THE DRACULA LIBRARY 

  1. 1917: la Madonna a Fatima. Niente foto. La stampa laica e positivista grida superstizione
    1917: le fate appaiono a Cottingley. Vengono fotografate. La stampa laica e positivista le prende assolutamente sul serio
  2. «Lo scettico è un signore che rifiuta racconti soprannaturali che hanno un fondamento storico, raccontandoci storie naturali che spesso non hanno alcun fondamento logico»
    Gilbert Keith Chesterton
  3. «Come ha affermato Chesterton, la vita è tutta un’allegoria e noi possiamo comprenderla solo attraverso parabole»
    Russell Kirk

La strada che dal conte Dracula porta diritta all’Onnipotente

    Il razionalista non conosce l’altra metà del Cielo.
    Il mago è meglio di lui perché è peggio. Su tutti regnando ineffabile Dio 

di Marco Respinti

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Una nave volante di Shannara
Illustrazione di David Cherry da Il magico mondo di Shannara di Terry Brooks e Teresa Patterson (trad. it. Armenia, Milano 2002)
L’aureo volumetto del 1942 di Clive S. Lewis, Le lettere di Berlicche (dedicato al suo grande amico e maestro J.R.R. Tolkien e a monsignor Francesco Olgiati, co-fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), si apre con una Premessa in cui lo studioso di letteratura medioevale e rinascimentale (nonché scrittore e teologo anglicano) osserva: «Vi sono due errori, uguali e opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei Diavoli. Uno è di non credere alla loro esistenza. L’altro, di credervi, e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I Diavoli sono contenti d’ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista e il mago». E poco oltre, il Diavolo-zio Berlicche sottolinea al nipote Malacoda, inesperto giovane tentatore, quale «abominevole vantaggio del Nemico!» sia l’incarnazione di Dio. Il diavolo, per quanto sottile sia la sua sagacia spirituale (ancorché votata al male), resta sempre ai margini della natura umana, senza comprenderla pienamente. Qualcosa dell’uomo gli sfugge sempre e proprio lì si annida Dio, che, secondo Lewis, è «pochissimo scrupoloso»: «un giovanotto che desidera rimanere un perfetto ateo non può andare troppo per il sottile nelle sue letture. Ci sono trabocchetti sparsi dappertutto: “Bibbie lasciate aperte, milioni di sorprese”, come dice Herbert, “reti sottili e stratagemmi”».

Detto questo, un mago è sempre meglio di un materialista. Cioè è ben peggio, eppure è almeno a metà dell’opera. Sa che c’è il demonio, anzi lo coltiva, ma sa, pur bestemmiandolo, che c’è anche Dio. Può essere un osso duro; però (come dice Hermione Granger, compagna di scuola e di avventure di Harry Potter), se rivedesse le proprie priorità, sarebbe a cavallo.

Foto di fate, fatue fotografie

Sir Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, era un gran razionalista e dal 1916 un soi-disant missionario mondiale dello spiritismo, cui era giunto dopo aver abbandonato a diciassette anni la Chiesa cattolica ed essersi messo alla ricerca di una “religione positiva”. Sottoscrisse però in prima persona la bufala delle cugine Frances Griffiths ed Elsie Wright. Correva l’anno 1917 e nei pressi di Cottingley, in Inghilterra, le due ragazze scattarono delle fotografie in cui comparivano alcune fate e uno gnomo. Edward L. Gardner, membro del comitato esecutivo della Società Teosofica, entrò in possesso delle foto e, nel 1920, ne parlò a Conan Doyle, il quale due anni dopo vi scrisse un libro apologetico, Il ritorno delle fate, pubblicato in edizione italiana nel 1992 (SugarCo, Carnago [Varese]), a cura degli studiosi di nuovi movimenti religiosi Massimo Introvigne e Michael W. Homer.

Come in una indagine poliziesca, il padre del dottor Holmes induce il lettore a riconoscere la fondatezza degli argomenti a favore dell’esistenza di fate, gnomi ed elfi, descrivendo una natura popolata da numerosissimi esseri, visibili solo a chi abbia particolari facoltà medianiche e in condizioni atmosferiche favorevoli, una realtà che solo l’interpretazione teosofica è in grado di penetrare.

