INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11,25.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di Giorgio Villella, segretario dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa, l'audizione del segretario dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, Giorgio Villella.
Ringrazio il segretario Giorgio Villella, accompagnato dal vicesegretario e responsabile degli affari europei Vera Pegna e dal responsabile della divisione giuridica Raffaele Carcano, per aver accolto il nostro invito e gli do subito la parola.
GIORGIO VILLELLA, Segretario dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. La nostra associazione è l'unica esistente in Italia, è completamente indipendente da forze politiche o gruppi di pressione, si è costituita nel 1987, legalmente nel 1991, ed il suo motivo principale è che viviamo in un paese in cui gli atei e gli agnostici si sentono a disagio: le istituzioni, infatti, continuano ad agire come se ancora di fatto vi fosse la religione di Stato. Chi non è cattolico, bensì di altre religioni o di associazioni atee è trattato come un cittadino di serie B.
Siamo un riferimento per tutti gli atei italiani; tra i nostri compiti non esiste quello di attaccare la Chiesa; non facciamo
proselitismo per convincere le persone ad abbandonare il cattolicesimo; c'è solo il desiderio di interloquire con le nostre istituzioni affinché diventino effettivamente laiche, come è scritto nella Costituzione, nei trattati internazionali ed europei, cosa che in pratica non avviene.
La nostra associazione è federata con la Federazione umanista europea; nel nord Europa ci sono molte associazioni umaniste: è un termine che in Italia suona male, ma che significa porre l'uomo al centro della vita, escludendone le religioni e Dio.
La federazione ha relazioni con le istituzioni dell'Unione europea da cui è regolarmente ascoltata. Esiste, poi, una commissione europea, chiamata «Un'anima per l'Europa», dove sono rappresentate tutte le religioni esistenti in Europa, ed in cui siamo presenti anche noi e gli umanisti, che ha il compito di discutere i problemi riguardanti le libertà religiose ed individuali.
La vicesegretaria Pegna è stata cooptata nel consiglio direttivo della Federazione umanista europea e in tale veste va spesso a Bruxelles; tutto ciò in Italia non accade e la nostra associazione conta molto poco. Ad esempio, a Padova il vescovo visita le scuole senza chiederlo, avvisando soltanto che arriverà e senza che tale fatto sia discusso in consiglio di istituto. Se noi invece scrivessimo ad una scuola, chiedendo di fare una conferenza di pomeriggio, senza interrompere le lezioni, non ci risponderebbero neanche. C'è quindi una notevole differenza di trattamento da parte delle istituzioni pubbliche.
È molto difficile stabilire quanti siano gli atei in Italia, perché ci sono molte persone che si dichiarano cattoliche senza credere nell'anima. Il fenomeno nuovo nel mondo occidentale non riguarda soggetti che da credenti diventano
non credenti, ma credenti che hanno perduto la fede e che non scelgono niente altro; il che permette di affermare che in Italia ed in Europa il senso religioso continua a diminuire presso la coscienza degli individui, ma non dice nulla sul numero degli atei o degli agnostici.
Comunque, a parte tali limiti, le statistiche si compiono e, tra quelle pubblicate sei mesi fa, gli italiani senza religione risultavano pari a 9 milioni e mezzo, come risulta anche in altre pubblicazioni internazionali, per cui accettiamo che in Italia sia di tale entità il numero delle persone senza alcuna religione.
Si tratta di un numero che aumenta ogni anno, visto che cresce il numero delle persone che si sposano in municipio o che preferiscono convivere invece di sposarsi; ogni anno diminuisce anche il numero delle persone che in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi indicano come destinatario dell'8 per mille la chiesa o che battezzano i propri bambini. Che la religione conti sempre di meno nella coscienza dell'individuo, è un fatto sicuro, sebbene non si sappia quantificare il fenomeno.
La nostra associazione si fa portavoce dei 9 milioni e mezzo di persone che in Italia non sono mai presi in considerazione. Si pensa infatti che l'essere ateo sia una questione personale, e purtroppo, quando si discutono provvedimenti legislativi da avviare o concernenti ad esempio l'insegnamento dell'ora di religione, noi non veniamo interpellati.
Nella scorsa legislatura il relatore, presentando il provvedimento di legge in tema di libertà religiosa, ha sostenuto che gli strumenti normativi attualmente esistenti nell'ordinamento risultano insufficienti per garantire la libertà spirituale dei non credenti. Tale è stata l'ammissione, con cui concordiamo, ma
di cui le istituzioni non si rendono conto, ritenendo l'ateismo una scelta individuale che come tale deve essere trattata.
Noi siamo agnostici e atei razionalisti; il fatto di essere razionalisti significa che riteniamo che sulle convinzioni profonde, come la religione, è inutile accanirsi. Non è nostra intenzione far diminuire l'influenza privata della religione nella coscienza delle persone, per cui conveniamo sul fatto che una coppia cattolica deve avere la possibilità di educare i figli in modo coerente con le sue convinzioni. Questi genitori possono farlo prima di tutto in casa, poi mandandoli in parrocchia, poi nelle aule scolastiche, dove non incontrano alcuna difficoltà. Al contrario i 9 milioni di persone atee o agnostiche presenti in Italia si trovano di fronte ad un gravissimo problema di coscienza quando mandano i figli a scuola: devono scegliere tra due mali, e optano per quello che considerano il male minore. Avendo tre figli e avendo compiuto la stessa scelta, so a che cosa si va incontro se si decide di non far seguire ai propri figli l'ora di religione cattolica e per questo molti soci della nostra associazione hanno preferito far seguire ai loro figli l'ora di religione. Una nostra socia di Roma mi ha raccontato che la maestra di sua figlia le ha suggerito di farla riammettere all'ora di religione per evitare l'isolamento e la perdita di tempo nei corridoi della scuola. Dover fare una scelta del genere capita a tutte le famiglie senza religione, cosa intollerabile secondo la nostra opinione. Recentemente nel corso di un trasloco ho ritrovato i quaderni di scuola dei miei figli dove le tracce dei dettati si risolvevano nel riportare tutti i fenomeni naturali o sociali all'idea di Dio, o le poesie si trasformavano in una preghiera alla Madonna. Ora, come può un genitore accettare tranquillamente di sentirsi chiedere dal figlio, una volta ritornato a casa, perché non è stato battezzato visto che corre il rischio di andare
all'inferno? Quanta fatica deve poi fare un genitore per liberare suo figlio da questi stereotipi che entrano così facilmente nella mente di un bambino?
Noi vorremmo che vi fosse l'ora di religione per tutte le religioni ed un ora di laicità per chi non professa alcuna fede, oppure che non vi fosse alcun insegnamento religioso obbligatoriamente previsto. Purtroppo non è in questa sede che si può modificare il Concordato e tutte le intese con le altre religioni, ma mi preme segnalare comunque il disagio degli atei in Italia. Nelle convenzioni internazionali sottoscritte anche dall'Italia ormai da qualche decennio si parla di libertà di religione e di coscienza, oppure libertà di religione o di non religione. L'espressione «libertà di religione» è una bellissima espressione coniata subito dopo le guerre di religione di diversi secoli fa durante le quali la gente si scannava per motivi religiosi (una volta se il sovrano cambiava religione doveva seguirlo tutta la popolazione). Parlare di libertà di religione è stato un progresso, ma al giorno d'oggi progredire significa smettere di esprimersi in questi termini e parlare invece di libertà di coscienza per tutti i cittadini, religiosi o non religiosi.
Nelle convenzioni firmate dall'Italia questa dizione già esiste e noi vorremmo che fosse inserita nella proposta di legge che stiamo discutendo. Nell'articolo 2 del disegno di legge si affronta questo problema, in particolare si riconosce anche il diritto degli atei. Sono enunciati dei principi che ci trovano perfettamente d'accordo; ci deve essere pari libertà sia per chi segue una religione sia per chi non segue alcuna religione ma, aggiungiamo noi, vi devono essere anche pari diritti, perché è vero che in Italia nessuno viene imprigionato a causa del suo ateismo, ma gli atei non sono considerati uguali ai fedeli delle varie religioni. Noi pretendiamo di avere gli stessi loro diritti. Non si possono considerare i diritti dei cittadini atei ed
agnostici diversamente da quelli riconosciuti dalle intese ai credenti. Basti pensare, ad esempio, alla possibilità di tutelare la non discriminazione di un bambino che non si avvalga dell'insegnamento della religione cattolica, di salvaguardare il diritto al conforto umanistico al carcerato militante o al ricoverato ateo. Tra i nostri soci vi sono persone che, ciascuno per suo conto, fanno del volontariato nelle carceri; ci sono delle persone malate che, invece di un prete, vorrebbero avere uno psicologo, un amico, qualcuno che abbia la stessa loro concezione del mondo, e ciò non è dato. Quindi il cattolico magari ha il sacerdote nell'ospedale pagato dallo Stato che lo conforta, gli atei non hanno alcun servizio equivalente.
Si dovrebbe consentire la celebrazione di un matrimonio civile all'interno di una struttura degna dell'evento. Certamente per i cattolici si tratta di un sacramento che si cerca di celebrare nella maniera più degna possibile, ma anche noi festeggiamo i compleanni con i bambini o celebriamo i matrimoni. Le cerimonie rappresentano un fatto sociale che riguarda tutti i cittadini, non solamente i fedeli di una religione; anche noi vorremmo poter celebrare i matrimoni con la debita considerazione; qualche città lo fa, altre città non lo fanno. Quarant'anni fa mi sono sposato in municipio a Padova ed è stata una scena veramente squallida: in un piccolo ufficio c'era un assessore monarchico-cattolico che non ci fatto gli auguri, non ha neanche fatto entrare i nostri parenti e amici, e ci ha subito congedato dopo la firma. Tutto ciò non è giusto, se lo Stato spende miliardi per le chiese, per i sacerdoti, perché i cattolici possano svolgere le loro cerimonie, o smette di spendere queste somme oppure riconosce anche a noi il diritto di avere delle cerimonie degne. Non bisogna poi dimenticare il funerale, dove la discriminazione è ancora peggiore.
Alcuni anni fa uno dei miei figli è morto in un incidente stradale ed il funerale si è svolto nel viale del cimitero, per fortuna non pioveva, dove si sono riunite duecento persone. In tutta Europa sono previste delle sale dove le varie religioni o chi è senza religione può fare la commemorazione del defunto, non si comprende perché in Italia ci debba essere solo la chiesa cattolica con le sue strutture e i suoi sacerdoti che possano fare cerimonie del genere. In molti comuni ci sono delle norme che stabiliscono che quando uno muore deve essere trasferito immediatamente dalla camera mortuaria o da casa al cimitero, a meno che non sia cattolico. Non si capisce allora perché i comuni non mettano a disposizione una sala dove chi non è cattolico possa usufruire di questo servizio. Bisogna assicurare la semplicità di esecuzione delle opzioni testamentarie a favore della cremazione. Quando uno muore può decidere di essere seppellito, di essere collocato in un loculo o decidere la cremazione. Di nuovo, la procedura della cremazione è più complicata e costosa, serve che la persona abbia espresso in vita il desiderio di essere cremato. Mi domando perché tutto questo, quando tra le tre opzioni la più conveniente per lo Stato la più conveniente è quella della cremazione che permette tra l'altro di rimediare alle carenze di posti e alla proliferazione della criminalità in questo campo, perché non favorire la cremazione o almeno collocarla su un piano di pari dignità con le altre opzioni?
