Il Dalai Lama è il leader solo di una sua parte. E consiglia gli europei di non convertirsi.
Nel maggio del 2001, in un laboratorio dellUniversità del Wisconsin, un monaco buddhista è sottoposto ad un esperimento: gli viene chiesto di raccogliersi in meditazione indossando una calotta munita di sensori e collegata ad una macchina capace di registrare ogni minimo mutamento in corso nel suo cervello. Nel momento in cui il monaco dirige la sua compassione verso il bene di unaltra persona, i sensori registrano un profondo cambiamento della sua condizione psichica; il monaco raggiunge secondo chi interpreta i risultati della ricerca uno stato di pura gioia.
Per interpretare i risultati dellesperimento e rispondere, più in generale, ad altri misteri che riguardano la psiche umana si sono incontrati Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama e un gruppo di psicologi, filosofi e neuroscienziati occidentali. I risultati del dibattito che si è sviluppato sono ora raccolti in un volume steso a quattro mani dallo stesso Dalai Lama e dallo psicologo Daniel Goleman, autore di bestseller internazionali fondatore della teoria dell«intelligenza emotiva» e formatore di manager, imprenditori e dirigenti. Goleman, per la verità, ricalca teorie vicine a quelle sostenute dagli ambienti della programmazione neurolinguistica e comunque catalogabili con letichetta di Next Age, i cui esponenti di spicco sono il medico di origini indiane Deepak Chopra e Anthony Robbins.
In un editoriale comparso sullAvvenire del 25 ottobre scorso, Lucetta Scaraffia si sofferma su unaffermazione del Dalai Lama, il quale è recentemente intervenuto per invitare gli europei di matrice cristiana a non convertirsi al buddhismo, evidenziando il fatto che lesito di questa conversione è spesso fallimentare. Per quanto i paralleli con il Papa cattolico risalgano già a missionari seicenteschi e siano duri a morire il Dalai Lama, nonostante il suo più ampio potere politico (sopravvissuto allinvasione cinese e allesilio), non è propriamente il leader religioso di tutto il buddhismo né tanto meno di tutto il buddhismo tibetano, ma del «sistema» geluk. Tuttavia, tutte le scuole buddhiste ne hanno grande rispetto e lo stesso Dalai Lama è emerso come il principale ambasciatore del buddhismo, non solo tibetano, nel mondo. In gran parte il buddhismo tibetano vive in Occidente, dove si sono rifugiati oltre cinquemila monaci (fuggiti alla persecuzione cinese della loro terra), che in genere rappresentano lélite del mondo monastico tibetano dal punto di vista sociale e intellettuale.
In questa situazione, il Dalai Lama mantiene la delicata posizione di chi deve cercare da una parte di non perdere il contatto con le peculiari e millenarie tradizioni tibetane, dallaltra di presentare la religione buddhista in una forma («modernista») accettabile agli occidentali.
La recente affermazione del Dalai Lama da un lato e, dallaltro, lapertura verso le «moderne» teorie psico-spirituali del mondo occidentale, rappresentata dal libro scritto a quattro mani dal Dalai Lama con Goleman, ma anche da altre posizioni «moderniste» come quelle di Lama Gangchen Tulku Rinpoche altro importante esponente del buddhismo tibetano finiscono senza dubbio per aprire un ampio capitolo per qualche verso problematico circa il ruolo e la natura che il buddhismo sta assumendo sulla scena religiosa e sociale in Occidente.
Daniel Goleman - Dalai Lama, Emozioni distruttive Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio e illusione, Mondadori (Milano) 2003, pp. 480, € 18,00.
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