CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

www.cesnur.org

San Paolo c'insegna a pregare con lo Spirito Santo

di Massimo Introvigne

img

Con l'udienza generale del 16 maggio 2012, Benedetto XVI ha iniziato una nuova serie di catechesi della sua «scuola della preghiera» dedicata alle Lettere di san Paolo. Anzitutto, il Papa ha notato «come non sia un caso che le sue Lettere siano introdotte e si chiudano con espressioni di preghiera: all'inizio ringraziamento e lode, e alla fine augurio affinché la grazia di Dio guidi il cammino delle comunità a cui è indirizzato lo scritto». Ma, più in generale, «quella di san Paolo è una preghiera che si manifesta in una grande ricchezza di forme che vanno dal ringraziamento alla benedizione, dalla lode alla richiesta e all'intercessione, dall'inno alla supplica: una varietà di espressioni che dimostra come la preghiera coinvolga e penetri tutte le situazioni della vita, sia quelle personali, sia quelle delle comunità a cui si rivolge».

San Paolo propone una vera teologia della preghiera. Il suo primo caposaldo «è che la preghiera non deve essere vista come una semplice opera buona compiuta da noi verso Dio, una nostra azione. È anzitutto un dono, frutto della presenza viva, vivificante del Padre e di Gesù Cristo in noi». Nella Lettera ai Romani leggiamo: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza: non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (8,26). Noi sperimentiamo quotidianamente questa situazione: «Non sappiamo come pregare in modo conveniente». «Vogliamo pregare, ma Dio è lontano, non abbiamo le parole, il linguaggio, per parlare con Dio, neppure il pensiero. Solo possiamo aprirci, mettere il nostro tempo a disposizione di Dio, aspettare che Lui ci aiuti ad entrare nel vero dialogo». La grande novità di san Paolo è la sua consolante spiegazione che «proprio questa mancanza di parole, questa assenza di parole, eppure questo desiderio di entrare in contatto con Dio, è preghiera che lo Spirito Santo non solo capisce, ma porta, interpreta, presso Dio. Proprio questa nostra debolezza diventa, tramite lo Spirito Santo, vera preghiera, vero contatto con Dio. Lo Spirito Santo è quasi l'interprete che fa capire a noi stessi e a Dio che cosa vogliamo dire».

Certo, «nella preghiera noi sperimentiamo, più che in altre dimensioni dell'esistenza la nostra debolezza, la nostra povertà, il nostro essere creature, poiché siamo posti di fronte all'onnipotenza e alla trascendenza di Dio». La preghiera è una grande scuola che c'insegna «il senso del nostro limite». Ma Dio non ci abbandona, e ci manda lo Spirito Santo. «Per san Paolo la preghiera è soprattutto l'operare dello Spirito nella nostra umanità, per farsi carico della nostra debolezza e trasformarci da uomini legati alle realtà materiali in uomini spirituali». Nella Prima Lettera ai Corinti infatti leggiamo: «Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali» (2,12-13).

La teologia paolina della preghiera subito precisa che la venuta dello Spirito Santo è parte della missione di Gesù Cristo. «Con questa presenza dello Spirito Santo si realizza la nostra unione a Cristo, poiché si tratta dello Spirito del Figlio di Dio, nel quale siamo resi figli. San Paolo parla dello Spirito di Cristo (cfr Rm 8,9), e non solo dello Spirito di Dio. E' ovvio: se Cristo è il Figlio di Dio, il suo Spirito è anche Spirito di Dio e così se lo Spirito di Dio, Spirito di Cristo, divenne già molto vicino a noi nel Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, lo Spirito di Dio diventa anche spirito umano e ci tocca; possiamo entrare nella comunione dello Spirito». Eccoci dunque di fronte a una teologia che c'introduce al mistero stesso della Trinità: «non solamente Dio Padre si è fatto visibile nell'Incarnazione del Figlio, ma anche lo Spirito di Dio si manifesta nella vita e nell'azione di Gesù, di Gesù Cristo, che ha vissuto, è stato crocifisso, è morto e risorto». San Paolo spiega che «nessuno può dire "Gesù è Signore", se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). Ed è sempre lo Spirito che «orienta il nostro cuore verso Gesù Cristo», in modo che «non siamo più noi a vivere, ma Cristo vive in noi» (cfr Gal 2,20). Lo riassume bene sant'Ambrogio (ca. 340-397), di cui il Papa cita questa affermazione: «Chi si inebria dello Spirito è radicato in Cristo».

