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Tradizionalismo cattolico:
un ricongiungimento in Brasile e le conseguenze per Ecône

 

di Jean-François Mayer

(articolo tratto dal sito Internet RELIGIOSCOPE, 25 gennaio 2002: http://www.religioscope.com/info/articles/001_Campos.htm)

Il 18 gennaio 2002, a Campos - in Brasile -, in presenza del cardinale Dario Castrillon Hoyos (presidente della Commissione Ecclesia Dei, incaricata dei problemi relativi ai tradizionalisti), un gruppo di 28.000 cattolici tradizionalisti brasiliani, sotto la direzione del loro vescovo, mons. Licinio Rangel, e di 25 sacerdoti, è rientrato in piena comunione con Roma. Il Papa ha eretto un’Amministrazione Apostolica affidata a mons. Rangel, per la guida pastorale dei fedeli che intendono mantenere il loro attaccamento al rito tridentino.

 

Mentre i negoziati avviati nel 2000 fra Roma e i fedeli dell’arcivescovo Marcel Lefebvre (1905-1991), fondatore del Seminario di Ecône (nel Cantone Vallese, in Svizzera), sembrano essere giunti a un punto morto dalla metà del 2001, i colloqui sono invece proseguiti con un gruppo brasiliano, dottrinalmente vicino alla Fraternità Sacerdotale San Pio X creata da mons. Lefebvre, ma organizzato in maniera autonoma nell’ambito dell’Unione San Jean-Marie Vianney. Tale associazione, dotata di un proprio seminario a Campos, ha proseguito l’azione di mons. Antonio de Casto Mayer (1904-1991), vescovo brasiliano che non ha mai accettato il passaggio al rito postconciliare nella sua diocesi, esprimendo apertamente dal settembre 1969, con una lettera a Paolo VI, le proprie riserve a proposito del Novus Ordo Missae. Mons. de Castro Mayer ha partecipato con mons. Lefebvre alla consacrazione di quattro vescovi; gesto che, nel 1988, ha costituito la rottura definitiva con Roma e la scomunica dei vescovi implicati. Dopo la morte di mons. de Castro Mayer, tre dei quattro vescovi della Fraternità San Pio X hanno a loro volta consacrato mons. Licinio Rangel (nato nel 1936).

Già nell’ottobre 2001 alcune fonti vaticane consideravano prossimo un accordo con il gruppo brasiliano. Il 28 dicembre 2001 un comunicato di mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X, prende atto laconicamente di tali sviluppi, nel contempo sottolineando che nessun accordo è in vista fra Ecône e Roma: "Al contrario - così si è espresso mons. Fellay -, consideriamo la giornata di preghiera delle religioni ad Assisi prevista per il 24 gennaio 2001 come un nuovo ostacolo maggiore a un avvicinamento con il Vaticano".

All’inizio di febbraio, un’analisi della situazione da parte di mons. Fellay

In una lunga intervista accordata da mons. Fellay al quotidiano zurighese Tages-Anzeiger del 5 gennaio 2002, il leader dei tradizionalisti ha confermato che il gruppo di Campos ha deciso di ricongiungersi a Roma, e che aveva assunto lui stesso l’iniziativa di associarli ai negoziati con il Vaticano successivi al suo incontro con il card. Castrillon Hoyos e il Papa, alla fine del mese di dicembre 2000. I colloqui sono proseguiti fino al mese di giugno 2001, dopo di che il cardinale Castrillon Hoyos avrebbe proposto ai brasiliani un accordo separato. Egli disse di percepire tale accordo come un modo di fare pressione sugli altri tradizionalisti, dichiarando di avere l’intenzione di osservare come il gruppo di Campos sarà trattato dalle autorità romane. In effetti, le turbolenze che hanno agitato la Fraternità San Pietro (cioè i tradizionalisti cattolici che si sono sottomessi a Roma dopo le scomuniche del 1988) hanno un po’ allarmato i fedeli di Ecône.

