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La bellezza come pellegrinaggio. Il viaggio di Benedetto XVI a Santiago de Compostela e Barcellona

di Massimo Introvigne

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Il viaggio apostolico «breve ma intenso» (Benedetto XVI 2010b) che Benedetto XVI ha compiuto in Spagna il 6 e 7 novembre 2010 ha avuto, come il Pontefice ha spiegato, «due temi» (Benedetto XVI 2010a): «il tema del pellegrinaggio» (ibid.) e «il tema della bellezza» (ibid.). In primo luogo, il fatto che nel 2010 si celebri l’Anno Santo Compostellano – che, come sa chi percorre il Cammino di Santiago, ricorre negli anni in cui la festa dell’apostolo san Giacomo, 25 luglio, cade di domenica – e che per la basilica cattedrale metropolitana di Santiago sia imminente «l’anniversario degli ottocento anni dalla sua consacrazione» (Benedetto XVI 2010c), avvenuta nel 1211, ha spinto il Papa a «venire in pellegrinaggio alla casa del “Señor Santiago”» (ibid.), «pellegrino tra i pellegrini» (Benedetto XVI 2010d), e a riflettere in modo profondo sul tema dei pellegrinaggi in generale. In secondo luogo, la dedicazione – dopo 128 anni dall’inizio dei lavori, interrotti dalla morte dell’architetto, il servo di Dio Antoni Gaudí (1852-1926) di cui è in corso la causa di beatificazione – del tempio espiatorio della Sagrada Família, a Barcellona, che il Papa ha ora elevato al rango di basilica minore, conferma l’attenzione che il Papa porta a questa figura di «architetto geniale e cristiano coerente» (Benedetto XVI 2010e). Insieme, offre l’occasione a Benedetto XVI per ulteriori riflessioni sul tema a lui caro della bellezza e dell’arte. I due temi sono collegati: nel pellegrinaggio, infatti, si cammina sempre nella direzione di una qualche forma di bellezza.

1. La bellezza del pellegrinaggio

Perché il pellegrinaggio

Se Dio, come insegna anche ai bambini il catechismo, è in ogni luogo, perché andare in pellegrinaggio? «Contro il pellegrinaggio uno potrebbe dire: Dio è dappertutto, non c’è bisogno di andare in un altro luogo» (Benedetto XVI 2010a). Eppure, per un altro verso, il pellegrinaggio è inscindibile dall’atto di fede. L’Antico Testamento – ma anche il nuovo, che vi ritorna nella Lettera agli Ebrei – «dimostra che cosa sia la fede nella figura di Abramo» (ibid.). Ora, Abramo «esce dalla sua terra e rimane un pellegrino verso il futuro per tutta la sua vita» (ibid.). E anche per noi «questo movimento abramico rimane nell’atto della fede» (ibid.). Ciascuno di noi è pellegrino «soprattutto interiormente» (ibid.): «l’uomo è sempre in cammino, è alla ricerca della verità» (Benedetto XVI 2010b). E tuttavia il movimento «deve anche esprimersi esteriormente» (Benedetto XVI 2010a): dal momento che la nostra esperienza non è puramente intellettuale, è davvero necessario «qualche volta, uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo, uscire solo per essere realmente in cammino verso la trascendenza; trascendere se stesso, trascendere la quotidianità e così trovare anche una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, di identificazione di se stesso, di vedere l’altro, Dio» (ibid.).

Il pellegrinaggio non va dunque confuso con una gita. È molto di più. «Andare in pellegrinaggio non è semplicemente visitare un luogo qualsiasi per ammirare i suoi tesori di natura, arte o storia. Andare in pellegrinaggio significa, piuttosto, uscire da noi stessi per andare incontro a Dio là dove Egli si è manifestato, là dove la grazia divina si è mostrata con particolare splendore e ha prodotto abbondanti frutti di conversione e santità tra i credenti» (Benedetto XVI 2010c). In questo senso, il pellegrinaggio è parte dell’esperienza cristiana fin da tempi antichissimi. «I cristiani andarono in pellegrinaggio, anzitutto, nei luoghi legati alla passione, morte e resurrezione del Signore, in Terra Santa. Poi a Roma, città del martirio di Pietro e Paolo, e anche a Compostela, che, unita alla memoria di san Giacomo, ha accolto pellegrini di tutto il mondo, desiderosi di rafforzare il loro spirito con la testimonianza di fede e amore dell’Apostolo» (ibid.).

