Massimo Introvigne
Testo della lezione tenuta da Massimo Introvigne il 30.5.1998 presso il Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, dell'Università di Torino, nel corso del Seminario di psichiatria transculturale
Fino a qualche anno fa l'invito a parlare nella Sezione di Psichiatria del Dipartimento di Neuroscienze di una primaria università, rivolto a uno specialista di nuovi movimenti religiosi, sarebbe potuto sembrare - almeno a un osservatore superficiale - una escursione in partibus infidelium, o almeno l'occasione di immancabili polemiche. Il tipico talk show americano - e non solo americano - sulle "sette" vedeva idealmente contrapposti uno psicologo o psichiatra che descriveva le "sette" come minoranze "brutte, sporche e cattive", capaci di trovare "adepti" solo grazie al "lavaggio del cervello" o alla "manipolazione mentale", e uno studioso di scienze umane (storico o sociologo) che parlava di "nuovi movimenti religiosi" - non di "sette" - i cui "membri" (non "adepti" o "vittime") sceglievano liberamente un'esperienza spirituale alternativa. Ogni tanto il gioco si faceva più duro, e le due prospettive si confrontavano non solo in televisione ma anche nelle aule dei tribunali. Tuttavia lo scenario caricaturale che vede necessariamente contrapposti, in tema di nuovi movimenti religiosi, gli psicologi e psichiatri da una parte e gli studiosi di scienze umane dall'altra, non è mai stato "vero", dal momento che in entrambi i settori si è sempre manifestata tutta una gamma di opinioni diverse. Oggi, certamente, lo scenario non è più "vero", almeno nei paesi di lingua inglese e ovunque - come questo seminario dimostra - nelle aule universitarie, anche se in alcuni ambienti - che si situano piuttosto, dal punto di vista culturale, alla "periferia dell'impero" - miti e pregiudizi continuano a essere periodicamente riproposti.
La storia delle controversie sul "lavaggio del cervello" costituisce un fenomeno di grande interesse interdisciplinare - per la storia, la teologia, la sociologia, l'antropologia filosofica, il diritto, la psichiatria e le scienze politiche - che merita di essere, almeno brevemente, rievocato in questa sede. Schematicamente, l'ipotesi che lega la conversione e la permanenza (senza che i due momenti - conversione e permanenza - debbano essere confusi) in nuovi (o meno nuovi) movimenti religiosi a forme di manipolazione mentale, destabilizzazione mentale, ipnosi, "mesmerismo" di massa o "lavaggio del cervello" ha una preistoria ottocentesca e tre fasi storiche più recenti: la costruzione del mito (1951-1983); la sua decostruzione (1983-1997) e la ridefinizione dei termini del problema (dal 1997 ad oggi). Un breve esame di queste quattro fasi mi permetterà di chiarire i termini che ho utilizzato per designarle.
1. La preistoria ottocentesca
Le religioni "nuove" sono sempre apparse singolari o bizzarre alla società circostante, e si è spesso sospettato che l'adesione dei convertiti non fosse veramente "libera" ma frutto di manovre più o meno deviate o sinistre. Già sul cristianesimo delle origini circolavano quelle che i sociologi contemporanei chiamerebbero "storie di atrocità". Tuttavia, soltanto nell'Ottocento questi timori hanno potuto essere espressi con riferimento alla manipolazione della volontà causata dalla influenza deliberata e maliziosa di una persona su un'altra. Ben prima che l'ipnotismo acquistasse una rispettabilità scientifica, la paura sociale del "mesmerismo" si traduceva nell'idea - falsa, ma socialmente diffusa - che fosse possibile rendere numerose persone, in modo contemporaneo e permanente, succube della volontà - quasi schiave - di un abile "mesmerista"[1]. Nel secolo scorso le innovazioni religiose che potevano apparire strane e minacciose erano più di una. Il maggiore allarme sociale - in Europa (da dove decine di migliaia di convertiti partivano per zone remote dell'America, di cui poco si sapeva) e negli stessi Stati Uniti - era destato dal mormonismo, con i suoi riti singolari, la pretesa che un nuovo libro sacro fosse stato scoperto dal fondatore, guidato da un angelo, in una collina dello Stato di New York, e soprattutto con la pratica della poligamia (che la Chiesa mormone avrebbe abbandonato, dopo lunghe controversie, soltanto nel 1890). Come si poteva spiegare la conversione di migliaia di europei e di americani, apparentemente normali, a una religione così evidentemente inaccettabile e scandalosa? In uno dei più celebri attacchi contro il mormonismo, pubblicato a Londra nel 1855, Maria Ward - che dichiarava di basare il suo romanzo su un'esperienza di vita vissuta - fa dire alla protagonista del suo libro che il fondatore dei mormoni, Joseph Smith (1805-1844), "esercitava su di me un'influenza mistica e magica: una sorta di stregoneria, che mi privava dell'esercizio libero della volontà"[2]. Naturalmente, nell'avanzato diciannovesimo secolo, la "stregoneria" non era una spiegazione accettabile di come si potesse privare una damigella di buoni costumi dell'"esercizio libero della volontà". L'eroina di Maria Ward scopre così - e rivela - che il segreto dei mormoni è "quello che è oggi popolarmente noto con il nome di Mesmerismo"[3]. Joseph Smith "era venuto in possesso della conoscenza di quell'influenza magnetica molti anni prima della sua circolazione generale nel paese"[4]. Il profeta mormone aveva "ottenuto queste informazioni e imparato tutti i colpi, passes e manipolazioni da un ambulante tedesco che - nonostante le sue modeste circostanze - era un uomo di distinto intelletto e ampia erudizione. Smith lo pagò regalmente, e il tedesco promise di mantenere il segreto"[5]. Con il libro di Maria Ward nasce un paradigma ipnotico, che diventa una rapida spiegazione per i successi del mormonismo. Secondo un attento studioso contemporaneo dell'anti-mormonismo ottocentesco, Terryl L. Givens, "l'attrazione magnetica, la costrizione, la prigionia, la riduzione in schiavitù, il rapimento: queste parole e immagini pervadono virtualmente l'intero spettro di opere in cui i mormoni figurano come protagonisti"[6]. I resoconti di vita vissuta sul mormonismo, in altre parole, diventano tipiche narrative di prigionia, senza bisogno di sostenere che i mormoni siano tenuti prigionieri dai loro capi con mezzi fisici. La paura del "mesmerismo" - confermata dalla storia, totalmente fantastica, dell'"ambulante tedesco" - era sufficiente a persuadere l'opinione pubblica europea e americana che le conversioni al mormonismo potevano essere ricostruite secondo il paradigma ipnotico. Questo paradigma è collegato ad una forma radicale di alterità (il "mesmerista" è uno straniero, un "tedesco"), che fa da specchio all'alterità radicale percepita nella visione del mondo mormone. Ma l'argomento è, da molti punti di vista, circolare. Soltanto il "mesmerismo" spiega perché persone apparentemente normali possano rimanere in un gruppo così radicalmente "altro". Ma d'altra parte possiamo sapere con certezza che il "mesmerismo" è all'opera presso i mormoni (mentre non è utilizzato dai battisti, dai metodisti o da altre religioni "rispettabili") precisamente perché l'alterità dei mormoni è così estrema da non potere, per definizione, essere scelta volontariamente.
Le opere anti-mormoni che seguono Maria Ward e il paradigma ipnotico sono interessanti anche da un altro punto di vista. Molti di questi testi non mostrano alcun interesse nei confronti di una critica religiosa della dottrina mormone. Rappresentano piuttosto il mormonismo come una minaccia politica, nei cui confronti richiedono l'intervento dello Stato. Non a caso dopo l'"americanizzazione" del mormonismo - il grande processo di accomodamento alla società americana rappresentato simbolicamente dall'abbandono della poligamia del 1890 - il paradigma ipnotico viene abbandonato. L'anti-mormonismo, naturalmente, non cessa nel 1890: sia pure ridotto a frange marginali, esiste ancora oggi. Ma viene coltivato soprattutto da cristiani evangelici, più interessati a confutare la dottrina mormone che le sue tecniche di proselitismo (e forse anche consapevoli del fatto che, studiando a fondo le tecniche dei missionari mormoni, si sarebbe scoperto che non erano troppo diverse da quelle delle stesse Chiese evangeliche che questi polemisti intendevano difendere). Il paradigma ipnotico sarebbe riemerso nel Novecento, non a caso, nuovamente in un contesto politico.
