CESNUR - center for studies on new religions

BOZZA NON CORRETTA

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 31 ottobre 2002




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La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di Francesco Pizzetti, presidente della commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa, l'audizione di Francesco Pizzetti, presidente della commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Ringrazio il professor Francesco Pizzetti, presidente della commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri che è accompagnato dalla dottoressa Eliana Minkus, per aver accolto il nostro invito e gli do subito la parola.

FRANCESCO PIZZETTI, Presidente della commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ringrazio la Commissione per la possibilità che mi offre di esprimere alcune opinioni e per le domande che i suoi membri vorranno pormi.


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Immagino che sarò utile alla Commissione specificatamente per la mia lunga esperienza come presidente della commissione interministeriale, così come prevista nel nostro ordinamento, per l'istruzione delle intese, che, successivamente, procedono negli organi politici di Governo e concludono il loro iter con l'invio delle relative proposte di legge in Parlamento.
Sul progetto di legge in esame si è lungamente dibattuto nella commissione per la libertà religiosa, di cui sono membro, che ha espresso parere favorevole; tale normativa ha l'obiettivo di adeguare l'ordinamento legislativo della Stato italiano al suo quadro costituzionale e all'esperienza che al riguardo si è sviluppata in cinquant'anni, ad opera sia della Corte costituzionale sia della commissione per le intese.
Sottolineo l'importanza rivestita dal capo terzo del disegno di legge per la disciplina del procedimento di formazione delle intese, che oggi è regolato dalla legge n. 400 e dalla prassi seguita.
Le intese, siglate ed approvate dal Parlamento, e diventate legge dello Stato, sono numerose; è altresì noto che la commissione ha già concluso sia in fase preliminare sia in istruttoria altri accordi, approvati dal Consiglio dei ministri e presentati al Parlamento, che concernono i testimoni di Geova e l'Unione buddhista italiana; altre intese, poi, hanno raggiunto la fase terminale della loro istruttoria in commissione, e quindi sono state rimesse all'attenzione del Governo, nella veste del sottosegretario Letta, per la loro valutazione: sono quelle relative all'Unione delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, alla Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, alla Sacra arcidiocesi d'Italia ed esarcato per l'Europa meridionale, alla Chiesa apostolica in Italia, all'Istituto buddhista italiano Soka Gakkai, e all'Unione induista italiana.


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Il procedimento previsto nella proposta di legge in esame fornisce una copertura normativa a quanto già si verifica nell'iter di attuazione dell'articolo 8 della Costituzione.
Sulle altre parti della proposta prevale l'opinione dello studioso più che quella del presidente della commissione per le intese e, comunque, mi sembrano conformi all'ordinamento costituzionale; devo dire che, ed in tal caso mi esprimo anche come presidente, le stesse risultano essere coerenti con i criteri che la commissione ha sempre mantenuto in sede di rapporti con le confessioni religiose.
Deve essere sempre ricordato che l'avvio dell'intesa presuppone che la confessione religiosa richiedente o l'ente esponenziale rappresentante abbiano avuto il riconoscimento del Ministero dell'interno, sentito il parere del Consiglio di Stato; ciò che è previsto nella proposta di legge in esame dà certamente garanzia significativa allo Stato italiano in ordine alla controparte con cui si intavola l'intesa, corrispondendo a quanto da sempre, in attuazione dell'articolo 8 della Costituzione, i governi italiani si sono preoccupati di ottemperare.
Le intese richiamate, quindi, sono state stipulate con le confessioni religiose che hanno avuto il riconoscimento della personalità giuridica e della loro qualificazione di confessione religiosa per decreto del Ministero dell'interno, sentito il parere del Consiglio di Stato; la proposta di legge in esame rende obbligatorio tale parere, rafforzando così la garanzia della verifica tecnica di legittimità e di apprezzamento contenutistico circa i requisiti dei soggetti richiedenti le intese sotto l'aspetto della loro rappresentatività di confessioni religiose, senza però incidere nella libertà religiosa e senza trasformare l'ordinamento italiano in un ordinamento teologicamente ispirato.


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MARCELLO PACINI. Volevo avere ulteriori informazioni sul rapporto fra le intese e la normativa prevista dalla primo e dal secondo capo della proposta di legge in esame.
Vorrei sapere, infatti, se dalle intese sia concesso di più di quanto previsto nella proposta di legge sulla libertà religiosa, ed in caso positivo, perché ciò non sia stato incluso nell'articolato in questione.

CARLO LEONI. La mia domanda concerne l'esperienza compiuta nel siglare le diverse intese citate. È chiaro che l'intesa è siglata con un ente esponenziale, rappresentativo di una confessione religiosa, che ha avuto il proprio riconoscimento con decreto del Ministero dell'interno. È accaduto in qualche caso che la confessione religiosa in questione fosse rappresentata da più enti, derivandone qualche difficoltà nel raccordare i diversi soggetti rappresentativi? Oppure tutte le intese stipulate erano rappresentate da un unico rappresentativo ente esponenziale?

MARCO BOATO. Sia pure nella convergenza del suo giudizio, ho notato che il professor Pizzetti ha distinto l'apporto della conoscenza derivante dalla carica ricoperta in commissione da quello inerente alla sua figura di studioso costituzionalista.
Nel dibattito politico generale sulla proposta di legge in esame, di cui è relatore il collega Bondi, e nel corso delle precedenti audizioni, la Commissione ha registrato alcune riserve politiche esplicite del gruppo parlamentare della Lega nord Padania; oltretutto, nel corso di una particolare audizione, tenutasi il 22 ottobre 2002, in cui era presente non un costituzionalista, bensì un insigne sacerdote, don Baget Bozzo, si demoliva totalmente dal suo punto di vista, che non condivido ma rispetto, la legittimità costituzionale del disegno


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di legge in esame, che in qualche maniera si colloca con continuità istituzionale nel solco tracciato dai provvedimenti presentanti dai governi precedenti.
Vorrei conoscere, quindi, il suo giudizio dottrinale di costituzionalista sui profili di correttezza costituzionale del progetto di legge in esame, ed, inoltre, desidererei sapere quali problematiche potrebbero sorgere nell'approvazione del testo che personalmente auspico, in relazione alle confessioni religiose, come l'Islam, che non abbiano ancora stipulato o neanche avviato l'intesa.
Molte delle riserve, emerse esplicitamente in particolare da parte dei colleghi della Lega nord Padania e di don Baget Bozzo, che è stato molto più radicale nei suoi giudizi, nascono dal timore per i problemi connessi alle future intese con gli enti esponenziali dell'Islam; vorrei sapere, quindi, se la commissione abbia cominciato ad esaminare tali questioni e se lei sia in grado di poter sottoporre al nostro esame le sue eventuali riflessioni dottrinali.

FRANCESCO PIZZETTI, Presidente della commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri. La questione posta dall'onorevole Pacini ha due diversi profili, uno in rapporto alle intese già stipulate, o in via di definizione, e alla normativa presente nel primo e nel secondo capo della proposta di legge in esame, l'altro invece inerente al contenuto del progetto di legge in esame e alle intese stipulate.
Il primo aspetto rilevato riguarda la norma contenuta nel progetto di legge sulla libertà religiosa quale elemento individuale, che, naturalmente, non forma oggetto specifico di un intesa, ma fa sempre riferimento ad una confessione religiosa, cioè ad un soggetto organizzato ed esponenziale che di norma domanda allo Stato italiano una specifica disciplina dei


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rapporti, per definizione derogatoria rispetto all'ordinamento comune; tant'è che per intesa si intende un insieme di norme disciplinanti i rapporti tra lo Stato ed il soggetto, in modo invariabilmente diverso da ciò che l'ordinamento italiano prevede. Il disegno di legge in esame individua posizioni soggettive da riconoscere a tutte le confessioni religiose e alle credenze, nelle quali ognuno possa riconoscersi.
Esistono, naturalmente, alcune coincidenze tra le due normative, in quanto il testo fa tesoro e rende generali alcuni aspetti presi in considerazione da parte di tutte le intese stipulate; ad esempio, la norma sulla possibilità di assicurare riti di sepoltura coerenti con la fede o la credenza di appartenenza, in quanto compatibili con i regolamenti mortuari, è una formula di carattere generale già individuata in ciascun intesa, con riferimento specifico alle caratteristiche della confessione religiosa in questione: nell'intesa con l'Unione buddhista italiana è stato chiesto l'inserimento della possibilità di procedere ai riti di sepoltura dopo 72 ore dalla dichiarazione di morte del fedele; tale esigenza è stata inclusa in una disposizione, che prevede la possibilità di avvalersi di apparati tecnici e scientifici per assicurare il mantenimento del cadavere per 72 ore prima del rito della sepoltura.
Nel progetto di legge in esame vi è un'altra norma di carattere generale, che consente di assentarsi dal proprio luogo di lavoro, quando ricorrano feste o rituali delle confessioni religiose di appartenenza. Nelle singole intese, ovviamente, si individuano sia le festività religiose sia la tutela riguardante i lavoratori fedeli: ad esempio, nell'intesa con l'Unione buddhista italiana è previsto che l'ultimo lunedì di maggio, in occasione della festa della Vela, sia possibile assentarsi dal luogo di lavoro con il consenso del datore di lavoro e con il recupero dell'attività lavorativa in altro giorno.


