"Innanzitutto questopera smentisce il dato - molte volte ripetuto, ma che almeno dal decennio 1980 non è mai stato vero - secondo cui le minoranze religiose in Italia rappresentano globalmente l1% della popolazione. Anche se in molti casi le statistiche sono difficili, i totali relativi a quanti chiaramente manifestano unidentità religiosa diversa dalla cattolica, danno circa 1.100.000 di persone se si prendono in esame i cittadini italiani, e poco meno di 2 milioni se si aggiungono gli immigrati non cittadini (il che ha rilievo principalmente per il mondo islamico, ma anche per linduismo, il buddhismo, le religioni sikh e radhasoami, un robusto protestantesimo pentecostale e battista di origine cinese, coreana, filippina e africana, e unimmigrazione cristiano-ortodossa dallEst europeo di proporzioni notevoli, cui si aggiungono i copti provenienti da diversi paesi dellAfrica). Siamo dunque ad una percentuale sul totale della popolazione (57.440.000 cittadini italiani) dell1,92%, quasi il doppio del mitico 1% più volte infondatamente menzionato; se si considerano i residenti sul territorio (valutati tra i 59 e i 60 milioni, cifra comunque più incerta per la difficoltà di precisare il dato dellimmigrazione clandestina) gli appartenenti a minoranze religiose salgono intorno al 3,50%".
"Numeri" da un lato non allarmanti come si potrebbe pensare, visto il proliferare vertiginoso di "sigle" ma che indicano una tendenza crescente o qualcosa di fisiologico?
"Tenga conto delle difficoltà. Il contesto, infatti, è di continua mutazione del quadro religioso, il che rende impossibile - nonostante ogni cura - una trattazione esaustiva. Alcuni dati cambiano con frequenza, letteralmente, quotidiana. Certo le "sigle" sono 616, per le quali abbiamo compilato schede in quanto realtà religiose di una certa consistenza e sono tante. La tendenza alla crescita dei "fedeli" è certamente fisiologica per la presenza di immigrati - ma le cifre sui mussulmani, per fare lesempio oggi "di moda", a parere dei ricercatori che più specificamente se ne sono occupati, vanno ridimensionate, rispetto al milione di cui scrivono i mass-media, a circa 500 mila - non va né sottovalutata né eccessivamente enfatizzata. Diciamo che il paragone coi cattolici ci consente di riportare le cose al loro giusto rapporto: battezzati 97%, praticanti e "in contatto frequente" con la Chiesa fra il 35 e il 40 %".
Un evidente segnale di ripresa del Cattolicesimo italico ma il contesto induce a non essere trionfalistici vero? Lindifferentismo religioso nella vita concreta si espande e certe allarmistiche analisi sui cosiddetti "pericoli settari" dellesperienza religiosa in quanto tale, si diffondono proprio in Europa con la pretesa di controllare giuridicamente (e statalisticamente) chiese e comunità
"Certo il Cristianesimo resiste ma gli studiosi del CESNUR presentano queste conclusioni senza trarne alcuna specifica conseguenza di carattere generale (il che andrebbe ben oltre i compiti dellEnciclopedia) e consapevoli del fatto che documentare la pluralità religiosa è un gesto a suo modo "politico". Per comprendere chi veramente beneficia del contemporaneo ritorno del sacro occorre superare - forse, ora, con laiuto della ricerca - alcuni pregiudizi tanto diffusi quanto infondati. Anzitutto, non è del tutto vero che il ritorno del sacro si verifichi completamente al di fuori delle religioni maggioritarie e delle Chiese storiche. Certo, mentre le statistiche sul numero di persone che si dicono interessate alla religione o al sacro sono notevolmente simili da paese a paese, le statistiche sul numero dei praticanti sono molto diverse. Tuttavia, esistono elementi per ritenere che il declino della pratica religiosa in Occidente sia stato in qualche modo sopravvalutato, e che si sia diffuso un "mito della chiesa vuota". Per quanto concerne la diatriba sulle "sette" uno dei più accreditati sociologi delle religioni, J. Gordon Melton rifiuta, come anche noi facciamo in questa sede, di tracciare una linea di demarcazione netta fra "vecchie" e "nuove" religioni, né utilizza, il concetto di "setta" (ambiguo, impreciso e che si presta facilmente ad un uso discriminatorio). Molto più scientifici ed ecumenici sarebbe il caso di dire e persino "politicamente corretti" - visto che chi usa il termine setta in genere è esponente o sostenitore proprio del "politically correct" - sono quelli di minoranze religiose o di movimenti religiosi. I nostri dati prendono in considerazione insieme tutte le minoranze religiose diverse dalla cattolica, senza distinguere fra "vecchie" e "nuove" religioni".
La rinnovata vitalità cattolica è frutto dello slancio missionario, insieme "innovatore" e "tradizionale", impresso da Papa Woityla? Trova analogie con le analisi dei sociologi Rodney Stark e Roger Finke autori di uno studio sulla caduta delle vocazioni a sacerdozio e vita religiosa cattolica, in Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda nel trentennio 1965-1995? Essi documentano la crisi delle tendenze "progressiste" ed invece ripresa là dove la religiosità è ancora "conservatrice".
"Largomento di Finke e Stark va al di là del caso, pure interessante, delle vocazioni nella Chiesa cattolica. Da molti anni i sociologi americani notano che - contrariamente alla vulgata conformistica secondo cui il Cristianesimo perde colpi perché non è in sintonia col mondo moderno e mantiene posizioni anacronistiche e premoderne, soprattutto in tema di morale sessuale - di fatto nel mondo protestante avanzano le denominazioni fondamentaliste e pentecostali (la cui morale sessuale è spesso rigorosa, e il cui antagonismo verso la modernità è notevole) mentre perdono membri le comunità liberal. Questo non avviene perché i cristiani siano irragionevoli e masochisti - ribadiscono Finke e Stark circa le vocazioni cattoliche - ma al contrario perché i "consumatori religiosi" sono a loro modo eminentemente ragionevoli e, come tutti i consumatori, non considerano né i soli costi, né i soli benefici, ma il rapporto costi-benefici che nelle religioni è spesso più favorevole al fedele là dove i costi sono più alti".
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