CESNUR - center for studies on new religions

Crisi delle vocazioni cattoliche, "progressismo" e "tradizionalismo": un’applicazione dei criteri della rational choice in un importante articolo di Rodney Stark e Roger Finke

Massimo Introvigne

I sociologi americani Rodney Stark e Roger Finke - di cui le pubblicazioni del CESNUR si sono più volte occupate - sono, con Laurence R. Iannaccone, tra i padri della teoria della rational choice, secondo cui alla sociologia delle religioni è possibile applicare con frutto modelli che derivano dagli studi sull’economia, e il campo religioso può essere studiato anche come una forma di "mercato" in cui "ditte" in concorrenza fra loro si contendono la lealtà dei "consumatori". Gli studi di Stark e Finke sul "mercato" protestante hanno, da questo punto di vista, fatto scuola. Come già altrove ci è capitato di osservare, la teoria della rational choice può sembrare brutale e perfino "scandalosa" in alcune sue formulazioni, e va interpretata con un certo beneficio d’inventario e non senza affiancarle altri strumenti. Si è però rivelata assai utile come strumento sia di interpretazione ex post sia di previsione ex ante, e ha per esempio il merito di avere previsto con anticipo rispetto ad altri modelli il declino della secolarizzazione e l’avvento del "sacro postmoderno".

Dal punto di vista metodologico, gli interventi di Stark e Finke meritano quindi attenzione al di là dei casi specifici che prendono in esame. Nel numero di dicembre 2000 (vol. 42, n. 2) della Review of Religious Research, organo della Religious Research Association, Stark e Finke firmano l’articolo di apertura sul tema "Catholic Religious Vocation: Decline and Revival" ("La vocazione religiosa cattolica: declino e risveglio", pp. 125-145). I due sociologi prendono in esame la caduta libera delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa maschile e femminile cattolica in sei paesi (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda) nel trentennio 1965-1995 e ne indagano le cause. Dal punto di vista quantitativo, la caduta è stata indubbiamente spettacolare soprattutto fra i candidati al sacerdozio (da -81% in Olanda a -54% in Gran Bretagna), quindi fra le vocazioni religiose maschili (da -82% in Gran Bretagna a -68% in Francia) e, in misura minore, fra quelle femminili (da -51% in Olanda a -43% in Gran Bretagna). Per una serie di ragioni metodologiche - prima fra tutte la popolarità dei gender studies, "gli studi sul genere" (maschile o femminile) nella sociologia delle religioni di lingua inglese - la maggior parte degli studi si concentrano sulla diminuzione del numero delle suore, e sono dominati dai lavori di Helen Rose Ebaugh e dei suoi allievi. Secondo la Ebaugh, il numero delle suore è diminuito a causa delle maggiori possibilità offerte alle donne cattoliche - cui la scelta religiosa offriva in precedenza opportunità uniche di mobilità verso l’alto - nei campi dell’educazione e del lavoro secolari. Stark e Finke ritengono questa conclusione, per quanto "elegante" e bene argomentata dall’eminente sociologa di Houston, non confermata dai dati empirici per diverse ragioni, di cui tre decisive. Anzitutto, perché negli stessi anni insieme al numero di vocazioni religiose femminili è diminuito anche quello delle vocazioni maschili (anzi, quest’ultimo in misura maggiore), che non dovrebbe avere relazioni dirette con le opportunità di realizzarsi nella vita secolare offerte alle donne. In secondo luogo - e soprattutto - perché applicando gli "indici" costruiti dalla Ebaugh per misurare le "possibilità secolari" offerte alle donne, si conclude che queste "possibilità" aumentano in modo continuo almeno a partire dal 1948. Ma, dal 1948 al 1965, crescendo le possibilità di educazione e carriera secolari offerte alle donne negli Stati Uniti cresce anche il numero di suore; dal 1965 in poi, le "possibilità secolari" continuano a crescere ma il numero di suore invece diminuisce. Infine, mentre il processo di crescita delle "possibilità secolari" è graduale e continuo, la caduta del numero delle nuove suore è repentina e discontinua, e avviene principalmente nel quadriennio 1966-1969, con successiva stabilizzazione verso il basso fino ad anni recenti. Finke e Stark ne concludono che si deve cercare come causa principale del declino delle vocazioni un avvenimento, o una serie di avvenimenti, che si è verificato nella seconda metà degli anni 1960 in modo improvviso e che ha coinvolto sia gli uomini sia le donne cattoliche. Questo avvenimento, secondo i due sociologi americani, può essere solo l’insieme di fattori che derivano dal Concilio Vaticano II e dalle riforme postconciliari (tra il Concilio e il postconcilio c’è, beninteso, una differenza che non sempre riceve attenzione nell’articolo di Finke e Stark). Applicando il modello della rational choice, i due sociologi affermano che con questi avvenimenti i costi della scelta sacerdotale e religiosa cattolica sono diminuiti in modo marginale (certo, la disciplina si è rilassata, ma la struttura fondamentale improntata a castità, povertà e obbedienza è rimasta ben presente) mentre i benefici sono diminuiti in modo repentino e drammatico. L’"aggiornamento" postconciliare ha reso meno viva sia la communitas all’interno dei presbiteri e dei conventi, sia la stima unica di cui le figure sacerdotali e religiose godevano all’interno del mondo cattolico in generale, anche in forza della loro "separatezza" segnata da particolari caratteristiche distintive. Giacché la rational choice postula che le scelte religiose non si sottraggono alla normale dinamica di una stima implicita del rapporto costi-benefici, Finke e Stark concludono che questo rapporto è stato improvvisamente e drammaticamente alterato nei primi anni tumultuosi del postconcilio, evidentemente sia per gli uomini sia per le donne.