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In sostanza, il rapporto esistente tra le due normative è di specificazione nelle singole intese di profili che, invece, nel testo in esame sono indicati in termini generali, attraverso norme che fanno genericamente riferimento alla titolarità di diritti riconosciuti, in quanto applicabili, per esempio in materia di sepoltura, o di permessi lavorativi per la santificazione delle feste.
La coincidenza fra le intese e la disciplina in esame appare essere sia nei limiti rappresentati da una normativa di carattere generale che, se fosse approvata, troverebbe nelle intese la sua specificazione, sia nel quadro di un testo che riflette, trasfondendoli nelle norme, i criteri che le varie commissioni per le intese, i governi, ed i parlamenti hanno nel tempo fatto propri.
Sulla prosecuzione dei procedimenti inerenti alle intese in corso non posso essere esaustivo, in quanto non faccio parte del Governo; sono, comunque, di competenza del sottosegretario Letta, titolare della fase istruttoria, cui la commissione è sottoposta.
Oserei dire che non siamo stati bloccati nelle procedure dall'esame del progetto di legge in questione. Avendo comunicato i nostri lavori al sottosegretario, lo stesso starà compiendo le sue valutazioni: non c'è una diretta connessione tra il testo in discussione ed i problemi relativi alla prosecuzione o meno dei procedimenti di intesa avviati.
Sui temi sollevati dall'onorevole Leone, affermo che abbiamo già avuto casi in cui l'intesa è stata stipulata con un rappresentante di una pluralità di soggetti: un tipico caso è rappresentato dall'Unione buddhista italiana, che è soggetto a carattere associativo e che rappresenta e ricomprende le scuole buddhiste aderenti. L'intesa con l'Unione buddhista italiana è particolarmente interessante sia perché è la prima


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che riguarda una tradizione di tipo non giudaico-cristiana sia perché è stipulata con un'associazione, quale ente esponenziale, ricomprendente al suo interno una pluralità di scuole buddhiste. Si tratta, oltretutto, di un intesa a «geometria variabile», nel senso che vale per tutte le scuole aderenti a tale associazione, ma cessa di avere valore per la scuola non più associata.
Il nostro interlocutore è l'Unione buddista italiana, tutti gli oneri nei suoi confronti che discendono dall'intesa, ad esempio l'individuazione delle figure assimilabili ai ministri di culto, alle quali si applica la regolamentazione prevista dall'intesa, è a cura e sotto la responsabilità dell'UBI, così come molti altri aspetti. Tuttavia, il soggetto con il quale l'intesa, firmata dal sottosegretario prima e dal Presidente del consiglio dopo, è stata elaborata è unitario ed è il rappresentante del soggetto con il quale l'intesa è stata stipulata. Infatti, sia nella fase preliminare, in cui vi è stato la scambio di sigle fra il sottosegretario ed il rappresentante dell'UBI, sia nella fase successiva, in cui il Presidente del consiglio ha siglato l'intesa oggetto del disegno di legge presentato in Parlamento, la controparte è stata rappresentata dal presidente dell'Unione delle scuole buddiste italiane.
Per quanto riguarda le domande poste dall'onorevole Boato in ordine al giudizio di costituzionalità di questo disegno di legge, mi riprometto di esprimere una valutazione scritta più meditata, poiché la questione coinvolge direttamente la mia professionalità e non solo la carica che pro tempore ricopro. Comunque, in qualche modo ho anticipato la mia opinione quando ho asserito che mi sembra che questo disegno di legge abbia l'effetto di mettere in asse l'ordinamento legislativo italiano con il quadro costituzionale, facendo tesoro anche di tutte quelle esperienze che in questi anni hanno caratterizzato


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l'operato dello Stato italiano in materia religiosa: dell'attività svolta dalle corti, in particolare dalla Corte costituzionale; di legislazioni di settore, che non sono mancate; di intese, della stessa revisione del Concordato attraverso gli accordi con la Chiesa cattolica.
Per quanto riguarda l'altra domanda dell'onorevole Boato, quella relativa alle eventuali conseguenze che l'approvazione di questo disegno di legge potrebbe avere in ordine ad una possibile intesa con l'Islam, devo dire che, per lo stesso motivo per cui mi sono soffermato sulla parte relativa alle intese, non vedo la necessità di grandi modifiche in ordine ai problemi connessi all'eventualità di un'intesa con l'Islam, perché il disegno di legge mantiene il problema di fondo, che già oggi caratterizza la situazione, in tutta la sua rilevanza. Si tratta sempre di individuare chi possa rappresentare la confessione religiosa islamica, non necessariamente un solo soggetto, perché noi sappiamo bene come anche la confessione religiosa cristiana abbia una pluralità di intese, almeno una dozzina, che si riconducono tutte alla religione cristiana latamente intesa. In ogni caso, oggi è richiesto, e il testo lo conferma conferendo una copertura legislativa, il vincolo del riconoscimento da parte del Ministero dell'interno del carattere di confessione religiosa o ente esponenziale; in più il disegno di legge ribadisce che a rappresentare la confessione debbono essere cittadini italiani. Quest'ultimo rappresenta dal punto di vista formale uno dei motivi per i quali non si è mai posto il problema di avviare intese che avessero come punto di riferimento soggetti rappresentativi della religione islamica, poiché tuttora non vi sono soggetti riconosciuti dal Ministero dell'interno come esponenziali di questa religione che rispettino anche la condizione di essere rappresentati da cittadini italiani. Il Centro culturale islamico, riconosciuto e con


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personalità giuridica, certamente riconducibile alla confessione islamica, nei suoi organi direttivi è però costituito da tutti cittadini stranieri, cioè dagli ambasciatori dei paesi islamici dell'area del Mediterraneo. Pertanto abbiamo un elemento ostativo ad avviare una ipotesi di intesa con questo soggetto giuridico. Maggiore problemi vi sono per le altre realtà presenti nel territorio italiano, che non rispondono ai requisiti indicati dalla legge. Soltanto per una di queste il procedimento che può condurre ad un eventuale riconoscimento è in fase avanzata, ma in ogni caso per nessuna di esse si è giunti al riconoscimento formale da parte del Ministero degli interni.

MARCELLO PACINI. Vorrei approfittare della presenza del professor Pizzetti per porre, sulla scia della questione posta dall'onorevole Boato, un problema che appare speculare ad essa. Dato che ormai siamo d'accordo che il problema più delicato è rappresentato proprio dall'Islam, vorrei capire se, nell'esame che eventualmente il Consiglio di Stato dovesse fare sulla congruità degli statuti necessari per ottenere la personalità giuridica, potranno avere rilevanza aspetti fondanti dell'Islam. In particolare mi riferisco ad un aspetto in palese contraddizione con quanto previsto dal disegno di legge, dove si afferma il diritto di mutare religione o credenza, poiché è noto a tutti che nell'Islam non è possibile abbandonare la propria religione, anzi in diversi casi l'apostasia è considerato un gravissimo reato punito con la morte. Quanto previsto all'articolo 2 del disegno di legge è un aspetto che rileva nell'esame necessario al riconoscimento di un ente esponenziale della confessione islamica, oppure no?

FRANCESCO PIZZETTI, Presidente della Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del consiglio dei ministri. Sicuramente sappiamo che


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il Centro culturale islamico, il quale pur sottolineando con enfasi le sue finalità culturali contiene nel suo statuto anche finalità di carattere religioso, è stato oggetto di un parere favorevole al suo riconoscimento da parte del Consiglio di Stato ed è stato poi riconosciuto dal Ministero dell'interno. Pertanto abbiamo un precedente che ci indica che gli organi competenti nel nostro ordinamento alla verifica della sussistenza degli elementi necessari al riconoscimento hanno dato parere positivo al riconoscimento anche di un soggetto rappresentativo della religione islamica. Per quanto mi risulta il Consiglio di Stato ha già dato parere favorevole anche rispetto ad altri soggetti rappresentativi della religione islamica.
Penso che il Consiglio di Stato non abbia ritenuto di dare specifica rilevanza all'elemento al quale faceva adesso riferimento l'onorevole Pacini, tenendo anche conto che comunque, allo stato attuale, questo è un disegno di legge e che il problema caso mai si potrebbe porre nel momento in cui questa proposta divenisse legge. Se ho ben capito l'onorevole Pacini sostiene che il contenuto di questa norma dovrebbe o potrebbe diventare elemento ostativo al riconoscimento dell'Islam come confessione religiosa. Questo problema eventualmente nascerebbe dopo.
In sostanza ritengo si possa affermare che il Consiglio di Stato, avendo già riconosciuto il carattere di ente esponenziale di una realtà religiosa al Centro culturale islamico (essendo questo rappresentativo della regione islamica), finora non ha ritenuto di dare particolare attenzione all'elemento cui faceva riferimento l'onorevole Pacini. Posso sommessamente ricordare - anche qui riservandomi un più approfondito esame - che la norma contenuta nel disegno di legge pone un dovere


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allo Stato italiano, quello di garantire al cittadino la libertà di cambiare religione. Non si può imporre alla religione interessata di riconoscere l'apostasia.
Stiamo trattando un disegno di legge che regola i rapporti tra lo Stato italiano e i suoi cittadini; quindi in questo modo lo Stato italiano si impegna a non dare nessuna rilevanza per un verso, e a tutelare dalle eventuali conseguenze negative per l'altro, rispetto a mutamenti di credenza o di confessione religiosa. Da qui a farne discendere che, ove questo provvedimento venisse approvato, dovremmo imporre alle religioni l'obbligo di riconoscere il diritto di apostasia o non riconoscere come rientranti nelle previsioni di questo disegno di legge le confessioni che non riconoscano questa facoltà, allora forse il salto non è così breve.
Credo che le previsioni in esame impegnino lo Stato italiano verso i cittadini, senza farne derivare il dovere di imporre alle singole confessioni religiose i medesimi parametri. Non sarei immediatamente d'accordo con l'idea che da questo poi possa derivare che una religione che non riconosca il diritto di apostasia non possa essere riconosciuta ai sensi di questa legge. Anche perché (ma qui l'onorevole Pacini è infinitamente più esperto di me in materia) credo che siano poche le religioni che riconoscano come un fatto normale il cambiamento di confessione religiosa da parte dei propri fedeli. Forse c'è chi la chiama apostasia, chi la chiama scomunica, chi la chiama in altro modo, ma penso che tutte le confessioni religiose diano un giudizio negativo in proposito.

MARCO BOATO. Poco fa si parlava dell'Opus Dei e di quanto fosse difficile uscirne (adesso lo è un po' di meno); a volte all'interno di una stessa religione le singole istituzioni rendono difficile l'apostasia.


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PRESIDENTE. Ringrazio il professor Francesco Pizzetti e la dottoressa Minkus per la loro disponibilità. Ringrazio altresì anticipatamente il professor Pizzetti qualora dovesse ritenere utile fornire una documentazione integrativa ed ulteriori chiarimenti sulle tematiche odierne.

Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 14,45, è ripresa alle 14,50.

Audizione di Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa, l'audizione del professor Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale. Ringrazio il nostro ospite per aver accettato il nostro invito e gli cedo immediatamente la parola.

