CESNUR - center for studies on new religions

Ultrà islamici all'angolo

di Massimo Introvigne (il Giornale, 29 aprile 2004)

In pochi giorni abbiamo assistito a nuovi colpi di scena nelle vicende degli ostaggi in Irak, un attentato chimico sventato in Giordania, un assalto di terroristi islamici in armi a stazioni di polizia in Thailandia, misteriosi scontri fra polizia e terroristi a Damasco. Ma, nonostante le apparenze, le cose non vanno affatto bene per il terrorismo internazionale. Consideriamo gli scopi dei combattenti. Gli ultra-fondamentalisti non fanno terrorismo per il puro gusto di farlo. Si propongono lo scopo ben preciso di rovesciare i governi esistenti e di instaurare i loro regimi preferiti in un certo numero di Paesi, da cui poi esportare il contagio fondamentalista in tutto il mondo islamico. A questo fine colpiscono anche l’Occidente, per indurlo a ritirare il suo sostegno ai governi loro sgraditi nei Paesi a maggioranza musulmana.
Lo scopo dell’Occidente non può essere quello di ridurre a zero il numero degli attentati terroristici, un fine impossibile da perseguire quando ci si trova di fronte ad attentatori suicidi. Il numero si può ridurre, e molti attentati possono essere sventati. Ma lo scopo primo della guerra al terrorismo è impedire che l’ultra-fondamentalismo consegua i suoi fini. È solo se constateranno che le bombe non servono a conquistare il potere che gli ultra-fondamentalisti – nel lungo periodo – cambieranno strategia, come altre formazioni estremiste islamiche hanno fatto in passato, passando dalla lotta armata ad altre forme di militanza politica.
All’inizio del 2001 gli ultra-fondamentalisti consideravano veramente islamici solo due Stati: il Sudan e l’Afghanistan, con qualche dubbio sull’Iran, un paese con una Costituzione islamica ma con presenze record di tossicodipendenza e prostituzione, e comunque troppo sciita per piacere a estremisti in maggioranza sunniti. Controllavano di fatto zone dell’Algeria e del Pakistan. Godevano inoltre di un certo sostegno di “Stati canaglia”, che non applicavano la legge islamica ma ospitavano, sostenevano o almeno finanziavano terroristi: la Libia, la Siria, l’Irak.
Dopo l’11 settembre la situazione è cambiata. In Afghanistan c’è un governo islamico conservatore amico dell’Occidente. In Sudan il governo militare ha rotto con i fondamentalisti – il cui teorico Hassan al-Turabi è in prigione – e riallacciato i rapporti con gli Stati Uniti. In Irak la situazione è quella che è, ma Saddam Hussein non c’è più e i terroristi feriti altrove non possono più farsi curare (come facevano fino al 2002) negli ospedali di Baghdad. La Libia ha fiutato l’aria e cambiato bandiera in modo spettacolare. Resterebbe la Siria, che lunedì però ha ricevuto una delegazione degli ex-nemici turchi, i migliori alleati degli Stati Uniti nella zona, per concludere uno storico trattato commerciale, e martedì è stata “avvertita” con un attentato i cui contorni rimangono oscuri. In Algeria i terroristi controllano solo più tre o quattro oasi, e in Pakistan le remote vallate dove si nascondono i capi di Al Qaida sono circondate non più solo da svogliati militari locali ma da ingenti forze americane.
Non c’è un solo Stato dove gli ultra-fondamentalisti siano più vicini al potere di quanto lo fossero nel 2001. Non crediamo alla propaganda: il terrorismo sta perdendo, in tutto il mondo islamico. Continuerà a perdere, a meno che l’Occidente non si stanchi di combatterlo, ed è precisamente a stancare gli occidentali che puntano le campagne terroristiche di questi giorni.

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