaal voglia lanciare un segnale cifrato agli israeliani, proponendosi per quel ruolo di interlocutore ambiguo e discreto che già fu per anni di Yassin. Altri, in Israele, invitano però a non farsi troppe illusioni.
Dal punto di vista politico occorre ricordare che, tra le ragioni che hanno spinto – forse costretto – Yassin ad allinearsi con i duri e puri del terrorismo senza se e senza ma, c’è l’impatto emotivo di Bin Laden e di Al Qaida sui giovani di Hamas. L’entusiasmo suscitato dall’11 settembre rischiava di provocare in Hamas diffidenza nei confronti di una dirigenza considerata vecchia e imborghesita rispetto al «nuovo» rappresentato da Osama, e una fuga verso gruppi, come il Jihad Islamico, più disponibili a collaborare con Al Qaida. Nella classe dirigente di Hamas resta però una forte diffidenza nei confronti di Bin Laden. Per Hamas la Palestina non è una pedina sulla scacchiera del jihad globale ma la madre di tutte le questioni islamiche, che deve essere risolta per prima, e se del caso da sola. Bin Laden teorizza invece la rivoluzione islamica continua in tutto il mondo. Questo conflitto fra terroristi, per certi versi simile a quello che divise Stalin («il socialismo in un solo Paese») da Trotzkij (la «rivoluzione permanente»), è forse la principale spiegazione dell’anatema lanciato da Hamas contro Al Qaida. La rottura era nell’aria da tempo, ma la sua manifestazione pubblica è un fatto nuovo e importante.

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