GIOVANNI CONSO, Presidente emerito della Corte costituzionale. Dirò subito, dopo la mia riconoscenza per questo lusinghiero invito, che per me quello in oggetto è un testo molto positivo e ben articolato, dai precedenti risalenti nel tempo, che hanno subito via via variazioni e miglioramenti, frutto di una intensa attività dialettica. Ora, si è giunti ad una sorta di stabilizzazione della situazione. Non voglio certo mancare di rispetto ad altri disegni di legge presentati in Parlamento, se dico che a volte ve ne sono di affrettati, frutto di stimoli improvvisi. Questa tematica risale, invece, ai tempi della Costituzione: vissuta in tanti modi, ha subito una svolta nel 1984. Un percorso così lungo e complesso spiega la maturazione raggiunta sul piano sia tecnico che politico, Poiché ne è oggetto un bisogno reale, occorrerebbe - a mio avviso - accelerare i tempi per far


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nascere la legge il più presto possibile, anche se si tratta di un disegno complesso, su cui non sarà facile raggiungere in breve l'ampia adesione auspicabile.
Detto che in breve che il testo si avvale di una sistematica felicemente lineare, con una prima parte dedicata ai diritti fondamentali degli individui, una seconda parte rivolta alle confessioni ed associazioni religiose e una terza dedicata alla questione delle intese, aggiungerò subito che, in particolare, sono da apprezzare gli aspetti riguardanti i rapporti internazionali. Trovandoci a vivere in una società che si allarga sempre di più, e nella quale si intersecano etnie, lingue e religioni, assume crescente importanza l'esigenza di trovare strumenti che permettano a ciascun individuo, a ciascuna etnia, a ciascuna religione, di partecipare e vivere liberamente a livello internazionale la proprio specificità. La relazione al disegno di legge dà ampiamente conto di tutto ciò, con una serie di puntuali riferimenti. Resta, tuttavia, cruciale fare in modo che l'articolo 10 della Costituzione diventi realtà concreta, a cominciare dal comma che ci impone di conformare il nostro ordinamento alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto. Del resto, le convenzioni cui siamo specificamente legati richiamano costantemente la libertà di religione e di coscienza in modo molto lato, sia pure sempre in ottica individuale. Infatti, le convenzioni internazionali aventi ad oggetto la tutela dei diritti umani fondamentali impegnano gli Stati nei confronti degli individui. Ma, quando si affronta un ambito come quello delle religioni, che comporta anche la libertà di riunirsi in chiede, locali riservati, gruppi, non si tratta più di un fatto individuale (come è, invece, il caso della libertà di coscienza). Poiché la religione implica rapporti con altri soggetti con cui ci si trova all'unisono, ecco che attraverso questi gruppi si partecipa alla vita sociale.


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Il ruolo delle convenzioni internazionali è, dunque, doppiamente importante. In primo luogo, perché richiama l'Italia all'esigenza di adeguarvisi: ogni tanto emergono anche tra noi rivendicazioni del proprio io nazionalista, dimenticando che, se si fa parte di una convenzione internazionale (salva sempre la libertà di uscirne), è indispensabile attenervisi. Un altro aspetto positivo da sottolineare anche rispetto a recenti scritti che hanno evidenziato riserve e timori, è che sono proprio le convenzioni internazionali a non configurare una libertà di religione illimitata, poiché esistono limiti sufficientemente precisi, e non solo quello del buon costume previsto anche dalla Costituzione italiana, ma anche quelli dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica.
Il timore che tali norme possano favorire i terroristi è infondato, poiché costoro riescono comunque ad entrare, libertà religiosa o no, come si è visto anche in altri paesi. L'essenziale sul piano giuridico è che le norme, ispirandosi alle convenzioni internazionali, pongano limiti e stabiliscano controlli, magari migliorando quelli esistenti. La parte relativa al riconoscimento delle associazioni ed alle domande per arrivare all'intesa contiene, mi sembra, indicazioni piuttosto precise. Devono esservi riscontri da parte di autorità anche diverse proprio per verificare la corrispondenza con l'ordinamento giuridico nazionale. I timori che vengono ventilati trascurano le norme scritti in Costituzione, nelle convenzioni, nello stesso disegno di legge.
Ho da avanzare soltanto una riserva, anzi più che una riserva un suggerimento, quanto al problema del «rappresentante». L'istanza viene presentata a nome di un gruppo che, per giungere ad un'intesa, presenta la relativa richiesta, da sottoporre ad una procedura ben delineata. Il problema che si pone soprattutto per l'Islam, divenuto il nodo centrale, dopo che molte intese con altri culti sono già state raggiunte e non poche tradotte in legge.


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Se l'attuale disegno - ripeto - non è carente quanto a cautele, dovendo le confessioni religiose rispondere ai principi dell'ordinamento giuridico e alle esigenze sia del buon costume che dell'ordine pubblico, ad esigere una riflessione è l'articolo 30, là dove è scritto che il Presidente del Consiglio invita la confessione interessata ad indicare «chi» a tale fine la rappresenti e il termine «chi» può indicare una o più persone. Leggendo, invece, l'articolo 35, relativo alla firma dell'intesa, ci si accorge che essa dovrebbe essere firmata dal Presidente del Consiglio con «il rappresentante» della confessione. Il «chi» indeterminato diventa così il «rappresentante», indicandosi in questo modo una singola persona.
Quid se una confessione religiosa, come quella islamica, ha diversi rappresentanti non in sintonia tra loro? In casi come questo, lo stabilire che un solo rappresentante possa firmare l'intesa crea, in partenza, un problema. Ma non penso sia irrisolvibile. Il precedente del cristianesimo insegna molto, essendo i cristiani da sempre fortemente divisi fra loro, tanto che le relative intese con il nostro Stato sono certo più d'una.

MARCELLO PACINI. Intendo approfittare della presenza del presidente Conso per sottoporgli una questione riferita all'Islam, perché - come è facile capire - è questo il problema all'ordine del giorno. Sto cercando di capire come questo problema possa essere affrontato con la dovuta cautela, ma anche nel pieno rispetto della nostra Costituzione.
A mio avviso, instaurare un linguaggio comune, relativamente all'argomento in esame, è molto difficile; a tal fine, si deve considerare che le religioni, pur potendo avere tutte lo stesso sviluppo, si trovano oggi a diversi stadi di evoluzione per quanto attiene al rapporto tra Stato e società civile. Tutti i giorni si sente dire che noi cristiani abbiamo vissuto un grande processo di secolarizzazione; la società in cui viviamo, quindi,


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è diversa da quella medievale. L'Islam, invece, vive un momento storico diverso, già attraversato dall'Occidente qualche secolo fa; un periodo in cui il sacro ha un'importanza maggiore. Il problema è riuscire a tarare le nostre categorie nel modo giusto per interpretare i fatti che accadono in Islam e per capire il significato del vocabolario che l'Islam usa. Sono dell'avviso che, approvando questo provvedimento, stiamo facendo un'operazione che, per così dire, «italianizza» l'Islam coll'operare alcune forzature. Per esempio, si promuove l'imam a ministro di culto, figura, quest'ultima, inesistente nell'Islam. Però, siccome dobbiamo applicare categorie a noi note e familiari - ed anche perché abbiamo bisogno di qualcuno che amministri il matrimonio all'interno di una moschea - promuoviamo l'imam e facciamo riferimento un matrimonio di tipo religioso; per l'Islam è una novità. Dico ciò perché di fatto stiamo considerando l'Islam forzandolo un po' nei nostri schemi pur di riconoscerlo all'interno del nostro ordinamento. Vorrei, perciò, chiederle fino a qual punto, riconoscendo l'Islam attraverso questo provvedimento e con una successiva intesa, possiamo e dobbiamo apprezzare alcune caratteristiche particolari dell'Islam. Caratteristiche note, che, peraltro, sono in difformità con il nostro sistema giuridico. Per esempio, il nostro ordinamento è basato sul principio di uguaglianza tra uomini e donne e, in generale, tra tutti gli esseri umani; l'ordinamento dell'Islam è fondato, invece, su concetti di diseguaglianza: ad esempio, tra il credente ed il non credente o tra l'uomo e la donna. Ricordo che da tali differenze derivano conseguenze di ordine pratico e civile. Pensiamo, ad esempio, a quanto riferito da me poc'anzi - aspetto che ora ribadisco - per quanto concerne il diritto di


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mutare o meno religione o credenza. Nell'Islam ciò è punito in termini pratici, civili; non si tratta soltanto di una esortazione a non mutare la propria convinzione religiosa.
Nel momento in cui «italianizziamo» l'Islam attraverso il riconoscimento del ministro di culto, non dovremmo anche italianizzare lo spicchio di Islam che vogliamo sia riconosciuto in Italia richiedendo un'espressa adesione ai nostri principi costituzionali? Mi riferisco ai principi dianzi ricordati, ad esempio l'uguaglianza; valori che, pur difformi, sono quelli con i quali, alla resa dei conti, dobbiamo filtrare il riconoscimento dell'Islam, riconoscimento da operarsi, naturalmente, in maniera esplicita e formale.

CARLO LEONI. Il professore Conso ha espresso un giudizio complessivo sul progetto di legge nel quale mi riconosco; penso che abbia colto un punto effettivamente significativo che merita il nostro approfondimento. A giudicare dalla nostra discussione - non parlo solo della seduta odierna ma anche di quelle precedenti -, sembra quasi che stiamo approvando un provvedimento sull'Islam; forse, dunque, stiamo un po' esagerando. Tale operazione, indubbiamente, mentre secondo alcuni costituisce un grande rischio, rappresenta invece, per altri (me compreso), una grande opportunità per la crescita civile del paese, nonché per la coscienza collettiva e per la maturazione degli Italiani.
Diverse affermazioni, ripetute dal collega Pacini, sono da me non condivise; penso faremmo bene a dismettere una certa idea dell'Islam (e soprattutto del cosiddetto ordinamento dell'Islam), quasi si trattasse di un tutto omogeneo e sempre uguale a se stesso. Ad ascoltare certi interventi - non quelli del collega Pacini ma altri - sembra non esista un diritto civile


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tunisino, uno algerino ed uno saudita; pare vi sia, piuttosto, la sciaria copiata tale e quale in ogni ordinamento di questi paesi.

MARCO BOATO. Invero, uno di essi aspira ad entrare in Europa, la Turchia.

CARLO LEONI. Esattamente. La particolarità dell'Islam è invece la grande capacità di adattarsi alle condizioni preesistenti (e, addirittura, nazionali) di ogni singolo paese; ciò ha un riscontro negli ordinamenti giuridici. Mi risulta che in Algeria sia stato appena approvato un nuovo diritto di famiglia, molto avanzato per paesi di quel tipo. Ma detto ciò, e invitando tutti noi ad una analisi un po' più differenziata, anch'io penso che si dovrebbe ragionare di più sul caso - che forse non è solo quello dell'Islam - di una prevedibile stipula di una intesa con la confessione religiosa islamica (ma il discorso può riguardare anche altre religioni) nell'ipotesi in cui questa sia rappresentata da più enti, non necessariamente in armonia tra loro. Prima, infatti, si faceva riferimento all'Unione buddista, una sorta di confederazione di scuole buddiste; però, potremmo avere, per l'Islam o per altre confessioni religiose, più associazioni, delle quali, in ipotesi, una sola chieda il riconoscimento e, quindi, la stipula di una intesa, in eventuale contenzioso con altre. Quindi, come il professore Conso, sottoscrivo anch'io l'esigenza di una riflessione ulteriore circa la limitatezza della formula «il rappresentante».