Se qualcuno vuole essere seppellito ed incontra delle difficoltà, devono essere le stesse di chi vuole essere cremato; non si capisce il motivo per cui la cremazione è molto più complicata e costosa, come se essere seppellito fosse normale e noi fossimo anormali e diversi.
È necessario rendere deducibili le erogazioni liberali a favore delle associazioni: la chiesa riceve molte donazioni
perché molta gente muore lasciando ad essa i propri averi; durante la vita, inoltre, si possono elargire due milioni l'anno. I nostri soci che elargiscono del denaro all'associazione dovranno poi pagare le tasse: chiedo un eguale trattamento. Se la Costituzione prescrive l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, i 9 milioni e mezzo di non credenti, che sono in numero 16 volte maggiore di tutte le religioni minoritarie presenti in Italia, hanno diritto ad essere trattati al pari degli altri.
Nell'introduzione e nel secondo articolo del disegno di legge in oggetto si affermano i principi generali della libertà religiosa, con i quali concordiamo, ma che rimangono affermazioni di principio, perché nell'articolato si dimentica completamente l'esistenza degli atei. Anche la nostra Costituzione fa affermazioni di principio che, in pratica, non sono rispettate. Siamo soddisfatti per il fatto che questa legge sia stata proposta, ma vorremmo che non ci si fermasse ai principi generali e fosse ammessa parità di trattamento tra le religioni e le associazioni filosofiche non confessionali, in modo tale che le persone atee ed agnostiche abbiano gli stessi diritti e trattamenti dei credenti.
Se lo Stato subordina alla sottoscrizione di un'intesa la possibilità di avvalersi di alcuni diritti attinenti alla sfera delle convinzioni personali e se è facoltà del Governo e del Parlamento stabilire le modalità tecnico-burocratiche con cui concretizzarle, una parte della popolazione, in particolare i cittadini senza religione, può venire discriminata. Il testo in oggetto deve assicurare un'intesa specifica anche a noi oppure deve prescrivere che gli atei devono essere trattati allo stesso modo in cui vengono trattati i fedeli. In caso contrario, ripeto, verremmo discriminati.
Nei trattati internazionali sottoscritti e recepiti dall'Italia si indicano spesso eguali diritti per i fedeli e le confessioni religiose. Ho letto la documentazione di 600 pagine che mi è stata spedita, dove sono riportati molti trattati. Ce ne sono alcuni che vorremmo fossero aggiunti agli atti che consegnerò alla Commissione.
Il punto 11 del trattato di Amsterdam contiene l'affermazione relativa al fatto che l'Unione europea rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese, le associazioni o comunità religiosa degli Stati membri; ciò significa che se uno Stato tratta meglio una religione delle altre, l'Europa non interviene. Tale punto di vista non poteva essere condiviso, così è stato precisato che l'Unione europea rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali. L'Italia, sottoscrivendo il trattato di Amsterdam, ha preso l'impegno di rispettare ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali: chiedo che nell'articolato della legge in oggetto vengano inseriti i punti che riguardano gli atei e che venga esplicitato che un'intesa è possibile anche con la nostra categoria. Così come lo Stato discute con piccole religioni che hanno 2000 fedeli, può discutere con un'associazione di atei e di agnostici - che sono 9,5 milioni - prevedendo la detassazione delle donazioni o una semplificazione della procedura per la cremazione: ripeto, vorremmo che quanto viene concesso alle religioni venisse concesso anche a noi attraverso l'intesa oppure inserendo questi punti esplicitamente nell'articolato del testo. L'affermazione di principio non ci basta.
Vorrei leggere le convenzioni che l'Italia ha sottoscritto e che non sono riportate nella documentazione. La Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, all'articolo 9, recita: «Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza
e di religione». La libertà di religione è diversa da quella di pensiero e di coscienza. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, o mediante l'insegnamento. Se i cattolici usufruiscono del diritto dell'ora di religione per i propri figli, ho il diritto, in base alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, di ricevere un insegnamento coerente, in modo che mio figlio, confortato dal fatto di avere un'insegnante, non si trovi più emarginato e considerato come un corpo estraneo in una classe.
Il documento conclusivo della riunione di Vienna dei rappresentanti degli Stati partecipanti alla conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa del 1986 -1989, all'articolo 16 recita: «Al fine di assicurare la libertà dell'individuo di professare e praticare una religione, oppure una convinzione, gli Stati partecipanti, tra l'altro, adotteranno misure efficaci per impedire o eliminare ogni discriminazione per motivi di religione o di convinzione». Nel progetto di legge in oggetto si deve esplicitamente dichiarare che si devono adottare misure efficaci per impedire ed eliminare ogni discriminazione per motivi di convinzione. Siamo discriminati e chiediamo che nel progetto di legge in discussione venga eliminata tale discriminazione.
Inoltre, «gli Stati dovranno assicurare l'effettiva uguaglianza tra credenti e non credenti»; per ottenere tale risultato tutte le disposizioni che favoriscono le religioni debbono favorire anche gli atei, nella stessa maniera; o non si stipulano intese con nessuno oppure si stipulano anche con noi. Non chiediamo edifici di culto. I buddhisti, che seguono una religione molto particolare, hanno ugualmente stipulato l'intesa. Vogliamo essere ascoltati e convocati per spiegare nostre
ragioni, che devono essere prese in considerazione attraverso un'intesa, oppure recependole nell'articolato del testo, oppure con un patto. È necessario che quei patti che l'Italia sottoscrive quando si discute di principi astratti e generali vengano messi in pratica. Nella riunione conclusiva di Vienna si afferma l'effettiva uguaglianza tra credenti e non credenti: ciò significa che in tutti i campi, nei quali le religioni detengono un qualche vantaggio, esso deve essere concesso anche agli atei.
L'articolo 10, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000 recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, individualmente o collettivamente, in pubblico, in privato, anche mediante l'insegnamento».
Il documento finale della Conferenza consultiva internazionale sull'educazione scolastica in relazione alla libertà di religione e credenza, tolleranza e non discriminazione, organizzato a Madrid dall'ONU nel 2001, precisa che il documento è stato redatto con l'intesa che la libertà di religione o credenza include convinzioni teiste, non teiste ed atee, così come il diritto di non professare alcun credo o religione. Nel 2001 l'Italia ha partecipato a questa convenzione, ratificandone le conclusioni; come è stato fatto in tale documento, si può parlare di libertà di religione, aggiungendo che dove è indicata la libertà di religione si deve intendere anche la libertà di convinzioni teiste, non teiste ed altro.
In molte Costituzioni europee vengono ribaditi i principi che ho esposto. Nella Costituzione tedesca (concetti simili sono espressi anche in quella belga), sono equiparate alle associazioni
religiose quelle associazioni che perseguono il fine di coltivare una comune concezione del mondo. Se nel progetto di legge fosse previsto ciò, saremmo soddisfatti.
PRESIDENTE. Passiamo alle domande dei colleghi.
CARLO LEONI. Vorrei innanzitutto esprimere un apprezzamento per l'esposizione del dottor Villella, per il suo carattere logico e di buonsenso. Per quanto riguarda il gruppo dei Democratici di sinistra cercheremo di raccogliere le sollecitazioni emerse, anche quando affronteremo l'esame della proposta di legge nel merito degli articoli e delle proposte emendative ad essi riferite.
Nella sua premessa, citando episodi di vita quotidiana, come l'aumento dei matrimoni civili ed altro, lei ha sintetizzato il dato attuale con un'espressione molto impegnativa, affermando che la religione conta sempre meno nella coscienza degli individui, in particolare in Italia. Nel suo intervento ha ricordato le guerre avvenute nel passato; ci troviamo, però, in un momento storico in cui in nome della religione, o - più precisamente - usando la religione, si conducono guerre e si innescano conflitti. Anche nel nostro paese si assiste ad un fenomeno nuovo rispetto al passato, per il quale cittadini italiani - non stranieri che acquisiscono la cittadinanza italiana - si convertono abbracciando religioni diverse da quella cattolica.
Nella sua esposizione la conclusione sembrava estremamente chiara, ma la situazione è più complessa; assistiamo su scala mondiale ad un rinnovato richiamo alla religione, anche da parte di religioni diverse da quella cattolica. Ciò mi spinge ad affermare la necessità di lavorare con la «stella polare» del principio di uguaglianza, come ha affermato lei.
GIORGIO VILLELLA, Segretario dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. La vicesegretaria dell'associazione fa parte di una federazione umanista europea. Recentemente si è recata a Bruxelles, dove è stato esposto ai commissari ed ai funzionari dell'Unione europea il punto di vista delle religioni su alcune questioni. Naturalmente, erano presenti anche gli umanisti e la nostra associazione. Un rappresentante dei cattolici austriaci, forse un vescovo, ha fatto un intervento lamentandosi che nella pubblicità fossero usati simboli cattolici in maniera impropria e richiedeva che l'Europa proteggesse la sacralità di tali simboli. Immediatamente dopo è intervenuta la vicesegretaria dell'associazione, Vera Pegna, affermando l'impossibilità di introdurre in Europa la censura; la religione deve meritare il rispetto ed il modo principale per essere rispettati è non avere potere né privilegi. È stato un intervento che rispecchia bene la nostra posizione ed ho inteso citare questo episodio per spiegare quanto la nostra associazione sia considerata in Europa, mentre nel nostro paese siamo ignorati.
Circa il risveglio della religiosità, il cardinale Martini, cinque o sei anni fa, affermò che i cattolici veri nel nostro paese (persone che sanno realmente cosa sia la religione e cercano nella propria vita di adeguarsi ai principi seguiti, partecipando anche alla vita delle parrocchie) sono l'8 per cento della popolazione; le altre persone sono cattoliche per abitudine, superstizione, consuetudine e mancanza di interessi. Il risveglio, di cui ha parlato lei, onorevole Leoni, riguarda quell'8 per cento che il cardinale Martini considerava veri cattolici. Per quanto riguarda le altre religioni, inoltre, tutte quante sommate non hanno un seguito superiore all'1 per cento nel nostro paese.
Ad Udine l'80 per cento dei matrimoni si svolge in municipio (venti anni fa un dato simile sarebbe stato inconcepibile) ed a Trento la percentuale scende al 57. Sono dati comuni a tutte le città del nord dove, inoltre, il 25 per cento dei genitori non battezza i propri figli. La situazione è diversa per quanto riguarda le campagne.
Per questo ho affermato che la società nel suo complesso sta attraversando un processo di minore partecipazione religiosa; chiunque di noi abbia figli o nipoti può constatarlo. Personalmente, ho tre figli; quando dieci anni fa (i miei figli erano ancora studenti universitari) rivolgevo domande ai loro amici venuti a casa, emergeva che nessuno di loro si interessava più di religione o andava a messa. Rispetto ai tempi in cui ero ragazzo, la religione non ha più la stessa diffusione ed importanza.