Nell’introduzione all’edizione italiana del volume – intitolata Cottingley, o il trionfo del positivismo –, i curatori puntano il dito sul carattere radicalmente ambiguo della modernità, «[...] insieme scettica e magica, razionalista e superstiziosa. Soprattutto chi è convinto che sia possibile tracciare una chiara linea di demarcazione fra la modernità “scientifica” e positivista e le credenze mitiche del passato farà bene a leggere fino in fondo Il ritorno delle fate. Scoprirà che l’immagine comune della cultura positivista è largamente imprecisa».

Ora, le fate di Cottingley non esistono, ma nel 1997 il regista Charles Sturridge ha tratto un film dalla loro vicenda, Favole (in originale Fairy Tale: A True Story). Oltre a Conan Doyle, ci credette anche Harry Houdini, l’illusionista statunitense fortemente scettico verso ogni aspetto del soprannaturale. In una scena, Houdini si fa ritrarre con le cugine falsarie e a un reporter che lo intervista risponde: «Signore, ho trascorso tutta la vita a far diventare vero l’impossibile. Perché dovrei trovarlo difficile da accettare in altri? […] Mi sono schierato contro le frodi. […] ma in questo caso non ne vedo. Vedo solo gioia».

Cercando l’altro, l’Alto

Kurt Bruner e Jim Ware, autori di Finding God in The Lord of the Rings (Tendale House, Wheaton [Illinois] 2001) sostengono che Tolkien avrebbe risposto in modo identico. E, tolkienianamente, in Favole la gioia – pungente come un dolore – si compie: nel film le fate sono vere. Il bello è che Bruner e Ware sono protestanti evangelici, di quelli che un po’ sbrigativamente vengono definiti “fondamentalisti”. Non concederebbero, cioè, uno iota al “magico”.

Quindi? Quindi, al di là delle foto false e di Conan Doyle, Favole narra dello struggimento umano per l’Oltre, del desiderio di Altro. Ovvero della stoffa del mito che la religione ha dignificato e l’Incarnazione reso un fatto storico. E che la letteratura fantastica (fantascienza, fantasy, horror, gothic, addirittura certi rivoli del mystery e della spy-story) suggerisce, a volte balbettando, a volte incespicando, ma sempre opportunamente.

Verità affascinanti

Sì, il mito spaventoso di Dracula il vampiro e dei non-morti, che tormentano gli uomini oltre la tomba, risorge in maniera inversamente proporzionale all’affievolirsi di una religiosità piena. Lo spiega Introvigne in La stirpe di Dracula. Indagine sul vampirismo dall’antichità ai nostri giorni (Mondadori, 1997). Alla fine del Medioevo, cioè, non durante; e proprio come “superstizione”, la sopravvivenza – nebulosa come un sogno (meglio un incubo) – di una realtà di cui si sono perse le ragioni forti.

Ma, afferma Russell Kirk, «il motivo per cui scrivo storie» “gotiche” è «il fatto che aspiro a contribuire a liberare il buco della serratura». Per guardare dentro, oltre. La citazione è dal saggio A Cautionary Note on the Ghostly Tale, l’autore lo storico delle idee da cui Ronald W. Reagan ha sostanzialmente detto di aver compreso cosa significhi davvero born in the USA.

Citando Gerald Heard, filosofo e storico, Kirk aggiunge che le buone ghost story debbono fondarsi su premesse esistenziali chiare, quasi teologiche. «Tutta la letteratura importante ha un fine etico», scrive, e i racconti sul preternaturale «possono essere strumento di restaurazione morale». Il fantastico è infatti «un mezzo per dire la verità in modo affascinante».

Resta una domanda, l’eterna. Può la narrativa del soprannaturale e del preternaturale, radicata nel mito e nella percezione del trascendente, andare oltre il gioco dell’assurdo? Vincere, insomma, l’idea di essere «effetto più di un cumulo che di un tumulo», secondo la risposta con cui Ebenizer Scrooge, scambiando indigestione con religione, liquida lo spirito di Jacob Marley che nel Canto di Natale di Charles Dickens viene a ricordagli il peso del male? E certi che però non basta nemmeno Sigmund Freud?

m_respinti@hotmail.com

 

Articolo pubblicato con il medesimo titolo in
il Domenicale,
anno II, numero 17, Milano 26-05-03, p. 11

 

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