MARCO BOATO. Approfittiamo della sinteticità con cui il presidente Conso ha svolto la sua introduzione per abbondare noi nella formulazione delle domande; peraltro, tale evenienza, da parte nostra, non si è verificata in altri casi. Invero,


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approfittiamo anche perché la saggezza e l'esperienza del professore Conso ci possono aiutare.
Vorrei affrontare, in modo sintetico, alcune questioni; la prima riguarda l'aspetto da lei posto con molto garbo e con molto rispetto, come sempre, verso il Parlamento. Ha sottolineato la possibilità di apportare un emendamento al provvedimento in esame; al riguardo, ricordo che è con noi il relatore, onorevole Bondi. Personalmente, non avevo colto la questa rilevanza di tale aspetto ovvero il rapporto tra l'articolo 35 e l'articolo 30 del progetto di legge. Pur senza scrivere ora il testo dell'emendamento, potremmo approfittare oggi del suo parere, parere cui probabilmente non potremo attingere tra quindici giorni quando lavoreremo sui testi. L'articolo 29, come lei giustamente ha ricordato, stabilisce: «il Presidente del Consiglio (...) invita la confessione interessata ad indicare chi a tale fine la rappresenta». L'articolo 35 statuisce: «(...) il Presidente del Consiglio dei ministri firma l'intesa stessa con il rappresentante della confessione religiosa».
Se, invece, l'articolo 35 recitasse che «il Presidente del Consiglio dei ministri firma l'intesa con chi rappresenta la confessione religiosa ai sensi dell'articolo 30», a me parrebbe che, dal punto di vista giuridico - ma poi, certo, bisognerebbe trovare l'interlocutore giusto -, potremmo, forse, risolvere l'antinomia da lei giustamente rilevata. Lo chiedo a lei, ma suggerisco anche al collega ed amico Bondi una riflessione al riguardo perché si tratta di un punto molto marginale ma delicato per le problematiche prospettate. Pertanto, le chiedo un parere al riguardo.
Per quanto riguarda, infine, la questione «ministri di culto» sollevata dal collega Pacini, lei avrà modo di leggere i resoconti delle audizioni già svolte.


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Il professor Cardia, componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del consiglio, ha dato sul punto una sua risposta su cui vorrei chiederle un parere: «(...) ho cercato di ricordare qualche confessione classica che non avesse ministri di culto, ma non ho trovato alcunché; l'unica confessione che può essere richiamata è quella buddista, dove le figure variano molto ed alcune sono difficili da inquadrare come ministri di culto. Tali figure di culto devono essere intese come esponenziali delle confessioni e come soggetti che svolgono certe attività; il ministro di culto cattolico, ad esempio, pratica moltissime funzioni, ma quello del culto buddista presiede solo alla meditazione e all'assistenza spirituale delle persone, non avendo altri incarichi; il che significa che lo stesso vorrà delle norme dell'ordinamento civile adatte alla sua funzione. Per quanto riguarda l'Islam, il muezzin ha degli oneri di carattere liturgico che lo avvicinano pro parte al ministro di culto, e l'Imam ha una funzione educativa che pro parte è simile a quella del ministro di culto. Spetterà agli islamici giudicare le nostre norme adattabili e toccherà allo Stato decidere se sarà possibile farlo. Non bisogna concepire la figura del ministro di culto come identica a quella del nostro prete cattolico».
Per concludere vorrei chiedere un suo parere anche su un'altra questione, seppure mi sia parso che lo abbia già dato implicitamente ripercorrendo, sia pure in sintesi, un lungo tragitto ormai ventennale in questa materia, che, fra l'altro, è all'ordine del giorno in Parlamento dal 1948. In una delle audizioni del 22 ottobre, il sacerdote Baget Bozzo ha pronunziato una «requisitoria» contro questo disegno di legge dichiarandolo viziato di incostituzionalità in modo radicale, asserendo che nulla si sarebbe potuto salvare sotto il profilo di un giudizio di costituzionalità. Al riguardo, vorrei chiederle


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una riflessione, essendo ella presidente emerito della Corte costituzionale ed essendo un giurista che da decenni affronta questa materia. Riguardo alla questione dell'Islam è interessante un aspetto citato, che già poco fa ci aveva segnalato il professor Pizzetti, abbiamo fatto intese con almeno una decina di confessioni di matrice cristiana, vedrebbe ostacoli sotto il profilo giuridico ad intese con questa confessione? La questione va affrontata nella sua pienezza, tanto che dopo di lei ascolteremo uno studioso dell'Islam. Ci è stato spiegato ad esempio come per i buddisti esistano varie scuole, che ai fini dell'intesa si sono associati nell'Unione buddista italiana, vedrebbe ostacoli all'ipotesi che si configurino in un futuro eventuale diverse intese con vari enti esponenziali delle diverse declinazioni della confessione musulmana nel nostro paese?

MICHELE SAPONARA. Anche io voglio ringraziare il professor Conso per le sue parole equilibrate che ci hanno tranquillizzato sulla bontà di questo disegno di legge intervenuto in un momento particolare che rende quasi inevitabile che si faccia un processo all'Islam, tuttavia il problema viene da lontano e il disegno di legge è il frutto di una lunga maturazione. A mio avviso, non possiamo farci impressionare dalle parole di don Gianni Baget Bozzo, il quale, come tutti sappiamo, vuole sempre stupire, e dobbiamo muoverci invece con i piedi per terra. Quando si dice che, per il riconoscimento, il Consiglio di Stato, nel formulare il proprio parere anche sul carattere confessionale, accerta in particolare che lo statuto non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell'uomo, credo che possiamo sentirci tranquillizzati. Considero questa parte come una sorta di legge delega che stabilisce dei paletti significativi, bisognerà poi vedere se il decreto legislativo, se la sua applicazione rispetterà completamente questi


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paletti. Vorrei chiedere al professor Conso se può tranquillizzarci ulteriormente in merito a queste mie modeste osservazioni.

GIOVANNI CONSO, Presidente emerito della Corte costituzionale. Ringrazio gli onorevoli componenti della Commissione per le domande rivoltemi, tutte stimolanti ed illuminanti. Rispondendo per primo all'onorevole Pacini, non posso non ricordare un convegno in Puglia durante il quale abbiamo discusso a lungo di immigrazione e di religioni diverse. Qui ho forse avuto il torto di parlare di Islam. Avrei anche potuto non nominarlo perché il disegno di legge non fa nomi. D'altro canto, leggiamo ogni giorno notizie contrassegnate da «paure islamiche», per cui mi è sembrato inevitabile almeno un cenno. Poiché come giurista, dovrei limitarmi ad aspetti tecnici, preferisco fare un passo indietro. L'onorevole Saponara ha detto che ci troviamo di fronte quasi ad una legge delega, se non quasi ad una legge-quadro, che non disciplina singole situazione. Siamo, infatti, in presenza di un grande magma formato da tutte le possibili confessioni religiose. È chiaro, perciò, che si tratta di una legge di base, quanto mai particolare, che non fa nomi, ma fornisce indicazioni. La prima parte vuole tutelare i cittadini, la seconda ha di mira la libertà di religione all'interno dei gruppi, la terza si preoccupa delle intese. Ma come si debbono realizzare tali intese? Quelle già esistenti - come è giusto che sia - vengono «salvate» dalle norme transitorie. Vi sono, poi, le intese non ancora raggiunte, ma già in divenire: al riguardo, ritengo utile riandare al Concordato del 1984, quando, poco dopo, i valdesi chiesero subito di siglare un'intesa e altre confessioni li seguirono a breve, chi subito, chi con gradualità. Di questi casi se ne possono prospettare una miriade: tra di essi includerei anche l'Islam, e non solo.


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Il provvedimento è importante anche per un'altra ragione, che prima ho tralasciato, ma che, alla luce degli interventi ora ascoltati, ritengo opportuno evidenziare. L'ultimo articolo del disegno di legge è di rilevanza capitale, non essendo ammissibile andare ancora avanti con l'obsoleta legge del 24 giugno 1929: è ora di accantonarla. Ma essa resisterà finchè la materia non sarà disciplinata in modo globale.
Don Baget Bozzo si è detto contrario a queste misure. Il guaio è che non si riuscirà a condurle in porto, continueranno il malessere e le incertezze. Sono, infatti, notevoli i passi avanti che il disegno di legge permetterebbe di compiere, non solo con l'ultimo articolo, ma anche con quelli relativi alle intese.
Vi è un aspetto che deve dare tranquillità, a dimostrazione di come questa sia una legge del tutto particolare. Si tratta, infatti, di un provvedimento che vuole stabilire dei modelli, dicendo che cosa fare per siglare un'intesa: presentare domanda, verificare se si sia già in possesso o meno di personalità giuridica, comportarsi di conseguenza. Ricordo, inoltre, che persino l'articolo 29 (oltre all'articolo 18) è motivo di tranquillità: è vero che l'istanza può essere avanzata anche per una confessione religiosa che non abbia personalità giuridica, ma pure in questo caso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero degli interni devono verificare che lo statuto non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano. Non è, cioè, indispensabile fruire del riconoscimento, anche se questo resta la strada maestra: l'indispensabile è non andare contro l'ordinamento giuridico. Infatti, se emerge che la confessione richiedente è in contrasto con l'ordinamento, la procedura si arresta.
Un concetto già espresso in precedenza, ma da reiterare, è che il primo passo viene compiuto da chi avanza l'istanza, ma è lo Stato ad aprire la porta di sua iniziativa. È data la


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possibilità di accedere ad un'intesa ad ogni confessione che sia in regola, ma ciò solo dietro presentazione di una sua domanda. Senza di essa, non succede nulla. In certo qual modo possiamo dire che lo Stata interviene in seconda battuta. Dunque, se per l'Islam verrà presentata domanda la si studierà con attenzione e, poi, si deciderà, non essendovi alcun automatismo. Tutt'altro: prima è previsto l'esame di una commissione, poi l'intervento di un sottosegretario di Stato, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Consiglio dei ministri, del Parlamento...

MARCO BOATO. E prima ancora interviene il Consiglio di Stato.