2. La costruzione di un mito, 1951-1983
Il paradigma ipnotico riemerge anzitutto per spiegare comportamenti di avversari politici nel contesto della guerra fredda. Il timore che i comunisti possiedano tecniche ipnotiche irresistibili comincia a diffondersi in Occidente con le confessioni pubbliche di crimini immaginari nei processi della "grande purga" staliniana degli anni 1936-1938, e con la confessione altrettanto pubblica del cardinale József Mindszenty nel processo di Budapest del 1949. Queste confessioni - effettivamente sconvolgenti - potevano essere spiegate, tragicamente ma semplicemente, con un dato noto agli storici di tutti i generi di persecuzione. Ogni persona ha il suo limite, e con l'uso della tortura per un tempo e con modalità adeguate è possibile fare confessare quasi qualunque cosa a quasi chiunque. Il quadro tuttavia cambia nel 1952, quando un certo numero di piloti e marinai americani catturati nella guerra di Corea cominciano a rilasciare alla radio dichiarazioni filo-comuniste. Per l'opinione pubblica americana degli anni della guerra fredda ci si trovava qui di fronte a qualche cosa di inconcepibile, che non poteva essere spiegata soltanto con la tortura. Un volume pubblicato l'anno prima, nel 1951, da un oscuro giornalista - Edward Hunter - con il titolo Lavaggio del cervello nella Cina Rossa[7] diventa improvvisamente un bestseller. Hunter - che avrebbe scritto diversi altri libri sull'argomento - spiegava che il "lavaggio del cervello" (un'espressione coniata dallo stesso Hunter traducendo la parola cinese hsi nao) era una tecnica che permetteva letteralmente di svuotare la mente dei prigionieri e di riempirla con nuove idee. Questa tecnica sarebbe stata usata nei campi di rieducazione della Cina di Mao a partire dal 1949 sulla base di un manoscritto segreto del noto scienziato sovietico Ivan Pavlov. Oggi gli scritti di Hunter sono studiati piuttosto come esempio della "atmosfera timorosa e paranoica della guerra fredda in cui l'idea del lavaggio del cervello è nata"[8]. Hunter, tuttavia, "non era un passante spaventato. Era impiegato dalla CIA come esperto di propaganda nel momento in cui scriveva i suoi libri"[9]. Oggi ci sono pochi dubbi sul fatto che il manoscritto segreto di Pavlov non sia mai esistito e che le opere di Hunter fossero parte di una operazione di propaganda tipica del clima degli anni 1950.
La CIA, apparentemente, credeva alla sua stessa propaganda, e sembra che abbia fatto condurre da vari scienziati esperimenti intesi a dimostrare la possibilità del lavaggio del cervello "per oltre venticinque anni"[10]. I risultati di questi esperimenti - che oggi sarebbero certamente considerati illegali, e probabilmente lo erano già all'epoca - furono peraltro negativi. La CIA dovette concludere che non è possibile "far cambiare alle persone atteggiamenti politici contro le loro inclinazioni naturali, né inculcare un nuovo senso del sé leale a `padroni' politici diversi"[11]. Il "lavaggio del cervello" tentato dalla CIA non aveva funzionato nonostante l'uso massiccio di droghe pesanti e di elettroshock[12]. D'altro canto, il "lavaggio del cervello" non aveva veramente funzionato neppure durante la guerra di Corea. Come scrive un eminente specialista statunitense, H. Newton Malony, "la prova più devastante contro l'ipotesi che il lavaggio del cervello si sia verificato durante la guerra di Corea può essere vista nella piccola percentuale di prigionieri di guerra americani che si rifiutò di rientrare negli Stati Uniti alla fine della guerra. Questa percentuale è stata spesso esagerata. In realtà, nonostante i tentativi espliciti di `cambiare le loro menti', meno di venticinque americani [su diverse migliaia sottoposti ai programmi di "rieducazione"] scelsero di non tornare a casa dopo la guerra"[13]. Al contrario, migliaia di prigionieri di guerra nord-coreani e cinesi chiesero di restare nella Corea del Sud o negli Stati Uniti alla fine della guerra[14]. Se il "lavaggio del cervello" esistesse, ci si potrebbe chiedere se non si tratti, semplicemente, della società capitalista.
Prima che le mistificazioni di Edward Hunter venissero alla luce, il presunto "lavaggio del cervello" fu studiato da alcuni psichiatri accademici, in particolare Robert Jay Lifton[15] ed Edgar H. Schein[16]. I loro lavori denunciavano la "lurida mitologia" - secondo le parole di Lifton[17] - creata da Hunter e dalla stampa a sensazione a proposito del "lavaggio del cervello". Ritenevano però che una certa "riforma del pensiero" fosse possibile attraverso le confessioni forzate di colpe più o meno immaginarie e la successiva "rieducazione". Lifton e Schein - e alcuni dei loro allievi - ipotizzavano che il modello potesse funzionare, in determinate condizioni, anche in assenza di condizioni di prigionia o di tortura.
Queste osservazioni erano potenzialmente applicabili a qualunque forma di conversione religiosa[18]. Lifton, peraltro, avrebbe nei decenni successivi oscillato più volte sulla possibilità di applicare il modello della "riforma del pensiero" alle religioni e alle "sette". Qualche anno prima della sentenza Fishman del 1990, su cui ritorneremo, Lifton aveva espresso "riserve circa l'applicazione della teoria della persuasione coercitiva alle sette religiose"[19]. Dieci anni dopo sembrava essersi riavvicinato alle posizioni del cosiddetto movimento anti-sette. Proprio quest'ultimo movimento aveva riportato d'attualità la problematica del "lavaggio del cervello", che sembrava essere passata di moda con la fine della fase più acuta della guerra fredda. Per la verità nuovi movimenti religiosi erano sempre stati presenti in gran numero nell'area anglosassone, e particolarmente negli Stati Uniti. "A Berkeley alla fine degli anni 1960 (...) un gruppo di specialisti accademici si accorse improvvisamente di un certo numero di religioni poco familiari all'opera all'interno della controcultura. La grande maggioranza di queste `nuove' religioni erano presenti da più di un decennio, e molte da parecchi decenni (...). Ce n'erano alcune veramente nuove, quasi tutte di provenienza asiatica. Era andata perduta l'osservazione che nel 1965 gli Stati Uniti (...) erano passati attraverso un significativo cambiamento giuridico. Nel 1965 quanto rimaneva dell'Oriental Exclusion Act, la legge che limitava le immigrazioni dall'Asia, venne letteralmente gettato tra i rifiuti, e per la prima volta dal 1924 una massiccia immigrazione di asiatici venne incoraggiata. Così a partire dal 1965, mentre il tasso di crescita di nuove organizzazioni religiose diventava leggermente più rapido, la sua componente esotica diventata prominente con una rapidità straordinaria"[20]. Proprio per il suo carattere "esotico" la "nuova" - in realtà, "nuova" solo relativamente - ondata di movimenti religiosi suscitò un notevole allarme sociale, e un vero e proprio panico fra genitori che si chiedevano perché i loro figli abbandonassero promettenti carriere universitarie per diventare missionari a tempo pieno al servizio di qualche guru indiano o messia coreano. Per la verità, molti altri giovani abbandonavano nello stesso modo l'università per diventare hippie, drogati o - qualche volta - terroristi. Tuttavia, alla metà degli anni 1960 - particolarmente in California, lo Stato tradizionalmente più secolarizzato degli Stati Uniti - un buon numero di genitori preoccupati non era religioso, e guardava alle "stranezze" religiose con un sospetto maggiore rispetto alle "stranezze" culturali, musicali o politiche. Le Chiese cristiane continuavano a produrre un arsenale completo di critica delle "sette" o delle religioni non cristiane in genere. Ma questo non sembrava sufficiente a molti dei genitori coinvolti, o perché - giacché, appunto, non erano essi stessi religiosi - non erano in contatto con le Chiese, o perché volevano comunque una soluzione rapida che separasse i figli dai gruppi "strani" cui avevano aderito e li riportasse all'ovile familiare. Più che una critica dottrinale, avevano in mente - ancora una volta - un intervento da parte dello Stato, o della polizia.