In risposta alle domande del giornalista Michael Meier, mons. Fellay ha inoltre offerto un’analisi delle ragioni che, secondo lui, spingerebbero Roma a cercare una riconciliazione con gli integristi: ovvero essa avrebbe delle implicazioni per il dialogo con le Chiese ortodosse. Queste ultime, egli ritiene, osserverebbero con attenzione il trattamento e il grado di libertà che sarà accordato ai tradizionalisti, prima di spingersi loro stesse eventualmente più avanti in direzione di un’unione con Roma. Mons. Fellay esprime ugualmente il sentimento che Roma si proporrebbe di utilizzare i tradizionalisti quale contrappeso alle forze liberali nella Chiesa. Infine, la dinamica del movimento tradizionalista (in particolare l’elevato numero di ordinazioni sacerdotali) sarebbe un ulteriore motivo per Roma per prestare attenzione al movimento.

Secondo le cifre fornite da mons. Fellay, il movimento lefebvriano conterebbe circa 150.000 aderenti nel mondo [1], dei quali circa un terzo in Francia e 6.000 in Svizzera. In assenza di ricerche statistiche e sociologiche indipendenti che permetterebbero di valutare l’evoluzione dei tradizionalisti, lo studio della letteratura e dei siti web vicini al movimento indica un fenomeno interessante: la progressione di basi tradizionaliste fuori dei territori occidentali che sono stati il terreno d’origine (inaugurazione di centri o gruppi in Asia e Africa).

Quali condizioni di ricongiungimento per Campos?

Secondo le informazioni pubblicate dall’Osservatore Romano, che ne ha fatto il titolo principale dell’edizione di domenica 20 gennaio 2002, mons. Rangel e i 25 sacerdoti dell’Unione San Jean-Marie Vianney avrebbero inviato - il 15 agosto 2001 - una lettera in cui si manifestava la "loro volontà di piena adesione alla Chiesa cattolica". Mons. Rangel vi chiedeva il ritiro della scomunica incorsa in conseguenza della sua elevazione all’episcopato. In occasione della festa di Natale del 2001, il Papa ha inviato a mons. Rangel una lettera autografa con la quale lo assolve dalla scomunica e lo riceve nella piena comunione della Chiesa romana. È questo ad avere permesso la cerimonia del 18 gennaio 2002, a Campos.

Ma la lettera del Papa va oltre: con essa si erige canonicamente l’Unione San Jean-Marie Vianney in Amministrazione Apostolica di carattere personale, dipendente direttamente dalla Sede apostolica, per la cura pastorale dei fedeli rimasti attaccati al rito tridentino. La lettera promette inoltre (e non si tratta di un elemento secondario) di assicurare la successione di mons. Rangel: si tratta dunque apparentemente di una soluzione duratura e non di una misura transitoria ad personam.

Notiamo altri due punti importanti. Anzitutto, l’Amministrazione Apostolica Unione San Jean-Marie Vianney è limitata territorialmente alla diocesi di Campos. D’altra parte, la decisione pontificia trova una via per evitare di collidere con la giurisdizione del vescovo diocesano: la giurisdizione esercitata dall’Amministrazione Apostolica è una giurisdizione "cumulativa" rispetto a quella del vescovo diocesano. Si tratta di una situazione analoga a quella di un Ordinariato Militare, per esempio. Si noti peraltro che mons. Lefebvre aveva suggerito nel 1987 l’applicazione alla Fraternità San Pio X delle norme della Costituzione apostolica Spirituali militum curae, del 28 aprile 1986 (in cui si regola il funzionamento dell’assistenza spirituale ai militari), al fine di permettere così alla Fraternità San Pio X di salvaguardare la propria specificità.