GIOVANNI CONSO, Presidente emerito della Corte costituzionale. Esattamente, ed è anzi l'organo che solitamente si sofferma di più sulle pratiche sottopostegli.
La svolta sta nel fatto che, dopo il nuovo concordato con la Chiesa cattolica, per gli altri culti si è aperta la via alle intese auspicate dalla Costituzione. Tanto è vero che ne sono state realizzate non poche, tradotte in legge dal Parlamento.
All'inizio, chi avrebbe potutto indicare con sicurezza quale fosse il modo più adeguato con cui realizzare le intese? Solo una volta realizzato un certo numero di intese, è emersa la possibilità di tracciare un paradigma (ovviamente, senza eliminare la specificità delle intese).
La paura di Baget Bozzo muove dalla non esatta conoscenza del disegno di legge. Bisogna presentare una domanda, ma non è detto che questa venga accolta. Ripeto: non si creda che qualunque domanda verrà accolta. E meno male! Al limite, potrebbe avanzare istanza anche un movimento diabolico, forma di religione alla rovescia. Del resto, il diavolo della Bibbia è un angelo nero. Insomma, non basterà chiedere:


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vi dovrà essere una procedura complessa e, se non si supereranno tutti gli ostacoli, si resterà esclusi. Credo che questo possa dissolvere i timori, pur comprensibili, oggi che le aggressioni si moltiplicano e il terrorismo si fa minaccioso un po' dappertutto. Sotto l'usbergo di una religione, si possono celare non solo movimenti diabolici, ma anche traffici ignobili, violenze atroci su donne e bambini. In conclusione, questa è tutt'altro che una legge per favorire, e tanto meno per discriminare, l'Islam: si tratta di un provvedimento che riguarda le confessioni religiose in genere, anche quelle le cui istanze sono già state accolte e che potranno trarne solo miglioramenti.
L'onorevole Pacini si è soffermato sul delicato problema del riconoscimento dei ministri di culto. È un tema che va visto in chiave non tradizionale, mentre ho la sensazione che la religione cattolica continui ad essere guardata come la pietra di paragone, come il punto di riferimento: una pietra di paragone, un punto di riferimento, che, in quanto tale, non deve porre le altre su un livello di minor tutela. Nel disegno di legge l'espressione ministro di culto viene usata più che altro per dire che, come il culto cattolico ha i suoi ministri, così gli altri culti avranno pure figure in qualche modo corrispondenti e, quindi, anche ad esse spetta un trattamento sul tipo di quanto, ormai da tempo, prevede l'ordinamento penitenziario. Questo, infatti, nel capitolo dedicato alle pratiche di culto, consente l'accesso per celebrare i loro riti e dare assistenza non solo ai «cappellani» cattolici, ma anche ai «ministri» di culti diversi da quello cattolico, e ciò in nome del sacrosanto diritto che ogni seguace di una religione ha di poter incontrare, almeno qualche volta, chi gli porti il «messaggio» ed il conforto spirituale della sua fede. In tale contesto il termine «ministro» va inteso in un senso generico e non con riferimento


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ad una precisa carica, che ovviamente non sempre esiste nelle stesse forme. Vi saranno, comunque, figure corrispondenti. Anche là dove può esservi commistione con la politica un qualcuno sarà pur sempre preposto ad organizzare e fornire indicazioni. Voler precisare eccessivamente farebbe correre il rischio di immischiarsi troppo negli interna corporis dei vari culti.
In merito alle osservazioni dell'onorevole Boato, ritengo che sarebbe senz'altro un miglioramento estendere l'uso del termine «chi» dall'articolo 30 del disegno di legge all'articolo 35 in luogo del termine «rappresentante», termine che fa riferimento ad un'unica figura, mentre il termine «chi» consente di fare riferimento, se del caso, a diversi soggetti. Ecco allora che, nell'ambito dell'Islam, diventerebbe possibile anche siglare già intese, come già accaduto per le confessioni cristiane.
Venendo ai timori di incostituzionalità, penso il contrario e, cioè, che sarebbe incostituzionale andare avanti così, non essendo possibile non concedere a tutte le religioni la «change» di trovare un'intesa con lo Stato. In caso contrario si perpetuerebbe una sperequazione. È vero che il raggiungimento dell'intesa è rimesso alla presentazione della domanda, ma questa rappresenta il modo ideale per conciliare la libertà con la parità: chi non ha intenzione di presentare istanza, non farà nessuna richiesta. Perché dovrebbe esserci l'obbligo di presentarla? Il problema nascerebbe solo se il disegno di legge stabilisse che tutte le confessioni religiose sono tenute ad accettare l'intesa attraverso un'imposizione: questa, sì, sarebbe una norma illiberale.
Infine, per quanto riguarda la possibile presenza di più associazioni, penso che possano essere riconosciute più confessioni religiose ispirate alla stessa matrice, sul modello stesso del cristianesimo. Ho appreso che pure i buddisti hanno


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divisioni al proprio interno: anche per loro nulla esclude che ciascuna componente possa raggiungere una propria intesa. Siamo, infatti, in presenza di una norma elastica che non prevede alcun numero chiuso: una norma molto importante, anche perché consentirebbe di eliminare definitivamente quelle norme del 1929 e del 1930, che sono chiaramente discriminatorie e ormai superate nella coscienza sociale.

PRESIDENTE. Ringrazio molto il professor Giovanni Conso per il suo intervento, che ci spinge a proseguire nell'esame del disegno di legge, non soltanto nel merito, ma anche in relazione ai tempi.

Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 15,30, è ripresa alle 15,40.

Audizione di Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la facoltà di scienze politiche delle Università di Trieste e Urbino.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa, l'audizione del professore Khaled Fouad Allam, che ringrazio per la sua presenza e al quale do subito la parola.

KHALED FOUAD ALLAM, Docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la facoltà di scienze politiche delle università di Trieste ed Urbino. La questione dell'Islam e della sua trasformazione attuale sia sul piano sociale sia su quello giuridico è di importanza capitale; ma non possiamo valutare tale questione senza


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considerare che essa va letta entro griglie di lettura variabili in funzione delle tradizioni giuridiche e politiche dei diversi paesi europei che accolgono delle comunità islamiche, e in funzione delle trasformazioni indotte nei diversi paesi musulmani dal fenomeno dell'acculturazione.
La mia prima considerazione utilizza una griglia di lettura strutturale; emigrando, una parte del mondo musulmano si inserisce in realtà politico-sociali ben diverse da quelle di origine. In queste ultime, la comunità si definiva all'interno e attraverso uno spazio territoriale, ed entro uno spazio politico rappresentato dallo Stato. È evidente che, in assenza di un ambito istituzionale come la Chiesa, lo strutturarsi ed il definirsi dei musulmani passava attraverso una identità di tipo nazionale o statale. Lo Stato era, dunque, al centro della configurazione strutturale dei musulmani; dal punto di vista sociologico, ciò implicava un Islam del tutto passivo. La relazione fra identità ed appartenenza islamica si basava sul ruolo esercitato dallo Stato, in realtà il vero interlocutore, il perno su cui ruotava l'identità islamica. Sul piano della prassi, è infatti lo Stato che nei paesi musulmani fissa ad esempio il calendario delle festività, secondo le direttive del Ministero per gli affari religiosi. Ora, in ambito europeo e in genere occidentale, ciò non esiste; in un certo senso, fuori dal loro spazio d'origine le comunità musulmane si atomizzano perché viene a mancare il nesso tra religione e territorio. Ciò ha due importanti, e tra loro contrastanti, conseguenze.
Da una parte, possiamo assistere alla nascita e all'espressione di un Islam individualizzato, caratterizzato da un approccio di tipo privato al fenomeno religioso. Varie ricerche sociologiche lo dimostrano: in Italia, ad esempio, quelle di Enzo Pace e Stefano Allievi. Ma si possono citare, in Francia, quelle, cui anch'io ho partecipato, di Robert Bistolfi e François


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Zabbal, o altre ancora svoltesi in Germania. Si starebbe delineando, in prospettiva, una specie di autonomizzazione del fedele musulmano in occidente, una riformulazione della prassi islamica nel senso di una «via privata» all'Islam. Essendo mancata una riflessione teologica in grado di avviare un tale processo, esso si è definito nell'ambito di una nuova realtà sociologica, al di fuori delle culture d'origine.
D'altra parte oggi si registra, nell'Islam d'Europa, un altro fenomeno, in contraddizione con il precedente: un segmento dell'Islam si trova sottoposto a uno stretto controllo sociale, politico e direi anche psicologico da parte di strutture, associazioni, organizzazioni che spesso hanno un carattere transnazionale. Pur avendo sede in un paese europeo, la filiazione di queste strutture e, ovviamente, i loro contatti, rimandano sempre ad un'entità statale precisa o ad una precisa organizzazione di tipo socio-politico. Alcune organizzazioni sono ramificate in molti paesi occidentali, e alcune di esse sono legate alla fratellanza islamica: ad esempio l'UCOII e le analoghe associazioni negli altri paesi europei. Il Tabligh, una organizzazione di tipo pietista diffusa in tutta Europa, è di filiazione pakistana.
Queste sono le due griglie di lettura che permettono di riconoscere, oggi, le principali tendenze nella trasformazione dell'Islam in Europa. In tutto ciò, ovviamente, si pone la grande questione del ruolo dello Stato e dei poteri pubblici, vale a dire della gestione pubblica dell'Islam. Si tratta cioè di capire come strutturare un sistema giuridico in grado di definire uno o più interlocutori, nonchè di valutare il ruolo dello Stato come vettore della trasformazione dell'Islam in Europa.
Tradizionalmente non vi è Chiesa nell'Islam, e nei paesi musulmani lo Stato ha la funzione di organizzare l'assetto


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sociale e giuridico del culto. Ebbene, in Europa, la frammentazione delle dei musulmani nelle diverse associazioni e nei diversi organismi di rappresentanza potrebbe rafforzare i legami tra l'Islam dell'immigrazione e l'Islam delle origini. Infatti, la relazione privilegiata tra Stati di origine e le diverse associazioni (finalizzate al controllo delle comunità) impedirebbe la nascita di un Islam autonomo, e in prospettiva di un islam europeo dal carattere più liberale. La questione, evidentemente, è complessa; in ambito europeo - tranne alcuni casi, come quello spagnolo, su cui però vi sarebbe molto da dire - non esiste alcun sistema giuridico che permetta un'efficace gestione pubblica dell'Islam. I motivi sono di ordine strutturale ma dipendono anche, ovviamente, da tutto ciò che si agita nel mondo musulmano - non soltanto dopo l'undici settembre ma praticamente da una ventina di anni - e dagli stessi musulmani.
A mio avviso, una visione più ampia, estesa sul lungo periodo, consapevole della trasformazione in atto nel mondo musulmano, dovrebbe sostituirsi a quella che io chiamo una visione iconica dell'Islam, secondo cui esso sarebbe irriformabile. Le indagini sociologiche attestano che la trasformazione è effettivamente in atto; il passaggio ad una dimensione privata dell'Islam - possiamo anche dire ad una sua maggiore laicizzazione - è una via obbligata anche per i musulmani in Europa. La nuova relazione che si viene a configurare con lo Stato è il risultato di un cambiamento; infatti, mi pare evidente che anche i musulmani abbiano capito e accettato il fatto che nei paesi europei vi sia una separazione tra pubblico e privato, poiché lo Stato, in occidente, è nato dalla filosofia dei Lumi. È maturata perciò una concezione in cui l'accesso alla sfera religiosa avviene in una dimensione essenzialmente privata.