Riemerse così il paradigma ipnotico, che - rispetto alle controversie ottocentesche in tema di mormoni - poteva ora giovarsi del materiale sul "lavaggio del cervello" comunista. La leadership del nascente movimento anti-sette in California[21] fu assunta da psichiatri e psicologi che avevano letto Lifton e Schein o erano stati loro allievi, come Louis J. West e Margaret T. Singer[22]. Alcuni di loro utilizzavano l'espressione "lavaggio del cervello". Altri - considerando questa espressione screditata dalle mistificazioni di Hunter - preferivano parlare di "riforma del pensiero" (un termine di Lifton) o di "persuasione coercitiva". Naturalmente da soli questi psichiatri e psicologi - che peraltro hanno sempre trovato più seguaci nel mondo della pratica privata piuttosto che nelle università - non avrebbero potuto costruire un movimento anti-sette realmente efficace. Mancava loro infatti - nonostante l'abitudine a testimoniare nei tribunali - l'esperienza giuridica necessaria per costruire ipotesi di reato e spiegare perché la pressione esercitata dagli Hare Krishna o dai seguaci del reverendo Moon doveva essere considerata illecita a differenza di quella, pure calorosa e intensa, di un revival evangelico o pentecostale. Attaccare questi ultimi, qualunque cosa ne pensasse per davvero il movimento anti-sette, non sarebbe stato d'altro canto saggio, perché ci si sarebbe scontrati con movimenti forti - a differenza delle "sette" - non di qualche migliaio, ma di decine di milioni di seguaci. Questi psichiatri e psicologi avevano quindi bisogno di avvocati e di giuristi, che divennero a loro volta esperti di teorie del "lavaggio del cervello" e nelle cui fila si reclutarono importanti leader del movimento anti-sette americano come Richard Delgado e Herbert Rosedale. Nacquero così negli Stati Uniti strutture anti-sette nazionali come il Cult Awareness Network (CAN) e l'American Family Foundation (AFF), con proiezioni e contatti internazionali (in Europa, in seguito a processi simili, i primi movimenti anti-sette erano nati contemporaneamente a quelli californiani). A prudente distanza dai movimenti organizzati (ma in realtà, come eventi giudiziari successivi avrebbero dimostrato, con la loro attiva complicità)[23] attivisti anti-sette, fra cui alcuni ex-membri di nuovi movimenti religiosi, costruivano anche la lucrosa industria della "deprogrammazione", che consisteva nel rapire membri adulti di movimenti religiosi dalle sedi dove si trovavano, sottoponendoli a una sorta di incarcerazione privata e a diversi procedimenti (non di rado violenti) che avrebbero dovuto eliminare gli effetti del "lavaggio del cervello".
Quando nel novembre del 1978 oltre novecento membri del Tempio del Popolo, il movimento guidato da James Warren "Jim" Jones (1931-1978) si suicidarono (o, come è certo per alcuni di loro, furono uccisi) nella città che avevano costruito nella giungla della Guyana, Jonestown, a molti sembrò evidente che il "lavaggio del cervello" esisteva e che il movimento anti-sette aveva ragione. Ci sarebbero voluti diversi anni perché specialisti che hanno consacrato la loro vita allo studio del Tempio del Popolo, come John R. Hall, potessero ricostruire il Tempio del Popolo come un movimento laicale nato (e rimasto fino all'anno 1978 compreso) all'interno di una denominazione di orientamento liberal del protestantesimo maggioritario americano, i Discepoli di Cristo, e caratterizzato da una versione così estrema della "teologia della liberazione" di impronta marxista da potere essere definito, nei termini dello stesso John R. Hall, piuttosto come "un inganno fondato sull'uso della religione per promuovere il socialismo"[24]. Occorreranno forse altri anni perché gli archivi governativi americani relativi alla tragedia di Jonestown - in parte ancora chiusi - siano definitivamente aperti, permettendo così di comprendere appieno lo strano intrecciarsi di interessi politici e di operazioni di servizi segreti che il carattere ultra-marxista del Tempio del Popolo rendeva insieme facili e inevitabili. Dopo Jonestown il movimento anti-sette sembrava, per la prima volta, vicino a ottenere leggi speciali contro le "sette" che incriminassero la manipolazione mentale o il "lavaggio del cervello".
Proprio la prospettiva di leggi speciali e di minacce alla libertà religiosa trasformò peraltro Jonestown nell'inizio della fine per le ipotesi del "lavaggio del cervello" e per lo stesso movimento anti-sette negli Stati Uniti. Negli anni che vanno dal 1978 al 1983 tutte le proposte di leggi speciali vennero o respinte dai parlamenti statali o fatte oggetto di veto dai governatori preoccupati da possibili profili di incostituzionalità. Contro le teorie del "lavaggio del cervello" si era mobilitata una coalizione di accademici, di giuristi, di rappresentanti delle Chiese maggioritarie (preoccupati del fatto che la teoria potesse essere facilmente applicata a qualunque esperienza religiosa) che si sarebbe negli anni 1980 dimostrata più forte, almeno negli Stati Uniti, della coalizione anti-sette.
3. La decostruzione di un mito, 1983-1997
Fin dal secolo scorso, i nemici dei mormoni si rendevano esattamente conto di quale fosse la posta in gioco nella battaglia intorno al paradigma ipnotico. Sostenere che ad alcuni gruppi minoritari ci si convertiva a causa del "mesmerismo" significava poter concludere che questi gruppi non erano veramente delle religioni, dal momento che ad una religione si aderisce, per definizione, liberamente. Scrivendo sullo Scribner's Monthly nel luglio 1877, l'autore anti-mormone J. H. Beadle doveva ammettere che "gli americani hanno soltanto una religione nativa [il mormonismo], e che questa religione è la sola apparente eccezione alla regola americana della tolleranza universale"[25]. "Di questa anomalia - scriveva Beadle - sono offerte due spiegazioni: la prima, che gli americani non sono veramente un popolo tollerante e che quella che è chiamata tolleranza è tale soltanto nei confronti del nostro comune protestantesimo, o dell'ancora più comune cristianesimo; la seconda, che qualche cosa di peculiare al mormonismo lo esclude dalla sfera della religione"[26]. L'astuta osservazione di Beadle metteva il lettore americano di fronte a un vero e proprio ricatto morale, e lo costringeva a concludere che il mormonismo non era una religione. Ammettere il contrario avrebbe significato gettare l'ombra del dubbio sulla retorica - così importante per l'identità americana, anche se talora mitologica - della "tolleranza universale". Come ha mostrato Givens[27], il riferimento al presunto "mesmerismo" mormone - anch'esso a sua volta mitologico - aveva precisamente la funzione di negare al mormonismo la qualifica di "religione".
