Uscirà l'11 maggio l'Enciclopedia delle religioni in Italia: il ciclopico e dettagliatissimo e autorevole repertorio di tutte le credenze della Penisola, compilato in 12 anni di lavoro dal Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni) di Torino; qui sotto pubblichiamo uno stralcio dell'introduzione. Dagli zoroastriani all'Ordine Martinista, dalla Confraternita del V Vangelo alle associazioni gnostiche, nelle 1056 pagine del volumone (mandato in libreria dalla Elledici a 120.000 lire) scorre l'incredibile panorama delle sette - anche se il termine non piace a Massimo Introvigne, coordinatore dell'opera insieme a Pierluigi Zoccatelli, Nelly Ippolito Macrina e Veronica Roldan - e delle fedi che non ci aspetteremmo, ma che pure esistono: e proprio sul pianerottolo di casa nostra.
Negli anni Settanta - e nella prima parte degli anni 1980 - il tema dominante era quello della crisi della religione. La tesi della secolarizzazione, nella sua versione quantitativa, postulava che, mentre progrediva la mentalità scientifica, nelle società industriali avanzate c'era sempre meno religione; non mancava chi prospettava come futuro evolutivo della religione addirittura l'estinzione. Le cose, oggi, sono certamente cambiate. Testi importanti fanno riferimento al «ritorno del religioso», alla «rivincita di Dio» o alla «fine» della secolarizzazione.
Uno dei più noti specialisti di indagini sociologiche quantitative in tema di religione, Laurence R. Iannaccone, scriveva nel settembre 1998 che i dati mostrano ormai con evidenza come la tesi secondo cui «la religione deve inevitabilmente declinare quando la scienza e la tecnologia avanzano» è stata «dimostrata falsa», e che «a mano a mano che i sondaggi, le statistiche e i dati storici si sono accumulati, la continua vitalità della religione è diventata evidente». Mentre il numero delle persone che si dichiarano atee e agnostiche declina pressoché ovunque, in quasi tutti i Paesi del mondo - con l'eccezione di alcuni Paesi europei a lungo sottoposti a propaganda antireligiosa da parte di regimi comunisti - il numero di coloro che dichiarano di credere in una qualche forma di potere superiore alla persona umana, o a una vita dopo la morte, o affermano di consacrare qualche tempo durante la settimana a forme di preghiera o di meditazione, si attesta intorno all'80% della popolazione, con punte in Paesi non secondari - Stati Uniti compresi - oltre il 90%.
Il fenomeno del «ritorno del religioso» è dunque così evidente da non potere essere ignorato. Si tratta però di determinare, con maggiore precisione, quale tipo di religioso «ritorni» nell'epoca postmoderna. Per comprendere chi veramente beneficia del contemporaneo ritorno del sacro occorre superare alcuni pregiudizi tanto diffusi quanto infondati.
Anzitutto, non è del tutto vero che il ritorno del sacro si verifichi completamente al di fuori delle religioni maggioritarie e delle Chiese storiche. Certo, mentre le statistiche sul numero di persone che si dicono interessate alla religione o al sacro sono notevolmente simili da Paese a Paese, le statistiche sul numero dei praticanti sono molto diverse. Tuttavia, esistono elementi per ritenere che il declino della pratica religiosa in Occidente sia stato in qualche modo sopravvalutato, e che si sia diffuso un «mito della chiesa vuota», come lo chiamava già nel 1993 Robin Gill. In alcuni Paesi - fra cui gli Stati Uniti e l'Italia - il numero di cristiani praticanti, dalla fine degli anni 1980 a oggi, mostra quasi ogni anno un lieve incremento quantitativo. In particolare, confrontando i dati del 1981, 1990 e 1999 raccolti nell'ambito della Indagine Europea sui Valori (Evs), il numero di frequentatori regolari (settimanali o plurisettimanali) di funzioni religiose in Italia sale dal 35 al 37 e infine al 40% (dato che somma cattolici praticanti e praticanti di altre religioni).