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Ovviamente, non tutte le tendenze, nel mondo musulmano, rispecchiano tale cambiamento. Vi sono anzi forti tensioni tra la tendenza individualista e quella comunitarista; ultimamente in Francia - anche se si tratta di un paese in cui oggi si sta definendo una nuova struttura rappresentativa dei musulmani - si manifestano notevoli contrasti tra queste due tendenze, fornendo così un quadro che corrisponde a quello complessivo dell'Islam in Europa.
Dunque, dobbiamo essere consapevoli del cambiamento in atto, e anche di fronte a un fenomeno come il comunitarismo islamico, si deve ricordare che esso non è altro che una condizione sociologica transitoria. A mio parere, esso va interpretato nel contesto di un nuovo clima, di un nuovo condizionamento sociale che si sta profilando negli ultimi anni per cui assistiamo, simmetricamente, sia alla crescita dell'individualismo sia alla crescita del comunitarismo nell'Islam. Guardando una cartina geografica possiamo notare come gran parte delle fratture nord-sud interessano comunità o da Stati islamici; e l'islamismo radicale sta lavorando su tali fratture cercando di associarvi la sua griglia di lettura, di definirle e strumentalizzarle in funzione della sua ideologia religiosa e politica. Tutto ciò si riflette in ambito europeo; se osserviamo l'assetto sociologico delle comunità musulmane in Europa, notiamo come il fenomeno sia spesso legato ai grandi spazi di esclusione in cui si trovano molte comunità immigrate. Il forte comunitarismo islamico si diffonde dunque parallelamente alla crescita degli spazi di esclusione; e se in Italia esso non ha ancora assunto dimensioni rilevanti, in gran parte dei paesi europei (Germania, Olanda, Francia, Gran Bretagna) possiamo già osservarlo.
Abbiamo quindi due tendenze che oggi definiscono l'Islam - che corrispondono anche a due possibili sviluppi futuri -


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tuttavia esse non definiscono una sua gestione univoca dello spazio pubblico. A mio avviso, qualunque soluzione legislativa deve tenere conto dell'assetto sociologico delle comunità musulmane in Europa, in una prospettiva allargata al cambiamento e alla loro modificazione strutturale, perché la seconda e terza generazione dell'immigrazione sarà formata per la maggior parte da cittadini europei. Studiare e proporre delle soluzioni alle problematiche dell'Islam in Europa può contribuire ad approfondire ed ampliare il concetto stesso di cittadinanza.
L'altra problematica è legata al rapporto fra memoria e storia, cioè alla frontiera simbolica che si sta attestando in occidente in relazione alla percezione dell'Islam e dei musulmani. Questa frontiera non contribuisce allo sviluppo della cittadinanza, per aumentare invece gli spazi di esclusione, e rischia di amplificare l'immagine di un Islam di tipo comunitarista. Nella mia relazione per il Secondo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Il Mulino, 2001) avevo fatto notare che, dall'analisi dei curricula dei ragazzi avvicinatisi al terrorismo islamico, risultava come molti di essi fossero nati o cresciuti in Francia, in Gran Bretagna o in altri paesi europei; il deficit di cittadinanza ha di fatto contribuito al cadere di questi ragazzi nelle maglie del terrorismo.
La gestione pubblica dell'Islam appare allora di primaria importanza. Non credo che il sistema dell'intesa sia il migliore, perché se un domani nasceranno nuove confederazioni musulmane nel nostro territorio anche loro potrebbero chiedere un'intesa, e a quel punto lo Stato si troverebbe a dover firmare un numero imprecisato di intese; penso che si debba evitare di precipitare le cose. La vostra proposta di legge sulla libertà religiosa, che mi sembra ispirarsi al modello olandese, rap


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presenta un approccio corretto, perché permette di spezzare il problema in una serie di punti, focalizzando l'attenzione su alcuni argomenti che mi sembrano essenziali (cimiteri, preghiere giornaliere sul luogo di lavoro, festività religiose, etc.). Esistono poi altri problemi essenziali, più delicati, relativi alla libertà religiosa (ad esempio, nel diritto musulmano classico l'apostasia è a tutt'oggi condannata penalmente in tutti i paesi musulmani)
Ci si può chiedere poi cosa succederà nell'ambito di uno scenario transnazionale riguardo ai matrimoni misti, perché ce ne saranno sempre di più. Il diritto musulmano vieta i matrimoni misti di donne musulmane con uomini di altre religioni, perché tutta la struttura della parentela è basata sulla centralità del maschio, depositario dell'identità religiosa; quindi in un matrimonio misto, se il futuro marito non è musulmano, è obbligatorio che si converta. Ciò pone grandi problemi perché in caso contrario, anche se il matrimonio viene riconosciuto in occidente, in un paese musulmano esso può essere considerato in contrasto con l'ordine pubblico islamico e quindi nullo.
Un'altra questione che mi pare centrale è la probabile nascita, nei prossimi decenni, di un Islam di matrice europea, che avrà complesse ricadute politiche, in particolare riguardo alla formazione del personale di culto. In nessun paese europeo - a parte alcuni tentativi di intellettuali musulmani che lavorano in Gran Bretagna - si è riusciti a trovare un modo per definire e avviare la formazione del personale di culto, per accompagnare questo processo di autodeterminazione dell'Islam. In quest'ambito si verificano contraddizioni, conflittualità e rivalità per il controllo dei musulmani in


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Europa, perché tale controllo passa attraverso quello della associazioni che a loro volta rimandano ad alcune entità statali.
In quest'ambito credo sia necessario un intenso lavoro politico; a mio avviso nessuno Stato europeo è in grado di risolvere da solo tale questione. Si tratta di una tematica che ritengo vada trasferita sul piano europeo, anche perché la dinamica dell'Islam si sposta sempre più sul piano transnazionale, a livello europeo. Al riguardo, credo che, se in futuro vi sarà una facoltà teologica islamica, essa dovrà essere europea. Ma ciò è necessario proprio per riformulare il legame con i paesi di origine. Uno spazio di formazione degli imam va ovviamente realizzato in collaborazione con i paesi musulmani, anche in vista di un effetto-ricaduta fra mondo europeo e mondo islamico, nel senso che questi paesi, probabilmente, acquisendo consapevolezza della nascita di un Islam di tipo europeo, in un clima di totale globalizzazione, finiranno per percepire come necessaria la trasformazione di alcuni elementi dell'interpretazione neoconservatrice dell'Islam che oggi si trovano in totale contraddizione con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948, con le libertà religiose, eccetera.
Dunque, da una parte bisogna valutare queste prospettive di lunga durata e la necessità di un dialogo politico che non si può realizzare in contrasto con questi paesi. D'altra parte si deve considerare che lo spazio dell'Islam in Europa è uno spazio estremamente fragile che ha comunque bisogno, non dico dell'ingerenza dello Stato, ma che questo lo accompagni, relativamente alla prassi rituale dei musulmani, con alcune misure atte ad accompagnare la loro trasformazione.
Si tratta, sociologicamente parlando, di avviare una proficua gestione pubblica dell'islam in Europa sul piano concreto,


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reale. Anche perché non bisogna dimenticare che oggi i musulmani in Europa sono circa 22 milioni; si tratta di cifre non ufficiali ma realistiche. Gran parte di essi sono cittadini europei ed ovviamente richiedono uno spazio di cittadinanza una maggior consapevolezza dei cambiamenti in atto da parte dello Stato.
Non bisogna dimenticare che lavorare in questo campo oggi, dopo l'11 settembre, significa comunque trovarsi di fronte a grandi contraddizioni e a problemi di enorme complessità, con cui la mia attività di ricerca e di analisi mi mette quotidianamente a confronto. Da una parte i mass media propongono continuamente, con sempre maggiore insistenza, l'immagine di un Islam religione di conquista, un Islam intollerante, un Islam iconico, che riproporrebbe sempre la sua relazione privilegiata con la politica, che anzi sarebbe la sua vera e unica identità (alcuni sostengono che l'Islam è, tutto sommato, essenzialmente politica). Dall'altra parte vi sono i musulmani che non si rispecchiano in questa immagine - e che costituiscono la grande maggioranza - si ritengono esseri come tutti gli altri, sono musulmani che lavorano (il più delle volte svolgono i lavori più umili) e che ritengono che quell'immagine sia superata.
La sovrapposizione di queste due immagini è estremamente pericolosa, sia sul piano sociale sia su quello politico, perché da una parte essa influisce sui movimenti e le associazioni che lavorano in direzione di una maggiore strutturazione politica dei musulmani, e in cui possono, a volte, presentarsi frange occulte di eversione; dall'altra questa sovrapposizione tende comunque ad escludere i musulmani dalla società, a farli ripiegare su se stessi, escludendo qualunque dialogo, o negoziazione. La mancanza di dialogo e di negoziazione apre purtroppo la porta a cicli perversi della storia che possono


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portare verso il razzismo e l'esclusione, e indirettamente attraverso il razzismo rafforzare anche gli argomenti che le dinamiche perverse del radicalismo islamico.
La questione è dunque molto complessa e soprattutto estremamente delicata. Non si tratta soltanto di ingegneria giuridica, ma si tratta di sciogliere alcuni nodi e, in prospettiva, di cercare delle soluzioni puntuali ai singoli problemi nella gestione del quotidiano, tenendo conto dell'urgenza di alcune questioni, sempre cercando di fare il punto su quale prospettiva si stia delineando. In quest'ottica si muovono i maggiori esperti, come ad esempio il professor Fregosi dell'università di Strasburgo: la prospettiva di un Islam di tipo europeo. Si pone allora una domanda: questo Islam europeo si staccherà dagli Stati di origine per essere veramente europeo così come in passato l'Islam si diversificato nelle diverse aree culturali e geografiche?
Una mia collega di Parigi si occupa dei musulmani tartari in Polonia; questi costituiscono una popolazione musulmana non numerosa che però, da oltre due secoli, è del tutto integrata nella società polacca. In quella situazione si è raggiunto un modus vivendi tra l'identità islamica e uno Stato europeo.
Si tratta di una sfida non soltanto per l'Italia, ma per l'intera Europa.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Allam per il suo intervento introduttivo e do ora la parola ai colleghi che intendano chiedere chiarimenti o porre questioni.