Reazioni della Fraternità San Pio X

La nostra intervista con Luc Perrin ci consente di analizzare le implicazioni di questo avvenimento in maniera più dettagliata. Notiamo qui semplicemente che il ricongiungimento del gruppo brasiliano è stato oggetto di un comunicato stampa firmato da mons. Fellay, il 16 gennaio 2002, in cui si prende atto della cerimonia che si sarebbe svolta due giorni dopo. Mons. Fellay riconosce che l’Unione San Jean-Marie Vianney non ha fatto alcuna concessione dottrinale sostanziale, e osserva che mons. Rangel si riserva il diritto di "criticare in forma positiva" ciò che non risultasse conforme alla Tradizione. Il comunicato lamenta ciò nonostante questa "pace separata": l’unione fa la forza. Un punto particolarmente sensibile: i "rientrati" della diocesi di Campos hanno rinunciato a una condizione che sta a cuore della Fraternità San Pio X la quale, nell’ambito di un accordo, auspica che tutti i sacerdoti possano liberamente scegliere di celebrare la Messa tridentina.

Agli occhi di mons. Fellay, la "crisi nella Chiesa" non è stata quindi risolta in ragione dell’accoglienza del gruppo di Campos da parte di Roma. Con un po’ d’apprensione, la Fraternità San Pio X intende ora seguire gli sviluppi in Brasile per giudicare l’albero dai frutti: nella sua prospettiva, l’affaire di Campos ha valore di test quanto all’avvenire. Ma la querelle non si fonda solo sulla questione liturgica, come dimostra ultimamente il commento assai critico firmato da mons. Fellay il 21 gennaio 2002 per condannare l’incontro interreligioso di Assisi.

1. Si noti che le cifre indicate da mons. Fellay, non sospettabile di volere sottostimare i suoi aderenti, sono assai più modeste di quelle che erano articolate dall’agenzia di stampa cattolica Fides; nell’articolo in cui si riferisce del ricongiungimento del gruppo di Campos, Fides ipotizza il numero di un milione di fedeli nel mondo. Le valutazioni statistiche di mons. Fellay possono verosimilmente essere considerate come più esatte. [back]

(Traduzione di PierLuigi Zoccatelli)

Intervista con Luc Perrin: "Esistono le basi per un dialogo"

di Jean-François Mayer
(articolo tratto dal sito Internet
RELIGIOSCOPE, 25 gennaio 2002: http://www.religioscope.com/info/articles/001_Campos.htm)

 

Docente presso la Facoltà di teologia cattolica dell’Università Marc Bloch di Strasburgo, Luc Perrin è fra gli specialisti francesi delle turbolenze nel cattolicesimo a fare data dal Concilio Vaticano II. Osservatore attento del movimento tradizionalista, ha dedicato il suo primo libro a L’Affaire Lefebvre (Cerf, Parigi 1989). Ha accettato di condividere le sue impressioni sui fatti di Campos e le sue conseguenze. Nelle righe che seguono, lo si noterà esprimersi con un pensiero vigoroso, lungi da un’impostazione asettica. Se Luc Perrin non nasconde i propri sentimenti, le sue considerazioni si fondano sempre su un’analisi incisiva e una profonda conoscenza del soggetto. Ciò che costituisce l’interesse specifico delle sue risposte assai documentate alle domande poste da Religioscope.

 

Religioscope - Salvo errori, la diocesi di Campos rappresenta un caso unico nella storia del tradizionalismo, poiché si trattava in principio del solo vescovo diocesano che aveva raggiunto il movimento tradizionalista. Può spiegarci meglio?

Luc Perrin - Un caso unico con beneficio d’inventario. In effetti, l’originalità di Campos proviene da molteplici fatti.