Cento anni dopo la posta in gioco era più o meno la stessa. I movimenti anti-sette volevano portare il discorso il più lontano possibile dalla sfera della libertà religiosa. Per questo, sostenevano che le "sette" - in quanto si servivano del "lavaggio del cervello" - non erano affatto religioni, ma qualche cosa di diverso. Vi era però un'importante differenza rispetto all'Ottocento. Esistevano non solo associazioni per la difesa dei diritti umani e della libertà religiosa - talora particolarmente agguerrite - ma anche un intero corpo accademico (forte di qualche migliaio di docenti negli Stati Uniti) composto da storici e sociologi delle religioni e da docenti di "scienze religiose" (religious studies). Questi docenti reagivano con istintivo sospetto quando si tentava di collocare alcune delle realtà o movimenti da loro studiati fuori della sfera della religione. La grande maggioranza di loro aveva un pregiudizio favorevole nei confronti della religione in genere - diversamente, avrebbero probabilmente scelto un altro campo di studi - e un conseguente impegno di tipo lato sensu "politico" a favore della libertà religiosa. Uno dei pochi sostenitori accademici delle teorie della manipolazione mentale, Benjamin Zablocki (un sociologo), scrive che "arrivati al 1987, un importante network di sociologi specializzati nello studio dei nuovi movimenti religiosi, persuasi che le stesse fondazioni della libertà religiosa e della libertà di scelta in campo religioso fossero in grave pericolo, si era ormai organizzato con successo per criticare alcune delle più esagerate pretese del movimento anti-sette"[28]. Come ricorda lo stesso Zablocki, i sociologi si erano mobilitati quando - con l'aiuto di giuristi e avvocati anti-sette - le teorie del lavaggio del cervello erano state portate di fronte a tribunali americani dove le decisioni erano prese da giurie (normalmente più avverse alle minoranze dei giudici togati). In particolare, ex-membri di nuovi movimenti religiosi (soprattutto gli Hare Krishna e la Chiesa dell'Unificazione) chiedevano alle giurie un risarcimento dei danni per il presunto "lavaggio del cervello" che avrebbero subito durante la permanenza nei relativi movimenti. Molti di quei sociologi pensavano che, attraverso questo tipo di cause, il pregiudizio popolare si sarebbe facilmente tradotto in verdetti da milioni di dollari, che avrebbero gravemente colpito la possibilità dei movimenti coinvolti di continuare ad esistere, e - quindi - la libertà religiosa.
Per la verità le critiche alle ipotesi del lavaggio del cervello si erano manifestate fin dall'inizio degli anni 1980[29], ed avevano avuto un momento particolarmente significativo nel 1983, con la pubblicazione di un'antologia interdisciplinare curata da David G. Bromley (uno dei più noti sociologi della religione statunitensi) e da James T. Richardson (un sociologo laureato in legge, e quindi particolarmente attento agli aspetti giuridici della problematica)[30]. Nel 1984 era seguito l'importante studio di Eileen Barker, sociologa della London School of Economics, sulla Chiesa dell'Unificazione, dove si mostrava che solo un'infima percentuale delle persone sottoposte al presunto "lavaggio del cervello", secondo i critici tipico di questo movimento, finivano per convertirsi, e la grande maggioranza dei convertiti non rimaneva nella Chiesa dell'Unificazione per più di tre anni[31]. La scelta da parte di Zablocki del 1987 come la data in cui le teorie sul lavaggio del cervello cominciano a divenire nettamente minoritarie nel mondo anglosassone non è, tuttavia, casuale. Qualche anno prima, infatti, nel bel mezzo delle polemiche relative ai processi in cui ex-membri chiedevano di essere risarciti per il presunto "lavaggio del cervello" che avrebbero subito in questo o quel movimento, il Board of Social and Ethical Responsibility for Psychology (BSERP, "Ufficio per la responsabilità sociale ed etica della psicologia") dell'American Psychological Association (APA) aveva deciso di esaminare la questione, anche per le critiche che - dal versante dei sociologi - venivano mosse a psicologi e psichiatri che accettavano di testimoniare in queste azioni dando per scontato che il "lavaggio del cervello" esistesse.
Il BSERP chiese alla più nota sostenitrice delle teorie della manipolazione mentale, la psicologa clinica Margaret Singer, di presiedere una Task Force on Deceptive and Indirect Methods of Persuasion and Control (DIMPAC, "Gruppo di ricerca sui metodi ingannevoli e indiretti di persuasione e di controllo"). Margaret Singer ebbe piena libertà di scegliere i componenti della commissione, anzi fu criticata per avere incluso soltanto sostenitori dell'ipotesi del "lavaggio del cervello" o della "manipolazione mentale"[32]. Mentre, agli inizi del 1987, il gruppo diretto da Margaret Singer completava i suoi lavori l'APA era intervenuta nel caso Molko, uno dei processi per il risarcimento dei danni che sarebbero derivati dal "lavaggio del cervello" promossi da ex-membri della Chiesa dell'Unificazione, allora pendente di fronte alla Corte Suprema della California. La memoria presentata dall'APA sosteneva che la testimonianza di Margaret Singer a sostegno degli ex-membri in questo caso doveva essere rifiutata, "perché la sua teoria della persuasione coercitiva non rappresentava un concetto scientifico dotato di significato"[33]. Margaret Singer - e altri - protestarono, sostenendo che in questo modo il rapporto DIMPAC era implicitamente giudicato prima ancora di essere stato consegnato allo BSERP. Cedendo alle pressioni, il 27 marzo 1987, l'APA ritirò la sua memoria dal caso Molko. Come riferisce - riassumendo in modo preciso i fatti - una sentenza californiana successiva, a torto si pretende "che il ritiro dell'APA dalla sua partecipazione al caso Molko significasse un ripudio della critica delle teorie della dottoressa Singer contenuta nella memoria. In verità il ritiro è avvenuto per ragioni procedurali e non sostanziali. I documenti noti al Tribunale stabiliscono, in modo certo, che l'APA aveva deciso di attendere il rapporto del comitato guidato dalla dottoressa Singer prima di abbracciare qualunque posizione sulla persuasione coercitiva. In effetti, il documento con cui l'APA ritirava la sua firma [dalla memoria, che conteneva anche le firme di diversi specialisti a titolo individuale] dichiarava espressamente che, con questa azione, l'APA non intendeva suggerire un suo appoggio a opinioni contrarie a quelle espresse nella memoria, né che l'APA stessa non avrebbe potuto in futuro sottoscrivere esplicitamente le vedute espresse dalla memoria"[34]. Infatti, poco dopo questo passo, il BSERP dell'APA decideva di rifiutare il rapporto del gruppo di lavoro DIMPAC, ritenendo che mancasse di "rigore scientifico e accostamento critico equilibrato"[35].
Invano si è sostenuto - anche in polemiche recenti - che il documento con cui era rifiutato il rapporto DIMPAC fosse una semplice "letterina", tanto più che i membri del comitato erano ringraziati con formule cortesi di rito per il loro lavoro e si affermava che il BSERP "non ritiene di avere sufficienti informazioni a disposizione capaci di guidarlo a prendere una posizione in questa materia"[36]. Queste osservazioni considerano il documento del BSERP isolandolo completamente dal suo contesto, che era quello delle cause civili per il risarcimento dei danni da (presunto) "lavaggio del cervello" e del coinvolgimento in queste cause di membri dell'APA come testimoni. In questo scenario la "letterina" ebbe un effetto devastante. Se ne rese conto - prima di altri - Margaret Singer, che - insieme con un sociologo impegnato nel movimento anti-sette, Richard Ofshe - citò in giudizio l'American Psychological Association, l'American Sociological Association (accusata di aver preso posizioni simili) e un certo numero di accademici, sostenendo che costoro avevano costituito un racket, probabilmente finanziato dai nuovi movimenti religiosi, per screditare le teorie della manipolazione mentale. Le domande di Margaret Singer e di Richard Ofshe furono però rigettate in via sommaria. Si apriva così una stagione in cui, per usare le espressioni di un sostenitore delle teorie del "lavaggio del cervello", il già citato Benjamin Zablocki, "il movimento anti-sette continuava a declinare in influenza, mentre l'influenza di coloro che avevano adottato una linea dura contro la ricerca sul lavaggio del cervello e la credibilità dei resoconti degli apostati continuava ad aumentare"[37]. Per "apostati" si intendono, nella sociologia delle religioni, quegli ex-membri di un movimento o denominazione religiosa che, dopo averla abbandonata, la attaccano pubblicamente. E' importante notare che le espressioni "apostata" ed "ex-membro" non sono sinonimi. In genere solo una minoranza degli ex-membri diventa "apostata".