MARCO BOATO. Presidente, chiedo se sia possibile allegare al resoconto stenografico la documentazione consegnata dal dottor Villella.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Boato, ne autorizzo la pubblicazione in allegato.
Ringrazio il dottor Villella per la sua partecipazione e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 12,05, è ripresa alle 12,10.
Audizione di Carlo Cardia, componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa,
l'audizione del professore Carlo Cardia, componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio.
Do la parola al professor Cardia.
CARLO CARDIA, Componente della commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio. Comincerei parlando di alcuni punti essenziali, all'origine delle scelte tecniche compiute dalla Commissione e, poi, avvalorate dall'iter parlamentare della scorsa legislatura, relativamente al provvedimento di legge in esame, tralasciando gli aspetti minori, che saranno discussi successivamente.
La prima questione, di cui si è anche parlato sui giornali e che comunque riemerge, è che il progetto di legge in esame è stato concepito come una forma di adeguamento tardivo del nostro ordinamento ai principi costituzionali e del diritto internazionale in materia di diritti di libertà.
Si tratta di un adeguamento tardivo perché in altri paesi, che ad esempio hanno concluso la loro esperienza totalitaria da poco, tuttavia già sono presenti le leggi fondamentali sulla libertà religiosa, (i russi hanno varato due leggi, una più liberale e l'altra più restrittiva, la Spagna ha una legge organica sulla libertà religiosa da oltre due decenni, e cosi via). È pertanto necessario determinare anche un nostro momento di coerenza ordinamentale, atteso oramai da tempo.
Spesso ho letto, anche discutendone all'università in un recente dibattito, che il progetto di legge in esame sarebbe fortemente innovativo, concedendo diritti e prerogative a confessioni religiose particolari; tuttavia, sostengo che ciò non è vero, in quanto, anche se è mancata la riforma della legge del 1929, abbiamo avuto un lungo cammino di attuazione costituzionale nelle norme qui riportate attraverso un'evoluzione, che devo dire eccezionale e molto prossima a quella
americana, della giurisprudenza costituzionale, per cui la libertà religiosa si è concretizzata in Italia nelle sentenze della Corte e, successivamente, in alcune leggi.
Nel progetto di legge in esame troviamo gli elementi fondamentali già maturati nell'ordinamento italiano; non c'è, infatti, nessun diritto suppletivo e prerogativa aggiuntiva rispetto alle confessioni religiose, che non avessero già con la legge del 1929: e ciò è un dato tecnico indiscutibile.
Nelle tre grandi ripartizioni normative presenti abbiamo la ricezione dei principi sulla libertà religiosa, rapportata alla libertà di coscienza e quindi comprensiva della libertà dell'ateismo e dell'agnosticismo, che però già dagli anni cinquanta l'ordinamento italiano aveva cominciato a maturare; il diritto dei genitori ad educare i figli nel rispetto della loro personalità e, comunque, senza nuocere alla salute, che è principio già affermato nella nostra giurisprudenza e contenuto anche nelle convenzioni di diritto internazionale; infine, il diritto dei minori alle scelte religiose, che in tale caso appare un elemento in più, in quanto la norma diventa generale ed innovativa, per cui i 14 anni sono il momento di maturazione del diritto alle scelte religiose, non più soltanto per poter scegliere l'insegnamento religioso nella scuola, ma anche relativamente a quelle scelte religiose che possono avere una diversa incidenza; si tratta di una questione innovativa che però completa la maturazione dell'ordinamento, che già aveva concesso al minore la possibilità di scegliere in materia religiosa.
Ho accennato alla parità tra ateismo e religione, che è il conseguimento di un diritto maturato negli ordinamenti occidentali nella seconda metà del novecento; il diritto di libertà e di coscienza data dalla Rivoluzione francese, ma poi, salvo la Francia, negli ordinamenti occidentali, compreso quello degli Stati Uniti, l'ateismo ha trovato una serie di ostacoli
diretti ed indiretti, che ne limitavano l'operatività. Noi parliamo di parificazione tra ateismo e religione per quanto riguarda la libertà religiosa individuale, nell'ambito cioè della dialettica esistente tra ateismo e religione, e quindi, relativamente all'insegnamento religioso nelle scuole, alla libertà del singolo, a quella dei genitori e dei figli. Tuttavia, oggi tale tendenza non trova accoglienza nel progetto di legge che riguarda la parificazione delle organizzazioni ateistiche alle confessioni religiose.
In Belgio tale parificazione ad alcuni effetti esiste, non perché le organizzazione ateistiche siano parificate semplicemente alle confessioni religiose, ma in quanto c'è una tradizione scolastica che permette un insegnamento religioso ed uno di morale laica, impartito effettivamente da persone presentate da organizzazioni filosofiche.
In nessun altro paese esiste la parificazione tra le organizzazioni ateistiche e le confessioni religiose: ed il motivo è giuridico e costituzionale. Ad esempio, nella nostra Costituzione nell'articolo 8, si parla di confessioni religiose, e con tutta la buona volontà credo che il concetto di confessione religiosa implichi non solo la religiosità, ma anche la professione di fede, e la struttura connessa.
Tale appare essere, quindi, il primo ostacolo rilevante; ma bisogna prestare attenzione ad un altro impedimento. In Italia, è stata presentata da una organizzazione ateistica, sul presupposto della quasi totale analogia fra le confessioni religiose e le organizzazione ateistiche, una bozza di proposta di intesa, dove era contenuta una quasi pedissequa copiatura dei contenuti dell'intesa. Farò alcuni esempi al riguardo: si chiedeva di parificare le sedi delle organizzazioni ateistiche-filosofiche agli edifici di culto. Ora, anche in questa legge è previsto che gli edifici di culto abbiano delle guarentigie; in questa ipotesi
si prevedeva di consentire anche ai rappresentanti delle organizzazioni ateistiche di avere uno status vicino a quello dei ministri di culto, comprendente tra l'altro il diritto di prestare l'assistenza morale e religiosa ai detenuti, ai militari e ai malati terminali in punto di morte negli ospedali. Ricordo tutto ciò perché la scelta fu contraria a questa parificazione, ma anche perché si può arrivare a forme francamente abnormi, perché in questo caso non si tratta più di ateismo e religione, quanto piuttosto delle singole organizzazioni filosofiche che vengono confuse e rese analoghe alle confessioni religiose. In questa legge troviamo pertanto la parificazione dell'ateismo per la libertà religiosa ed individuale, la non parificazione, nella seconda e terza parte della proposta, per quanto riguarda le confessioni religiose e le intese.
Questa legge è stata scritta con un criterio di parsimonia linguistica; ciò significa che su alcuni punti è stata data una disciplina «apicale», usando le parole con attenzione. Bisogna tenere presente che in altri paesi vi è stata una tendenza opposta: si sono emanate leggi sulla libertà religiosa molto dettagliate, in cui si è cercato di prevedere tutto. Questi paesi, tutti provenienti da regimi totalitari, sia di destra che di sinistra, hanno prodotto all'improvviso una normazione a tutela della libertà religiosa in una situazione apparsa a loro totalmente diversa rispetto al loro immediato passato di coercizione, chiusura e, in qualche caso anche di persecuzione. Si sono trovati di fronte non soltanto le loro tradizionali confessioni religiose (ortodossa nelle ex Repubbliche dell'est; cattolica in Polonia ed in Spagna), ma anche ai nuovi movimenti religiosi che già agivano e che, nello spazio di pochi anni, si sono organizzati riuscendo a penetrare abbastanza in profondità nel tessuto sociale. La reazione di questi ordinamenti ha prodotto norme specifiche per ricondurre il concetto
di religione e di confessione religiosa alla tradizione giudaico-cristiana e in Russia anche a quella islamica, mentre si è manifestata un'ostilità molto forte nei confronti dei nuovi movimenti religiosi.
Si possono pertanto trovare norme sui limiti della libertà religiosa: sono vietate, ad esempio, le organizzazioni che fanno ricorso all'ipnosi o alla soggezione psicologica. Addirittura, in Francia è stata emanata una legge specifica sulla soggezione psicologica. Sono vietate attività tendenti ad espropriare i fedeli dei propri beni patrimoniali, perché da sempre esiste gente che regala gran parte o tutto il proprio patrimonio alla confessione o al gruppo di appartenenza. In sostanza, si sono posti una serie di limiti dettati dall'immediato e dal modus operandi di questi nuovi movimenti religiosi. Ad esempio, in Russia vi è una norma contro l'istigazione al suicidio per motivi religiosi, comportamento tipico di queste sette estreme.
In questa legge non vi è una scelta del genere, perché essa rimane coerente con un'opzione più profonda che l'ordinamento italiano ha fatto nel corso di cinquant'anni. Nel corso del periodo costituzionale l'ordinamento italiano non ha mai adottato una legislazione speciale sui culti, neanche per reprimere questi possibili aspetti negativi, perché si è ritenuto sufficiente il diritto penale o il diritto comune per bloccare attività negative, dal punto di vista patrimoniale, da quello della soggezione psicologica, eccetera. Una legislazione speciale è stata emanata, fra grandi contrasti, in alcuni paesi, perché essa comporta una ideologia di quel reato e di quella legislazione. Pensate che in Francia, la Chiesa cattolica, dopo l'emanazione della legislazione speciale di cui ho parlato prima, si è ribellata e ha protestato perché si era accorta che con quelle norme si vietavano condizionamenti psicologici che limitassero la volontà e l'attività dei singoli. Il cardinale di
Parigi e l'episcopato hanno pensato che un giorno qualche magistrato si sarebbe potuto recare in un convento di clausura, dove si entra volontariamente ma in cui comunque è presente un elemento oggettivo di coercizione molto forte, sia pure originariamente accettata, e la soggezione psicologica fra un membro di un istituto di clausura e un padre spirituale è pesante, non comparabile con quella che può avere un normale credente con il proprio confessore, perché nei conventi quelle persone vivono in simbiosi. La legislazione speciale si presta a rischi del genere.
Certamente non ignoriamo i rischi che comportano questi nuovi gruppi religiosi; per tale motivo abbiamo posto dei filtri, che confermano alcuni elementi delle scelte operate nel 1929. Una scelta di fondo di questa legge prevede, ad esempio, che una confessione religiosa, per essere riconosciuta, deve passare il filtro di un'indagine; contemporaneamente, si è posto l'obbligo della richiesta di parere al Consiglio di Stato. Tutto ciò è tendenzialmente contrario alla direzione intrapresa dai decreti Bassanini, che in particolare hanno abolito l'obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato; tuttavia in questo caso il parere ha una doppia valenza - di garanzia per l'ordinamento e per la confessione religiosa - perché il Consiglio di Stato è in grado di valutare meglio la natura reale di una confessione per stabilire se esistano i rischi cui accennavo prima. Faccio una parentesi: è chiaro che una confessione non scriverà mai nel proprio statuto delle norme chiaramente violatrici dei diritti umani o in cui si annunciano vessazioni nei confronti di chicchessia, però l'indagine intorno ad una confessione religiosa può essere anche de facto; ad esempio, una confessione che, come è accaduto, ha subìto una serie di procedimenti giudiziari o è stata protagonista di eventi negativi può essere meglio conosciuta dall'amministrazione.
