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Che cosa resta della rete di Bin Laden

di Massimo Introvigne (il Giornale, 17 febbraio 2004, p. 14)

imgVolano gli stracci fra gli esperti internazionali di terrorismo che si sono specializzati nello studio di Osama Bin Laden: il cingalese (ma professore in Scozia) Rohan Gunaratna e l’inglese Jason Burke si accusano reciprocamente di incompetenza. Per il primo Al Qaida ha subito colpi, ma è ancora viva e potente; per il secondo, le sue capacità operative sono ormai ridotte al minimo. Chi ha ragione? Possiamo partire dal fatto che l’obiettivo di Bin Laden non era quello di creare un movimento, ma un network capace di collegare fra loro gruppi di storia e origine diversa.
Che cosa ricevevano questi gruppi da Al Qaida? Non tanto una «tessera», una «iscrizione» o un «battesimo», ma un coordinamento rispetto all’attività di altri gruppi, e aiuti concreti. Il più piccolo gruppo islamico radicale nel Sud-Est asiatico o in qualche paese africano poteva rivolgersi a Bin Laden perdendo, certo, una frazione della sua indipendenza, ma ricevendo in cambio addestramento militare armi, denaro e suggerimenti. Sembra che non si trattasse sempre – e neppure nella maggioranza dei casi – di eseguire piani concepiti dalla «cupola» di Al Qaida. L’organizzazione al centro del network creato da Osama Bin Laden operava piuttosto come un editore. Questi può certamente avere le sue idee su quali libri potrebbero avere successo, e commissionare specifici manoscritti. Ma, nella maggior parte dei casi, riceverà proposte da potenziali autori, le valuterà e le incoraggerà (e finanzierà) nel caso gli sembrino promettenti.
Così Al Qaida era normalmente avvicinata da gruppi radicali che avevano già un loro progetto di azione terroristica. Nella posizione dell’«editore», Bin Laden ascoltava, accettava o rifiutava il progetto, e in caso affermativo dava suggerimenti, invitava i terroristi ad addestrarsi in Afghanistan, li riforniva di armi e di fondi. In Sudan prima, in Afghanistan poi, gruppi radicali di tutto il mondo trovavano un vero e proprio supermercato del terrorismo gestito da Bin Laden, dove potevano rifornirsi di addestramento, armi e denaro. Con la guerra in Afghanistan e la caduta del regime dei talebani il supermercato è stato chiuso. È probabile che ne rimangano piccole filiali in zone impenetrabili del Pakistan o di altri Paesi. Ma si tratta di micro-realtà, senza paragoni possibili con quello che un tempo è esistito in Afghanistan e che i bombardieri americani – dopo l’11 settembre 2001 – si incaricherebbero rapidamente di cancellare ove tentasse di esistere altrove. Dei numerosi «reparti» del supermarket di Bin Laden rimane in piedi quello bancario, il meno legato a una presenza territoriale specifica. Ma anche questo ha subito qualche colpo.
L’ipotetica distruzione (e il certo indebolimento) della capacità della «testa» di Al Qaida di comunicare con le sue gambe rappresenta un’importante vittoria nella lotta contro il terrorismo, e rende più difficili (non impossibili) attentati in grande stile come quello dell’11 settembre 2001. Per altri versi, però, «gambe» separate dalla «testa» possono continuare a scalciare, secondo una meccanica del terrorismo, su scala più modesta, ma in modo assai più difficile da prevedere, rendendo ancora più arduo il compito di prevenzione.

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