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LA MORTE DEL PAPA
Riti, cerimonie e tradizioni dal medioevo all'età contemporanea

di Antonio Margheriti

PRECISAZIONI

Questo lavoro è tratto dalla mia tesi di laurea in Scienze Politiche, conseguita all'università “La Sapienza” di Roma, presso la cattedra di Storia moderna e contemporanea della chiesa e delle altre confessioni cristiane. Purtroppo, per una serie di “incidenti” informatici, e non,  è andata perduta la versione definitiva, servita poi per la discussione. Il presente lavoro è la rielaborazione e risistemazione, con tutte le precarietà del caso, della bozza (quasi un brogliaccio di appunti) di tesi precedente l'ultima e definitiva versione: eventuali imprecisioni, nel testo e nelle note, qualche carenza stilistica, è da imputare a questi fattori sfavorevoli. Naturalmente, essendo un lavoro puramente accademico, ho dovuto accettare, non senza storcere il naso, di adoperare un linguaggio e una narrazione dei fatti in stile puramente “scientifico”, senza cedimenti ad un stile più saggistico, che probabilmente, essendomi più congeniale, avrebbe reso più semplice e piacevole la lettura di questo mio testo.
In ogni caso, si tratta di un “lavoro in corso”. Vuol dire che quanto vi apprestate a leggere, altro non è che una sintesi... lo “scheletro” ideologico della mia prossima fatica: un saggio sistematico sulla storia della morte del papa  dall'anno Mille circa sino al decesso di Giovanni Paolo II, con l'aggiunta di moltissimo materiale inedito. Sarà il primo lavoro monografico mai apparso sul tema.
Allegato a questo mio lavoro vi sono decine di foto riguardanti la morte di molti papi del passato prossimo e remoto. La provenienza è varia: riviste d'epoca, siti internet, archivi fotografici privati. Fra questi ultimi, quello dell'amico Luigi Felicioni, cultore del tema, che mi ha concesso in copia non poche foto dalla sua collezione, e che per questa ragione ringrazio.

Antonio Margheriti è nato nel 1979 in Salento. Laureato all'università “La Sapienza”, vive a Roma. Impegnato nel mondo cattolico tradizionale,  si interessa di storia della chiesa e di storia politica e sociale italiana, dei fenomeni religiosi e della religiosità popolare; è un esperto della storia della cartapesta sacra leccese e un collezionista del genere; appassionato di giornalismo ha avuto diverse esperienze nel settore e fondato in passato diversi giornali locali.
Per eventuali domande o delucidazioni sul testo, potrete contattare l'autore all'indirizzo
e-mail    madonnaro2002@libero.it

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Introduzione

I     Il corpo del papa tra caducità e transitorietà in Paravicini Bagliani

Premessa
1 Brevità: non vedrai gli anni di Pietro
2 Sepolcro premonitore: la tomba di Silvestro II
3 Cuscinetto di papiri
4 Ceneri: et in pulverem reverteris
5 Stoppa: sic transit gloria mundi
6 Seggi stercorati e porfirei: sedere e giacere

II    Veglia e agonia

I papi dinanzi alla morte

III   Morte e Ricognizione del cadavere

1 Lavaggio e prima velatura
2 Il camerlengo
3 Rito del martelletto
4 Spezzatura dell'anello
*Invalidazione di matrici e sigilli

IV  Sede Vacante

1 Notificazione
2 Sigilli all'appartamento papale
3 Saccheggi e sommosse
4 Vedovanza della Chiesa
5 Il lutto della curia       
* I colori e i segni del lutto

V   Composizione ed Esposizione della salma

1 Precordi e imbalsamazione
*Precordi a ss Vincenzo e Anastasio
*Preparazione del corpo
2 Vestizione
*Abito del proprio ordine religioso
3 Nudita' e abbandono; i Mendicanti custodi della salma
4 I colori del papa
5 Esposizione
*Camera privata
*Sala di rappresentanza
*Cappella Sistina
*San Pietro, Cappella del Sacramento
*Bacio del piede
*Pantofole e calzari papali
6 Visibilità

VI Esequie

In origine
1 Novendiali
*Seconda velatura
*Monete e medaglie
*Coltre e rogito
*Bare e sigilli
2 Erezione del tumulo o catafalco
*Le cinque assoluzioni al tumulo
3 Orazione funebre
 *Messa dello Spirito Santo: fine delle esequie

VII    Sepoltura e traslazione

1 Sepoltura
 *Tombe miracolose
2 Tomba provvisoria
3 Traslazioni
4 Trasporto solenne dei papi deceduti al Quirinale

VIII: Alcuni casi esemplari

La morte più miserabile p. 246
Silvestro II
Clemente V
I papi Borgia: Callisto III e Alessandro VI
Innocenzo X

Conclusione

Bibliografia

Allegato A: galleria fotografica

INTRODUZIONE

I riti per la morte del romano pontefice non sempre furono codificati, e se lo erano, non sempre vennero rispettati. Ad ogni modo non sono stati ogni volta omogenei né gli stessi. Più spesso le morti papali furono lasciate alle circostanze e all'improvvisazione 1. Del resto non in ogni epoca il corpo del papa ebbe l'importanza e le significanze assunte poi nel tempo. Poteva succedere nei primi secoli, ma di fatto anche in seguito e fino alla nostra epoca, che le cerimonie esequiali, se ve n'erano, venivano più che da regole scritte o consuetudini radicate, influenzate dal tipo di personalità e di fama che l'augusto defunto aveva in vita.