Zablocki ha scritto nel 1997 che "il campo maggioritario (coloro che hanno screditato la congettura del lavaggio del cervello) si è proclamato vincitore" mentre "la minoranza si è ritirata su pubblicazioni piuttosto oscure ed è stata marginalizzata all'interno della disciplina [dello studio scientifico delle religioni]"[38]. Zablocki non mette affatto in dubbio che le teorie del lavaggio del cervello siano state "processate e messe da parte" dalla comunità scientifica[39]. Sul fatto della caduta nel discredito di queste teorie Zablocki è d'accordo con gli studiosi "maggioritari" con cui intende polemizzare. Dove egli dissente è nel ritenere che il "processo" - perso dai sostenitori del "lavaggio del cervello" - non è stato "equo"[40], e che è stato forse influenzato dalla "sponsorizzazione di nuovi movimenti religiosi nei confronti di attività accademiche"[41]. Su questo punto - e sul ruolo ben più evidente che i movimenti anti-sette giocano nello "sponsorizzare" quella piccola minoranza di accademici che si esprime a favore delle teorie del "lavaggio del cervello" - Zablocki ha, naturalmente, ricevuto risposte piuttosto pepate, e ha raccolto la solidarietà soltanto di un paio di colleghi, impegnati nel movimento anti-sette da sempre (come il sociologo canadese Stephen Kent) o da una data più recente (come lo psicologo israeliano Benjamin Beit-Hallahmi)[42]. In ogni caso, al di là delle cause e delle ragioni, il discredito delle teorie del lavaggio del cervello e della manipolazione mentale nell'area di lingua inglese - in quanto fatto - non è contestato neppure dai loro sostenitori. Si tratta di un discredito che non è rimasto confinato alle riviste scientifiche, ma si è esteso alle sentenze dei tribunali. La svolta, da questo punto di vista, ha una data: il 13 aprile 1990. La data si riferisce alla sentenza Fishman della Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto Nord della California. Stephen Fishman doveva rispondere di undici imputazioni di truffa a fini di arricchimento personale. Fishman si difendeva sostenendo di non essere penalmente responsabile perché, nel periodo cui si riferivano gli eventi di cui era accusato, era sotto l'effetto di un "lavaggio del cervello praticato su di lui dalla Chiesa di Scientology"[43]. Per testimoniare su tale stato di "lavaggio del cervello" Fishman aveva chiamato come testimoni Margaret Singer e Richard Ofshe. Il pubblico ministero - interessato, evidentemente, all'incriminazione di Fishman - aveva chiesto di dichiarare queste testimonianze irricevibili, dal momento che "le teorie sulla riforma del pensiero sostenute dalla dottoressa Singer e dal dottor Ofshe non sono generalmente accettate nelle rispettive comunità scientifiche di riferimento"[44]. Dopo avere esaminato un'ampia letteratura, il Tribunale aveva dato rilievo decisivo alla "letterina" dell'APA del 1987: un "topolino" che, in questo caso, ha partorito una montagna. Sulla base principalmente di tale documento il Tribunale concludeva che "la testimonianza offerta in questo caso è stata messa in discussione dalla comunità scientifica per quanto riguarda sia il suo merito scientifico, sia il rigore metodologico"[45]. Giacché "la tesi Singer-Ofshe manca dell'imprimatur dell'APA e dell'ASA [l'American Sociological Association]"[46], "le loro teorie su una persuasione coercitiva praticata da sette religiose non sono abbastanza stabilite per essere ammesse come prova in corti di giustizia federali"[47].
Qualcuno potrebbe obiettare che non spetta ai tribunali interpretare documenti rivolti alla "comunità scientifica" - come il memorandum del BSERP dell'APA del 1987 - o prendere posizione su questioni scientifiche. Questa obiezione tradirebbe però una mancanza di informazione sull'intera controversia. Erano stati infatti i sostenitori delle teorie del "lavaggio del cervello" (o manipolazione mentale, o persuasione coercitiva) a rivolgersi per primi ai tribunali perché le loro tesi venissero tradotte in ipotesi di reato. Psicologi come Margaret Singer e giuristi come Richard Delgado avevano lavorato insieme per costruire queste ipotesi, che non avrebbero avuto neppure senso senza la collaborazione dei giuristi e l'appello ai tribunali[48]. La stessa costituzione del comitato DIMPAC e la reazione dell'APA nascono in un contesto in cui alle associazioni professionali era chiesto di prendere posizione sulle attività dei loro membri come testimoni nelle aule giudiziarie, e tutti si rendevano conto che il memorandum del 1987 sarebbe stato citato, utilizzato e interpretato anzitutto nei tribunali, non sulle riviste scientifiche. Questo è di fatto avvenuto e, a partire dal caso Fishman la stragrande maggioranza dei tribunali americani si è sistematicamente rifiutata di accettare testimonianze in materia di "lavaggio del cervello" e di manipolazione mentale riferite a gruppi religiosi.
Può essere necessaria una postilla relativa alla situazione nell'Europa continentale. Dalla moda punk al New Age fenomeni già in crisi nell'area linguistica di lingua inglese hanno continuato a essere presentati come novità, per un certo numero di anni, in paesi come la Francia, l'Italia o la Grecia. Per la verità, per quanto riguarda il problema che ci occupa, l'Europa continentale ne aveva già prodotto - prima degli Stati Uniti e della Gran Bretagna - un'attenta disamina in occasione degli eventi che avevano portato alla sentenza n. 96 dell'8 giugno 1981 della Corte costituzionale italiana, in cui era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 603 del nostro codice penale che prevedeva il reato di plagio (del tutto analogo al "lavaggio del cervello" o alla "manipolazione mentale"). Non è casuale il fatto che - anche se le maggiori polemiche si erano scatenate sul noto caso Braibanti, che non aveva a che fare con la religione - la sentenza della Corte costituzionale sia stata pronunciata a proposito dello stato di soggezione che avrebbe indotto nei suoi discepoli un sacerdote cattolico carismatico, padre Emilio Grasso. Si legge talora - per la verità in una letteratura non specializzata - che la Corte costituzionale ha escluso la punibilità, non l'esistenza, del plagio (così come l'adulterio, che non è più punibile per legge, certamente esiste). Interpretazioni di questo genere possono essere benevolmente riferite soltanto alla mancanza di familiarità con i testi giuridici di chi le propone, e alla difficoltà di leggere una sentenza complessa e non breve. Concludeva nel 1981 la Corte costituzionale che l'articolo 603 doveva essere abrogato in quanto prevedeva "un'ipotesi non verificabile in concreto nella sua effettuazione e nel suo risultato non essendo né individuabili né accertabili le attività che potrebbero concretamente esplicarsi per ridurre una persona in totale stato di soggezione, né come sarebbe oggettivamente qualificabile questo stato, la cui totalità, legislativamente dichiarata, non è mai stata giudizialmente accertata. (...) Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l'asservimento totale di una persona". Era pertanto impossibile, secondo la Corte, attribuire alla norma "un contenuto oggettivo, coerente e razionale": di qui "l'assoluta arbitrarietà della sua concreta applicazione. Giustamente essa [norma] è stata paragonata ad una mina vagante nel nostro ordinamento, potendo essere applicata a qualsiasi fatto che implichi dipendenza psichica di un essere umano da un altro essere umano e mancando qualsiasi sicuro parametro per accertarne l'intensità"[49]. Dunque - mentre l'adulterio esiste ma non è (più) un reato - per quanto riguarda il plagio la Corte ritiene non "dimostrabile" che "possano esistere" persone o gruppi capaci di praticarlo. Naturalmente si può dissentire dalle interpretazioni della Corte costituzionale, e la materia è certamente complessa. Gli ammonimenti del 1981 su come sia facile applicare arbitrariamente - o utilizzare come strumenti di discriminazione contro minoranze poco popolari - norme vaghe sulla manipolazione mentale mantengono tuttavia la loro attualità.
