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Cape Town 2010: «“Evangelical”. Cristiani d’assalto dagli USA al mondo»

di Massimo Introvigne (Avvenire, 17 ottobre 2010)

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Il viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI in Gran Bretagna, dal 16 al 19 settembre 2010, ha avuto lo scopo di celebrare il cardinale John Henry Newman C.O. (1801-1890) e proclamarne la beatificazione. Dal 16 al 25 ottobre a Città del Capo si tiene il terzo Congresso di Losanna per l’Evangelizzazione Mondiale, organizzato in collaborazione con la World Evangelical Alliance. Vi parteciperanno 4.000 leader protestanti di duecento Paesi. Il riferimento a Losanna sembra strano per un congresso che si tiene in Sudafrica, ma vuole sottolineare la continuità con un’iniziativa del grande predicatore americano Billy Graham, il quale nel 1974 radunò appunto a Losanna 2.700 leader protestanti in quella che molti considerano la più importante riunione protestante della storia. Lo scopo era quello di coordinare l’attività missionaria nel mondo di quanti condividono il «Patto di Losanna», un documento che definisce il protestantesimo detto in inglese evangelical e lo contrappone a quello liberal delle denominazioni protestanti storiche riunite nel Consiglio Ecumenico delle Chiese, il quale ha la sua sede principale non troppo lontano da Losanna, a Ginevra.

Ma che cosa significa evangelical? La terminologia non è chiara, tanto più in Italia, dove infatti spesso s’insiste che evangelical non va assolutamente tradotto con «evangelico». Chi fa parte di questa corrente preferirebbe il neologismo «evangelicale». Molti studiosi mantengono la parola evangelical in inglese, senza tradurla.

Se infatti usiamo in lingua italiana l’espressione «evangelico» dobbiamo distinguere fra quattro diversi significati. In un primo significato, «evangelico» è semplicemente sinonimo di protestante, contrapposto a «cattolico», in quanto il protestante farebbe riferimento al solo Vangelo, alla sola Scriptura, senza aggiungervi il Magistero dei Pontefici romani. Non sorprende pertanto vedere anche chiese valdesi o luterane presentate al pubblico o sui cartelli stradali semplicemente come «chiese evangeliche».

In un secondo significato – oggi per la verità un po’ in disuso – erano chiamate «evangeliche» – nel senso, qui, di più vicine all’entusiasmo nei tempi evangelici – le denominazioni, più «popolari» del cosiddetto secondo protestantesimo, come i battisti o i metodisti, le quali reagivano contro la freddezza delle denominazioni della prima generazione protestante: luterani e calvinisti.

Nel secolo XX si è affermato in inglese l’uso di evangelical come sinonimo di «conservatore», contrapposto a liberal o anche a «ecumenico», con riferimento alla polemica dei conservatori contro il Consiglio Mondiale delle Chiese. In questo senso «evangelico» è stato usato a lungo come sinonimo di «fondamentalista». Ma – soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale – almeno negli Stati Uniti – è diventata scontata la distinzione all’interno del protestantesimo conservatore fra un campo «evangelico», più moderato, e uno «fondamentalista», più estremista.

Infine – mentre fino ad anni recenti i protestanti «evangelici» nel terzo significato del termine erano critici nei confronti dei pentecostali – oggi le associazioni e le parachiese che promuovono la collaborazione interevangelica accolgono alcune delle denominazioni pentecostali e, particolarmente in America Latina e in Africa, «evangelico» viene usato anche come sinonimo di «pentecostale».