Il pellegrinaggio come testimonianza di fronte al «secolarismo aggressivo»

«Il pellegrinaggio riunisce» (Benedetto XVI 2010a), ed è anche una grande testimonianza collettiva di fronte a un mondo segnato dal laicismo, dal secolarismo e dall’anticlericalismo. È dunque provvidenziale che grandi pellegrinaggi come quello di Santiago portino centinaia di migliaia di pellegrini proprio in Spagna. «La Spagna è stata, da sempre, un Paese “originario” della fede» (ibid.), benemerito per la difesa e la diffusione della cultura e della civiltà cristiane. «Pensiamo che la rinascita del cattolicesimo nell’epoca moderna avviene soprattutto grazie alla Spagna; figure come sant’Ignazio di Loyola [1491-1556], santa Teresa d’Avila [1515-1582] e san Giovanni d’Avila [1499-1569]» (ibid.), ricordati proprio perché con loro inizia l’opera di resistenza cattolica alla modernità ostile alla Chiesa, senza dimenticare «[san] Giovanni della Croce [1542-1591], [san] Francesco Saverio [1506-1552]» (Benedetto XVI 2010b) e i numerosissimi santi e beati che più recentemente «nel secolo XX [hanno fondato] nuove istituzioni, gruppi e comunità di vita cristiana e di azione apostolica» (ibid.).

Tuttavia, «è ugualmente vero che in Spagna è nata anche una laicità, un anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo, come abbiamo visto proprio negli anni Trenta, e questa disputa, più questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna» (Benedetto XVI 2010a). L’accenno, forse poco politicamente corretto, al forte anticlericalismo degli anni della guerra civile spagnola e ai suoi martiri, si accompagna alla franca denuncia del fatto che questa ostilità alla Chiesa si manifesta in Spagna «oggi di nuovo». Il Papa definisce «una tragedia» (Benedetto XVI 2010d) il fatto che in Spagna e in Europa ci sia stato e ci sia chi a piene mani «diffonde la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua libertà» (ibid.).

Si rinnova così ancora oggi il dramma – che non ha affatto perso di attualità – denunciato dall’autore del Libro della Sapienza di «un paganesimo per il quale Dio è invidioso dell’uomo o lo disprezza» (ibid.). Ma di fronte a questa stoltezza dei vecchi pagani dell’Antico Testamento e dei nuovi pagani dell’Europa di oggi il Papa viene a porre ancora una volta le domande fondamentali, capaci di confondere ogni menzogna su Dio: «come Dio avrebbe creato tutte le cose se non le avesse amate, Lui che nella sua infinita pienezza non ha bisogno di nulla? (cfr Sap 11,24-26). Come si sarebbe rivelato agli uomini se non avesse voluto proteggerli? Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole. E, allora, com’è possibile che si neghi a Dio, sole delle intelligenze, forza delle volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra?» (ibid.).

Viviamo «in un’epoca nella quale l’uomo pretende di edificare la sua vita alle spalle di Dio, come se non avesse più niente da dirgli» (Benedetto XVI 2010e). Agli stolti di ieri e degli oggi Benedetto XVI ricorda che l’affermazione «semplice e decisiva» (ibid.), la quale ha fatto dell’«Europa che andò in pellegrinaggio a Compostela» (Benedetto XVI 2010d) quella che è, è «che Dio esiste e che è lui che ci ha dato la vita» (ibid.): «lo comprese bene santa Teresa di Gesù [d’Avila] quando scrisse: “Solo Dio basta”» (ibid.). Se vuole superare la sua attuale crisi d’identità, «l’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura» (ibid.). «È necessario che [il nome di] Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa» (ibid.). È necessario «avere cura di Dio e avere cura dell’uomo» (ibid.) – le due cose non possono che andare di pari passo –, e tornare al messaggio del venerabile «Giovanni Paolo II [1920-2005], che da Compostela [nel 1989] esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane» (Benedetto XVI 2010b).

