Il ritrovamento di 49 corpi di giovani reclute dell'esercito trucidati a Nord-Est di Baghdad - nel giorno in cui è rapito un bambino libanese e ucciso un agente di sicurezza dell'ambasciata americana - segna una tappa ulteriore nel processo di imbarbarimento della sedicente resistenza irakena. Siamo ormai all'incontro di due barbarie: quella dei nostalgici sunniti di Saddam Hussein, che tornano ai metodi delle stragi di massa e delle fosse comuni - preferibilmente riempite di cadaveri sciiti (tali erano tutti i 49 soldati uccisi) - cari al deposto dittatore, e quella delle feroci truppe di Al Qaida, che ammazzano con uguale zelo sunniti, sciiti e ostaggi occidentali.
Come sempre quando si tratta di strategie pensate, ultimamente, da Al Qaida la barbarie non è mai casuale. I terroristi vogliono dare l'impressione - anzitutto agli elettori americani - di stare vincendo la loro partita. Il loro messaggio è che l'Irak è ingovernabile, le elezioni del 2005 non si terranno, gli americani e i loro alleati si ritroveranno impantanati in un nuovo Vietnam. Più le elezioni americane si avvicinano, più vedremo morti ammazzati in Irak: e ammazzati nel modo di creare il massimo possibile orrore.
Ragionare a mente fredda non è facile: tuttavia, è più che mai necessario. Le vittime della barbarie in Irak sono occasionalmente occidentali - sempre più ostaggi catturati nelle sfere meno difese, quelle delle organizzazioni di volontariato, talora funzionari di grado minore - e quotidianamente irakeni qualunque: reclute ragazzine dell'esercito e della polizia, ma anche chi ha la semplice sfortuna di passare in una strada affollata dove colpiscono le autobomba. Il terrorismo è passato da obiettivi politici di rilievo a altri pressoché casuali. Minaccia da settimane di uccidere i massimi dirigenti del governo e la principale autorità religiosa che lo legittima, il grande ayatollah sciita Sistani. Si è però ridotto ad assassinare volontari umanitari, semplici reclute o passanti, tra cui molte donne e bambini. La barbarie si esprime ormai nella bassa macelleria delle stragi di civili scelti a caso, spara nel mucchio come fanno tutte le forme di terrorismo in crisi. Ma sono stragi che diminuiscono la popolarità dei terroristi anche fra i loro potenziali sostenitori. Anche molti oppositori del governo irakeno hanno ormai un parente, un amico, un conoscente ucciso senza ragione e senza pietà dai terroristi solo perché si trovava a passare per la strada sbagliata.
Per questo è necessario convincersi che il terrorismo in Irak non sta vincendo. Sta perdendo sul piano militare, perché il numero di terroristi catturati o uccisi dalle truppe della coalizione è quotidianamente superiore a quello delle vittime del terrorismo. Sta perdendo sul piano politico, perché ogni strage di reclute diciottenni o di passanti in un mercato aumenta l'avversione degli irakeni per il terrorismo, il consenso verso il governo, la voglia di elezioni, di pace e di democrazia. Spetta ora all'Occidente, a noi, agli americani non mollare, non tradire le vittime cadute in Irak e i tanti irakeni che vogliono democrazia e sicurezza, non darla vinta alla barbarie, tenere duro fino alle elezioni e alla sconfitta finale del terrorismo. La barbarie non può vincere con le armi; ma vince ogni volta che riesce a confonderci le idee, a fiaccare la nostra determinazione nel combattere una guerra globale che è stato il terrorismo ultra-fondamentalista islamico a dichiararci ma che ora dobbiamo vincere.
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