Abbiamo ritenuto che il parere del Consiglio di Stato costituisse un filtro necessario proprio per questo motivo, escludendo la legislazione speciale, ma facendo in modo che l'ordinamento potesse garantirsi nei confronti delle eventualità patologiche. Il Consiglio di Stato svolge un'opera positiva anche per le confessioni, poichè ha sempre dato prova di grande esemplarità, attraverso una giurisprudenza continua, costante e coerente: i principi che stabilisce possono essere modificati nel tempo di fronte a fatti reali, mentre se si lasciasse solo all'amministrazione la discrezionalità di riconoscere o meno una confessione si correrebbe il rischio che essa agisca secondo la convenienza o l'orientamento che in quel momento può assumere il Governo. Dobbiamo dirlo, perché in tutti gli ordinamenti ci si pone il problema dell'imparzialità. Il Consiglio di Stato garantisce contro eventuali patologie, ma garantisce anche le confessioni religiose sul fatto che il giudizio positivo o negativo su di loro sarà formulato sulla base di criteri omogenei, cioè leali, di trasparenza ordinamentale. Questo è un elemento fondante del progetto di legge, che pone un filtro senza dettare una legislazione speciale nei confronti di nuovi movimenti religiosi.
Vorrei accennare anche ad altri aspetti: è sancito il diritto di libertà di accesso e di recesso dalla confessione religiosa in quanto diritto civile che può essere rivendicato di fronte allo Stato. Per le confessioni religiose, si valuta la loro conformità confessionale, ma anche il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, al loro interno. Ho citato le conformità confessionali perché pavento il giorno in cui un culto satanico chiederà il riconoscimento come confessione religiosa; se si è nel patologico, come lo è ciò che si legge sui giornali, il problema non si pone, ma teniamo presente che la Costituzione italiana non
prescrive che si debba credere in Dio. Il filtro del Consiglio di Stato serve per rispondere ad eventuali iniziative singolari.
Sottolineo un altro aspetto, sempre relativo a tale problema: anche nelle intese è stato posto un filtro. Infatti, non si può dire che le confessioni religiose abbiano tutte diritto ad una intesa, ma neppure il contrario. Non si può dire che lo Stato è arbitro e può, discrezionalmente, stipulare un'intesa con una confessione religiosa e non con un'altra, perché dalla formulazione costituzionale sembrerebbe emergere che tutte le confessioni abbiano questo diritto: in realtà, gioca un fatto storico. Quando fu elaborata la Costituzione le confessioni religiose erano quelle che si collocavano nell'orizzonte giudaico-cristiano (alcune protestanti) e non si immaginava minimamente che avremmo potuto avere questo florilegio di nuovi movimenti religiosi; non ne conosco il numero esatto, ma credo che ormai siano diverse decine, forse più di cento, escludendo quelli puramente inventati. È difficile pensare che si possa affermare il diritto all'intesa di tutte le religioni; altrettanto difficile è dire che lo Stato detenga una possibilità arbitraria di valutazione. Il Consiglio di Stato svolge un ruolo di filtro, qualora la confessione non abbia il riconoscimento, ma è anche necessario un filtro politico-parlamentare, che sembra la valutazione più opportuna. Le valutazioni riguardo l'intesa non sono, infatti, solo di tipo tecnico-giuridico, ma riguardano elementi di carattere politico e culturale, religioso, di tradizione e di comportamento; in quel caso, vi è un duplice riferimento alla Presidenza del Consiglio, come organo operativo protagonista dell'intesa, ma anche al Consiglio dei ministri ed alle Commissioni parlamentari, prima di avviare il vero processo di approvazione di un'intesa. Anche questo
aspetto, che potrebbe sembrare apparentemente minore, in realtà ha l'obiettivo di governare una nuova realtà fenomenologica religiosa.
Sia per quanto riguarda le intese, sia per quanto riguarda il riconoscimento delle confessioni religiose non ci si distanzia molto da quanto fatto in precedenza, depurato da ciò che la Corte costituzionale aveva espunto dalla legge n. 1159 del 1929: si è mantenuto il criterio del riconoscimento delle confessioni religiose senza quei caratteri un po' vessatori che esistevano nella legge del 1929.
Ho voluto, nella trattazione della mia relazione, seguire un filo conduttore che lega al passato ciò che è innovativo. Il progetto di legge in oggetto diventerà la legge fondamentale sulla libertà religiosa e da ciò deriva anche la scelta di usare parsimonia nel linguaggio, soppesando le parole a livello giurisprudenziale. Introduciamo una norma di chiusura del sistema perché, in seguito all'approvazione del testo, si attuerà nella sua complessità il sistema dettato dagli articoli 7, 8 e 19 della Costituzione.
Potranno emanarsi altre norme su argomenti particolari, ma la legislazione sui rapporti con le chiese sarebbe così rinnovata completamente. Curiosamente, tale legislazione è arrivata più tardi, mentre si potrebbe pensare, giustamente, che una legge sulla libertà religiosa debba essere approvata per prima: ci potrebbe essere un vantaggio in tale profilo negativo, consistente nella maturazione dell'ordinamento cui ho fatto riferimento più volte. Forse, tale legge potrà essere considerata più matura che non se fosse stata varata vent'anni fa.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Cardia e do la parola ai colleghi che volessero intervenire per porre domande e formulare osservazioni.
FEDERICO BRICOLO. L'articolo 18 del progetto di legge indica i requisiti che devono avere gli statuti delle religioni che chiedono il riconoscimento e l'approvazione da parte del Consiglio di Stato. Nel testo non si approfondisce tale questione, a differenza di altre legislazioni, per presentare un profilo più flessibile.
Dopo l'11 settembre, la confessione islamica, portando avanti le proprie teorie, è diventata pericolosa per la nostra società e la nostra civiltà. Quando le confessioni islamiche presenteranno gli statuti al Consiglio di Stato gli stessi non potranno essere veritieri, poiché quelle confessioni portano avanti iniziative che contrastano chiaramente con i diritti inviolabili dell'uomo; non potranno presentare uno statuto in cui si prevede che è possibile sposare più di una donna (mentre loro invece lo fanno), in cui si discrimina chi non crede nell'Islam, e tanti altri aspetti che il Corano prevede, ma che contrastano con il nostro ordinamento. Se vogliono l'approvazione dello statuto, ne dovranno presentare uno che non confligge con il nostro ordinamento: nel momento in cui presenteranno lo statuto, il Consiglio di Stato non potrà allora che avvalorarlo. Il professor Cardia diceva che con la normativa in oggetto non si conferiscono diritti preesistenti: noi invece assicuriamo una serie di diritti che, evidentemente, non esistevano.
Nel momento in cui si riconosce una religione, le si fornisce la possibilità di nominare propri ministri di culto e di emanare sentenze religiose. Riconoscere l'Islam come religione significa concedere ad esso la possibilità di emettere fatwa (che sono sentenze religiose).
Non è stato previsto, inoltre, un problema molto grave: non è stato preso in considerazione il fatto che credenze come quelle relative a sette sataniche con questo progetto di legge
possono presentare statuti conformi all'ordinamento, ma allo stesso tempo portare avanti al proprio interno iniziative diverse.
Un'altra domanda che vorrei porre riguarda lo spirito che ha determinato l'omissione della lettura, da parte del ministro di culto durante la celebrazione del matrimonio, degli articoli 143, 144 e 147 del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi. Sono convinto che ciò sia avvenuto per permettere agli islamici di sposarsi, visto che si tratta di articoli che prevedono la gestione congiunta dei figli da parte dei coniugi e la parità tra uomo e donna nella gestione della famiglia, concetti assolutamente non previsti dalla religione islamica.
Vorrei sapere infine per quale motivo non sono stati previsti con tale proposta di legge tutti gli aspetti negativi e le problematiche che possono emergere quando si riconoscono sette sataniche, credenze e religioni come quella islamica, che hanno dimostrato di essere estremamente pericolose nella loro interpretazione fondamentalistica.
MARCELLO PACINI. Mi scuso con il professor Cardia per essere arrivato in ritardo; purtroppo correrò il rischio di porre una domanda cui lei potrebbe già aver fornito una risposta nel suo intervento.
Vorrei chiedere, con riferimento agli articoli 10 ed 11 del progetto di legge, cosa accadrebbe nel caso in cui una religione storica - non una setta - non avesse ministri di culto.
MARCO BOATO. Ringrazio anch'io il professor Cardia per la sua relazione. Vorrei fare una precisazione in merito ad un'osservazione svolta poco fa dal collega Bricolo.
Ognuno ha libertà di culto, di pensiero e di opinione - tanto più in Parlamento -, ma la connessione presentata tra l'attentato dell'11 settembre e le confessioni islamiche non può
non essere oggetto di rilievo. Accettare questa connessione sarebbe come parlare della religione ebraica citando l'assassinio di Rabin, compiuto da un fondamentalista ebreo, oppure discutere della fede cattolica - che tra l'altro è la mia - ricordando gli atti di terrorismo che avvengono in Irlanda, sistematicamente, da decenni, da parte di cattolici e protestanti. Non credo sia possibile introdurre surrettiziamente, durante un'audizione, un «corto circuito» di tale tipo, che ritengo pericoloso e nefasto dal punto di vista istituzionale, ancor prima che politico e culturale.
Sul piano culturale e politico possiamo avere le idee più diverse, ma quando instauriamo una relazione di questo tipo affrontando l'esame di una proposta di legge di attuazione di norme riguardanti la libertà religiosa bisogna stare attenti. Si tratta di norme che attendono da decenni la loro realizzazione, attesa che ha consentito - come ha affermato il professor Cardia con una buona dose di ottimismo - un processo di maturazione; non vorrei che questa lunga attesa conducesse a processi di degenerazione.
Detto ciò, reputo necessario che lei, professore, prospetti alla Commissione eventuali problematiche, su cui sarebbe utile effettuare altre audizioni, che dovessero sorgere non tanto in relazione alle intese già stipulate (qualora, però, anche in questo campo emergessero problemi che sarebbe opportuno il Parlamento conosca, le chiedo di presentarli alla nostra attenzione), quanto rispetto alla fenomenologia di confessioni che non erano presenti nel nostro paese nel periodo della Costituente, ma che ne fanno parte oggi.
CARLO LEONI. Premetto di essere pienamente concorde con la prima parte dell'intervento dell'onorevole Boato; vorrei sapere se il professor Cardia possa ricordarci con quali principali confessioni religiose lo Stato italiano abbia già
realizzato un'intesa, con quali ciò non sia avvenuto e quali ne siano le ragioni.
LUCIANO DUSSIN. Come sempre, quando si discute di argomenti così delicati ed importanti, i livelli sono più d'uno. Un livello consiste nel tentativo di affermare i diritti, giungendo al migliore dei mondi possibili e concedendo tutte le prerogative di democraticità indipendentemente dalla proposta, mentre l'altro livello deve individuare quali siano le ricadute pratiche sulla società. Quando queste due esigenze non coincidono, sono i cittadini a subirne le conseguenze.