Questo messaggio ispirato al venerabile Giovanni Paolo II su «una libertà che rispetta la verità e mai la ferisce» (ibid.), a fronte della minacciosa avanzata del secolarismo nella Spagna di oggi, non può rinunciare a intervenire su terreni concreti, chiedendo anzitutto che «la vita ricev[a] accoglienza dal suo concepimento fino al suo temine naturale» (Benedetto XVI 2010f). Nella Spagna del primo ministro socialista José Luis Rodríguez Zapatero, che propone di rendere più facile il ricorso all’aborto, Benedetto XVI chiede che «si difenda come sacra e inviolabile la vita dei figli dal momento del loro concepimento» (Benedetto XVI 2010e) Di fronte a proposte che vorrebbero legalizzare apertamente o surrettiziamente l’eutanasia, il Papa ricorda l’«esigenza dell’essere umano che i nuovi sviluppi tecnologici nel campo medico non vadano mai a detrimento del rispetto per la vita e la dignità umana, in modo che coloro che soffrono malattie o disabilità psichiche o fisiche possano ricevere sempre quell’amore e quelle attenzioni che permettano loro di sentirsi valorizzati come persone nelle loro necessità concrete» (Benedetto XVI 2010g). Nella Spagna del matrimonio omosessuale e dove non mancano voci perfino in favore della poligamia, il Papa afferma che la Chiesa «sostiene ciò che promuove l’ordine naturale nell’ambito dell’istituzione familiare» (Benedetto XVI 2010e), e che lo Stato deve riconoscere come «famiglia» (ibid.) quella dell’«uomo e la donna che si uniscono in matrimonio» (ibid.), quella fondata sull’«amore generoso e indissolubile di un uomo e di una donna» (ibid.).

Il vero spirito del Cammino di Santiago

Se ci sono tanti pellegrinaggi provvidenziali di fronte alla «sfida della laicità» (Benedetto XVI 2010a), il Cammino di Santiago ha una sua specificità. Santiago de Compostela è «un luogo spiritualmente straordinario, che continua ad essere punto di riferimento per l’Europa» (Benedetto XVI 2010i). Nei secoli, ha contribuito a creare «l’identità comune europea» (Benedetto XVI 2010a). I diversi «cammini di San Giacomo» (ibid.) che dall’Europa convergono su Santiago di Compostela «sono un elemento nella formazione dell’unità spirituale del Continente europeo» (ibid.). «Le strade che attraversavano l’Europa per raggiungere Santiago erano molto diverse tra loro, ciascuna con la propria lingua e le proprie peculiarità, ma la fede era la stessa. C’era un linguaggio comune, il Vangelo di Cristo. In qualsiasi luogo, il pellegrino poteva sentirsi come a casa sua. Al di là delle differenze nazionali, era consapevole di essere membro di una grande famiglia, alla quale appartenevano gli altri pellegrini e abitanti che incontrava sul suo cammino» (Benedetto XVI 2010h).

La «grande schiera di uomini e donne che, lungo i secoli, sono venuti a Compostela da tutti gli angoli della Penisola Iberica e d’Europa, e anzi del mondo intero, per mettersi ai piedi di san Giacomo e lasciarsi trasformare dalla testimonianza della sua fede» (Benedetto XVI 2010b) non si sono limitati a compiere un esercizio di pietà. Hanno costruito una cultura e hanno dato una nuova fisionomia alla Spagna e all’Europa. «Essi, con le orme dei loro passi e pieni di speranza, andarono creando una via di cultura, di preghiera, di misericordia e di conversione, che si è concretizzata in chiese e ospedali, in ostelli, ponti e monasteri. In questa maniera, la Spagna e l’Europa svilupparono una fisionomia spirituale marcata in modo indelebile dal Vangelo» (ibid.).