MICHELE SAPONARA. Ringrazio il professor Allam per la sua relazione che considero alla stessa stregua di una lezione


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di sociologia e di storia sull'Islam ed anche un parere pro veritate. Dico ciò perché ho apprezzato la sincerità del suo intervento.
In sostanza egli afferma che la cultura islamica, allo stato, è molto diversa da quella occidentale ed è in trasformazione. Si fa un discorso di lunga durata, si acquisisce una nuova consapevolezza; questo mondo può avvicinarsi a quello occidentale, europeo, anche perché si spera che il mondo occidentale, europeo, acquisendo una nuova consapevolezza si avvicini all'Islam.
È un discorso sincero, e giacché questo progetto di legge parla di intese con altre religioni (anche se ci citiamo spesso l'Islam) le chiedo se questa intesa sarà subordinata ad uno statuto dell'Islam - o di una parte dell'Islam - che non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell'uomo. In pratica la domanda che le rivolgo è se ci potranno essere degli statuti che recepiscano le parti importanti della nostra Costituzione relative all'ordine pubblico e al rispetto dei diritti individuali.

CARLO LEONI. Mi unisco ai ringraziamenti al professor Allam per il contributo importante che fornisce ai nostri lavori.
Professore, lei ha già espresso il suo scetticismo rispetto alla forma dell'intesa, in relazione alla complessità ed anche alla dispersione della comunità musulmana in Italia. Secondo i progetti di legge al nostro esame il Governo può stipulare intese se l'ente esponente della confessione religiosa avanzi la richiesta. Approfitto della sua conoscenza della realtà delle comunità musulmane in Italia, per sapere se sia prefigurabile che nella situazione attuale - ed in quale modo - sorgano enti od associazioni che possano configurarsi come rappresentativi di tali comunità.


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Lei ha parlato anche di un controllo dei musulmani in Europa da parte di diversi Stati verificatosi sicuramente nel passato. Quali sono le istituzioni di fatto che stanno acquistando influenza nelle disperse comunità musulmane in Italia? Ad esempio, lei avrà sicuramente visitato la moschea di Roma il venerdì, ed avrà notato le migliaia di persone che convergono in quel luogo. Chi dirige una moschea come quella di Roma avrà sicuramente un'importante influenza nella comunità islamica. Quali sono i percorsi formali o informali che determinano la scelta di chi sia a dirigere una realtà così significativa nella comunità musulmana in una città come Roma?

MARCELLO PACINI. Riconosco al professore la sua larghezza di vedute e di pensiero e le sue prospettive sull'Islam che potrà sorgere in Europa, alla lunga distanza. Il problema che mi sembra comunque sollevato dal professore riguarda il momento attuale. Noi dobbiamo varare una legge che entri in vigore presumibilmente il prossimo anno. Attraverso tale norma, per la prima volta, l'ordinamento italiano entrerà in rapporto con l'Islam e con cittadini italiani e stranieri che si riconoscono in questa confessione religiosa.
Lei ha posto due problemi, che hanno diretta attinenza con i progetti di legge al nostro esame: uno è l'apostasia e l'altro riguarda i matrimoni misti. Per quanto riguarda i matrimoni misti la religione islamica ha due criteri ben precisi: un uomo musulmano può sposare una donna non musulmana, a condizione che essa si converta all'Islam; viceversa, una donna musulmana non può sposare un uomo non musulmano. Si pone un problema di enorme differenza rispetto all'ordinamento europeo ed italiano: l'Italia non riconosce tali principi. Vorrei quindi sapere nella pratica quotidiana quanto resti dei vincoli precisi che i musulmani hanno con la propria tradizione


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e religione; detto in altri termini, ha priorità l'ordinamento italiano o il legame con la dottrina religiosa?

MARCO BOATO. Ringrazio anch'io il professore. Ci siamo tutti resi conto che le questioni poste dal professore riguardano problemi attinenti non soltanto alle proposte di legge relative alla libertà religiosa, ma anche a una sorta di politica culturale, sociale e direi anche comunitaria ed estera.
I colleghi intervenuti prima di me hanno giustamente posto questioni reali rapportate al compito specifico della Commissione sotto il profilo dell'esame delle proposte di legge. Però, poiché siamo tutti uomini politici, credo che ciascuno di noi nei propri ruoli debba farsi carico di quanto emerso nell'audizione - che considero molto importante - nell'ambito di iniziative politiche che vadano al di là del compito legislativo precipuo relativo alla libertà di religione. Dico ciò perché potremmo trovare altre occasioni sia con il professore sia con altri interlocutori per affrontare tale questione.
Vi è un dialogo aperto e leale con il collega Pacini nelle ultime sedute e le domande poste, alle quali sarà ovviamente il professore a dare una risposta, mi fanno sorgere alcune questioni. Vorrei in primo luogo ricordare che già durante l'audizione di Baget Bozzo ho affermato che in nome della religione tuttora è in atto una forma di terrorismo tra cattolici e protestanti nel nord Irlanda.
Inoltre, per quanto riguarda i matrimoni misti - premetto che sono stato educato nel cattolicesimo e sono tuttora cattolico - ho vissuto l'esperienza della formazione nell'azione cattolica, in base alla quale i matrimoni misti erano vietati per i cattolici. È stata necessaria la conclusione del Concilio Vaticano II, nel 1962, per superare tale divieto; oggi non esiste più un divieto, ma il matrimonio misto comunque viene sconsigliato ai cattolici, pur all'interno dell'attuale logica


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ecumenica e di dialogo (sottolineo che i matrimoni considerati riguardano in genere cattolici e protestanti, e non cattolici ed islamici).
Dico ciò non tanto perché sottovaluto il problema posto dal collega Pacini (la cui eventuale risposta - ripeto - compete al professore Allam), ma perché vorrei che noi stessi affrontassimo la situazione considerando quali siano state la nostra storia, la nostra cultura e le nostre radici religiose, tenendo conto che l'incidenza della Chiesa e della religione cattolica nel nostro paese è sempre stata maggiore di quanto non sia stato il numero delle persone che la abbiano (lo dico con un orribile linguaggio preconciliare) «praticata». Dobbiamo riflettere sulle questioni relative all'Islam anche con riguardo alla nostra storia ed a come, fortunatamente, essa sia cambiata.
Quando il professore ha usato l'espressione, tratta da Les Annales di Marc Bloch e di Lucien Febvre, «lunga durata» - una bellissima espressione - ci ha posto dinanzi a questi fenomeni. È anche vero quanto è stato detto, cioè che noi legiferiamo per il prossimo futuro.
Detto ciò, desidero porre più puntualmente al professore Khaled Fouad Allam una serie di questioni; se sono troppe, può anche riservarsi di rispondere per iscritto, inviando, con il consenso della Commissione, una relazione scritta. Domando scusa per aver svolto questa sorta di premessa; peraltro, la Commissione è abituata a tali evenienze che, anzi, costituiscono un merito per tutti, a partire dal presidente che le rende possibili. La nostra Commissione rappresenta, invero, una sede in cui si può dialogare e riflettere insieme, al di là delle differenze politiche.
Lei ha detto che in Europa non esiste alcun sistema giuridico che permetta una gestione pubblica dell'Islam, eccezion fatta per la Spagna.


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KHALED FOUAD ALLAM, Docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la facoltà di scienze politiche delle università di Trieste ed Urbino. Ho citato la Spagna come un esempio, per così dire, «tra virgolette».

MARCO BOATO. La questione è complessa e gliene segnalo l'utilità ai fini del nostro approfondimento; la Spagna, infatti, fa parte dell'Unione europea.
Come lei ha detto, tali fenomeni vanno considerati in una prospettiva di lunga durata, quella, appunto, degli Annales di Marc Bloch. Ha parlato di un fenomeno che, grosso modo, dura da vent'anni. Anche se credo mi sia nota, le chiederei ugualmente di spiegarci la ragione di una tale periodizzazione. Probabilmente, vanno chiamati in causa la rivoluzione iraniana, il ruolo di Khomeini e quant'altro. Però, vorrei chiederle di essere, al riguardo, più esplicito, confermando o, se del caso, correggendo la mia interpretazione di tale riferimento temporale da lei fatto.
Si è richiamato - ed è utile, nella materia, l'uso della comparazione - alla Francia; ha detto, ad un certo punto, che vi sono tensioni forti e che in Francia vi è una nuova struttura rappresentativa dei musulmani. Ciò è almeno quanto mi pare di aver capito; non tutto, per ragioni di microfono, si riusciva a comprendere. Le chiederei anche se può approfondire - malgrado il tempo limitato a disposizione dei lavori della Commissione - tale riferimento al caso francese.
Ha molto insistito sulla doppia griglia interpretativa; si tratta, invero, non solo di una griglia interpretativa ma di una dinamica reale. Un aspetto è appunto il processo di laicizzazione di molti appartenenti all'Islam, anche a livello individuale, in Europa, processo di cui, forse, lei stesso è un esempio, se non ho capito male. Anche lei è espressione di quel


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mondo ma ha oggi un rapporto molto laico con tali problematiche. L'altro aspetto, d'altra parte, è il forte comunitarismo che comporta la crescita di spazi di esclusione e questi alimentano, a loro volta, il comunitarismo stesso. Se non ho capito male, tale espressione non è un termine equivalente rispetto a parole quali radicalismo o integralismo; di tali fenomeni, piuttosto, costituisce, in qualche modo, una sorgente. Però, sto interpretando quanto da lei riferito e lei dovrebbe dirmi se interpreto bene o non rendo il suo pensiero.
Per concludere, ad un certo punto ha fatto un altro riferimento europeo, all'Olanda, ha detto che il modello olandese è il migliore. È possibile capire cosa, in base alla logica da lei seguita, sarebbe tale modello olandese e in quali aspetti sarebbe migliore rispetto all'eventuale modello dell'intesa? Le ricordo che, nel nostro paese, l'intesa con il mondo musulmano residente non è stata siglata.
Abbiamo discusso - con il professore Conso prima e con il professore Pizzetti prima ancora - della possibilità di stabilire, in ipotesi, due o tre intese diversificate con espressioni diverse del mondo islamico in Italia (due o tre e non ovviamente cento o più intese). Un precedente sarebbe offerto ad esempio dalla pluralità di confessioni di matrice cristiana non cattolica esistenti in Italia, con le quali si sono stipulate decine di intese. Anche se non deve diventare una ipotesi auspicabile, osservo, però, che tale possibilità è stata prospettata nelle audizioni che abbiamo svolto subito prima della sua.
Una delle questioni da lei poste riguarda il seguente aspetto. Ha giustamente parlato di un'interlocuzione dello Stato che, in qualche modo, non obblighi ma accompagni il processo di cambiamento e di maturazione in corso, processo di lunga durata (che, però, si svolge quotidianamente). Ebbene, quale può essere, a suo avviso, il ruolo dello Stato? Ovviamente, le


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chiediamo di dare un parere alla Commissione; stiamo ascoltando, infatti, varie opinioni per cercare di orientarci in materia. Lei ha posto la questione in chiave europea ed ha citato alcune esperienze diverse, ma l'Italia ha anche una sua autonomia nazionale, sia pure in un quadro europeo che, fortunatamente, è sempre più forte. Quale può essere, per lo Stato italiano, un ruolo che in qualche modo assecondi, di quelle due dinamiche da lei prospettate, quella che più evita l'esclusione, la radicalizzazione e l'integralismo? Non parlo del terrorismo perché non serve, per diventare terroristi, praticare una forte religiosa: ahimè, l'Italia ha conosciuto decenni di terrorismo. Dunque, quale ruolo può avere lo Stato nell'assecondare quei fenomeni che in qualche modo portano ad una cittadinanza piena, anche sotto il profilo della libertà religiosa? Le ho fatto una serie di domande troppo lunghe e complesse. Credo che il presidente consenta che lei risponda, ai colleghi ed a me, nella parte in cui ritiene di rispondere oggi e si riservi, eventualmente, di inviarci un'ulteriore risposta per iscritto, se il presidente è d'accordo.