Anzitutto: Mons. Antonio de Castro Mayer era membro della direzione del Coetus internationalis Patrum, con mons. De Proença Sigaud e mons. Lefebvre. I due vescovi brasiliani hanno svolto un ruolo nella caduta del regime Goulart, nel 1964. Erano legati, attraverso La Pensée catholique, all’ambiente "integrista" europeo e francese. Ora, prima originalità, il vescovo di Campos ha mantenuto nella propria diocesi la liturgia latina tradizionale e ha ignorato il Novus Ordo Missae di Paolo VI. Il caso si è prodotto altrove nel mondo su scala parrocchiale, ma non - a mia conoscenza - a livello diocesano. Va notato che Roma non aveva accordato l’indulto [1], come nel 1971 per l’Inghilterra-Galles, ma non sembra avere rimproverato - almeno pubblicamente - alcunché a mons. de Castro Mayer.

Nel 1981 Roma ha nominato il successore di dom Antonio, giunto all’età canonica di 75 anni, nella persona di mons. Navarro, fermamente deciso a compiere una Gleichschaltung della diocesi a tappe forzate. Da un giorno all’altro il nuovo vescovo è passato alla nuova messa in portoghese; parafrasando Gambetta: "Ecco il nemico: il tradizionalismo!". In tutta obiettività, si può ritenere che Roma abbia commesso una colossale ingenuità mons. Gaillot, scarsamente sospettabile d’"integrismo", ha saggiamente tollerato come i suoi predecessori il curato di Chamblac, così garantendo la pace degli animi. Ciò dimostra inoltre che nel 1981 il movimento tradizionalista è ancora ritenuto a Roma una quantità su cui si può soprassedere.

Di fronte alla sommossa causata dal nuovo vescovo, tutta una parte del clero compie una secessione, con relativa battaglia per le chiese e addirittura per la cattedrale. Nasce così l’Unione sacerdotale San Jean-Marie Vianney (SSJV), con il padre Rifan in qualità di superiore sotto la protezione di dom Antonio. Quest’ultimo si avvicina alla Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) e pubblica un volume a quattro mani con mons. Lefebvre. È vescovo co-consacratore in occasione delle consacrazioni episcopali del giugno 1988, e perciò scomunicato latae sententiae, ovvero per il fatto stesso dell’atto.

Da allora interviene la seconda originalità. Nel 1991 la morte di dom Antonio spinge tre dei quattro nuovi vescovi, dopo la morte di mons. Lefebvre, a recarsi a Campos per consacrare il suo successore, dom Licinio Rangel. Egli inaugura dunque la seconda generazione di vescovi nella linea creata nel 1988.

Segnaliamo come il caso de Castro Mayer si ritrova in quello di mons. Lazo, vescovo emerito di La Union (Filippine), scomparso nel 2000. Il ricongiungimento di mons. Lazo alla FSSPX è intervenuto mentre egli era in "pensione". Il caso Lazo è inoltre interessante perché si trattava di un sacerdote diventato vescovo dopo il Vaticano II, perfettamente integrato nella Chiesa e senza legame con gli ambienti "integristi". Un esempio di ciò che gli americani chiamano reverts (distinti dai converts); cattolici moderni che riscoprono la tradizione preconciliare del cattolicesimo. Meglio ancora, un vescovo residenziale tailandese [2] ha dichiarato di seguire il cammino del defunto mons. Lazo, che ha conosciuto…

Religioscope - Come spiegare questo ricongiungimento, mentre il dialogo tra la FSSPX e Roma, dopo dei segnali positivi, sembra giunto da qualche tempo a un punto morto? È la personalità di mons. Rangel o questo tradizionalismo brasiliano presenta dei tratti diversi dalla corrente europea?

Luc Perrin - Anzitutto la SSJV, dal nome inconfondibilmente francese, è stata associata alle conversazioni Roma-Ecône. Un emissario di mons. Rangel ha incontrato il cardinale Castrillon Hoyos. Inoltre, mons. Lefebvre era entrato nella dissidenza nel 1975-1976, mentre dom Antonio attese molti anni: se fosse stato concesso un indulto, come Paolo VI aveva fatto nel 1971 e Giovanni Paolo II nel 1984, troppo tardi a causa delle pressioni degli "integristi" del nuovo rito, mons. de Castro Mayer non si sarebbe forse visto spinto su questa strada. Mi sembra che i sacerdoti di Campos abbiano ereditato questa attitudine dal loro fondatore, un "Romano" alla maniera dell’abbé Berto [3].