Ancora oggi a Santiago arriva «un popolo di silenziosi camminatori, provenienti da ogni parte del mondo, che riscoprono l’antica tradizione medioevale e cristiana del pellegrinaggio, attraversando borghi e città permeate di cattolicesimo» (Benedetto XVI 2010i). Ma solo riflettendo su una grande storia e su una «bella geografia» (Benedetto XVI 2010b) è possibile impregnarsi del «genuino spirito giacobeo, senza il quale si capirebbe poco o nulla di quello che qui [a Santiago de Compostela] si svolge» (Benedetto XVI 2010d), riducendo il Cammino a turismo o peggio ad avventura genericamente spirituale senza uno specifico contenuto cattolico, il che purtroppo oggi talora avviene. Il Papa a Santiago ha «pregato anche perché i pellegrini, seguendo le orme di numerosi Santi che nel corso dei secoli hanno compiuto il “Cammino di Santiago”, continuino a mantenerne vivo il genuino significato religioso, spirituale e penitenziale, senza cedere alla banalità, alla distrazione, alle mode» (Benedetto XVI 2010i). E tuttavia non si deve neppure credere che tutti coloro che non afferrano appieno le ricchezze dello spirito giacobeo quando percorrono il Cammino siano vittime di quella diffusa reinterpretazione dell’avventura di Santiago che la riduce a mero exploit atletico o la degrada a spiritualità sincretista e New Age. Molti non sono in grado di pensare questo spirito, ma lo percepiscono implicitamente almeno come nostalgia.

Lo spirito giacobeo «è quello che nel segreto del cuore, sapendolo esplicitamente o sentendolo senza saperlo esprimere a parole, vivono tanti pellegrini che camminano fino a Santiago di Compostela per abbracciare l’Apostolo. La stanchezza dell’andare, la varietà dei paesaggi, l’incontro con persone di altra nazionalità, li aprono a ciò che di più profondo e comune ci unisce agli uomini: esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione. E nel più nascosto di tutti questi uomini risuona la presenza di Dio e l’azione dello Spirito Santo. Sì, ogni uomo che fa silenzio dentro di sé e prende le distanze dalle brame, desideri e faccende immediati, l’uomo che prega, Dio lo illumina affinché lo incontri e riconosca Cristo. Chi compie il pellegrinaggio a Santiago, in fondo, lo fa per incontrarsi soprattutto con Dio, che, riflesso nella maestà di Cristo, lo accoglie e benedice nell’arrivare al Portico della Gloria» (Benedetto XVI 2010d).

Come ritrovare lo spirito giacobeo autentico? Meditando – risponde il Papa – sulle tante croci che si ritrovano lungo il Cammino. Guardiamo, esorta Benedetto XVI, a «Cristo che possiamo trovare nei cammini che conducono a Compostela, dato che in essi vi è una croce che accoglie e orienta ai crocicchi. Questa croce, segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, e perciò dono e perdono allo stesso tempo, dev’essere la nostra stella polare nella notte del tempo. Croce e amore, croce e luce sono stati sinonimi nella nostra storia, perché Cristo si lasciò inchiodare in essa per darci la suprema testimonianza del suo amore, per invitarci al perdono e alla riconciliazione, per insegnarci a vincere il male con il bene. Non smettete di imparare le lezioni di questo Cristo dei crocicchi dei cammini e della vita, in lui ci viene incontro Dio come amico, padre e guida. O Croce benedetta, brilla sempre nelle terre dell’Europa!» (ibid.).

2. Il pellegrinaggio della bellezza

L’equilibrio fra fede e ragione è anche equilibrio fra fede ed arte

Se c’è un tema principale del Magistero di Benedetto XVI, è quello dell’equilibrio necessario fra fede e ragione: «Voi sapete che io insisto molto sulla relazione tra fede e ragione» (Benedetto XVI 2010a). Fede e ragione, secondo l’immagine tante volte richiamata da Benedetto XVI con cui si apre l’enciclica Fides et ratio del venerabile Giovanni Paolo II «sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II 1998, incipit). Senza l’equilibrio tra le due ali l’aereo non può decollare, ma si schianta. In Spagna Benedetto XVI ci dice qualche cosa di più. L’equilibrio fra fede e ragione richiede pure – anzi, è – l’equilibrio tra fede e bellezza, «tra fede e arte» (Benedetto XVI 2010a).

