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La morte di Butler: l'integralismo cristiano perde il suo leader

di Massimo Introvigne (il Giornale, 15 settembre 2004)

Passata inosservata in Europa, la notizia della morte all'età di 86 anni del leader ultra-fondamentalista cristiano Richard Butler è stata ampiamente commentata da tutta la stampa americana. Butler aveva proclamato per decenni la necessità di un terrorismo cristiano, era entrato e uscito di prigione, ed era sempre sfuggito a condanne importanti. Pur avendo ispirato diversi terroristi, non si è mai potuto provare che Butler abbia personalmente organizzato attentati. Alle frange più estreme del fondamentalismo, Butler predicava un protestantesimo legato ai più vieti stereotipi antisemiti e a giustificazioni teologiche delle discriminazioni razziali contro gli afro-americani che le Chiese protestanti americane maggioritarie, anche nel Sud, hanno tutte abbandonato oltre un secolo fa.
Il tono dei commenti è interessante. Butler, scrivono in molti, era la prova vivente che esistono ultra-fondamentalisti e teorici del terrorismo in nome di Dio in tutte le religioni, non solo nell'islam. Il premier israeliano Rabin fu ucciso da un ultra-fondamentalista ebreo, i cui eredi spirituali minacciano di far fare la stessa fine a Sharon se davvero si ritirerà da Gaza. I misfatti dell'ultra-fondamentalismo indù si ripetono periodicamente, e perfino tra i pacifici buddisti è spuntato un terrorista come il giapponese Shoko Asahara, le cui credenziali di buddista ortodosso, prima dell'attentato nella metropolitana di Tokyo nel 1995, erano state autenticate dallo stesso Dalai Lama.
Eppure, gli studi del “terrorismo religioso” - come quelli, pure ricchi di informazioni, di Mark Juergensmeyer - che dedicano uguale spazio agli estremisti delle varie religioni non convincono. Sembrano scritti secondo un manuale Cencelli del terrorismo: venti pagine sul terrorismo islamico, venti sugli estremisti ebraici e venti sui vari Butler cristiani. Questa “par condicio” è solo apparentemente equa: gli ultra-fondamentalisti musulmani coinvolti nel terrorismo sono almeno centomila, quelli ebrei qualche migliaio, i cristiani alla Butler meno di mille. Una sproporzione che ha due spiegazioni. Anzitutto, per quanto sia poco politicamente corretto scriverlo, la posizione delle varie religioni sulla violenza e sulla relazione fra i fini e i mezzi non è la stessa. Nei secoli, ebraismo e cristianesimo hanno maturato una posizione di condanna della violenza, secondo cui il fine non giustifica i mezzi, cui l'islam non è ancora arrivato in modo unanime e senza equivoci.
In secondo luogo, nelle Chiese cristiane e nell'ebraismo c'è una organizzazione verticale, con gerarchie abbastanza facili da identificare. I Butler del mondo cristiano sono denunciati come eretici da tutte le autorità protestanti e cattoliche, capaci di fare il vuoto intorno agli estremisti. C'è un rabbinato “ufficiale” in Israele che isola e definisce criminali gli estremisti che condannano a morte Sharon in nome di un ebraismo ultra-fondamentalista. Nell'islam sunnita non ci sono autorità da tutti riconosciute. Per ogni intellettuale o imam che condanna il terrorismo ce n'è uno che lo giustifica. Così, è molto più difficile nell'islam isolare gli ultra-fondamentalisti. Le religioni di fronte all'estremismo non sono tutte uguali: non perché in alcune i fedeli siano intrinsecamente più malvagi che in altre, ma perché teologia e organizzazione sociale sono diverse. Bin Laden ha avuto successo, Butler molto meno: non è un caso, e non dipende solo dai miliardi dello sceicco del terrore.

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