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Guerra nell’Islam

di Massimo Introvigne (il Giornale, 24 aprile 2004)

Lo ha detto in settimana Paul Wolfowitz, con i toni di un Churchill neoconservatore: è la guerra mondiale, durerà venticinque anni e saranno lacrime e sangue per tutti. Per molti americani si tratta della quarta guerra mondiale: la terza è la guerra fredda, e pensano di averla vinta loro contro l’impero comunista. Hanno ragione?
La nozione di guerra mondiale è al centro di un vasto dibattito fra storici, sociologi e politologi. Si tratta di una guerra senza confini, capace di fagocitare e includere decine di conflitti locali, e di presentarsi dal punto di vista della percezione dei combattenti come scontro di civiltà. In questo senso la guerra passata dalla potenza all’atto l’11 settembre 2001 corrisponde alla definizione di guerra mondiale. Poco importa se Huntington abbia ragione o torto: nel mondo musulmano milioni di persone pensano che lo scontro in corso sia fra “i crociati e gli ebrei” e l’islam. Anche in Occidente una Oriana Fallaci scrive quello che – vero o no – milioni di persone pensano ma non possono permettersi di dire. E felici i paesi come l’Italia dove queste posizioni sono rappresentate da qualcuno (la Lega, anzitutto) all’interno della politica democratica e parlamentare anziché lasciate come in Francia o in Germania a forze marginali e potenzialmente eversive.
Tuttavia lo scontro di civiltà è solo una faccia della medaglia. Era così anche per le altre guerre mondiali. Da una parte si trattava dello scontro fra l’Occidente moderno e “qualcun altro”. Ma dall’altra le prime tre guerre mondiali erano guerre civili europee che esportavano le loro conseguenze in tutto il mondo. Tutte le ideologie coinvolte (democrazia, nazismo, comunismo) erano nate in Europa, anche se lo scontro – in questo senso andando a corrispondere alla definizione di guerra mondiale – si estendeva pressoché ovunque, assorbendo e ridefinendo i preesistenti conflitti locali.
Oggi succede qualche cosa insieme di simile e di diverso. Quello che per un verso è uno scontro percepito come di civiltà, per un altro è anche stavolta una guerra civile che una civiltà esporta nel mondo. Ma non ci sono più guerre civili interne alla civiltà occidentale (in questo senso Francis Fukuyama pensava anni fa che fosse finita la storia). La nuova guerra civile è interna al mondo islamico, che pur non essendo la civiltà dominante è abbastanza grande dal punto di vista demografico (oltre un miliardo di persone) e del controllo delle risorse (il petrolio) per esportarla in tutto il mondo. È questa seconda faccia della medaglia che la Fallaci, con altri, non vede e che del resto non è facile da vedere. Perché lo scontro non è tra musulmani “moderati” (una categoria estranea all’islam) e “fondamentalisti” ma una guerra civile assai più complessa tra nazionalisti, tradizionalisti, conservatori, fondamentalisti e ultra-fondamentalisti dove le alleanze si fanno e si disfano rapidamente. Per esempio, i tradizionalisti wahabiti dell’Arabia Saudita sembravano alleati degli ultra-fondamentalisti, che però hanno cominciato ad attaccare con il terrorismo le istituzioni saudite (e non più solo obiettivi stranieri in Arabia). Chi in Occidente non vede nella guerra in corso l’aspetto di guerra civile islamica globalizzata si priva anche di una risorsa strategica essenziale: inserirsi nel gioco dei conflitti intra-islamici, facendo emergere le loro contraddizioni e cercando alleati senza i quali è impossibile vincere.

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