Quando l'onorevole Bricolo ha sollevato il problema relativo all'Islam, siamo arrivati al nocciolo della questione. Ho condiviso molte affermazioni del professor Cardia, ma ho un dubbio sulla valutazione relativa alle ricadute riguardanti il secondo livello. Poiché l'Islam è una confessione di Stato più che una confessione religiosa, secondo cui la sovranità non sta nella democrazia, ma in Allah, alla luce dei fenomeni dell'integralismo islamico, che hanno come missione lo scopo di sconfiggere l'Occidente (onorevole Boato, non si tratta di una singola persona, ma di una religione intera contro l'Occidente), e poiché tali forme di integralismo islamico hanno ormai la netta supremazia nella gestione dei rapporti interni, le chiedo se lei non abbia dubbi a concedere prerogative gestionali che «bypassino» le intese nei confronti dell'Islam.
PRESIDENTE. Vorrei ricordare al professor Cardia che abbiamo problemi di tempo e chiedergli se preferisca rispondere ora, approfittando del poco tempo a disposizione, oppure inviare le risposte per iscritto.
MARCO BOATO. Potrebbero essere realizzate entrambe le ipotesi.
CARLO CARDIA, Componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio. Darò brevemente alcune risposte ora, per poi inviare una risposta scritta più compiuta.
In riferimento all'omissione della lettura degli articoli del codice civile da parte del ministro di culto durante la celebrazione del matrimonio (osservazione svolta dall'onorevole Bricolo), ciò non è avvenuto in relazione agli islamici, trattandosi di un'esigenza presentata sin dalle prime intese da alcuni culti protestanti. Prevedendo una separazione tra il momento religioso e quello civile, già durante l'intesa con gli avventisti (cito questa, ma si tratta di una situazione presente a quasi tutte le altre intese, tranne quella con la religione ebraica) si è stabilito che la lettura degli articoli del codice civile sia effettuata dall'ufficiale di stato civile nel momento in cui è presentata la domanda.
Abbiamo quattro intese che già prevedono tale norma. A ciò, comunque, sono stato sempre contrario perché, se lo si accetta, il separatismo deve riguardare qualsiasi aspetto; non si possono accettare solo gli effetti civili delle intese, e considerare altri aspetti come frutti negativi di tale modello separatista. Certamente, però, la questione islamica non ha influito minimamente, in quanto tali norme già esistono nelle intese.
Quanto alla domanda dell'onorevole Pacini, ho cercato di ricordare qualche confessione classica che non avesse ministri di culto, ma non ho trovato alcunché; l'unica confessione che può essere richiamata è quella buddista, dove le figure variano molto ed alcune sono difficili da inquadrare come ministri di culto.
Tali figure di culto devono essere intese come esponenziali delle confessioni e come soggetti che svolgono certe attività; il
ministro di culto cattolico, ad esempio, pratica moltissime funzioni, ma quello del culto buddista presiede solo alla meditazione e all'assistenza spirituale delle persone, non avendo altri incarichi; il che significa che lo stesso fruirà delle norme dell'ordinamento civile adatte alla sua funzione.
Per quanto riguarda l'Islam, il muezzin ha degli oneri di carattere liturgico che lo avvicinano pro parte al ministro di culto, e l'Imam ha una funzione educativa che pro parte è simile a quella del ministro di culto. Spetterà agli islamici giudicare le nostre norme adattabili e toccherà allo Stato decidere se sarà possibile farlo.
Non bisogna concepire la figura del ministro di culto come identica a quella del nostro prete cattolico; la questione è, invece, che esistono confessioni religiose che, più o meno surrettiziamente, hanno troppi ministri di culto: nell'intesa con i testimoni di Geova, ad esempio, è nato un problema perché si è di fronte ad un numero spropositato di tali ministri, pari a circa il 30 per cento dei fedeli, per cui è necessario che scelgano coloro che hanno le cariche esponenziali più alte.
Negli Stati Uniti è accaduto un fatto clamoroso: tutti gli abitanti di un paese si sono convertiti ad una certa confessione religiosa; dopo la conversione, gli abitanti stessi si sono proclamati tutti ministri di culto, per avere le agevolazioni fiscali previste dalla legge americana; tale avvenimento è giunto fino alla Corte suprema che, dopo anni, ha definitivamente bocciato la loro istanza.
Il rischio risiede quindi nell'utilizzazione strumentale di tali norme, che sono effettivamente più favorevoli, per ragioni che hanno poco a che vedere con la religione.
Il criterio scelto per il riconoscimento è stato quello di accogliere le richieste pervenute a favore delle intese, che quasi
tutte sono state evase dallo Stato, a parte qualcuna che palesemente era stata presentata da persone giuridicamente equivoche.
CARLO LEONI. Vuol dire che la confessione islamica non figura nell'elenco, perché nessuno ha fatto la richiesta?
CARLO CARDIA, Componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio. Le richieste compiute da confessioni religiose non riconosciute sono considerate come inesistenti. Di ciò, comunque, non sono propriamente a conoscenza, in quanto non faccio parte della commissione per le intese; tuttavia, posso dire che non sono da prendersi in considerazione senza il riconoscimento: le domande delle confessioni religiose che hanno i prescritti requisiti sono state tutte vagliate.
Il riconoscimento di una confessione religiosa può essere fatta anche oggi con la legge del 1929, e lo Stato può, in sede di Consiglio dei ministri, non compiere tale riconoscimento; la proposta di legge in esame non concede perciò alcuna prerogativa aggiuntiva. Comunque, gli islamici potrebbero presentare domanda per un loro Imam, con giurisdizione su una porzione di fedeli, per la celebrazione dei loro matrimoni.
Non ha molta importanza che la confessione originariamente riconosca la poligamia, se tale norma non è compresa nel nostro ordinamento; il che rappresenta un principio di ordine pubblico valido per tutti i paesi europei, per cui, naturalmente, nessuno inserirà nell'intesa tale riconoscimento.
Le confessioni religiose hanno, originariamente, una serie di convinzioni che contrastano con l'attuale maturazione civile; ad esempio, alcune chiese olandesi sono state apertamente favorevoli alla legittimazione del razzismo del Sudafrica. Si tratta di questioni che, comunque, si combattono sul piano
culturale e politico; tuttavia, se si osservano i principi contenuti nei testi sacri, ho l'impressione che né il Corano né i Veda si possano «salvare» dalle nostre concezioni giudaico - cristiane.
La proposta di legge prescinde dai principi religiosi più intimi, altrimenti lo Stato sarebbe controllore del modo di essere della confessione religiosa; ciò dovrebbe essere fatto per tutti, per cui si ritornerebbe ad uno Stato teologico. La preoccupazione opportuna, invece, è osservare se nell'attività concreta della confessione religiosa ci sia qualcosa di illecito. Non c'è, quindi, una scelta di legislazione speciale, sebbene in Italia siano stati molteplici i processi per attività illecite.
Sul piano dell'uguaglianza tutte le confessioni religiose passano tale valutazione; se, poi, c'è un problema politico di carattere generale, l'organo preposto all'esame è il Consiglio dei ministri.
PRESIDENTE. Ringrazio il professore Cardia ed i colleghi per i loro interventi.
La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 13.05.
Audizione di don Gianni Baget Bozzo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine Conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa, l'audizione di don Gianni Baget Bozzo. Chiedo scusa a don Baget Bozzo per il leggero ritardo, lo ringrazio a nome mio e di tutta la Commissione e gli do immediatamente la parola per la relazione che intende proporre alla Commissione.
GIANNI BAGET BOZZO. Comincio con il dire che non si possono mettere sullo stesso piano la libertà di religione e la
libertà di coscienza, tenendo conto anche del fatto che la legge si occupa delle religioni come corpo storico e sociale. La libertà di coscienza è un fatto eminentemente personale, la coscienza non è collettiva, quindi in una legge riguardante il fenomeno religioso non può avere spazio. La libertà di coscienza può riguardare fenomeni assai diversi dal fatto religioso, se penso che la prima volta in cui essa è stata considerata nella legislazione occidentale è stato riguardo ai quaccheri inglesi ed il servizio militare (che non è in sé questione fondamentalmente religiosa) devo arguire che la libertà di coscienza riguarda atteggiamenti individuali. Per tale motivo, mentre posso comprendere un diritto individuale all'ateismo, non posso accettare che l'ateismo venga riconosciuto in qualche forma come un corpo religioso. Un corpo religioso ateistico era presente nei gulag, pertanto ritengo sia offensivo mettere le religioni sullo stesso piano degli atei. L'ateismo è la negazione delle religioni, ma non è esso stesso una religione, a meno che non diamo alla religione un significato interamente diverso da quello attribuito finora. A mio avviso questa legge sarebbe fuori dal nostro sistema costituzionale.
Come sapete il nostro sistema costituzionale affronta la materia religiosa in due articoli della Costituzione: l'articolo 7 e l'articolo 8. Evidentemente, l'articolo 7 è particolarmente importante perché protegge i Patti Lateranensi in modo costituzionale, anche senza trascriverli nella Costituzione, stabilendo, come disse allora il relatore di quell'articolo, il principio che una revisione dei Patti in modo bilaterale non comporta revisione costituzionale, il che equivale a dire che in caso contrario è necessaria una revisione costituzionale. Pertanto la posizione della Chiesa cattolica è di rilevanza costituzionale e mostra quel principio che il nostro costituente ha
riconosciuto il ruolo storico della Chiesa cattolica in Italia conferendogli una protezione diversa da quella data alle altre religioni. Questo è il punto fondamentale del nostro sistema costituzionale. Infatti, il successivo articolo 8, pur riconoscendo uno statuto anche alle altre confessioni religiose, non le pone però su un piano di uguaglianza alla religione cattolica: esso afferma che le altre religioni sono egualmente libere, ma non eguali. Sicché il nostro Stato, attraverso il concordato, riconosce il ruolo della Chiesa cattolica nella società italiana e, conseguentemente, le conferisce uno statuto protetto costituzionalmente, sicché parificare di fatto tutte le altre religioni a quella cattolica estendendo loro ciò che è stato stabilito per essa contraddice il sistema storico positivo del nostro diritto costituzionale. Difatti anche l'articolo 8 è in un certo qual senso un'estensione del modo cattolico alle altre confessioni, perché presuppone una prassi tipica della Chiesa cattolica, cioè il concordato; in realtà nessuna altra chiesa al di fuori di quella cattolica conosce i concordati, cioè le intese bilaterali.
In nessun paese esiste il sistema concordatario come sistema principe, e la libertà delle altre confessioni non è vista come partecipazione a un accordo bilaterale in forma concordataria. Il sistema concordatario è invece previsto dalla nostra Costituzione e il progetto di legge in questione si propone di variarlo. Intanto posso dire che si tratta di un progetto di carattere ideologico e lo si vede anche dai numerosi articoli di carattere generale che la fanno apparire simile ad una legge costituzionale; inoltre, il punto fondamentale contrario allo spirito, al senso, ma anche alla lettera della nostra Costituzione è il fatto che essa compie un atto opposto al principio generale dell'intesa. La Costituzione italiana riconosce il principio fondamentale che l'accordo con le religioni è
stabilito pattiziamente, invece, curiosamente, questo progetto di legge è stabilito con un atto giurisdizionalista, che determina la forma senza avere un negoziato o un consenso; per usare un'espressione famosa abbiamo la «Repubblica sacrestana», che decide come i Borboni o gli Asburgo, di governare il numero delle candele. Questo mi sembra il difetto fondamentale di impianto della legge, e mi meraviglia che nasca da un Governo di centro-destra, perché non esprime, ad esempio, le posizioni stabilite dal Partito popolare europeo, che ancora recentemente ha riconosciuto il valore dell'elemento cristiano nella storia europea, proponendosi di introdurlo anche nella Carta costituzionale europea.
