Il santo e il profeta. Leducatore e leremita. Il prete e leretico. È possibile che un ecclesiastico integerrimo come don Bosco abbia vergato una lettera di buone referenze per un visionario, uno scomunicato le cui opere finirono allIndice, un rivoluzionario che sarà ucciso in uno scontro con la polizia?
Eppure è proprio questa la sorpresa che emerge dal quarto volume dell «Epistolario» di Giovanni Bosco, appena raccolto dallo storico salesiano don Francesco Motto e stampato dalla Las: una lettera del capostipite dei «santi sociali» torinesi a favore del sedicente «Cristo dellAmiata», David Lazzaretti, la cui figura a metà tra il religioso e il sociale ha molto incuriosito gli storici.
«Abbiamo inteso qualche sinistra voce sul conto del signor David Lazzaretti scriveva dunque da Torino il fondatore delloratorio a un destinatario ignoto il 28 dicembre 1873 , che cioè sia stato incarcerato.
Se mai potesse giovare la mia parola in suo vantaggio io sono disposto a pronunziarla ben di cuore, giacché avendo il piacere di conoscerlo nella scorsa primavera, anzi avendogli io dato ospitalità in questa mia casa per alcune settimane, riconobbi una persona veramente dabbene, desiderosa di fare del bene al prossimo, noncurante dei propri interessi, purché possa giovare agli altri. Se avrà occasione di rivederlo lo riverisca per parte mia, lo conforti coi sentimenti religiosi che la sua carità saprà ispirarle, e se posso in qualche modo giovare conti pure sul suo obbligatissimo servitore Sacerdote Gio. Bosco».
Un attestato di calorosa stima, ritrovato in un fondo della biblioteca comunale di Piancastagnaio (Si) e ora pubblicato per la prima volta. Lazzaretti fu una figura senzaltro carismatica ma ambigua: nato ad Arcidosso (Gr) nel 1834, barrocciaio, sposato e con 5 figli, già da adolescente aveva avuto visioni mistiche in cui gli si prediceva un avvenire da riformatore religioso, quindi dichiarò di aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono della profezia.
Quando don Bosco scrive in suo favore, inoltre, Lazzaretti aveva già combattuto da volontario nellesercito piemontese, si era fatto murare per 47 giorni in una grotta della Sabina (dove san Pietro gli avrebbe impresso sulla fronte un segno), era stato espulso dallo Stato vaticano e aveva cominciato a costruire un eremo a forma di torre sul monte Labbro, cima del gruppo dellAmiata in Toscana. Di lì la sua fama di «santo della montagna» non aveva tardato a diffondersi e già nel 1871 Lazzaretti poteva fondare con i seguaci una sorta di cooperativa sociale, la «Santa Lega o Fratellanza Cristiana», da cui lanno successivo nascerà la «Società della Famiglie cristiane»: i cui 5000 membri mettevano in comune terre e armenti, ricevendo in cambio cibo, vesti e scuola per i figli.
A maggio del 1873, in viaggio verso la Gran Certosa di Grenoble, Lazzaretti si ferma a Valdocco, ospite di don Bosco «per alcune settimane». A novembre viene arrestato a Rieti per vagabondaggio, truffa e cospirazione politica: e proprio in seguito a tale evento il santo piemontese scrive la sua lettera di referenze, che verrà infatti prodotta dallavvocato nel luglio successivo al processo del «profeta dellAmiata», procurandone la scarcerazione.
Né basta: don Bosco ospiterà ancora Lazzaretti nella primavera del 1875 a Valdocco, dove il «santo della montagna» incontra un ricco magistrato francese che finanziava la sua Chiesa Giurisdavidica. Di lì a poco l epilogo: nel 1878 Lazzaretti dichiara decaduto il papato, si proclama «Cristo Duce e Giudice», annuncia larrivo di una nuova era e viene scomunicato. E il 18 agosto di quellanno la polizia spara ai davidiani che scendono in processione verso Arcidosso: Lazzaretti è colpito alla testa e muore. Ironia della sorte: alcune parti del suo corpo finiscono proprio a Torino, ma nel museo di antropologia criminale del positivista Cesare Lombroso. Però sullAmiata ancora oggi i seguaci del «profeta» si radunano a pregare e il comune di Arcidosso ha persino rivalutato la figura del povero Lazzaretti: che avesse ragione don Bosco?