Ad avviso dei due sociologi americani, è possibile una controprova empirica. Se si paragona la situazione dei sei paesi da loro studiati con quella del Portogallo e della Spagna, ci si accorge che dopo il 1965 in questi ultimi paesi il numero di vocazioni non diminuisce affatto, per molti anni. Il numero delle vocazioni diminuisce nella penisola iberica (peraltro in misura minore che negli altri paesi) solo con l’introduzione di un regime politico di carattere democratico sia in Spagna sia in Portogallo. Finke e Stark ne concludono che il salazarismo e il franchismo - per quanto a prima vista possano sembrare candidati improbabili per il ruolo di reclutatori vocazionali -, ostacolando con una serie di misure la penetrazione delle riforme postconciliari nei rispettivi paesi, hanno ritardato la crisi delle vocazioni. Peraltro, anche in presenza di regimi politici diversi è possibile secondo i due sociologi che il ruolo della vita sacerdotale e religiosa sia entrato in minore crisi dopo il Concilio in altri paesi per ragioni di tipo culturale: i loro sospetti si appuntano sull’Italia, dove però affermano di non avere avuto a disposizione elementi per un quadro statistico certo.

Un’altra controprova della loro tesi consiste nel fatto che dove è promossa, in particolare a partire dagli anni 1990, una vita religiosa e sacerdotale di tipo "tradizionale" le vocazioni riprendono ad aumentare. Questo si verifica in ordini religiosi considerati "conservatori" e anche in certe diocesi statunitensi. In base a certi parametri, gli autori hanno costruito un elenco delle diocesi statunitensi considerate (almeno dalla stampa di settore) rispettivamente più "tradizionali" e più "progressiste"; hanno poi esaminato i dati relativi alle ordinazioni e ai seminaristi negli anni 1990 per concludere che il loro numero in percentuale sul numero dei cattolici diocesani è tre volte superiore nelle diocesi "tradizionali" rispetto a quelle "progressiste".

Gli autori - certamente né cattolici né "tradizionali" - sentono il bisogno di ripetere più volte, scrivendo per di più su una rivista scientifica ma "politicamente corretta", di non volere affatto sostenere "che la Chiesa cattolica deve adottare una soluzione conservatrice per risolvere i suoi problemi di vocazione". Una simile conclusione valutativa sarebbe estranea allo stile value-free sia degli autori, sia della rivista. Al contrario, Finke e Stark concludono che in un’ottica di rational choice la Chiesa cattolica può risolvere la crisi vocazionale in due modi: diminuendo i costi o "restaurando i benefici tradizionali". La prima soluzione è stata adottata, notano, dalla Chiesa episcopaliana (la branca statunitense della Comunione anglicana): "paghe alte" (fino a trecento milioni di lire all’anno per un vescovo) e "virtualmente nessuna restrizione" (porte aperte ai divorziati, agli omosessuali praticanti, e così via). A prescindere dai risultati episcopaliani, che non sono brillantissimi, la via della diminuzione dei costi sembra peraltro ai due sociologi assai più difficile da perseguire per i cattolici, mentre "la seconda strategia ["restaurare i benefici tradizionali"] è stata oggetto di diversi tentativi negli ultimi anni" con effettivi "incrementi delle vocazioni" (p. 137).

In realtà, l’argomento di Finke e Stark va al di là del caso, pure interessante, delle vocazioni nella Chiesa cattolica. Da molti anni i sociologi americani notano che - contrariamente alla vulgata secondo cui il cristianesimo perde colpi perché non è in sintonia con il mondo moderno e mantiene posizioni anacronistiche e premoderne, soprattutto in tema di morale sessuale - di fatto nel mondo protestante avanzano le denominazioni fondamentaliste e pentecostali (la cui morale sessuale è spesso rigorosa, e il cui antagonismo verso la modernità è notevole) mentre perdono membri le comunità liberal. Questo non avviene perché i cristiani siano irragionevoli e masochisti - ribadiscono Finke e Stark a proposito delle vocazioni cattoliche - ma al contrario perché i "consumatori religiosi" sono a loro modo eminentemente ragionevoli e, come tutti i consumatori, non considerano né i soli costi, né i soli benefici, ma il rapporto costi-benefici che nelle religioni è spesso più favorevole al fedele là dove i costi sono più alti.

E’ possibile, naturalmente, che proprio i credenti più conservatori - che avrebbero in teoria di che rallegrarsi di fronte a dati statistici di questo genere - si scandalizzino di un accostamento alla religione in termini di mercato, consumatori, costi e benefici. Il valore metodologico di queste analisi americane - nonostante le critiche che spesso ricevono in Europa - sembra però confermato dalla permanente popolarità del modello della rational choice negli Stati Uniti, dove è diffuso da oltre vent’anni, e dove non sembra dare segni di invecchiamento.


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