PRESIDENTE. Do ora la parola al professore Allam per le repliche per consentirgli di poter recare un ulteriore apporto alla discussione. Se poi dovesse ritenere opportuno il suggerimento venuto dal collega Boato, potrà anche inviarci una relazione scritta.

KHALED FOUAD ALLAM, Docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la Facoltà di scienze politiche delle università di Trieste ed Urbino. Mi sembra vi sia una specie di contraddizione quando il politico od il legislatore tendono a voler trattare il fenomeno in relazione a ciò che è il diritto musulmano, la shari'a; ma si tratta di una contraddizione interna allo stesso mondo


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musulmano. La shari'a, infatti, non è un diritto positivo, e questo è il grande problema. Si tratta di un tema su cui non mi sembra opportuno insistere per ragioni di tempo; devo però osservare che la shari'a è un corpus di norme codificato in un certo momento della storia dell'Islam, e rimasto praticamente immutato fino ad oggi. È un corpo di norme di matrice prevalntemente etico-giuridica; ma non è un diritto positivo. Il grande problema dell'Islam contemporaneo, sia nella sua versione europea sia in quella dei paesi musulmani, risiede in questa falsa simmetria che si tende ad instaurare tra diritto positivo e shari'a. Ciò spiega l'odierna tendenza ad ideologizzare il diritto sciariatico: è così nei paesi islamici ma anche, ovviamente, nelle più ortodosse e rigide tra le associazioni musulmane. A mio avviso, proprio volendo stabilire una simmetria tra diritto positivo e shari'a, si entra in una contraddizione senza vie d'uscita. E non solo in vista della formulazione di una normativa sulla libertà religiosa, ma anche e soprattutto a livello dell'epistemologia del diritto e del suo stesso significato. Diritto positivo e shari'a costituiscono due ambiti diversi, e rappresentano anche due vettori di trattamento sociale e giuridico completamente diversi. Inoltre, nell'Islam contemporaneo, non tutti hanno le stesse opinioni riguardo la shari'a; se consideriamo, ad esempio, il Consiglio dei paesi islamici od il modo di trattare il diritto sciariatico nei singoli paesi islamici, ci accorgiamo che non esiste neppure uno Stato che definisca la shari'a allo stesso modo di un altro. La Libia lo definisce in un certo senso, l'Arabia Saudita in un altro, l'Egitto in un altro ancora e l'Algeria in modo ancora diverso, e via dicendo. Ciò porta, naturalmente, a un'enorme confusione nel trattare il fenomeno.
Poi vi sono questioni di significato che si inseriscono, oggi, in un vasto dibattito che oggi interessa la teologia e la filosofia


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politica dell'Islam. Mohammed Harbi, un filosofo e teologo tunisino di circa settant'anni che la fondazione Agnelli ha premiato alcuni anni fa, non ha esitato ad affermare pubblicamente, anche nei paesi islamici, di essere totalmente a favore della libertà religiosa; vi è, è ovvio, chi sostiene l'esatto contrario.
Il sistema giuridico in Europa è intrappolato in questa contraddizione. Solo una soluzione inedita nel trattamento giuridico delle libertà religiose potrebbe rappresentare una via d'uscita. Essa avrà comunque delle ripercussioni nei confronti dei paesi islamici - delineando una chiusura oppure una maggiore apertura - e comunque va portata avanti. Secondo me, dal punto di vista metodologico, ai fini un approccio globale al fenomeno religioso, al vostro progetto di legge è mancata una commissione interministeriale mista per stabilire cosa è l'Islam in Italia, perché alla fin fine, a parte alcune marginali ricerche universitarie, non sappiamo quasi niente su quante sono le moschee, su come sono finanziate, su come sono nate, su chi è il personale di culto. Se non è troppo tardi, andrebbe costituita una commissione formata da rappresentanti del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell'interno, del Ministero degli affari sociali, da un magistrato, da un prefetto e da delegati degli enti locali, per avere un quadro della situazione e per potere in futuro monitorare l'applicazione della legge. A parte due ricerche che conosco molto bene, una sulla Sicilia ed una su Torino, non abbiamo nient'altro. Mi sembra fondamentale consultare gli imam delle diverse moschee, realizzando un'inchiesta sulla loro formazione e sulla diffusione territoriale del loro centro di culto, in modo da delineare un quadro generale della situazione, senza il quale la legge potrebbe avere degli effetti limitati. Sarebbe sufficiente un anno di lavoro con un esperto su queste


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tematiche per avere molte informazioni, permettendoci di stabilire dove si sta dirigendo l'Italia sotto questo punto di vista.
Credo che la legge debba sempre rappresentare un punto di arrivo, ma senza un'indagine che ci descriva cosa sta accadendo nel nostro paese mi sembra difficile rendere effettiva la legge sulle libertà religiose. Per quanto riguarda le organizzazioni dei musulmani in Italia, si tratta di una strutture che hanno occupato uno spazio vuoto: la prima comunità musulmana riconosciuta dall'ordinamento italiano è stato, nel 1979, il Centro culturale islamico d'Italia, creato dalle diverse ambasciate dei paesi musulmani. È evidente che negli anni settanta si trattava di colmare un vuoto, ma ci sarebbe da chiedersi in quale misura questo ente abbia una rappresentatività ed un effettivo controllo territoriale. In questo lasso di tempo, a causa di ideologie politiche o fenomeni nazionalistici, si sono moltiplicate le associazioni, alcune sul piano specificamente locale, altre con una valenza meramente ideologica; mi riferisco all'UCOII, che ha dei corrispettivi anche in altri paesi europei, dove cambiano le sigle ma la struttura resta sempre la stessa, ed è legata all'organizzazione dei «Fratelli Musulmani». Si tratta della più grande organizzazione di musulmani in Europa: è forte in Francia, in Italia, in Germania ed in altri paesi europei. Queste organizzazioni seguono lo sviluppo dell'internazionalizzazione del fondamentalismo islamico nato in Egitto intorno agli anni trenta. Esiste poi il fenomeno delle conversioni, che contribuiscono a una maggiore frammentazione delle comunità. Da tutto ciò risulta la difficoltà di federare queste associazioni all'interno di un'unica struttura. In questo caso la situazione francese è emblematica: la forza del potere pubblico sta obbligando i musulmani a riconoscersi all'interno di un'unica


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struttura; quello che succederà si vedrà in futuro, ma quest'iniziativa rappresenta già un primo passo che permetterà di contenere alcune derive in atto in Francia.
Il matrimonio misto di un uomo musulmano con una donna non musulmana è possibile e non è obbligatoria l'adesione all'Islam da parte della donna, ma i figli devono essere educati nella fede islamica.

PRESIDENTE. Che cosa succede nel caso inverso, in cui la donna sia musulmana e il marito di un'altra confessione religiosa?

KHALED FOUAD ALLAM, Docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la Facoltà di scienze politiche delle università di Trieste ed Urbino. Nel diritto musulmano questo caso non è contemplato, a meno che l'uomo non abiuri la propria religione diventando musulmano. Ci sono stati casi di condanna di questo tipo di matrimoni misti. Bisogna comunque pensare all'identità sempre in termini di diluizione, perché in Europa esistono moltissimi matrimoni misti di questo tipo che non si curano di questa prescrizione: spesso ci sono ragazzi e ragazze musulmani e cattolici che si sposano senza tenere conto dell'ordinamento giuridico musulmano. Ciò ripropone di nuovo, però, il problema della libertà religiosa e della Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948, che non è stata firmata da alcuni Stati musulmani, come l'Arabia Saudita.
Tutto sommato la grande crisi è rappresentata dal fatto che questo corpus giuridico in pratica si è chiuso a partire dal XII secolo: oggi si tratta di riaprire, di avviare nuove forme interpretative in grado di accompagnare queste trasformazioni.

MARCO BOATO. Signor presidente, interrompo per intervenire sui lavori della Commissione. Considero l'intervento del


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professor Khaled Fouad Allam di estremo interesse e dovendomi tuttavia allontanare insieme ad altri colleghi suggerisco l'opportunità che il professor Khaled Fouad Allam completi comunque la sua esposizione, che verrà riportata nel resoconto stenografico della seduta odierna, oppure si riservi di inviare un'integrazione scritta da allegare agli atti della Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo al professor Allam se accede alla richiesta dell'onorevole Boato. Considerata la calendarizzazione dei lavori di questa indagine conoscitiva il professore potrebbe farci pervenire una relazione scritta entro la fine del mese di novembre.

KHALED FOUAD ALLAM, Docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi Islamici presso la facoltà di scienze politiche delle Università di Trieste e Urbino. Si, signor presidente, ritengo di poter inviare alla Commissione una nota scritta per la data da lei suggerita.
Concludo il mio intervento con un'ultima breve osservazione sull'opportunità o meno di siglare una o più intese. Quella delineata potrebbe essere una soluzione (da imitare forse anche a livello europeo) tuttavia non vanno esclusi dei rischi, come la possibilità di pervenire a una sorta di scisma interno all'Islam. Questo è ciò che afferma un esperto tedesco di origine siriana che insegna all'università di Tubingen, il professor Bassam Tibi: che entro i prossimi trenta o quarant'anni, in Europa si assisterà ad un scisma all'interno del mondo musulmano. Prefigurare una strategia che diversifichi le intese significa lavorare su troppi binari, legittimando di volta in volta un Islam liberale ed un Islam comunitarista, ortodosso, eccetera. Questo non farà che delineare una frattura all'interno dell'Islam e ciò rappresenta un aspetto di cui si dovranno valutare gli sviluppi futuri.


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PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente, a nome di tutta la Commissione e mio personale, il professor Khaled Fouad Allam per il suo intervento.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.50.

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