Il tradizionalismo brasiliano è per di più in osmosi con il resto del tradizionalismo europeo o americano. I legami con la Francia sono antichi, ben anteriori al… Vaticano II. Si veda la famosa associazione TFP (Tradizione Famiglia Proprietà), nata in Brasile e che esiste in Europa. Georges Bidault, proscritto OSA, si trova in Brasile durante il Concilio e intrattiene una corrispondenza con mons. Sigaud. La francofilia d’altri tempi delle élite brasiliane ha svolto un ruolo nell’introdurre in Brasile sia il positivismo, sia la corrente anti-moderna che ebbe, nella sua gioventù, in dom Helder Camara un apostolo convinto… Inoltre, come ammette lo stesso dom Licinio, il nuovo vescovo di Campos, mons. Guimaraes, ha riannodato i legami che il suo predecessore aveva brutalmente tagliato. L’impegno del vescovo residenziale ha contato almeno quanto gli sforzi del cardinale Hoyos: 28.000 fedeli seguono la SSJV, un seminario, religiosi, scuole e opere varie, e 25 sacerdoti. Si discerne qui un fattore essenziale per ogni accordo: la mutua confidenza fra gli interlocutori. Un rapporto a tre: i tradizionalisti, i vescovi residenziali, la Curia romana.

È chiaro che l’anello debole di un tale processo in Europa è l’episcopato: ci si ricorderà che il cardinale Eyt si era espresso con compiacimento qualche settimana prima della sua morte a proposito del fallimento dei negoziati con Ecône. Si è detto - una voce fondata? - che a Roma è stata indirizzata una petizione di vescovi francesi per interrompere ogni accordo. Ut unum sint? Nel 1998 il cardinale Ratzinger ha rilevato che una parte dell’episcopato non ha alcun desiderio d’unità… con i cattolici tradizionalisti. Il cardinale Kasper, d’altra parte incaricato presso la Curia di tale unità dei cristiani, è stato uno dei due cardinali a dichiararsi opposto al processo in occasione della riunione solenne presieduta dal Papa all’inizio del 2001. Lo stesso teologo si è calorosamente felicitato del "consenso differenziato" ottenuto ad Augsbourg con i luterani nel 1999. Dunque è più difficile stabilire un "consenso differenziato" con mons. Fellay, vescovo cattolico per quanto illecitamente consacrato? Risolvere questo genere di contraddizione rileva più dalla vaticanologia, "scienza" oscura nella quale lo storico e il sociologo non è che un beota…

È chiaro che se Roma vuole una riconciliazione, deve compiere uno sforzo per stabilire questa confidenza senza la quale non si potrà instaurare alcun consenso, per quanto differenziato, né alcuna communio. Una recente intervista di padre Cottier, nella quale l’iniziativa romana è stata presentata come un’abilità destinata a condurre un passo alla volta i tradizionalisti a cantare le lodi del Novus Ordo, non è di natura tale a consolidare una tale confidenza. Già sono lontani dall’essere sfumati tutti i timori sorti nel 1999 dal "protocollo 1411" della Congregazione per il Culto Divino, in cui si auspica, senza imporlo, che i sacerdoti i quali beneficiano dell’indulto concelebrino una volta l’anno con il nuovo rito. La Curia non è visibilmente unanime nell’appoggiare il desiderio, assai vivo, di Giovanni Paolo II, di guarire questa piaga nel costato della Chiesa; desiderio che animava più di quanto si è detto Paolo VI.