Il passaggio dev’essere seguito nella sua logica, filosoficamente rigorosa. Chi dice ragione, dice verità. Se non è capace di conoscere la verità e non si lascia misurare dalla verità, la ragione non è vera ragione. Ora, la verità non si può separare dalla bellezza. «La verità, scopo, meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza, si prova come verità. Quindi dove c’è la verità deve nascere la bellezza, dove l’essere umano si realizza in modo corretto, buono, si esprime nella bellezza. La relazione tra verità e bellezza è inscindibile» (ibid.).

Non solo la bellezza in genere ma anche la specifica bellezza dell’arte è inseparabile dalla verità, e in particolare dalla verità di cui è custode la Chiesa. «Nella Chiesa, dall’inizio, anche nella grande modestia e povertà del tempo delle persecuzioni, l’arte, la pittura, l’esprimersi della salvezza di Dio nelle immagini del mondo, il canto, e poi anche l’edificio, tutto questo è costitutivo per la Chiesa e rimane costitutivo per sempre. Così la Chiesa è stata madre delle arti per secoli e secoli: il grande tesoro dell’arte occidentale – sia musica, sia architettura, sia pittura – è nato dalla fede all’interno della Chiesa. Oggi c’è un certo “dissenso”, ma questo fa male sia all’arte, sia alla fede: l’arte che perdesse la radice della trascendenza, non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva» (ibid.).

Questo è evidente per l’arte dei secoli della fede. Ma che dire dell’arte di oggi? Secondo il Papa – per così dire (l’espressione è mia, non di Benedetto XVI) – non dobbiamo regalare l’arte di oggi al secolarismo laicista. «Una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente; ed oggi deve esprimersi di nuovo come verità, che è sempre presente. Perciò il dialogo o l’incontro, direi l’insieme, tra arte e fede è inscritto nella più profonda essenza della fede; dobbiamo fare di tutto perché anche oggi la fede si esprima in autentica arte […] nella continuità e nella novità, e […] l’arte non perda il contatto con la fede» (ibid.).

«Fare di tutto»… Ma, a fronte dell’enorme distanza che intercorre fra l’arte moderna e la fede, questa impresa ha qualche speranza di successo? Sì, risponde il Papa, e la prova è precisamente il servo di Dio Antoni Gaudí. «Geniale architetto» (Benedetto XVI 2010b), «la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta» (Benedetto XVI 2010e), in «quella meraviglia che è la chiesa della Sacra Famiglia» (Benedetto XVI 2010b), «un’immensa scultura in pietra, frutto della fede profonda, della sensibilità spirituale e del talento artistico» (Benedetto XVI 2010i) del maestro, degna delle «grandi costruzioni religiose, come le cattedrali del Medioevo, che hanno segnato profondamente la storia e la fisionomia delle principali Città dell’Europa» (ibid.), «miracolo architettonico» (Benedetto XVI 2010e) e «ambiente santo di incantevole bellezza» (ibid.) – le espressioni di Benedetto XVI, come si vede, sono piuttosto impegnative –, Gaudí costruì le sue opere come «frecce che indicano l’assoluto della luce e di colui che è la Luce, l’Altezza e la Bellezza medesime» (ibid.).

Gaudì non è un puro imitatore dell’arte cristiana tradizionale, ma si pone in «continuità» (Benedetto XVI 2010a) con questa reinterpretandola nel contesto contemporaneo. sintesi tra continuità e novità, tradizione e creatività. «Gaudí ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare di nuovo, nel suo secolo – con una visione totalmente nuova – questa realtà: la cattedrale luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, in una grande solennità; e questo coraggio di rimanere nella tradizione, ma con un creatività nuova, che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità della storia e il progresso della storia» (ibid.).

Ma che cos’è, in fondo, l’originalità, se non il senso dell’origine, cioè di Dio? «Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all’origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città [Barcellona] uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa. Così l’architetto esprimeva i suoi sentimenti: “Una chiesa [è] l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo, poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo”» (Benedetto XVI 2010e).

