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La contro-rivoluzione di Joseph de Maistre

di Massimo Introvigne (La Bussola Quotidiana, 5 marzo 2011)

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L’importante volume di Marc Froidefont Thèologie de Joseph de Maistre, pubblicato nei prestigiosi Classiques Garnier (Parigi 2010), s’inserisce in un ritorno d’interesse per questo autore, promosso certo in una chiave «regionalista» in Savoia – lo stesso lavoro di Froidefont deriva da una tesi all’Università della Savoia – ma con una dimensione internazionale, come dimostrano le numerose riedizioni e traduzioni che si susseguono in diversi Paesi (fra le più recenti, in Italia, le Considerazioni sulla Francia curate da Guido Vignelli, Editoriale Il Giglio, Napoli 2010). Nonostante una vasta bibliografia, sul conte Joseph de Maistre (1753-1821) c’è infatti ancora molto da dire. Diplomatico al servizio della monarchia sabauda e padre di una delle scuole cattoliche d’interpretazione della storia e della politica, quella detta contro-rivoluzionaria, è stato studiato soprattutto dai cultori di scienze politiche. Benché la sua politica riposi ultimamente su una teologia della storia, gli studi sul suo pensiero religioso sono meno numerosi.
Una delle controversie che hanno in qualche modo frenato questi ultimi studi riguarda l’appartenenza di questo cattolico, secondo tutti i biografi di fede salda, di grande preghiera  e di costumi integerrimi, alla massoneria per parecchi anni della sua vita. Maistre cessa di frequentare le logge dopo la Rivoluzione, ancorché in seguito partecipi sporadicamente a riunioni massoniche di diplomatici accreditati presso la corte russa durante il suo soggiorno a San Pietroburgo. E non si tratta neppure di un massone che a un certo punto «si pente». Gli scritti massonici di Maistre – a torto esclusi, per non scandalizzare il pubblico cattolico, dai quattordici volumi ottocenteschi delle opere complete, ma quasi tutti riediti nel XX secolo – mostrano chiaramente che il diplomatico sabaudo ritiene le condanne pontificie della massoneria, a partire dalla bolla del 1738 In eminenti di Papa Clemente XII (1652-1740), peraltro giuridicamente non applicabile ai Paesi dove Maistre frequentava le logge in quanto sprovvista dell’exequatur dei principi di quegli Stati – come riferite a organizzazioni che complottano, come si dice allora, contro il trono e l’altare. Maistre condivide queste condanne, ma ne ritiene escluse le logge cui appartiene, che semmai operano – in un regime di segreto giudicato necessario a causa delle persecuzioni prima culturali dell’Illuminismo e poi cruente della Rivoluzione francese – a favore della Chiesa e della monarchia. Alla massoneria illuminista Maistre pensa di opporre una massoneria «bianca» spiritualista, che per di più, ove sia egemonizzata da cattolici, potrà favorire in Paesi come la Russia  il ritorno a Roma di cristiani separati tratti dalle fila della più alta nobiltà. Dopo la Rivoluzione francese, e dopo le delusioni nei suoi sogni di riunione dell’Ortodossia russa a Roma, Maistre non considera i suoi progetti massonici come un’impresa immorale, ma solo come un tentativo fallito.
Beninteso, oggi possiamo – anzi, dobbiamo – dire che queste idee di Maistre sulla massoneria erano sbagliate: il metodo massonico è intrinsecamente incompatibile con la fede cattolica, il che spiega perché i progetti di massonerie «bianche» non siano mai riusciti nella storia. Ma lo possiamo dire sulla base di un Magistero che dall’enciclica Humanum Genus del 1884 di Leone XIII (1810-1903) alla Dichiarazione sulla massoneria della Congregazione per la dottrina della fede del 1983 ha approfondito il metodo massonico, mentre Maistre aveva a sua disposizione solo sentenze chiare nel loro dispositivo, ma scarne se non scheletriche nelle motivazioni.