Religioscope - Dopo la Fraternità San Pietro, adesso mons. Rangel è nominato amministratore di una nuova giurisdizione con sede nella diocesi di Campos per la cura pastorale dei fedeli attaccati al rito tridentino… Da una parte, qual è la natura giuridica di un’amministrazione di questo genere? E ancora, ciò disegna l’avvenire di una soluzione vaticana per i fedeli tradizionalisti: vescovi specificatamente designati per la pastorale dei tradizionalisti?

Luc Perrin - Non disponiamo attualmente di tutti i dettagli dello statuto canonico accordato alla SSJV; in particolare, le modalità della successione di mons. Rangel (il quale pare sia sofferente). Vi è il caso dell’apostolato che l’Unione intrattiene fuori dalla diocesi di Campos, ai limiti della quale si arresta la nuova amministrazione. Restrizione importante: la formula proposta alla FSSPX si estendeva a tutto il mondo.

Un’amministrazione apostolica è una struttura prevista dal diritto canonico: ne esistono già altre al mondo. Si tratta di fatto di una quasi-diocesi che ha abitualmente vocazione di diventare una diocesi pleno jure nel contesto di un paese di missione. L’amministratore può d’altro canto non essere vescovo, ma gode di tutti i poteri amministrativi del vescovo. Quindi erige parrocchie, procede alla nomina dei parroci, riconosce le associazioni laicali, ecc. Essendo ormai riconosciuto quale vescovo titolare di Zarna, mons. Rangel potrà ordinare i suoi sacerdoti e dare il sacramento della cresima.

L’amministrazione apostolica personale rappresenta in effetti la soluzione ottimale nel diritto attuale permettendo di sottrarre i fedeli tradizionalisti all’indifferenza o all’animosità di taluni vescovi (il caso di Campos nel 1981 non è unico). Incomprensione soprattutto di un clero diocesano d’età avanzata che ha fatto negli anni 1960 una difficile transizione e che, conseguentemente, è spesso incapace di analizzare in termini contemporanei la richiesta dei tradizionalisti, soprattutto se si tratta di giovani sacerdoti e seminaristi. La cura d’anime dei tradizionalisti è così deliberatamente lasciata allo sbando in numerose diocesi, su opinione/ingiunzione del Consiglio presbiterale, in nome della "pastorale diocesana" o con altri pretesti.

Sottolineiamo che il tradizionalismo attira un pubblico giovane in una Chiesa che in Occidente invecchia. I giovani adulti recuperati - specie diventata rara nel cattolicesimo - dalle messe tradizionali rompono con le persone via via più anziane che popolano e animano le celebrazioni parrocchiali, al di fuori del caso particolare delle nuove comunità.Il Papa aveva richiamato fin dal 1988 i vescovi a concedere l’indulto liturgico (e la disciplina tradizionale) in maniera "ampia e generosa". Con l’eccezione significativa degli Stati Uniti, l’appello è stato ignorato - per esempio in America Latina e in Africa; recentissima autorizzazione in Asia (una sola a Bombay per tutta l’India, dal 2001, e ancora una volta al mese!) - o accordato malvolentieri con molte condizioni non previste dai testi. La conferenza episcopale Inghilterra-Galles ha così rifiutato ogni tipo di missione a un sacerdote formatosi in un istituto tradizionale (come per esempio la Fraternità San Pietro e l’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote). Solo due vescovi diocesani al mondo hanno concesso il libero utilizzo del messale del beato Giovanni XXIII (1962): il vescovo di Stoccolma e quello di Lincoln (USA), dove è stato costruito il nuovissimo seminario della Fraternità San Pietro. Alla basilica romana di San Pietro il cardinale arciprete ha dato ordine ai sacrestani di bloccare i sacerdoti che "non celebrano la messa del Papa" (sic): sono dispersi e il loro messale confiscato. "In maniera ampia e generosa", davvero?