Per ricostruire la genesi e lo sviluppo dei riti funebri per la morte del papa, occorre individuare il momento in cui simili cerimonie furono in gran parte codificate, ossia quando si provò a metterle nero su bianco, sino a ricavare un primo “Ordo Exesequiarum”. Dai dati che abbiamo (al momento gli unici che gli storici abbiano reperito), questo momento di formalizzazione e ufficializzazione della sepoltura “con onore” del romano pontefice defunto si colloca nel cuore del Medioevo. La traccia più antica è nella Vita di papa Pasquale II, dal lunghissimo pontificato (1099-1118), che accenna all'esistenza già di un Ordo funebre pontificio autonomo: il corpo morto del papa deve essere rivestito di paramenti sacri prescritti dall'Ordo. Ancora nella Vita di Onorio II (1124-1130) 2 si illustra e si stabilisce la novità nella chiesa romana della sepoltura con “onore” del sommo pontefice, catalogando gli onori da tributagli. Inoltre, il Liber Pontificalis, annovera anche due casi di mancato adempimento delle esequie papali, poiché il corpo del papa “è trasportato dal Laterano al monastero dei santi Andrea e Gregorio da mani laiche: la salma è rivestita solo di brache e camicia, e il feretro3 privo di lenzuola”. 4

Il più antico rituale funebre pontificio (1385-90) scritto è quello dal cerimoniere papale Pietro Ameil, che rimase alla corte dei papi sotto tutto il regno di Urbano V (1362-70) e fino alla sua morte, avvenuta a Roma, nel 1401.5 O meglio: è il primo cerimoniale completo, venuto due secoli e mezzo dopo quello frammentario annoverato nella Vita di Pasquale II. Siamo dunque alla fine del XIV secolo. Così il medievalista Paravicini Bagliani descrive, riassumendo, l'Ordo di Pietro Ameil: “Il testo del Cerimoniale dell'Ameil è il primo nella storia del papato medievale a contenere una descrizione particolareggiata delle modalità cerimoniali da osservarsi durante il trapasso e la sepoltura di un pontefice romano. Comprende un centinaio di articoli, la sezione relativa alla morte del papa costituisce la prima di una lunga serie di appendici all'ordo liturgico che precede quella riservata al Conclave. L'attenzione cerimoniale si occupa, esplicitamente ed ufficialmente, di un arco di tempo che comprende l'ultima malattia del pontefice, gli adempimenti cerimoniali relativi alla preparazione della salma, l'esposizione nella cappella e le esequie ufficiali, nonché il conclave”. 6

L'Ameil, per primo dà un ordine razionale e regolare alla morte del papa. A questo scopo scinde in tre parti, cioè scagliona in tre “spazi” logistici diversi il succedersi cronologico dei principali uffici funebri intorno al sacro corpo del papa morto. Camera, Cappella, Chiesa.

Il primo spazio è la camera da letto del moribondo, in cui l'Ameil prevede e quasi ordina gesti e parole convenienti all'augusto morente; la camera è il luogo dove, secondo un prestabilito ordine, gerarchico e di suddivisione delle funzioni, il corpo del defunto sarà lavato e rivestito.

Il secondo spazio, la cappella; questo, secondo l'Ameil è il luogo di esposizione pubblica, nonché di visita e di veglia alla salma per curialisti e religiosi.

Il terzo spazio è la chiesa (San Pietro, o in tempi antichi la cattedrale della città dove il papa spirava) 7. Qui saranno celebrati i funerali pubblici e solenni.

Due processioni permetteranno la traslazione della salma dalla camera alla cappella, quindi dalla cappella alla chiesa. Tre luoghi per tre funzioni diverse, quindi. Il tempo che l'Ameil prevede per tutte queste funzioni è di nove giorni. I protagonisti principali, a cui sono demandate responsabilità rituali e amministrative sono: camerlengo, penitenzieri, cardinali.

Questa sarà la base stabile su cui si fonderà da adesso e per i secoli il complesso cerimoniale per la morte e le esequie del romano pontefice. Da questo momento in poi, se modifiche vi saranno, si trattera in genere di aggiunte e non tagli al rituale ameliano; almeno fino al 1870, ossia finchè vi fu un “papa-re”. Quindi, nei capitoli a seguire vedremo distribuiti e sviluppati questi “tre spazi” in una morte papale classica, ipoteticamente senza intoppi e pianificata, una cerimonia per così come dovrebbe essere, ideale.