Veniamo ai punti determinati. In realtà, noi oggi viviamo una situazione religiosa singolare, in cui il fondamento del sistema concordatario, dettato dagli articoli 7 e 8 della Costituzione è sempre utile, ma si trova di fronte ad un frammentarsi delle formazioni religiose, che hanno varie forme e che possono essere incompatibili con l'elemento giuridico della Costituzione italiana. Come si sa, ad esempio, la Repubblica federale tedesca ha proibito, nonostante le proteste americane, la chiesa di Scientology; esistono le sette sataniche ed un frammentarsi delle religioni in corpi non compatibili con l'ordinamento civile italiano. Se dovessimo pensare che ogni forma che si autodefinisce religiosa rientra nel titolo di persona giuridica, ci troveremmo a dover riconoscere la pretesa della personalità giuridica in corpi religiosi che non hanno alcuna affinità con l'ordinamento civile.
Il Consiglio di stato può semplicemente «sminare» lo statuto formale della società, ma è compito del legislatore, come lo è stato del costituente, determinare il contenuto del fatto religioso. Mentre si ha una negazione oggettiva del sistema di riconoscimento storico delle religioni, si ha una
negazione contestuale del diritto dello Stato di difendersi dalle religioni. È curioso, ma il progetto di legge in oggetto non è né laicista, né laico, né confessionale: è un pasticcio. Non trovo un aggettivo per definirlo, se non quello della Repubblica sagrestana, perché nuoce alla Chiesa e nuoce allo Stato. Mi domando come mai sia giunta alla discussione del Parlamento italiano un tale progetto di legge.
Alcuni aspetti sono singolari, come ad esempio quello che affida al giudice la decisione sui figli, che tocca anche diritto di famiglia; non vorrei però, soffermarmi, sui particolari del disegno di legge perché è il suo impianto ad essere contrario al sistema costituzionale, fondandosi sui principi dell'eguaglianza tra le religioni, che limita la sovranità della Costituzione e nuoce al carattere concordatario dello Stato, in un momento in cui le religioni possono essere pericolose. Abbiamo varato una pessima legge sulle sette: vorrei sapere come si compongono le diverse leggi, adesso che il Consiglio di Stato deve decidere se si tratta di una setta o di una religione.
Domani sarà possibile dire, poiché accade in Francia, che Oriana Fallaci, che ha parlato male dei musulmani, lede i diritti dell'uomo? Questo è evidentemente singolare, in una legislazione per cui la critica alla religione può diventare reato perché diventa razzismo. Si tratta di una possibilità che la legge sulle sette lascia aperta: essa tende ad escludere alcuni aspetti, mentre quella sulla libertà religiosa tende ad includerli tutti. Rilevo una contraddizione del legislatore.
Un nodo particolare, come noto, riguarda l'Islam, che è cosa assai diversa dalla religione: non possiamo far entrare nello schema concordatario una religione come l'Islam, che non conosce lo Stato e la Chiesa. Essa non conosce né un'istituzione statale né una ecclesiastica: è aistituzionale. Nel caso islamico, manca quella dimensione fondamentale che
costituirebbe un sistema di riconoscimento, cioè l'esistenza di un soggetto religioso autorevole, che riconosca autorità allo Stato che ha di fronte. Infatti, se dovesse essere stipulato un accordo, nessun ulema lo sottoscriverà: lo sottoscriveranno, eventualmente, islamici che non hanno un incarico di insegnamento religioso. In questo caso, mancano i presupposti dell'intesa, perché la responsabilità della parte islamica non esiste. Il Consiglio di Stato potrebbe esaminare lo statuto di qualche organizzazione islamica e trovarlo regolare; date le differenze dei gruppi islamici, avremo molte richieste.
Il dato fondamentale riguarda il fatto che l'Islam non esiste come soggetto giuridico e non è persona giuridica, perché non è nella sua concezione esistere in questa forma, dato che non possiede l'idea dello Stato e del diritto. Gli Stati musulmani sono poteri di fatto, vengono conferiti per male minore, in attesa che giunga un califfo, ma non sono riconosciuti come legittimi.
Il sistema islamico è incompatibile con il sistema statuale occidentale: il dissidio può essere evidentemente risolto sul piano religioso individuale, ma non in un sistema in cui il corpo religioso, che non esiste come corpo istituzionale, venga riconosciuto come corpi istituzionale dallo stato in un'intesa.
Inoltre, bisogna sapere bene cosa sono le moschee e non paragonarle a chiese. Esse sono più assimilabili a sezioni di partito che non a chiese, perché nell'Islam non esiste la preghiera individuale, ma solo quella collettiva; la predica dell'imam del venerdì è una predica dell'Islam al mondo, che nel nostro contesto è politica, al punto che in paesi autoritari, ma avversi al terrorismo islamico come l'Egitto, le prediche del venerdì sono sorvegliate dalla polizia. Nel diritto islamico, ciò
che è dato ad una moschea appartiene per sempre all'Islam, ed esistono problemi delicati con i religiosi che hanno concesso beni ecclesiastici per l'edificazione di moschee.
Sorprende la grande ignoranza che esiste riguardo alla concezione generale dell'Islam, la sua radicale differenza non semplicemente con il Cristianesimo, ma soprattutto con la tradizione civile e laica dell'occidente, perché non possiede il concetto di Stato e neanche quello di diritto. Il diritto è solo quello dettato dal Corano e non esistono diritti umani: la dichiarazione dei diritti umani negli Stati arabi si fonda sul Corano e rappresenta un riconoscimento solo per i musulmani.
Abbiamo una tale discrasia che, in questo momento, pensare ad un patto con associazioni islamiche, mi sembra una negazione totale dell'insieme del nostro diritto che, come ho detto, si fonda invece sul sistema tradizionale, che nei paesi cattolici è lo schema concordatario.
In Francia il sistema è fondato sulla pura laicità, che è altra cosa: non esiste un riconoscimento specifico islamico, al punto che qualcuno ha combattuto lo chador nelle scuole.
La mia obiezione, dunque, non riguarda singole parti del progetto di legge, ma una legge statalista, giurisdizionalista, difforme dalla lettera e dallo spirito della Costituzione e, secondo me, difforme dello spirito con cui si è proposto al paese il Governo che la presenta.
PRESIDENTE. Ringrazio don Gianni Baget Bozzo. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre domande e formulare osservazioni.
FEDERICO BRICOLO. Vorrei complimentarmi con don Gianni Baget Bozzo per la chiarezza della sua esposizione e vorrei rivolgergli una domanda, dal momento che si tratta di
uno studioso del mondo islamico. Sappiamo che, in questo momento, nel nostro paese e in tutta Europa, i fondi che servono per finanziare i centri islamici e la costruzione di moschee giungono, in gran parte, dell'Arabia saudita e dalla setta wahabita, che riesce ad introdurre nei centri islamici e nelle moschee imam che diffondono queste teorie.
Vorrei chiedere al professore Baget Bozzo se possa rappresentare in modo sintetico il pensiero wahabita in Arabia e nel mondo.
ELENA MONTECCHI. Ho ascoltato con attenzione l'intervento del professor Baget Bozzo. In Commissione stiamo discutendo in merito ad un disegno di legge e non delle molteplici concezioni culturali e religiose dell'Islam. Lei, professore, ha espresso un giudizio anche sul Governo che ha presentato il disegno di legge ed io, in qualità di esponente dell'opposizione, svolgo il mio lavoro, ma solitamente, durante le audizioni, non ascoltiamo giudizi politici sui testi.
Lei, professore, ha considerato come nucleo fondamentale della sua osservazione alcuni punti cardine. Uno di questi riguarda il riconoscimento storico della religione cattolica e la possibile messa in discussione del carattere concordatario dello Stato, che lei fa risalire agli articoli 7 ed 8 della Costituzione, fornendo un'interpretazione «statica». Infatti, le sentenze della Corte costituzionale e l'espressione religiosa degli italiani si sono sviluppate anche al di fuori della religione cattolica (io stessa appartengo ad una famiglia che non è di religione cattolica).
Vorrei sapere - in relazione al superamento di alcune norme tipiche della legislazione fascista - quale tipo di regole lei presupporrebbe e come si dovrebbe adeguare l'Italia ai principi costituzionali generali ed ai diritti di libertà riguardati questa materia.
CARLO LEONI. Ci stiamo confrontando con un uomo di vasta cultura, che ringrazio per la sua presenza, ma - mi spiace dirlo - ho ascoltato una, seppur rapida, assolutamente semplificata lettura dell'Islam, anche con affermazioni non rispondenti al vero. Chiunque abbia visitato una moschea in qualsiasi parte del mondo ha potuto vedere che, al suo interno, la preghiera individuale esiste ed è praticata.
La lettura dell'Islam da lei svolta, professor Baget Bozzo, non è consapevole della fase complessa che stanno attraversando l'Italia, l'Europa e tutto il mondo occidentale, per cui se non si trovassero canali di dialogo e di intesa si potrebbero porre rischi molto seri. Un atteggiamento esclusivamente di repulsione non sarebbe soltanto in sé grave, ma foriero di conseguenze negative.
Lei, professor Baget Bozzo, ha correttamente affermato che l'Islam, a differenza delle altre religioni, non ha una struttura gerarchica con un proprio vertice apicale. La stessa assenza di gerarchia, però, è conosciuta anche da altre religioni. Ad esempio, tra le intese già firmate dallo Stato, ve ne è una riguardante l'Unione dei buddhisti italiani e non un'intesa con un vertice della religione buddhista. Non credo, quindi, che una presunta difficoltà di carattere organizzativo possa impedire la necessaria politica di dialogo e di intesa - nell'interesse della convivenza civile all'interno del nostro paese - con quella che è una confessione religiosa, ormai, molto diffusa in Italia. Negare questo aspetto significherebbe chiudere gli occhi e non credo che ciò sarebbe positivo.
MARCELLO PACINI. Vorrei rivolgere al professore una domanda, argomentando prima una valutazione su quanto da lui espresso. Ho apprezzato alcune osservazioni svolte in merito alla differenza tra il nostro tradizionale modo di intendere la religione e la sua organizzazione e quello islamico.
Uno dei punti su cui dovremo riflettere in Commissione non riguarda tanto la necessità di aprire o meno un canale di dialogo - aspetto che reputo del tutto pacifico -, quanto di capire se un disegno di legge come quello oggetto della nostra attenzione non sia troppo occidentale, nel senso di non tenere nella dovuta considerazione ciò che è fondamentalmente differente rispetto alla nostra tradizione.
Trovo ad esempio - su ciò vorrei un parere da parte del professore - che dinanzi ad un Islam molto pluralista con al suo interno sciiti e sunniti, che si combattono in modo cruento...