Il libro di Froidefont smonta però un mito relativo al pensiero religioso di Maistre, di cui si afferma spesso che è debitore di molte idee – che sarebbero originali nel contesto cattolico – all’ambiente massonico che aveva frequentato e in particolare al mistico eterodosso Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803). Froidefont spiega che molto di quanto è stato scritto su Maistre va rivisto alla luce degli inediti e in particolare delle annotazioni che accompagnavano tutte le letture del pensatore sabaudo, oggi in gran parte raccolti presso gli Archivi Dipartimentali della Savoia e accessibili ai ricercatori. Queste fonti dimostrano che molto di quanto è attribuito di solito all’influenza di Saint-Martin deriva da testi patristici e in particolare da Origene (185-254), che tra l’altro Maistre conosceva – insieme alle controversie che riguardavano il teologo greco – molto meglio di Saint-Martin. Parecchie idee che oggi appaiono inusuali, inoltre, a partire dalle famose e discusse pagine sulla funzione salutare del boia e sui castighi divini, emergono dalle annotazioni – dove si scopre peraltro che Maistre, cosa rara fra i suoi contemporanei, leggeva anche san Tommaso d’Aquino direttamente nel testo latino  –  come diffuse in un pensiero teologico oggi dimenticato, quello ortodosso e fedele a Roma del Settecento francese, normalmente conosciuto solo per i suoi autori gallicani e giansenisti. Maistre legge anche volentieri autori inglesi, non solo cattolici, cui è debitore di molti argomenti contro la miscredenza settecentesca.
Il tema politico della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione appare così come radicato in una teologia della storia che riposa su un’antropologia e che riposa su tre momenti. Il primo è quello della creazione dove Maistre, in polemica con protestanti e giansenisti e anche con Nicolas Malebranche (1638-1715), nel cui pensiero vede rischi fideisti, esalta la natura dell’uomo creato a immagine di Dio e dotato di ragione, con un pensiero assai meno pessimistico di quanto comunemente si crede. Il secondo è quello della caduta, anzi delle tre cadute perché al peccato originale Maistre affianca il Diluvio Universale e la torre di Babele come momenti dove gli uomini, preda dell’orgoglio, perdono parti importanti dei doni e delle ricchezze che Dio, nonostante il peccato originale, ha loro lasciato. Questo cammino di decadenza continua fino ai giorni nostri e diventa la Rivoluzione, un processo pluri-secolare di negazione storica di Dio che non si riduce alla Rivoluzione francese . Ma nel frattempo la Redenzione, coronando l’Antico Testamento, ha offerto la possibilità di vivere in pienezza il terzo momento, il ritorno a Dio. A un giudizio positivo sullo spirito che animava il Medioevo si accompagna una critica della sua decadenza, dell’assolutismo e dell’Illuminismo. Tuttavia la Rivoluzione, che è anche un castigo di Dio, offre copiosamente la possibilità del pentimento e dell’espiazione, che Maistre legge secondo la teoria della «reversibilità» per cui le sofferenze dei giusti vanno misteriosamente a vantaggio dell’umanità intera: anch’essa una teoria, precisa Froidefont, che il pensatore sabaudo non trae dall’esoterismo ma dalla teologia del suo tempo. La Rivoluzione, dunque,  è sempre anche occasione di Contro-Rivoluzione. Più la Rivoluzione è satanica, più la Contro-Rivoluzione ha l’occasione di essere «angelica e divina».
Dove abbonda il peccato potrà sovrabbondare la grazia, e Maistre attende dopo la fine del processo rivoluzionario – che non identifica con la restaurazione post-napoleonica, per lui appena una pallida ombra della vera Contro-Rivoluzione – un «grande avvenimento religioso», un «intervento divino che favorisca il successo della religione cattolica», concepito – Froidefont lo mostra in polemica con altre interpretazioni – non in modo millenarista ma come aiuto speciale per il ritorno degli ortodossi, particolarmente di quelli del Paese cui si era molto affezionato, la Russia, e di molti protestanti alla comunione con il Papa.
È il Papa, infatti, il centro delle meditazioni di Maistre, il cui trattato Du Pape del 1819 eserciterà com’è noto un’importante influenza sul Concilio Ecumenico Vaticano I e sulla definizione dell’infallibilità. La Contro- Rivoluzione non consiste però per Maistre solo nel seguire il Papa nei suoi insegnamenti più solenni, ma nel prenderlo come guida anche per i principi della vita sociale e politica e per il bene supremo delle nazioni. Sono affermazioni in qualche modo profetiche, perché scritte in un’epoca in cui un Magistero pontificio che sistematicamente insegni anche una dottrina sociale ancora non si è manifestato. Ma è in questa «resurrezione del trono pontificio» che Maistre vede, ultimamente, la speranza dell’Europa.