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Suggerimenti al giudice che non sappia cosa sia il Gia algerino

di Massimo Introvigne (Il Foglio, 15 luglio 2004)

Vorrei intervenire anch'io, dopo il giudice Mario Cicala, a proposito della controversia fra la dottoressa Maria Giuliana Civinini, del Csm, che ha replicato sul Foglio alle critiche del sottosegretario Alfredo Mantovano in ordine a una ordinanza del tribunale di Napoli dove si negava che fosse di pubblica conoscenza la natura terroristica del Gia (Gruppo islamico armato) algerino e della sua scissione Gspc (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento) e ci si interrogava se davvero queste organizzazioni fossero responsabili di “uno o più omicidi in Algeria”. Secondo la dottoressa Civinini, “non può affermarsi che è notoria” l'esistenza di queste associazioni, e le illazioni al loro riguardo corrisponderebbero a “verità preconfezionate”. L'intervento dimostra precisamente che Mantovano ha ragione, e che le informazioni in materia di organizzazioni terroristiche dei nostri magistrati sono drammaticamente carenti, così che i corsi di formazione auspicati anche dal dottor Cicala sembrano in effetti necessari.
Come è a molti - ma, sembra, non ai giudici del tribunale di Napoli - noto, la situazione algerina si è da tempo incancrenita, dopo il successo del partito fondamentalista Fis (Fronte islamico di salvezza) nel primo turno delle elezioni nel dicembre 1991 e il successivo colpo di Stato dell'esercito del gennaio 1992, ribattezzato successivamente dai generali “atto salvatore” nel senso che avrebbe salvato il paese dal fondamentalismo. Alla messa al bando del Fis, seguita dall'incarcerazione o dall'esilio dei suoi principali dirigenti, ha fatto seguito un'estrema frammentazione del mondo fondamentalista islamico, da cui è emersa l'ala ultra-fondamentalista del Gia contrapposta all'Ais, esercito islamico di salvezza, che deriva più direttamente dal Fis. Il Gia si è impegnato in una guerra, più che decennale, contro il regime di Algeri, nel corso della quale sono morte almeno centomila persone.
Il terrorismo radicale algerino si è frammentato in decine di sigle che spesso si combattono fra loro con la stessa ferocia con cui si oppongono al governo. Nel 1997, lo sterminio di interi villaggi composti da musulmani innocenti - massacrati da frazioni del Gia all'insegna del “chi non è esplicitamente con noi è contro di noi” - portano uno dei principali dirigenti del movimento, Hasan Hattab, a denunciare le forme indiscriminate di violenza e a formare un'organizzazione separata, il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc). Quest'ultimo è tutt'altro che un gruppo non violento: in effetti, nel complesso scenario algerino, il Gspc appare la formazione più legata a bin Laden e ad al Qaida, che del resto aveva condannato come inutili e controproducenti gli eccessi delle frazioni più brutali del Gia. Un'amnistia offerta alla guerriglia dal presidente Abdelazaz Bouteflika nel 2000 è stata accettata dall'Ais, ma non dal Gspc (che ha continuato a compiere attentati in Algeria e all'estero) né dalla maggioranza delle frazioni del Gia. Sconfitte sul piano militare in Algeria - Nabil Sahraoui, alias Mustapha Abou Ibrahim, leader del Gspc è caduto in uno scontro a fuoco lo scorso 20 giugno - le due formazioni sono ancora attive in occidente, Italia compresa. Complessivamente il Gia e il Gspc non sono responsabili di “uno o due omicidi” in Algeria, ma di circa centomila.
Come fa il giudice italiano - afferma la dottoressa Civinini - a sapere queste cose? Per la verità sarebbe sufficiente la lettura del Corriere della Sera, ma la letteratura sul terrorismo algerino non manca. Esistono rapporti sul terrorismo di organizzazioni internazionali, compresa l'Unione europea, una vasta letteratura scientifica, e una documentazione reperibile presso l'ambasciata italiana in Algeria (l'ambasciatore Franco de Courten - di cui si veda il “Diario d'Algeria [1996-1998]”, Rubbettino 2003 - fu criticato per avere appoggiato una repressione militare non sempre rispettosa dei diritti umani, ma era certamente assai bene informato sulle prodezze del Gia e del Gspc). Forse le nostre ambasciate non sono considerate fonti di informazioni attendibili anche per la magistratura sulla natura di organizzazioni che hanno la loro sede principale all'estero? Certo, molti giudici non leggono il francese (lingua in cui la letteratura sulle formazioni terroristiche algerine è abbondantissima), o l'inglese: ma ormai esiste documentazione accademica anche in italiano. Si potrebbe anche immaginare che i giudici italiani che si occupano di terrorismo ritengano opportuno documentarsi su al Qaida: alcuni lo fanno, come dimostrano gli eccellenti scritti sia specialistici sia destinati al grande pubblico del giudice Stefano Dambruoso. Orbene, non esiste testo serio su al Qaida, dai classici di Rohan Gunaratna e Jason Burke, che non tratti del suo ruolo nella scissione del Gspc dal Gia. Si dirà, ancora, che Gunaratna e Burke scrivono anche loro in inglese; ma dei rapporti fra bin Laden e i terroristi algerini e della natura sanguinaria di questi ultimi hanno scritto in italiano lo stesso giudice Dambruoso, Magdi Allam e altri (per tacere del sottoscritto). Il fatto che questa letteratura sia ignorata o perfino irrisa da una parte della magistratura dimostra che le preoccupazioni di Mantovano sono giustificate.

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