Anche in Italia - per la verità in modo più blando rispetto a paesi come la Francia, il Belgio, la Germania o la Svizzera - voci nostalgiche in merito all'incriminazione del plagio sono riemerse dopo i suicidi-omicidi dell'Ordine del Tempio Solare (1994-1997)[50], che hanno consentito al movimento anti-sette europeo (particolarmente agguerrito nei paesi di lingua francese e tedesca) di esercitare una notevole influenza nel mondo dei media e anche in ambienti politici, ispirando pure relazioni di commissioni parlamentari e proposte di legge, che talora tendono precisamente a incriminare la "manipolazione" o "destabilizzazione" mentale. Dal momento che l'esperienza statunitense più recente non è sempre ben nota (per tacere della sentenza costituzionale italiana del 1981 e delle discussioni che la hanno preceduta), la situazione in alcuni paesi europei appare piuttosto simile a quella americana precedente al 1987, con un obiettivo "ritardo" rispetto al mondo di lingua inglese.
4. Verso un superamento delle polemiche (1997-1998)?
La storia della controversia negli ultimi due anni - per le ragioni che ho appena illustrato - si presenta in modo diverso nell'Europa continentale (e in Giappone) rispetto al mondo di lingua inglese. Nell'Europa continentale, così come in Giappone, la vulgata anti-sette sul "lavaggio del cervello" è minoritaria nel mondo universitario, ma è ancora presa sul serio da ambienti politici, da tribunali (dove peraltro non mancano reazioni di segno contrario), da esponenti delle Chiese maggioritarie, e anche da psicologi e psichiatri (in genere peraltro lontani dal circuito universitario). Nel mondo di lingua inglese, e in particolare negli Stati Uniti, a dieci anni dalla svolta del 1987 la mitologia del "lavaggio del cervello" ha ancora un posto nei media ma, come si è visto, anche i suoi più convinti sostenitori nella comunità scientifica sono consapevoli di occupare una posizione di minoranza e di difendere una teoria da lungo tempo screditata. Uno dei manuali di sociologia delle religioni più diffusi nelle università anglo-americane, The Sociology of Religious Movements di William Sims Bainbridge, poteva elencare nel 1996 le "sette ragioni" principali per cui le teorie del "lavaggio del cervello" erano state "rifiutate" dalla comunità scientifica: la bassa percentuale di successo degli stessi esperimenti cinesi e nord-coreani; l'altrettanta bassa percentuale di successo negli sforzi di proselitismo dei nuovi movimenti religiosi; l'elevato turnover anche nei movimenti religiosi più controversi, dove la maggioranza dei membri non rimane per più di tre anni; il fallimento di tutti i tentativi empirici di trovare conferma dell'ipotesi del "lavaggio del cervello" mediante studi condotti da sociologi all'interno dei movimenti; lo sviluppo di modelli alternativi che spiegano la conversione e la permanenza all'interno di tali movimenti senza fare ricorso ad ipotesi di manipolazione mentale; la denuncia di tali ipotesi come costruzioni politiche utilizzate per giustificare la repressione delle minoranze; e il rifiuto, da parte della maggioranza degli psicologi e psichiatri accademici, della dicotomia fra libertà assoluta e riduzione della persona a una marionetta o a un robot[51]. Non a caso è proprio sulla base di teorie - più filosofiche che psicologiche - ispirate ad una radicale "malleabilità" della persona umana che Robert Jay Lifton - dopo avere, come si è visto, preso le distanze dai movimenti anti-sette negli anni 1980 - si è riavvicinato alle loro ipotesi senza peraltro mai abbracciarle completamente[52].
A partire dal 1997 alcuni sociologi hanno proposto versioni "nuove" e "moderate" delle teorie del lavaggio del cervello. Il sociologo canadese Stephen Kent ha sostenuto che quei critici i quali ritengono possibile una qualche forma di "lavaggio del cervello" soltanto in presenza di torture fisiche potrebbero aprire un dialogo con chi milita nel campo anti-sette perché, precisamente, esistono alcuni nuovi movimenti religiosi che impiegano nei confronti dei loro dissidenti interni la tortura fisica[53]. Il sociologo statunitense Benjamin Zablocki - già più volte citato - ha proposto un nuovo modello in cui il lavaggio del cervello non opera nella fase della conversione, ma soltanto nella fase successiva in cui i membri sono mantenuti in un movimento, attraverso una serie di strategie che cercano di indurli a non lasciarlo massimizzando i loro "costi di uscita"[54]. Il modello "moderato" di Zablocki - che prende esplicitamente le distanze dalle teorie, precedenti, di Margaret Singer - ammette che le tecniche di "lavaggio del cervello" tentate da nuovi movimenti religiosi possono non essere particolarmente efficaci (la maggioranza delle persone sottoposte resiste) e che "il lavaggio del cervello è sempre stato un fenomeno statisticamente raro perché la maggioranza delle situazioni sociali non sono favorevoli al suo verificarsi"[55]. Le proposte di Zablocki vorrebbero riaprire una discussione all'interno della comunità scientifica, e favorire uno spirito di dialogo fra la maggioranza degli studiosi e la piccola minoranza che ancora sostiene i movimenti anti-sette. Perché l'offerta possa avere successo occorrerebbe forse che non fosse accompagnata da acidi attacchi personali contro i maggiori studiosi internazionali di nuovi movimenti religiosi, che purtroppo costellano gli scritti di Stephen Kent e, in una misura minore, dello stesso Benjamin Zablocki. Questa, tuttavia, è soltanto un'osservazione di dettaglio. Sensibili ai diritti delle minoranze religiose - e non solo religiose - molti specialisti hanno accolto di buon grado l'invito di Zablocki a un dialogo. Gli scritti di Zablocki sono stati ospitati da Nova Religio, una rivista accademica nel cui comitato scientifico siedono molti degli studiosi che rappresentano la posizione maggioritaria e che sono stati attaccati da Zablocki e dai suoi sostenitori, fra cui J. Gordon Melton, James Richardson, Eileen Barker e il sottoscritto. Altre forme di dialogo sono in preparazione.
Il dialogo non implica, tuttavia, che le teorie di Zablocki siano state accolte con favore presso la maggioranza degli specialisti. David G. Bromley si è incaricato di spiegare le ragioni per cui le ritiene inaccettabili[56]. Il problema principale riguarda la difficoltà di distinguere fra quello che Zablocki si ostina a chiamare "lavaggio del cervello" e la normale conversione religiosa. Secondo Zablocki è "possibile che molte di quelle che consideriamo normali esperienze di conversione possano comprendere una misura di quello che ho chiamato lavaggio del cervello"[57]. Si comprende facilmente che quando si getta in questo modo il sospetto su qualunque forma di conversione religiosa - aggiungendo che "questa teoria dovrebbe in un qualche futuro diventare verificabile al livello biochimico del cervello"[58] - si ritorna a un'avversione nei confronti della conversione in genere, se non della religione nel suo insieme. Quanto all'idea che - in campi di rieducazione segreti che assomigliano a campi di concentramento - alcuni movimenti religiosi pratichino la tortura fisica dei propri membri dissidenti, sostenuta da Stephen Kent, si può facilmente osservare che la materia va al di là delle competenze degli studiosi. Dal momento che la tortura è certamente un crimine (a prescindere dall'esistenza o meno del "lavaggio del cervello"), se gli ex-membri diventati oppositori di professione dei gruppi che hanno lasciato hanno prove delle loro affermazioni, potranno facilmente rivolgersi alla polizia e alla magistratura. Se invece tali prove non esistono - o si riducono a qualche tenue riferimento a pratiche di punizione e correzione del tutto comuni nei conventi e nei monasteri di diverse tradizioni religiose - non è particolarmente utile analizzare accuse che sono rimaste prive di prove[59].
