CESNUR - center for studies on new religions

Così il mercato islamico del terrore fa marketing coi kamikaze

di Annalena Benini (il Foglio, 24 settembre 2004)

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Roma. Hawa Barayev il 9 giugno del 2000 si è fatta saltare in aria e ha ammazzato ventisette soldati russi. Era una terrorista cecena, aveva vent'anni, andava molto fiera di sé e “per la grazia di Allah, è una delle poche donne il cui nome rimarrà veramente nella storia”. Grazie al suo gesto sanguinario e alla fatwa di elogio che l'ha seguito, da quel giorno altri nomi e altre facce di giovani donne sono rimaste - rimarranno - nella storia del terrorismo islamico. Le kamikaze cecene si sono moltiplicate, adesso guardano i bambini negli occhi e li inseguono per farsi esplodere in mezzo a loro. Perché il mercato dei martiri funziona benissimo e, se si applicano alla religione i modelli economici dell'azienda e del management, si può dire che l'offerta terroristica sta crescendo proporzionalmente alla domanda: Laurence R. Iannaccone, tra i padri della teoria sociologica di Rodney Stark (economia applicata alle religioni) e Massimo Introvigne, fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, hanno analizzato, in un libro appena uscito, l'estremismo religioso così come si studia un mercato fatto di bilanci, azionisti, strategie, marketing, investimenti. (“Il mercato dei martiri. L'industria del terrorismo suicida”, edizioni Lindau, euro 14). E allora, secondo questa teoria, la fatwa islamica assume valore di strumento indispensabile per la pubblicità del martirio, oltre che “parte integrante di quel carburante religioso che consente alla macchina del terrorismo suicida di continuare ad avanzare”, scrivono Introvigne e Iannaccone. Onore in vita, popolarità, benefici di natura (non solo) religiosa per i martiri obbedienti e per i familiari. Oltre alla grandezza del danno e dell'umiliazione inflitte ai nemici. E scarse correlazioni con povertà, disperazione e mancanza di educazione, come dimostra uno studio su Hamas: “classe media, buoni impieghi…due erano figli di milionari”.
Ad Hawa Barayev, la terrorista ventenne, sono stati successivamente dedicati siti, strade, giardini e scuole anche in paesi a maggioranza islamica che passano per moderati. E la fatwa che l'ha consacrata ad Allah ha indicato l'esempio da seguire, ha eliminato scrupoli di coscienza e dubbi di liceità nell'eventuale candidato al terrorismo suicida: “Hawa ha fatto quello che pochi uomini sono stati capaci di fare. La umma (la comunità dei fedeli di Allah, ndr) deve essere orgogliosa del fatto che un tale modello di virtù sia comparso al suo interno. Siamo certi che una umma che comprende persone come lei non sarà mai, se Allah lo vuole, priva di buoni risultati”. Prestigio e paradiso al martire, scopi specifici molto concreti per l'organizzazione che lo recluta, lo addestra, lo coccola, lo nasconde, ne previene la defezione e poi lo manda al massacro. Come scrivono Introvigne e Iannaccone, a più riprese Hamas ha operato con l'intenzione specifica di impedire la prosecuzione di trattative di pace fra l'Autorità Nazionale Palestinese e Israele, “e spesso è riuscita davvero a farle fallire o interrompere”. E lo scopo - annunciato in documenti che risalgono almeno al dicembre 2003 - dei terroristi dell'11 marzo 2004 di influire sulle elezioni spagnole e di favorire il ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq “è stato certamente raggiunto dal punto di vista degli stessi terroristi”. E così via, per ogni kamikaze esploso e per ogni attentato riuscito.
“Certamente non tutti i musulmani sono fondamentalisti e non tutti i fondamentalisti sono terroristi” scriveva Introvigne già nel 2001, ma la domanda di estremismo religioso “disposta a percorrere la strada della violenza” che, secondo gli studi compiuti dagli autori, esiste potenzialmente in ogni religione, incontra nel mondo islamico un'offerta adeguata. E molto diffusa. Perché “le imprese terroriste si inseriscono in un network fondamentalista e ultrafondamentalista molto più ampio rispetto al sottonetwork fondamentalista dove trovano simpatia, nuovi membri, appoggio e protezione”. E la rete fondamentalista gode di una certa simpatia, tolleranza e anche di giustificazioni teologiche in un ambiente musulmano molto più ampio. Non spiegabile soltanto con le emozioni per la situazione palestinese o cecena: “La retorica di al Qaida ha iniziato a menzionare la Palestina o la Cecenia piuttosto tardivamente”. Secondo un sondaggio dell'aprile 2004, svolto in Marocco, abbastanza attendibile per riflettere l'opinione del musulmano medio, solo il 55 per cento non approva le attività di al Qaida, e invece il 74 per cento considera giustificati gli attentati suicidi di Hamas. In Marocco. In Italia? Il Tg2 ci ha provato: per tredici persone su cento il kamikaze non è un assassino né un terrorista. Per quattro è un eroe e per nove un martire. Perché “l'intenzione è la giustificazione dell'azione”, secondo il principio base della fatwa, e allora l'azienda del terrore può proseguire nel reclutamento di vite e di consenso, promettendo onore e Paradiso e ottenendo, in cambio, moltissimo.

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