Ma che cosa succede in noi «quando lasciamo operare in noi non lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Cristo come principio interiore di tutto il nostro agire»? Ce lo spiega – in tre passaggi – il medesimo san Paolo. In primo luogo, riusciamo ad «abbandonare e superare ogni forma di paura o di schiavitù, vivendo l'autentica libertà dei figli di Dio». Senza la preghiera «non facciamo il bene che vogliamo, bensì il male che non vogliamo» (cfr Rm 7,19). «E questa è l'espressione dell'alienazione dell'essere umano, della distruzione della nostra libertà, per le circostanze del nostro essere per il peccato originale: vogliamo il bene che non facciamo e facciamo ciò che non vogliamo, il male». Da questa condizione non siamo ultimamente in grado di liberarci da soli. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo: «dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2Cor 3,17).

Non la libertà impropriamente scambiata per la licenza di fare ciò che si vuole, ma «una libertà autentica, che è libertà dal male e dal peccato per il bene e per la vita, per Dio». La libertà dello Spirito, insegna san Paolo, «non s'identifica mai né con il libertinaggio, né con la possibilità di fare la scelta del male», ma con il «frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» (Gal 5,22). «Questa è la vera libertà – commenta il Pontefice –: poter realmente seguire il desiderio del bene, della vera gioia, della comunione con Dio e non essere oppresso dalle circostanze che ci chiedono altre direzioni.

Non è tutto. «Una seconda conseguenza che si verifica nella nostra vita quando lasciamo operare in noi lo Spirito di Cristo, è che il rapporto stesso con Dio diventa talmente profondo da non essere intaccato da alcuna realtà o situazione». Non che con la preghiera noi siamo «liberati dalle prove o dalle sofferenze»: ma «possiamo viverle in unione con Cristo, con le sue sofferenze, nella prospettiva di partecipare anche della sua gloria (cfr Rm 8,17)». Nella preghiera «le sofferenze del tempo presente non ostacolano la gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). Le sofferenze restano: noi «gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8, 26) e talora abbiamo perfino l'impressione che Dio non ci ascolti. Ma spesso il modo di ascoltarci di Dio non consiste nel togliere la sofferenza ma nel darci la forza «di viverla e affrontarla con una forza nuova, con la stessa fiducia di Gesù», del quale lo stesso san Paolo scrive nella Lettera agli Ebrei che «nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo dalla morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (5,7).

E la vita di Gesù anche qui si fa lezione per noi. «La risposta di Dio Padre al Figlio, alle sue forti grida e lacrime, non è stata la liberazione dalle sofferenze, dalla croce, dalla morte, ma è stata un esaudimento molto più grande, una risposta molto più profonda; attraverso la croce e la morte, Dio ha risposto con la risurrezione del Figlio, con la nuova vita».

C'è infine una terza conseguenza del nostro lasciar agire lo Spirito Santo. «La preghiera del credente si apre anche alle dimensioni dell'umanità e dell'intero creato», entrando in sintonia con quell'«ardente aspettativa della creazione, protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). La preghiera ha anche una dimensione collettiva, sociale, perfino politica. San Paolo insegna che «la preghiera, sostenuta dallo Spirito di Cristo che parla nell'intimo di noi stessi, non rimane mai chiusa in se stessa, non è mai solo preghiera per me, ma si apre alla condivisione delle sofferenze del nostro tempo, degli altri». Diventa addirittura «canale di speranza per tutta la creazione», aiuto «per la redenzione del mondo».

Ascoltiamo dunque san Paolo, e apriamoci all'azione dello Spirito Santo. «Lo Spirito di Cristo diventa la forza della nostra preghiera "debole", la luce della nostra preghiera "spenta", il fuoco della nostra preghiera "arida", donandoci la vera libertà interiore, insegnandoci a vivere affrontando le prove dell'esistenza, nella certezza di non essere soli, aprendoci agli orizzonti dell'umanità e della creazione "che geme e soffre le doglie del parto"» (Rm 8,22).