Vi è un senso, tuttavia, in cui l'offerta di dialogo avanzata nel 1997 - a qualunque strategia risponda - merita oggettivamente di non essere rifiutata. Demolito il mito del "lavaggio del cervello" - dietro a cui si cela un mito più universale, forse eterno, secondo cui le minoranze, quanto più sono "diverse" dalle maggioranze, sono sempre e comunque sgradevoli, cattive e criminali - non è inesistente il rischio della costruzione, da parte di studiosi certamente bene intenzionati, di un contro-mito secondo cui le minoranze (nel nostro caso le minoranze religiose) sono sempre "buone", oneste e dedite soltanto alla ricerca del bene dei loro seguaci e della società. Sfuggire sia al mito che al contro-mito non è facile, e presuppone un confronto sulla possibilità che gli studiosi - senza venire meno ai canoni propri delle loro discipline - possano dire qualcosa sulla "autenticità" dei cammini religiosi che sono proposti[60]. Per quanto mi riguarda, io penso che sia il mito sia il contro-mito dipendano da una visione radicalmente relativistica delle scelte umane, secondo cui tutte le scelte libere sono ugualmente buone - e le scelte palesemente non buone devono essere, per definizione, non libere. Viceversa, scelte ugualmente libere (o ugualmente condizionate) possono avere conseguenze utili o dannose per le persone e per la società, ed essere oggetto di valutazioni etiche radicalmente diverse. Superata la falsa problematica del "lavaggio del cervello", il problema non si chiude, ma si apre. Si possono così esaminare i gradi di quelli che rimangono meccanismi normali di influenza e di persuasione. Si rileveranno così, anzitutto, proposte spirituali di cui si può dire tranquillamente che mancano di "autenticità", in quanto riposano su menzogne di fatto empiricamente verificabili. La transustanziazione nell'eucarestia cattolica o il carattere increato del Corano non sono empiricamente verificabili: ma se qualcuno - come accade non di rado in certi nuovi movimenti religiosi - afferma di essere stato iniziato da un prestigioso maestro indiano che in realtà non ha mai conosciuto, la persuasione dei suoi seguaci poggia su una menzogna fattuale, che anche lo studioso ha il diritto - e forse il dovere - di denunciare. Se in questi casi la denuncia può difficilmente assumere una valenza giuridica, vi sono invece in certi nuovi movimenti religiosi - non in tutti - casi di maltrattamenti, minacce, abuso dello stato di debolezza di minorenni o di incapaci di intendere o di volere, ovvero la messa in opera di strategie di persuasione che, di per sé lecite, diventano illecite per l'oggetto (per esempio, quando i fedeli sono persuasi al suicidio o a compiere atti di terrorismo "religioso"). In questo caso l'applicazione attenta delle norme esistenti del diritto penale comune è auspicabile e necessaria, senza che sia necessario né opportuno creare nuovi "delitti di setta" o incriminare la fantomatica ed elusiva manipolazione mentale.
La dialettica fra tolleranza delle minoranze e rigore nell'applicazione del diritto comune ci pone sempre più spesso di fronte - in una società in cui le minoranze di tutti i tipi si moltiplicano - a momenti di polemica, a scelte non facili e spesso dolorose. Si tratta di uno dei prezzi da pagare quando si vive in una società pluralista e complessa.
NOTE
[1] Su queste paure sociali in Italia cfr. Clara Gallini, La sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo nell'Ottocento italiano, Feltrinelli, Milano 1983. Per una ricostruzione delle origini del fenomeno cfr. Ermanno Pavesi, "Alle origini dello spiritismo: Franz Anton Mesmer e il `magnetismo animale'", in CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), Lo spiritismo, a cura di Massimo Introvigne, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1989, pp. 97-119.
[2] Maria Ward, Female Life Among the Mormons, Routledge, Londra 1855, p. 38.
[3] Ibid., p. 230.
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] Terryl L. Givens, The Viper on the Hearth. Mormons, Myths and the Construction of Heresy, Oxford University Press, New York-Oxford 1997, p. 138.
[7] Edward Hunter, Brain-Washing in Red China. The Calculated Destruction of Men's Minds. Vanguard, New York 1951.
[8] Gene G. James, "Brainwashing: The Myth and the Actuality", Thought, vol. 61 (1986), pp. 241-257 (p. 245).
[9] Ibid.
[10] Dick Anthony, Brainwashing and Totalitarian Influence. An Exploration of Admissibility Criteria for Testimony in Brainwashing Trials, tesi di dottorato, The Graduate Theological Union, Berkeley, California 1995, pp. 29-33.
[11] Ibid., p. 33.
[12] Ibid., p. 29.
[13] H. Newton Malony, Brainwashing and Religion. The 1996 Integration Lectures of The Graduate School of Psychology, Fuller Theological Seminary, Pasadena (California) 1996, p. 1/24.
[14] Ibid.
[15] Robert Jay Lifton, Thought Reform and the Psychology of Totalism. A Study of "Brainwashing" in China, W.W. Norton, New York 1961.
[16] Edgar H. Schein, con Inge Schneier e Curtis H. Barker, Coercive Persuasion. A Socio-Psychological Analysis of "Brainwashing" of American Civilian Prisoners by the Chinese Communists, W.W. Norton, New York 1961.
[17] R.J. Lifton, op. cit., p. 4.
[18] Ibid., p. 1/26.
[19] United States District Court, Northern District of California, United States v. Stephen Fishman, Memorandum Opinion, April 13, 1990, p. 14.
[20] J. Gordon Melton, "Un commento dagli Stati Uniti: la ricettività dell'Europa ai nuovi movimenti religiosi", in CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), L'Europa delle nuove religioni, a cura di Massimo Introvigne e Jean-François Mayer, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1993, pp. 193-208 (p. 197).
[21] Sul movimento anti-sette cfr. il mio Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1996, pp. 142-156.
[22] Sui rapporti tra psichiatria e movimenti anti-sette cfr. Ermanno Pavesi, "La psichiatria e i movimenti anti-sette", Cristianità, anno XXV, n. 243, marzo 1997, pp. 7-21.
[23] L'8 aprile 1998 la Corte d'Appello per il Nono Circuito degli Stati Uniti, con la sentenza Jason Scott v. Rick Ross, aka Rickey Allen Ross, Mark Workman, Charles Simpson and Cult Awareness Network (inedita ma disponibile sul sito Internet del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni: www.cesnur.org/Scott.htm), ha confermato la condanna del Cult Awareness Network, insieme a un gruppo di "deprogrammatori", per la "deprogrammazione" di un giovane appartenente a una Chiesa pentecostale. Già la condanna di primo grado aveva costretto il Cult Awareness Network a chiedere il fallimento volontario. Ironicamente, il nome e marchio "Cult Awareness Network (CAN)" erano stati acquistati da una coalizione di attivisti che si battono per la libertà religiosa, fra cui figuravano diversi scientologi.
[24] John R. Hall, Gone from the Promised Land. Jonestown in American Cultural History, Transaction Books, New Brunswick (New Jersey)-Oxford 1987, p. 144. Cfr. pure Enrico Pozzi, Il carisma malato. Il People's Temple e il suicidio collettivo di Jonestown, Liguori, Napoli 1992; e il mio Idee che uccidono. Jonestown, Waco, il Tempio Solare, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995, pp. 17-36.
[25] J.H. Beadle, "The Mormon Theocracy", Scribner's Monthly, vol. 14, n. 3 (luglio 1877), p. 391.
[26] Ibid.
[27] Cfr. T.L. Givens, op. cit., p. 21.
[28] Benjamin Zablocki, "The Blacklisting of a Concept. The Strange History of the Brainwashing Conjecture in the Sociology of Religion", Nova Religio: The Journal of Alternative and Emergent Religions, vol. 1, n. 1 (ottobre 1997), pp. 96-121 (p. 112).
[29] Cfr. per esempio l'importante articolo di David A. Snow - Richard Machalek, "On the Presumed Fragility of Unconventional Beliefs", Journal for the Scientific Study of Religion, vol. 21, n. 1 (1982), pp. 15-26.
[30] David G. Bromley - James T. Richardson (a cura di), The Brainwashing/Deprogramming Controversy. Sociological, Psychological, Legal and Historical Perspectives, Edwin Mellen, New York 1983.
[31] Eileen Barker, The Making of a Moonie. Choice or Brainwashing?, Basil Blackwell, Oxford 1984.
