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LíAfrica senza tregua e il pericolo di un nuovo genocidio

di Massimo Introvigne (il Giornale, 1 settembre 2004, p.12)

ìSiamo di fronte a un vero e proprio genocidio, non siamo solo alle soglie di un genocidio come la comunitý internazionale continua a raccontarciî. Lo afferma un documento dei vescovi cattolici del Sudan, diffuso dalla Sala Stampa vaticana, che fa giustizia degli equilibrismi verbali di chi dibatte da settimane se sia appropriato chiamare ìgenocidioî quello che sta succedendo nel Darfour, nellíOvest del Sudan. ìLe migliaia di civili uccisi, violentati e torturati dalle milizie Jenjawid rendono il termine genocidio applicabile alla situazione in Darfourî, concludono i vescovi.
A differenza del Sud del Sudan, dove per ora regge líaccordo di pace firmato grazie alla mediazione di Stati Uniti, Italia e alcuni Paesi africani, nel Darfour non ci sono cristiani. La guerra Ë fra musulmani: le milizie Jenjawid sono arabe, le vittime africane, in una lugubre riedizione di conflitti di un tempo fra mercanti di schiavi arabi e trib˜ africane aggredite per fornire schiavi al commercio internazionale. Dietro le milizie cíË almeno una fazione importante del governo di Khartoum che ñ dopo avere concesso al Sud un referendum per líindipendenza, sia pure fra sei anni ñ non vuole correre il rischio di un nuovo separatismo nel Darfour. Nel frattempo líideologo dellíultra-fondamentalismo Hassan al-Turabi, líalleato di Al Qaida che il presidente sudanese Bashir ha fatto incarcerare, pesca nel torbido dalla prigione promettendo il suo appoggio ora alle milizie ora agli indipendentisti del Darfour.
LunedÏ Ë scaduto líultimatum dellíOnu che chiedeva di disarmare le milizie e di permettere líarrivo degli aiuti umanitari nel Darfour. Líultimatum non Ë stato rispettato, ma secondo fonti americane Ë improbabile che il Consiglio di Sicurezza voti giovedÏ le sanzioni contro il governo sudanese richieste dagli Stati Uniti. I francesi, interessati in via diretta al petrolio sudanese, preparerebbero líennesimo veto. Russi e cinesi hanno antiche relazioni commerciali con il regime di Khartoum. LíUnione Europea afferma che almeno sono iniziate trattative ed Ë migliorata la situazione degli aiuti umanitari.
» tutto falso. La risoluzione 1556 dellíOnu del 30 luglio dava al governo trenta giorni per chiudere i campi di addestramento delle milizie Jenjawid. Non ne Ë stato chiuso neppure uno, anzi ne sono stati aperti di nuovi. LíOnu chiedeva líarresto dei dirigenti delle milizie. Non Ë successo: mentre il governo mostrava alla stampa estera alcuni detenuti comuni spacciati per Jenjawid, i capi delle milizie ñ liberi e tracotanti ñ tenevano la loro conferenza stampa in un albergo a cinque stelle di Khartoum. Certo, gli aiuti umanitari hanno potuto transitare verso il Darfour: dove perÚ sono in gran parte stati rubati dalle milizie.
Si parla di concedere tempo al Sudan, ma i morti non aspettano. Hanno giý superato i centomila, e il rischio Ë che ogni settimana di attesa costi agli africani del Darfour diecimila morti. LíOccidente teme, in caso di intervento, un nuovo Irak: avrý invece un nuovo Ruanda. Eppure, líinvio di truppe occidentali non Ë necessario. La lezione del Sud del Sudan dimostra che, se le belle parole falliscono, serie pressioni ñ blocco dei passaporti e dei conti esteri ai principali dirigenti sudanesi, blocco delle esportazioni, embargo sulla vendita di armi non solo alle milizie private ma anche al governo che le rifornisce ñ portano i pragmatici generali di Khartoum al tavolo delle trattative. Ma bisogna far presto: il massacro non si ferma, ed Ë davvero un genocidio.

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