Giovanni Paolo II ha rinnovato il suo appello ai vescovi nel 1998, ma senza eco. Da molto tempo la Federazione internazionale Una Voce (attualmente presieduta da Michael davies) reclama una soluzione canonica che permetta di stabilire la pace liturgica oltrepassando gli ostacoli sistematicamente opposti da quanti - peraltro - si vogliono spesso gli araldi del dialogo e della carità fraterna tra cristiani e non cristiani. Le petizioni e suppliche indirizzate al Papa sono rimaste fin qui lettera morta.

In altre parole, la semplice persuasione dei vescovi e del clero tramite lenta osmosi ha prodotto dei risultati innegabili - nel 1988 l’accordo mancato con mons. Lefebvre aveva suscitato gridi d’allarme che non si sentono più -, ma ha mostrato i suoi limiti. L’amministrazione apostolica è senza dubbio una tappa necessaria per aiutare la gerarchia e il clero del nuovo rito a progredire nell’ecclesiologia della comunione. Nulla di assolutamente nuovo, se si pensa agli orientali cattolici della diaspora in Europa e in America. Armeni e greco-cattolici ucraini dispongono delle loro diocesi personali in Francia; parrocchie nazionali esistono dal XIX secolo negli Stati Uniti…

È possibile che amministratori apostolici continentali o altri vedano la luce, a partire dall’esperienza di Campos. L’unità della Chiesa non è quello che volevano i più fanatici fra gli ultramontani, disillusi dal Vaticano… I: una uniformità. Il religioso domenicano padre Cottier osservava che il suo ordine ha fruito sino al Concilio di un proprio rito all’interno della Chiesa cattolica, senza che l’unità sia mai stata messa in questione. Si sa che san Pio V, il Papa domenicano che ha promulgato il messale del 1570, celebrava la messa in privato secondo il rito… domenicano?

La reazione prudente e aperta di mons. Fellay (FSSPX) mostra che esistono le basi di un dialogo. Taluni a Roma e fra gli episcopati non ne vogliono sapere nulla; costoro possono contare su quanti, nella Fraternità San Pio X, ritengono che Roma sia un luogo di spiriti diabolici (si vedano le dichiarazioni di mons. Williamson, uno dei quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre, all’inizio del 2001). Nella Fraternità San Pio X una buona metà dei sacerdoti sono stati formati dopo la rottura con Roma (1988). Campos costituirà un test maggiore sulla natura della pertinenza del nuovo approccio canonico.

Ma tale approccio non esclude altri tentativi. Il "consenso differenziato" di Augsbourg ha richiesto molta pazienza. È nato dal lavoro dei teologi, dalla mutua conoscenza dei partner ecclesiali, da un fermo impegno dei responsabili delle Chiese. La questione liturgica nel cattolicesimo richiama a un simile sforzo, aldilà delle imprecazioni di una parte (Ecône) e dell’atteggiamento di sufficienza dell’altra parte (i favorevoli al nuovo rito).

L’impegno intellettuale del cardinale Ratzinger è a tal proposito significativo: il suo ultimo libro, Lo spirito della liturgia, dimostra il cammino percorso dal 1969. All’inizio del 2001 mons. Fellay ha riconosciuto l’emergenza di una corrente critica nei confronti dei principi base che hanno presieduto al Novus Ordo nella Chiesa cosiddetta "conciliare". Un giusto apprezzamento del Vaticano II, nella sua complessità, è inoltre possibile: ancora timidamente, la FSSPX si è impegnata su questa strada (sforzi di riflessione, organizzazione di convegni, ecc.); non senza tensioni, come dimostra il volume che denuncia le supposte deviazioni dottrinali della messa di Paolo VI, in maniera ancor più radicale di quanto facesse mons. Lefebvre. La dimensione tradizionale del Vaticano II è al contrario via via denunciata dai teologi riformatori.