MARCO BOATO. I cattolici ed i protestanti si combattono uccidendosi in Irlanda; è una storia che riguarda anche altre religioni.
MARCELLO PACINI. Certamente, collega Boato. Non intendo fare osservazioni polemiche; vorrei dialogare pacificamente, ma anche riportare le questioni alle debite proporzioni. La situazione nella piccola Irlanda, dove le istanze religiose si confondono con quelle sociali e con contraddizioni storiche ben note, non è facilmente rapportabile alle rilevanti differenze anche dottrinarie di conflitti in atto tra sciiti e sunniti. Inoltre, all'interno dei sunniti esistono differenze molto profonde tra scuole giurisprudenziali: i sufi sono su posizioni molto diverse da quelle dei wahabiti. Siamo, insomma, dinanzi ad un mondo estremamente complesso, quale quello dell'Islam.
Vorrei sapere come dovrebbe essere affrontata, ad avviso del professore, la complessità del mondo islamico. Avremo, in un prossimo futuro, cittadini italiani che possono liberamente scegliere all'interno della grande «offerta» rappresentata dalla religione islamica e mi chiedo se non si debbano attuare
distinzioni non per quanto riguarda la libertà religiosa, ma relativamente alle applicazioni civili di tale libertà.
Nella precedente audizione ho chiesto se esistessero ministri di culto nella religione islamica al professor Cardia, il quale mi ha risposto, con grande sicurezza, affermativamente. Continuo a nutrire alcuni dubbi, che ritengo fondati, dato che noi forniremo una qualifica, ministro di culto, a persone che potrebbero non sentirsi tali, ma leader spirituali, guide alla preghiera, altre modalità che non implicano la necessità di celebrare un matrimonio.
Il matrimonio celebrato davanti all'imam è inconcepibile in un paese musulmano. Stiamo creando, allora, un islam europeo diverso da tutti gli altri conosciuti fino ad oggi.
LUCIANO DUSSIN. Apprezziamo la chiarezza e la franchezza dell'esposizione, e soprattutto l'individuazione del problema islamico. È stato chiarissimo quando ha affermato che il diritto del Corano è il Corano stesso, in quanto non ne riconosce altri.
L'unico scopo dell'Islam è quello di combattere l'occidente; gli interlocutori prevalenti sono rappresentati da esponenti di forme violente di integralismo islamico, che hanno vinto su qualsiasi altra espressione.
Tale progetto di legge consente alcune aperture, ma continuiamo a chiederci a chi e verso chi: i dubbi di Baget Bozzo sono anche i nostri.
PRESIDENTE. Do la parola a don Baget Bozzo per la replica.
GIANNI BAGET BOZZO. Il terrorismo islamico è un fenomeno nuovo; non è consentito nella tradizione del Corano, della sunna, o della scia, accettare il suicidio come arma di
lotta. È un fatto nuovo, non valutabile sufficientemente, anche la nascita nel secolo attuale dell'Islam politico, nato da quel genio creativo che fu l'imam Khomeini che ebbe la grande idea di creare non uno Stato autoritario, ma uno Stato islamico con forme democratiche.
Nel caso iraniano abbiamo assistito ad uno sviluppo positivo dell'Islam politico, ma in quello afgano ci siamo trovati di fronte ad una corrente giuridica, la salafita (la più stretta), che è andata oltre il riconoscimento che il Corano fa della protezione dovuta ai cristiani e agli ebrei; dalla sua evoluzione, che ha manifestato una grande influenza in Africa, è nata l'idea di Bin Laden di sviluppare la guerra totale all'occidente.
Si tratta di fenomeni relativamente nuovi nell'Islam; gli episodi di sgozzamento di musulmani in Algeria, un fenomeno che ancora non si è concluso, indicano la presenza, al di fuori del Corano, della sunna e della scia , del concetto nuovo di islamismo politico, che ha formazioni interessanti come il khomeinismo ed altre criminali come il terrorismo.
Tale realtà si diffonde, tant'è che si pensa che in Italia ci siano attivisti di Al Qaeda, per cui siamo di fronte a fatti che devono essere valutati non in riferimento all'Islam, bensì come un fenomeno nuovo e pericoloso.
Per rispondere all'onorevole Montecchi, conosco due tipi di costituzioni, una flessibile e l'altra rigida, ma non ne conosco di evolventi o variabili.
ELENA MONTECCHI. Facevo riferimento alle sentenze della Corte costituzionale.
GIANNI BAGET BOZZO. In tale caso non posso pensare che la Corte costituzionale riveda i sistemi stabiliti dagli articoli 7 ed 8, su cui si fonda lo Stato italiano.
Comunque, in tale progetto di legge non avete invocato il riferimento alla Corte, per cui ritengo sia giusto applicare gli articoli 7 ed 8, per dare la possibilità allo Stato di fare accordi con le confessioni, osservandone però la conformità reale.
Abbiamo un sistema unico in Europa, che è collegato al sistema concordatario, in quanto abbiamo assunto che le religioni possono avere un fine positivo per lo Stato: il sistema concordatario è accettare che il riconoscimento dell'altra parte abbia un fine anche per lo Stato; l'accordo è bilaterale, non è fatto pro ecclesia, per cui lo Stato deve trovare i suoi benefici.
Al contrario, credo non sia possibile stabilire l'uguaglianza delle religioni, che è un fatto contro la Costituzione: se la Corte costituzionale lo afferma, viola la Costituzione; le religioni dell'articolo 8 non sono uguali, ma sono ugualmente libere. Voler applicare a tutte le religioni il sistema del riconoscimento come corpi sociali, che ha fondamento nel sistema concordatario, mi pare un assurdo storico, in quanto sovverte l'ordinamento stesso. Si tratta di un'opinione che mi pare faccia parte di posizioni ideologiche, oggi estinte in Europa, ma fortunatamente ora non più prevalenti.
L'Islam riconosce la preghiera individuale, ma tale forma, rappresentata dal sufismo, non ha mai avuto un riconoscimento islamico; diversi furono i martiri del sufismo, da alcuni ridefinito l'Islam cristianizzato, ma tale fenomeno, che ha conosciuto un'intensa mistica, non fa parte della cultura islamica. Il suo sviluppo è stato a fianco dell'Islam, il quale tuttora nella sua complessità manifesta diverse sette, molte delle quali in Turchia, che possiedono forme diverse. Gli immigrati mussulmani, migliori per noi, sono i senegalesi, perché tra di loro è diffuso il sufismo.
Ho affermato che il terrorismo non fa parte dell'Islam; tuttavia, esistono delle grandi diversità; nell'occidente cristiano
è, infatti fondamentale il rapporto Dio-individuo, mentre nell'Islam il rapporto prevalente è con l'umma islamica, che può essere interpretata anche attraverso delle fatwa estreme, come quelle di Khomeini verso Salman Rushdie.
Il Santo Padre è andato a visitare una moschea islamica, anche il muftì della Siria viene spesso in Vaticano, invece ha benedetto l'attentato alle due torri. Per tale motivo, mentre affermo che il terrorismo non è di matrice islamica, devo dire che esso suscita dei consensi appunto perché in sostanza manifesta la potenza del dio islamico contro il nemico occidentale, anche se non credo che il terrorismo abbia consensi di massa. A mio modo di vedere, nello stabilire rapporti più profondi con l'Islam occorre tenere conto di queste differenze. Il modo in cui i fondamentalisti agiscono in Italia è quello di attivarsi per richiedere diritti; sono i fondamentalisti che in genere chiedono venga tolto il crocifisso dalle aule. Bisogna tenere conto che non basta pensare all'Islam come è, ma considerare che l'Islam è oggi attraversato da matrici politiche che in alcuni casi sfociano nel fondamentalismo a cui, dando riconoscimenti giuridici, forniremo la spinta a chiedere ancora di più. Noi continuiamo ad essere considerati come gli abitanti della terra della guerra e dell'oscurità. L'Islam conosce il fenomeno dell'islamismo politico almeno a partire dal 1979, e tutto ciò crea delle relazioni profondamente diverse.
In Italia, nel corso degli ultimi decenni, quasi tutto il patrimonio conoscitivo accumulato nel corso dei secoli è stato dimenticato e trascurato, mentre in altri paesi europei la cultura islamica è stata coltivata in maniera accurata. Dobbiamo considerare, pertanto, cosa ci differenzia dalla cultura islamica: penso che un islamico in Italia abbia diritto alla sua libertà religiosa, ma ciò di cui ho paura è che si stabiliscano
dei diritti per i loro gruppi religiosi, perché potrebbero essere strumentalizzati dai fondamentalisti. Sono convinto che non sia necessaria alcuna legge in materia e che si potrebbe andare avanti con il sistema attuale, ma, se si dovesse varare un qualche intervento legislativo, occorrerebbe stabilire la compatibilità di fatto tra la religione in questione con il nostro diritto costituzionale. Ma l'Islam non conosce la libertà di religione e la libertà di coscienza: la Dichiarazione dei diritti umani fatta dagli Stati islamici si fonda sul Corano, l'Islam non riconosce altra realtà al di fuori di se stesso, mentre la Chiesa riconosce i diritti naturali. Il dialogo che la Chiesa ha tentato di instaurare con l'Islam non è mai riuscito, perché per l'islamico dialogare con altre religioni vuol dire mettere in discussione la sottomissione a Dio. Mentre il concetto di fede per i cristiani è l'adesione alla verità, per gli islamici è la soggezione al Corano. Mi auguro che in Italia si instauri una convivenza pacifica e positiva con l'Islam, ma devo dire che in tutti i paesi europei, lo si è visto in Francia o in Svezia, il problema della incomunicabilità tra la cultura islamica e le culture occidentali è diventato più forte con il passare del tempo. Prima di riconoscere una personalità giuridica a dei gruppi islamici informali bisognerebbe pensarci bene, bisognerebbe indicare con chiarezza nella legge che chi chiede il riconoscimento della Repubblica Italiana deve riconoscere nella sua religione libertà di coscienza e libertà di religione. Se non si segue questa strada, non c'è possibilità di intesa, perché vorrebbe dire ammettere anche chi le nega; facendo perdere ad ogni valore in Italia la sua efficacia giuridica, diventeremmo una società di valori che non hanno riferimento nello Stato.
Il professor Pacini è un benemerito degli studi islamici già da quando era dirigente della Fondazione Agnelli, l'unico
centro che ha analizzato da tempo il problema islamico in Italia. Rispondendo alla sua domanda, credo che la cosa essenziale sia raggiungere sì intese, purché siano bilaterali: in sostanza, bisogna che gli islamici accettino e rispettino i nostri simboli. Ritengo che questa materia sia scottante e da rivedere e che la cosa migliore sarebbe attenersi alla lettera della Costituzione ed al diritto vigente.
PRESIDENTE. Ringrazio don Baget Bozzo per il suo intervento e dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di Francesco Castro, professore di diritto islamico presso la II università di Roma Tor Vergata.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la libertà religiosa, l'audizione del professor Francesco Castro, docente di diritto islamico presso la seconda università di Roma Tor Vergata. Lo ringrazio per avere accettato il nostro invito, scusandoci per l'orario, ma abbiamo l'esigenza di completare l'indagine conoscitiva in tempi brevi. Gli do senz'altro la parola.