In un Paese come l’Italia. quando ci si trova di fronte a un edificio o a un gruppo denominato «chiesa evangelica» ci si deve sempre chiedere in quale senso l’aggettivo è usato: può trattarsi di qualunque forma del protestantesimo, da antiche comunità protestanti di prima generazione fino ai più recenti movimenti del filone pentecostale. Nella sociologia del protestantesimo, evangelical ha però un significato preciso: significa «conservatore moderato», contrapposto da una parte a liberal (o «ecumenico», nel senso non dell’apertura al dialogo ma d’identificazione con le posizioni «progressiste» del Consiglio Ecumenico delle Chiese), dall’altra a «fondamentalista». Decisivo per essere evangelical non è il modo di pregare – le stesse associazioni fra evangelical, anche in Italia, accolgono insieme pentecostali e critici del pentecostalismo – ma una teologia conservatrice che crede fermamente nella Trinità, nella divinità di Gesù Cristo, nell’infallibilità della Scrittura, nell’interpretazione tradizionale dei dieci comandamenti – con una ferma opposizione all’aborto e alla pratica dell’omosessualità – e nel buon diritto di Martin Lutero a rompere con la Chiesa di Roma. Il grande movimento evangelical crede anche che per salvarsi è necessario – almeno in via ordinaria – essere cristiani, e quindi impegna gran parte delle sue risorse in uno sforzo missionario che privilegia l’evangelizzazione rispetto alla promozione umana, pur senza trascurare la seconda, con uno zelo per le conversioni che costituisce il suo tratto più distintivo e più distante dal protestantesimo liberal. E con grande successo: da anni il protestantesimo evangelical ha superato per numero di aderenti quello liberal, e costituisce più del cinquanta per cento del protestantesimo mondiale. Anche in Italia le denominazioni evangelical, molte delle quali pentecostali, rappresentano ormai il 75% della galassia protestante.

Questa evoluzione pone molti problemi ai cattolici. Gli operatori cattolici dell’ecumenismo sono abituati a dialogare con le denominazioni che fanno parte del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Alcuni non sanno neppure che esse sono ormai minoritarie – ancorché storicamente rimangano importantissime – all’interno del mondo protestante. Altri diffidano degli evangelical considerandoli il braccio armato di un certo mondo politico statunitense, il che non è più vero da molti anni. Alle elezioni del 2008 gli evangelical si sono divisi come gli altri americani, e secondo alcuni studi una buona metà di loro avrebbe votato per Obama. Conservatorismo teologico non significa necessariamente conservatorismo politico, anche se è vero che gli evangelical si mobilitano volentieri per cause come la lotta all’aborto o al riconoscimento delle unioni omosessuali.

Se è vero che i cattolici diffidano degli evangelical, è anche – o più – vero che gli evangelical diffidano dei cattolici. Spesso nelle loro statistiche includono i membri della Chiesa Cattolica fra i «non salvati» da convertire o addirittura fra i non cristiani, il che ovviamente offende i cattolici. I due gruppi non si conoscono bene. Alcune iniziative statunitensi come Evangelicals and Catholics Together (ECT), lanciata nel 1994 e cui hanno partecipato da parte cattolica diversi cardinali, cercano di colmare questo iato. Ma è anche vero che alcuni partecipanti protestanti a ECT sono stati censurati dalle loro denominazioni di origine. Anche in Italia non mancano iniziative di dialogo.

Nel corso del suo viaggio in Gran Bretagna Benedetto XVI ha distinto tre cerchi di dialogo. Il primo, il «dialogo della vita», non è una conversazione teologica ma mira semplicemente alla coesistenza pacifica e rispettosa attraverso la reciproca conoscenza. Già questo è un risultato non scontato fra cattolici ed evangelical, specie in aree dell’America Latina dove il proselitismo evangelical talora non rinuncia alla calunnia e alla diffamazione nei confronti della Chiesa Cattolica. Il secondo, il «dialogo dell’azione», mira alla collaborazione concreta su singoli problemi morali e sociali. Lo stesso Benedetto XVI ha citato come esempio in Gran Bretagna la difesa della vita. Su questo terreno – per esempio contro l’aborto – cattolici ed evangelical, almeno negli Stati Uniti, in effetti collaborano da anni in progetti comuni. Questo favorisce la conoscenza e il rispetto e può preparare il terreno al terzo dialogo, quello più propriamente ecumenico e teologico, su cui iniziative come ECT hanno permesso significativi primi passi. Ma non bisogna neppure nascondere le difficoltà. Un certo pregiudizio anticattolico sussiste tra molti evangelical. E l’idea della continuità della Chiesa nella storia e della Tradizione rimane una pietra d’inciampo.