Una commissione mista FSSPX - Commissione Ecclesia Dei [4] e altre ancora potrebbero operare nella direzione dei tentativi di Augsbourg, relazionando all’istanza ecclesiale di riferimento ogniqualvolta vi fossero degli avanzamenti. Vi è in questa direzione, mi pare, un modello da seguire.

Il Papa ha recentemente lodato, in termini forti, il messale romano detto di san Pio V, che ha paragonato ai riti orientali. Egli stesso non ha più celebrato con questo rito dal 1970. Potrebbe imitare il suo fratello nell’episcopato di Stoccolma e concedere ai sacerdoti, nella sua diocesi, Roma, l’utilizzo libero del messale romano tradizionale, per rispondere in parte a una richiesta formulata da Ecône. Giovanni Paolo II ha posto in essere atti spettacolari che hanno sbriciolato diffidenze plurisecolari (si veda il muro del pianto, la visita ad Atene, ecc.). Pellegrino dell’unità e fidei defensor, può continuare a sorprenderci su questo terreno. Il mondo della Tradizione è decisamente un mondo dove accade sempre qualcosa di nuovo.

(Traduzione di PierLuigi Zoccatelli)

 

 

1. Il termine designa privilegi e concessioni speciali accordate dall’autorità pontificia al di fuori di regole ordinarie.

2. Luc Perrin si riferisce a mons. Jean Bosco Chuabsamai Manat, vescovo della diocesi di Ratchaburi (Tailandia). In occasione di un lungo intervento pronunciato il 15 febbraio 2001 al Seminario San Tommaso d’Aquino di Winona (Minnesota) - intervento il cui testo circola negli ambienti tradizionalisti -, mons. Manat - ordinato sacerdote nel 1961 ed elevato all’episcopato a Roma, nel gennaio 1986, dallo stesso Giovanni Paolo II - ha narrato il suo itinerario, compresi i suoi contatti con mons. Salvador Lazo (1916-2000) e il suo ritorno al rito tridentino, nel 2000. Mons. Manat spiega ugualmente in tale occasione come intende proseguire il ministero episcopale nella sua diocesi senza dividere i fedeli, ma istruendoli progressivamente per un ritorno alle pratiche tradizionali. Mons. Manat avrebbe celebrato la messa a Ecône per un gruppo di pellegrini asiatici, il 16 agosto 2000. Osserviamo ancora, peraltro, che mons. Manat aveva apparentemente sviluppato buoni contatti con la veggente Vassula Ryden: l’ha accolta in occasione del suo viaggio in Tailandia, nel 1999 e intratteneva già con essa relazioni anteriori. Infine, Luc Perrin ci segnala che egli fu per lungo tempo incaricato del dialogo interreligioso per conto dell’episcopato asiatico.

3. Sacerdote bretone, fondatore delle Domenicane di Pontcallec, fu il teologo privato di mons. Lefebvre durante il Concilio ed esperto del Coetus. È morto nel 1968. (Nota di Luc Perrin)

4. La Commissione Ecclesia Dei, istituita nel 1988, risulta dal protocollo firmato e poi rigettato da mons. Lefebvre. Essa riceve facoltà speciali per facilitare l’accoglienza nella comunione romana dei tradizionalisti separati. Ha la tutela degli istituti e ordini religiosi tradizionali, opera la sanatio in radice per il sacramento del matrimonio, rilascia talora individualmente dei celebret a sacerdoti. Dopo il 1991, essa ha posto l’accento sulla persuasione dei vescovi refrattari al motu proprio; non ha emesso consegne assai aperte, con una eco reale, che per l’episcopato americano. Dal 2000, il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero è anche presidente di questa Commissione, il cui segretario, sin dall’inizio, è mons. Camille Perl. Nel 2001 il Papa vi ha nominato il card. Ratzinger, mons. Herranz, il card. Medina Estevez e il card. Billé. (Nota di Luc Perrin)

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