Il segreto del servo di Dio Antoni Gaudí

Benedetto XVI va oltre, e si chiede quale fosse il segreto del servo di Dio Antoni Gaudí, il cuore del pensiero di un genio cristiano che pure ha scritto molto poco. La risposta è che «Gaudí voleva questo trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia. E questa sintesi proprio oggi è di grande importanza. Nella liturgia, la Scrittura diventa presente, diventa realtà oggi: non è più una Scrittura di duemila anni fa, ma va celebrata, realizzata. E nella celebrazione della Scrittura parla la creazione, parla il creato e trova la sua vera risposta, perché, come ci dice san Paolo, la creatura soffre, e, invece di essere distrutta, disprezzata, aspetta i figli di Dio, cioè quelli che la vedono nella luce di Dio. E così – penso – questa sintesi tra senso del creato, Scrittura e adorazione è proprio un messaggio molto importante per l’oggi» (Benedetto XVI 2010a).

Costruendo la Sagrada Família Gaudí, propriamente, divenne santo. «Il famoso architetto considerò questo lavoro come una missione nella quale era coinvolta tutta la sua persona. Dal momento in cui accettò l’incarico della costruzione di quella chiesa, la sua vita fu segnata da un cambiamento profondo. Intraprese così un’intensa pratica di preghiera, digiuno e povertà, avvertendo la necessità di prepararsi spiritualmente per riuscire ad esprimere nella realtà materiale il mistero insondabile di Dio. Si può dire che, mentre Gaudì lavorava alla costruzione del tempio, Dio costruiva in lui l’edificio spirituale (cfr Ef 2,22), rafforzandolo nella fede e avvicinandolo sempre più all’intimità di Cristo. Ispirandosi continuamente alla natura, opera del Creatore, e dedicandosi con passione a conoscere la Sacra Scrittura e la liturgia, egli seppe realizzare nel cuore della Città un edificio degno di Dio e, perciò stesso, degno dell’uomo» (Benedetto XVI 2010i).

Sul tema dei tre libri – della natura, della Sacra Scrittura e della liturgia – da leggere insieme e da assumere come ispirazione dell’opera d’arte, Benedetto XVI torna in occasione della dedicazione della Sagrada Família. In questo suo capolavoro, afferma il Papa, «Gaudí volle unire l’ispirazione che gli veniva dai tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia» (Benedetto XVI 2010e).

In modo per nulla casuale, il servo di Dio giocò sulla relazione fra l’interno e l’esterno della Sagrada Família, che concepiva come una «lode a Dio fatta di pietra» (Benedetto XVI 2001f) e una Biblia pauperum attraverso la quale «voleva portare il Vangelo a tutto il popolo» (ibid.). Così dunque «introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010e). Inoltre «concepì i tre portici all’esterno come una catechesi su Gesù Cristo, come un grande rosario, che è la preghiera dei semplici, dove si possono contemplare i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi di Nostro Signore» (Benedetto XVI 2010f).

Opera complessa e completa, la Sagrada Família non è solo una chiesa. Il progetto di Gaudí comprendeva anche una scuola. «In collaborazione con il parroco, [il servo di Dio] don Gil Parés [1888-1936, fucilato in odio alla fede durante la guerra civile], disegnò e finanziò con i propri risparmi la creazione di una scuola per i figli dei muratori e per i bambini delle famiglie più umili del quartiere, allora un sobborgo emarginato di Barcellona» (ibid.).

Così, la costruzione della pure incompiuta Sagrada Família non fu un’opera d’arte fine a se stessa. Gaudí «collaborò in maniera geniale all’edificazione di una coscienza umana ancorata nel mondo, aperta a Dio, illuminata e santificata da Cristo. E realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza. Antoni Gaudí non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre, linee, superfici e vertici. In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo» (Benedetto XVI 2010e).

Perché «Sagrada Família»?

La scelta della Sacra Famiglia come titolare della chiesa di cui Gaudí iniziò la costruzione non fu casuale. Gaudí e i suoi committenti – «l’iniziativa della costruzione di questa chiesa si deve all’Associazione degli Amici di san Giuseppe» (ibid.) – scelsero «una devozione tipica dell’Ottocento: san Giuseppe, la Sacra Famiglia di Nazareth, il mistero di Nazareth» (Benedetto XVI 2010a). Dunque, «questo edificio sacro, fin dalle sue origini, è strettamente legato alla figura di san Giuseppe. Mi ha commosso specialmente – afferma il Papa – la sicurezza con la quale Gaudí, di fronte alle innumerevoli difficoltà che dovette affrontare, esclamava pieno di fiducia nella divina Provvidenza: “San Giuseppe completerà il tempio”. Per questo ora non è privo di significato il fatto che sia un Papa il cui nome di battesimo è Giuseppe a dedicarlo» (Benedetto XVI 2010e).