[32] Per queste critiche cfr. H. Newton Malony, Brainwashing, Coercive Persuasion, Undue Influence, Mind Control: A Psychologist's Point of View, 2ª ed., Integration Press, Pasadena (California) 1998, p. 19.
[33] Amicus Brief dell'APA nel caso Molko, citato nella sentenza United States v. Stephen Fishman, cit., p. 9.
[34] Ibid., pp. 9-10.
[35] American Psychological Association, Board of Social and Ethical Responsibility for Psychology, Memo al comitato DIMPAC, 11 maggio 1987.
[36] Ibid.
[37] B. Zablocki, op. cit., p. 114.
[38] Ibid., p. 97.
[39] Ibid., p. 106.
[40] Ibid.
[41] Ibid., p. 109.
[42] Cfr. la mia critica agli argomenti di Zablocki, apparsa sulla stessa rivista dove era stato pubblicato il suo articolo del 1997: "Blacklisting or Greenlisting? A European Perspective on the New Cult Wars", Nova Religio: The Journal of Alternative and Emergent Religions, vol. 1, n. 3, ottobre 1998.
[43] United States District Court, Northern District of California, United States v. Stephen Fishman, sentenza cit., p. 2.
[44] Ibid., p. 4.
[45] Ibid., p. 12.
[46] Ibid., p. 14.
[47] Ibid., p. 14.
[48] Cfr. H. Newton Malony, Brainwashing, Coercive Persuasion, Undue Influence, Mind Control: A Psychologist's Point of View, cit., pp. 60-61.
[49] Corte Costituzionale, sentenza n. 96 dell'8 giugno 1981, in Giurisprudenza Costituzionale, 1981, pp. 806-833 (pp. 832-833: corsivi miei).
[50] Per una ricostruzione cfr. Jean-François Mayer, Il Tempio Solare, ed. it. rivista, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1997; e i miei Idee che uccidono. Jonestown, Waco, il Tempio Solare, cit.; e "The Magic of Death. The Tragedy of the Solar Temple" in Catherine Wessinger (a cura di), Millennialism, Persecution, and Violence: Historical Cases, Syracuse University Press, Syracuse (New York) 1999.
[51] William Sims Bainbridge, The Sociology of Religious Movements, Routledge, New York-Londra 1996, p. 235. E' interessante il fatto che, con argomenti diversi, anche critici protestanti delle "sette" sono giunti alle stesse conclusioni. Così i professori universitari canadesi Irving Hexham e Karla Poewe, molto noti per le loro opere critiche sui nuovi movimenti religiosi, nello studio New Religions as Global Cultures. Making the Human Sacred (Westview Press, Colorado City-Oxford 1997), concludevano: "Rifiutiamo la nozione di lavaggio del cervello perché è fondata su una nozione dell'essere umano che nega la scelta e la responsabilità. La nozione del lavaggio del cervello è da un lato anticristiana, dall'altro contraria a tutta le tradizione occidentale filosofica, politica e sociale" (ibid., p. 10). Secondo i due studiosi canadesi le teorie del lavaggio del cervello e della manipolazione mentale non lasciano spazio a nozioni come il peccato e la grazia, sono "contrarie alla semplice decenza umana" (ibid.), e rischierebbero di giustificare anche i criminali di guerra nazisti i quali potrebbero sostenere di "non essere responsabili delle loro azioni perché erano vittima di un lavaggio del cervello" (ibid.).
[52] Cfr. Robert J. Lifton, The Protean Self. Human Resilience in an Age of Fragmentation, Basic Books, New York 1993; cfr. pure la sua prefazione all'opera di Margaret T. Singer, e Janya Lalich, Cults in Our Midst. The Hidden Menace in Our Everyday Lives, Jossey-Bass, San Francisco 1995. Nel maggio 1997 Lifton ha proposto una interpretazione in chiave di "riforma del pensiero" del suicidio di trentanove membri del culto dei dischi volanti Heaven's Gate, avvenuto a Rancho Santa Fe, in California, il 26 marzo 1997 (su cui cfr. il mio Heaven's Gate. Il Paradiso non può attendere, Elle Di Ci, Leumann [Torino] 1997), paragonando l'episodio alle attività criminali del movimento giapponese Aum Shinri-kyo: cfr. R. J. Lifton, "Cult Violence, Death and Immortality", relazione al convegno annuale dell'American Psychiatric Association, San Diego, maggio 1997, e l'ampio riassunto di Lynne Lamberg, "Psychiatrist Explores Apocalyptic Violence in Heaven's Gate and Aum Shinrikyo Cults", The Journal of the American Medical Association, vol. 278 (1997), n. 3, pp. 191-193. Il testo suscita l'interrogativo se Lifton abbia sufficiente familiarità con la vasta letteratura su Heaven's Gate, uno dei gruppi più studiati dalla sociologia americana fin dagli anni 1970. Più in generale, lo psichiatra americano ripropone la classica posizione anti-sette secondo cui sarebbe possibile distinguere le sette dalle religioni perché nelle prime, a differenza di quanto avviene nelle seconde, "l'adorazione di principi spirituali cede il passo all'adorazione di un capo spirituale o guru, i seguaci sono soggetti a un comportamento di riforma del pensiero più o meno sistematico e una manipolazione sfruttatrice dall'alto coesiste con una genuina ricerca spirituale dal basso" (ibid., p. 191). Lifton peraltro mette in guardia contro la pretesa di "diagnosticare uno stato di incapacità psichica a distanza" (ibid., p. 193) e ricorda che in materia religiosa "le forze sociali e storiche non possono essere ridotte alla psicopatologia individuale o a concetti clinici" (ibid., p. 191).
[53] Cfr. Stephen Kent, "Methodological Problems Studying Brainwashing in Scientology's Rehabilitation Project Force (RPF)", relazione al convegno annuale della Society for the Scientific Study of Religion, San Diego (California), novembre 1997; Id. - D. Hall, "Brainwashing and Re-Indoctrination Programs in the Children of God / The Family", relazione presentata alla conferenza annuale della Association for the Sociology of Religion, Toronto, agosto 1997.
[54] Benjamin D. Zablocki, "Exit Cost Analysis. A New Approach to the Scientific Study of Brainwashing", Nova Religio: The Journal of Alternative and Emergent Religions, vol. 1, n. 2, aprile 1998, pp. 216-249.
[55]Ibid., p. 222.
[56] David G. Bromley, "Listing (in Black and White) Some Observations on (Sociological) Thought Reform", in Nova Religio: The Journal of Alternative and Emergent Religions, vol. 1, n. 2, aprile 1998, pp. 250-266. La rivista ha voluto lasciare a Zablocki l'ultima parola: cfr. il suo "Reply to Bromley", ibid., pp. 267-271.
[57] B.D. Zablocki, "Exit Cost Analysis: A New Approach to The Scientific Study of Brainwashing", cit., p. 234.
[58] Ibid., p. 244.
[59] Peraltro - com'è evidente - episodi di comune criminalità si verificano non soltanto nei "nuovi" movimenti religiosi ma anche all'interno delle Chiese e religioni maggioritarie, tanto che è stata proposta una categoria generale di clergy malfeasance, analoga alla "criminalità in colletti bianchi" di cui da decenni si discute. Cfr. Anson Shupe, In the Name of All That's Holy. A Theory of Clergy Malfeasance, Praeger, Westport (Connecticut) 1995. Sul rischio di generalizzazioni improprie - riferite, per esempio, alla reale incidenza della pedofilia all'interno del clero cattolico, su cui circolano statistiche esagerate - cfr. lo studio sociologico di Philip Jenkins, Pedophiles and Priests. Anatomy of a Contemporary Crisis, Oxford University Press, New York-Oxford 1996.
[60] Cfr. David G. Bromley - Lewis F. Carter (a cura di), The Issue of Authenticity in the Study of Religions, vol. 6 della serie Religion and Social Order, JAI Press, Greenwich (Connecticut)-Londra 1996.
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