Certo, si tratta di incrementi modesti che non giustificano da parte delle religioni nessuna forma di trionfalismo. Tuttavia, l'inversione di tendenza è importante: il declino della pratica religiosa non era - come qualcuno pensava - un tuffo nel vuoto. Assomigliava piuttosto a un tuffo in una piscina dove, toccato il fondo, si comincia - per quanto lentamente e faticosamente - a risalire. All'interno delle religioni tradizionali, e dello stesso cristianesimo, vi sono movimenti i cui ritmi di crescita non hanno nulla da invidiare a gruppi neo-religiosi. Prescindendo dai fenomeni complessi che avvengono all'interno dell'islam, dell'induismo e dell'ebraismo - talora accomunati dall'etichetta, non sempre precisa, di «fondamentalismi» - si può notare che i movimenti di rinnovamento carismatico all'interno della Chiesa cattolica e le comunità pentecostali nel mondo protestante contano decine di milioni di fedeli e possono vantare ritmi di crescita superiori a quelli, spesso citati come spettacolari, dei mormoni o dei Testimoni di Geova.
Un altro elemento di carattere ampiamente mitologico è quello relativo alla cosiddetta «invasione delle sette». Certo, i movimenti religiosi in qualche modo alternativi sono moltissimi. Ma il numero di aderenti a questi movimenti rimane piuttosto contenuto. Dalla nostra ricerca risulterebbe comunque confermato - se si volesse utilizzare la categoria di «nuovi movimenti religiosi» nel senso in cui più comunemente la si usa (che non comprende il mondo protestante pentecostale e fondamentalista indipendente) - che le realtà normalmente così etichettate riuniscono meno dell'1% degli italiani. Molte sigle, talora rilevanti dal punto di vista culturale e tipologico, hanno però un numero minuscolo di aderenti così che, più che di una «invasione delle sette» si dovrebbe parlare di una «invasione delle sigle».
Altro è il discorso sulle minoranze religiose (il che in Italia significa sulle religioni diverse dalla cattolica). Questa enciclopedia saluta e congeda anche il dato - molte volte ripetuto, ma che almeno dagli anni 1980 non è mai stato vero - secondo cui le minoranze religiose in Italia rappresentano globalmente l'uno per cento della popolazione. Anche se in molti casi le statistiche sono difficili, i totali relativi a quanti chiaramente manifestano una identità religiosa diversa dalla cattolica in Italia sono di circa 1.100.000 unità se si prendono in esame i cittadini italiani, e di poco meno di due milioni se si aggiungono gli immigrati non cittadini. Anche fra i cittadini, siamo a una percentuale sul totale della popolazione dell'1,92%, quasi il doppio del mitico uno per cento più volte infondatamente menzionato; se si considerano i residenti sul territorio (valutati tra i 59 e i 60 milioni, cifra comunque più incerta per la difficoltà di precisare il dato dell'immigrazione clandestina) la percentuale di appartenenti a minoranze religiose sale intorno al 3,50%.
Da molti anni diversi sociologi hanno concluso che in tutto l'Occidente la vera religione di maggioranza relativa è quella delle persone impegnate in un «credere senza appartenere». In Italia, se si crede al citato dato Evs del 1999, le persone religiose praticanti - cattoliche e non - sono il 40%. Secondo la stessa indagine, gli atei in Italia sono scesi (sempre fra 1981, 1990 e 1999) dal 10 al 9 e ora al 6%; gli agnostici (distinti dagli atei) nel 1999 erano il 5%. Rimane uno scarto notevole fra l'88% di italiani (dato 1999) che si dichiarano credenti e il 40% che afferma la sua pratica regolare di una qualche religione. C'è una popolazione difficile da determinare nella sua esatta proporzione, ma che dovrebbe comprendere comunque oltre il 40% degli italiani, che dichiara di «credere», ma allo stesso tempo di fatto non «appartiene» a una comunità religiosa nel senso pieno del termine (il che, per il cattolico, implicherebbe la pratica regolare).
Naturalmente questa grande «religione» degli italiani non è omogenea. Al suo interno i sondaggi rivelano una gamma di posizioni diverse. Si va da coloro che credono in un potere superiore che non sanno però identificare, ai «credenti a modo loro», ai «cristiani a modo loro» («sono cattolico, ma non pratico; «sono cattolico, ma non sono d'accordo con la Chiesa»; o anche - posizione non infrequente in Italia - «sono cattolico, ma sono contro i preti»). Questo fenomeno che la sociologa francese Danièle Hervieu-Leger chiama «disistituzionalizzazione» della religione appare come una delle caratteristiche salienti del sacro postmoderno.
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