Il clima culturale in cui nasce il progetto deve molto a un santo, «san José Manyanet [y Vives, 1833-1901]» (Benedetto XVI 2010f), il quale «diffuse tra il popolo catalano» (ibid.) «la devozione alla Sacra Famiglia di Nazaret» (ibid.). Si potrebbe pensare che si tratti di una devozione ottocentesca, ben poco di attualità oggi. Ma è piuttosto il contrario. A fronte dell’attacco laicista alla famiglia «proprio questa devozione di ieri, si potrebbe dire, è di grandissima attualità, perché il problema della famiglia, del rinnovamento della famiglia come cellula fondamentale della società, è il grande tema di oggi e ci indica dove possiamo andare sia nella costruzione della società sia nella unità tra fede e vita, tra religione e società. Famiglia è il tema fondamentale che si esprime qui, dicendo che Dio stesso si è fatto figlio in una famiglia e ci chiama a costruire e vivere la famiglia» (Benedetto XVI 2010a).

Certo, rispetto al tempo del servo di Dio Gaudí, grandi progressi tecnologici hanno risolto tutta una serie di problemi «tecnici» (Benedetto XVI 2010e) e anche «sociali» (ibid.). Ma noi «non possiamo accontentarci di questi progressi. Con essi devono essere sempre presenti i progressi morali, come l’attenzione, la protezione e l’aiuto alla famiglia, poiché l’amore generoso e indissolubile di un uomo e una donna è il quadro efficace e il fondamento della vita umana nella sua gestazione, nella sua nascita, nella sua crescita e nel suo termine naturale. Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà, nasce e perdura la vera libertà» (ibid.). Per questo, la dedicazione di una chiesa costruita da un architetto santo e intitolato alla Sacra Famiglia è un gesto profetico nella Spagna di oggi.

Riferimenti

Per tutti i testi, che sono disponibili su Internet sul sito della Santa Sede vatican.va è fornito un indirizzo abbreviato con il sistema tinyurl. Nei riferimenti gli indirizzi tinyurl sono indicati da una T maiuscola. Per esempio «T 5ou9gt » indica che per accedere alla pagina del sito della Santa Sede dov’è disponibile il documento occorre digitare http://tinyurl.com/5ou9gt.

Benedetto XVI. 2010a. Incontro con i giornalisti durante il volo verso Santiago de Compostela (Volo Papale), del 6-11-2010. T 32hkuqj.

Benedetto XVI. 2010b. Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale di Santiago de Compostela, del 6-11-2010. T 3yeymln.

Benedetto XVI. 2010c. Visita alla Cattedrale di Santiago de Compostela, del 6-11-2010. T 2u9eloh.

Benedetto XVI. 2010d. Santa Messa in occasione dell'Anno Santo Compostelano nella Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela – Omelia, del 6-11-2010. T 32ejktu.

Benedetto XVI. 2010e. Santa Messa con dedicazione della Chiesa della Sagrada Família e dell’altare a Barcelona – Omelia, del 7-11-2010. T 364rhxs.

Benedetto XVI. 2010f. Recita dell’Angelus Domini nella Piazza della Chiesa della Sagrada Família a Barcellona, del 7-11-2010. T 3y3gc99.

Benedetto XVI. 2010g. Visita all’«Obra Benefico-Social Nen Déu» a Barcellona, del 7-11-2010. T 34ff7mj.

Benedetto XVI. 2010h. Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale di Barcellona, del 7-11-2010. T 33ce7b3.

Benedetto XVI. 2010i. Udienza generale – Viaggio apostolico a Santiago de Compostela e Barcellona, del 10-11-2010. T 33fvv9h.

Giovanni Paolo II. 1998. Lettera enciclica Fides et ratio, del 14-9-1998. T 5ou9gt.