FRANCESCO CASTRO, Professore di diritto islamico presso la II università di Roma Tor Vergata. Presidente, non è un problema, visto che tengo le mie lezioni proprio verso l'ora di pranzo. Ho portato alla Commissione una serie di documenti relativi all'Islam in Italia.
PRESIDENTE. La ringraziamo, professore, sarà nostra cura metterli a disposizione di tutta la Commissione.
FRANCESCO CASTRO, Professore di diritto islamico presso la II università di Roma Tor Vergata. Tenendo conto della
presenza sempre crescente dei musulmani in Italia, farò alcune osservazioni sul progetto di legge che mi è stato fatto avere dalla Commissione. I problemi di ordine generale sono già risolti evidentemente dallo scudo costituzionale. Potrebbero manifestarsi invece dei problemi riguardanti situazioni lavorative, ma in parte sono già risolti senza una norma generale che riguardi l'articolazione della vita quotidiana del mussulmano che lavora in un'impresa italiana.
Nelle regioni dove è alta la presenza di musulmani in imprese, solitamente viene regolata tranquillamente la possibilità di tenere le preghiere quotidiane. Le preghiere dell'alba non presentano nessun problema, perché non è iniziato l'orario di lavoro, quella del mezzogiorno può avere un impatto, anche se so che esiste una certa elasticità di orario, che da mezzogiorno può arrivare alle 14-15, e quindi la questione non si pone, se si tratta di un orario lavorativo entro le 14. Gli altri casi sono risolti a seconda delle esigenze e degli interessi delle imprese. Sotto questo profilo, non mi sembra esistono grossi problemi.
La questione alimentare può porre alcuni problemi nel corso della giornata: dal 1980, il nostro ordinamento consente la macellazione rituale, sia per gli ebrei sia per il musulmani, quindi vi possono essere macellerie regolarmente funzionanti che provvedono alla vendita di carni macellate ritualmente. La distribuzione presso scuole, carceri ed ospedali è più difficile. Nelle scuole, è lasciato alla sensibilità del preside e del direttore didattico, se sono presenti molti bambini musulmani, di far arrivare alla mensa scolastica cibi conformi alla religione musulmana. Per il carcere si era posto il problema del ramadan, ma una circolare del Ministero dell'interno consente ai musulmani in prigione di poter seguire il digiuno
quotidiano, mangiando al tramonto; infatti, ciò non infirma l'organizzazione del carcere, dal momento che i carcerati si preparano i cibi per loro conto.
Il problema che può avere un certo impatto, di cui si è parlato costantemente, riguarda il matrimonio. Sovente, il matrimonio musulmano confligge con l'ordinamento italiano, anche quello monogamico; il matrimonio poligamico, che è considerato reato dal nostro ordinamento, può essere preso in considerazione solamente nel caso di matrimoni contratti all'estero. Il Consiglio di Stato, nel 1989, a proposito del cuoco marocchino del circo Medrano, ha risolto il problema affermando che, se il matrimonio poligamico è stato contratto all'estero secondo il diritto locale, non ha nessun impatto sul nostro ordinamento, se restano cittadini stranieri: se uno dei coniugi vuole acquistare la cittadinanza italiana, bisognerà risolvere il problema dello scioglimento del secondo matrimonio, che in questo caso confliggerebbe con il nostro ordinamento. La questione del circo Medrano venne risolta perché le due consorti ebbero contratti di lavoro separati e non rientravano più nel caso del ricongiungimento familiare. Questo aspetto va controllato caso per caso, ma non costituisce un grave problema di ordine pubblico.
Si sono presentati alcuni casi in cui matrimonio poligamico costituiva una conseguenza dell'immigrazione in Italia; molti lavoratori marocchini in Sicilia contraevano un secondo matrimonio per avere una compagna in Sicilia, avendo lasciato a casa la prima moglie. Questo poteva comportare qualche problema, però vennero tutti risolti (sono anni che non ne sento più parlare) contraendo il matrimonio per procura nel paese di origine: la seconda moglie, giunta in Italia oppure già presente, non costituiva un problema, in quanto cittadina musulmana di un paese arabo.
Il profilo potrebbe diventare più complesso all'interno di un'eventuale intesa, ma questo, per il momento, non ci interessa, poiché le intese con le comunità musulmane sono ancora lontane: infatti, i musulmani in Italia appartengono ad una miriade di associazioni religiose. Si tratta di una religione che non ha una struttura gerarchica di tipo ecclesiastico, e quindi ciascun musulmano colto può diventare il capo religioso di un gruppo e guidare la preghiera. In questo caso, potrebbero nascere dei problemi, ma poiché è ancora vigente la legge risalente al 1929, non è pensabile la stipula di un'intesa, in quanto manca la rappresentatività da parte delle comunità musulmane: in Spagna, in relazione all'acuerdo del 1992, tutte le associazioni avevano costituito un'unione; in Francia, esiste una doppia associazione, ma non il problema dell'accordo, per un altro sistema di relazioni tra Stato e comunità religiose. In Italia, sotto questo profilo, se non si risolve il problema della rappresentatività delle comunità presenti in Italia, l'intesa è impensabile.
Un altro problema che ha comportato un impatto è stato quello relativo alle inumazioni: la tecnica islamica, che coincide con quella ebraica dell'inumazione nel sudario nella nuda terra, confligge con le nostre leggi di polizia mortuaria. Nel solo cimitero di Trieste, cimitero bosniaco, la cui autorizzazione era avvenuta con un decreto dell'imperatore Francesco Giuseppe, ancora si seppellisce secondo il sistema tradizionale. I defunti musulmani sono due o tre l'anno, cioè i marinai che muoiono nel porto di Trieste e vengono sepolti lì.
Il cimitero di Sant'Anna è realizzato in modo antitetico a come dovrebbe essere realizzato un cimitero. Intorno vi è un rigagnolo d'acqua che raccoglie liquami; nel secolo scorso non si riteneva che fossero inquinanti, ma oggi ciò confligge con le nostre conoscenze e regole.
Poiché anche in Francia, per superare il principio della laicità dei cimiteri, sono stati concessi appezzamenti particolari, molti sindaci concedono un appezzamento di terra dove i musulmani sono sepolti con i loro simboli religiosi, ma sempre con la doppia cassa di zinco e legno, come previsto dal nostro ordinamento.
Questo problema non ha avuto un grosso impatto, poiché, anche oggi, in molti paesi musulmani avviene lo stesso; un musulmano defunto all'estero, rimpatriato con una cassa doppia usata per il viaggio, è seppellito nel cimitero musulmano con la cassa, senza procedere all'apertura della stessa ed al seppellimento secondo il sistema locale.
Un altro impatto di una certa rilevanza è quello scolastico, legato all'insegnamento della religione. Il nostro ordinamento non prevede per le religioni non cattoliche la sostituzione con un'ora di insegnamento della religione specifica praticata dalla minoranza, essendo attualmente prevista soltanto la sostituzione con un'ora di cultura. Una richiesta sollevata sovente dalle comunità musulmane è che i bambini musulmani possano seguire, a spese della loro comunità, l'ora di religione attraverso un docente di religione fornito dalla moschea locale. In questo caso si pone un altro problema legato alla qualificazione dell'insegnante secondo le nostre norme scolastiche, problema che - al momento - non mi sembra risolvibile.
La situazione si risolve con la sostituzione attraverso l'ora di cultura. L'impatto non è molto forte, finché non vi sarà una popolazione musulmana più numerosa, tale da condurre alla costituzione di intere classi scolastiche di bambini musulmani (in quel caso, probabilmente, il problema sarà risolto sostituendo il docente di religione). In questa fase, che potrebbe durare ancora tra i 20 ed i 25 anni, il problema deve essere considerato nell'ottica dell'attuale legislazione italiana.
MARCELLO PACINI. Lei ha parlato di una incompatibilità con il nostro ordinamento giuridico non solo del matrimonio poligamico, ma anche del matrimonio monogamico islamico, senza specificare successivamente la questione. Desidererei un approfondimento di tale aspetto.
FRANCESCO CASTRO, Professore di diritto islamico presso la II università di Roma Tor Vergata. Si possono realizzare matrimoni musulmani stipulati - secondo la terminologia musulmana - nei paesi di origine oppure contratti in Italia. In questo secondo caso vi sono due tipi di matrimoni: matrimoni civili, realizzati secondo il nostro codice civile (che non implicano - peraltro - alcuna violazione dei diritti religiosi, non essendo considerato il matrimonio in Islam un'istituzione religiosa, ma un contratto di diritto privato), o matrimoni contratti in moschea, dove però il rappresentante della moschea non è riconosciuto - secondo il nostro ordinamento - ufficiale di stato civile. Questi matrimoni sono, alla stregua dei matrimoni canonici, non trascritti, non diventati concordatari e quindi indifferenti all'ordinamento italiano.
In tal modo (come è avvenuto anche in Germania, Inghilterra e Francia) si introduce il matrimonio poligamico simultaneo (il diritto islamico concede al musulmano maschio sino a quattro matrimoni simultanei). In realtà, in molti paesi non è annessa la poligamia libera come un tempo, ma esiste una limitazione ad un secondo matrimonio, la cui realizzazione è legata alla dimostrazione di necessità per una conclamata sterilità della prima moglie e casi simili, ma sempre con la dimostrazione di avere sana e robusta costituzione ed un patrimonio sufficiente per mantenere una seconda famiglia, non più situata - come nella tradizione - sotto lo stesso tetto, ma separata dalla prima.
La difficoltà, spesso, è data dall'impatto del singolo provvedimento, trovandoci dinanzi ad una frammentazione; non si considera più un unico matrimonio, come quello canonico per i cattolici, ma 70 matrimoni specifici a seconda di quanti sono gli Stati singoli, con notevoli differenze tra loro. L'impatto con il nostro ordinamento muta a seconda del rapporto con l'ordinamento del paese di provenienza dei soggetti che contraggono il matrimonio. I matrimoni con i musulmani non sono i più numerosi tra quelli con conflitti; secondo il Ministero degli affari esteri, con la Germania e con gli Stati Uniti i matrimoni recanti difficoltà sono molto più numerosi di quanto non lo siano con i paesi musulmani (all'incirca ogni 23 matrimoni di conflitto con musulmani ve ne sono 47 con la Germania ed un numero simile con gli Stati Uniti).
Il matrimonio tra due cittadini italiani musulmani contratto all'estero, evidentemente, può essere trascritto se conforme alle nostre norme, tuttavia, se si tratta di una matrimonio religioso, in quanto non trascritto nello stato civile del paese in cui si è svolto, rappresenta un fatto puramente canonico, senza alcuna rilevanza per il nostro ordinamento. Dovrebbero, allora, rifare il matrimonio presso la moschea di Roma, o lì dove lo shaykh della moschea è autorizzato alla trascrizione presso l'ufficio di stato civile, oppure contrarre un matrimonio civile.
Il vecchio shaykh della moschea di Roma non stipulava mai matrimoni misti: suggeriva sempre il matrimonio civile in comune nel rispetto dell'ordinamento nazionale.
PRESIDENTE. Ringrazio il professore Francesco Castro ed i colleghi intervenuti. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,15.
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