Parleremo dunque di riti, parole, preghiere, gesti, consuetudini, leggi, cerimoniali, simboli, oggetti e paramenti in uso alla morte del papa fino all’epoca del Concilio Vaticano II… E degli incidenti immancabili a ogni decesso e spesso più puntuali delle stesse cerimonie codificate. Quindi di come, sempre nei secoli, è stato composto e “spoliato”, manipolato e onorato il sacro corpo:  lavaggio, sezione, imbalsamazione, vestizione, esposizione, sepolture ed esumazioni;  nonché le profanazioni varie ed eventuali.

È di quell’atmosfera che parleremo, di quegli attimi e lunghe ore che precedono accompagnano e succedono l’attimo in cui, in un gesto finalmente umanissimo, il papa apre la bocca per bere l’ultimo respiro di questa terra. Humus perfetto in cui germina, pullula, pulsa, si moltiplica laborioso, mormorante, famelico, schizofrenico sempre mezzo dolorante e mezzo gaudente, macabro e godereccio, orante e sibilante quel microcosmo attorno all’augusto infermo o cadavere, che per secoli ha preso via via il nome di corte o casa pontificia, familia del papa o curia. Composta di cardinali camerlenghi e decani, diaconi e protodiaconi e successori “designati” “favoriti” “papabili”, e -immancabili- cardinali “nepoti”; dunque i maestri di camera e idomestici, cancellieri e protonotari, penitenzieri e guardie nobili, camerieri segreti e sacristi di palazzo, cerimonieri e archiatri pontifici accompagnati sempre rispettivamente da pettegoli e ciarlatani altrettanto “pontifici”. Quindi i “becchini” dei sacri palazzi ossia i francescani, vari monaci, vescovi e gerarchie ecclesiastiche; parenti del moribondo e aristocrazia nera romana, che spesso erano la stessa cosa (vedi i papi Pamphili, Odescalchi, Chigi, Colonna, Caetani, Borghese, Boncompagni-Ludovisi, Altieri, Orsini, Pacelli ecc.), altrimenti comunque accomunati nei secoli, in quei momenti travagliati, dal ladrocinio spasmodico nelle sacre stanze a morto ancora caldo (fu il caso, si narra, di donna Olimpia) e da piani ambiziosi e talora squallidi, nella smaniosa corsa alla successione.

NOTE

1 La stessa storia dei libri liturgici ci mostra questa discontinuità: ci fu il tempo dell'improvvisazione (sec. I-III), quello della creatività (sec. IV-VI), dei libri liturgici puri (sec.VII-XI) con il Sacramentario Gelasiano vetus, quindi il celebre Sacramentario Gregoriano. In AA.VV., Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004, p. 39.

2 Queste vite dei papi sono in genere raccolte nel celeberrimo Liber Pontificalis, opera ufficialissima -non sempre scientifica- scritta nel corso dei secoli, i primi soprattutto, che registra la cronologia dei papi e i dati anagrafici, gli atti attribuitigli, ma non sempre documentati; non trascura neppure le leggende, anzi ne dà risalto assai, preminente spesso. Si veda l'edizione AA.VV., Liber Pontificalis, nella recensione di Pietro Guglielmo e del card. Pandolfo, 3 voll, Roma 1978 .

3 Forse si intende la salma e non il “feretro” essere priva di lenzuola, dal momento che letteralmente il “feretro” sarebbe la bara con dentro il cadavere e non propriamente il solo defunto che v'è contenuto.

4 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.39

5 Italianizzato anche in Pietro Amelio. Svolse le funzioni di cerimoniere pontificio. Morì in Roma nel 1401. Il suo preziosissimo testo fu edito da Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85 , IV, pp. 13-24. A tal proposito delucidazioni sono offerte anche nelle note del AA.VV., Sede Ap.Vac., cit.. p. 40. Vedi anche Paravicini BaglianiA., Il Corpo del papa, Torino 1994, pp. 161-2. Ulteriori notizie sul cerimoniere nella trattazione in Herklotz I., Paris de Grassi, Tractatus de funeribus et exequiis, Vienna-Roma 1990.

6 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 165

7 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 40

Capitolo primo
Il corpo del papa tra caducità e transitorietà in Paravicini Bagliani

Premessa

I riti “autoumiliatori” del papa compaiono nel medioevo, si compiono mentre egli è in vita ma rimandano al pensiero della sua morte. L'autoumiliazione riguarda il papa in quanto essere "caduco". Consiste in tutta una serie di ritualità all'inizio e durante il pontificato con cui metaforicamente si ricorda all'eletto che "sic transit gloria mundi"... Che s'esalti pure quanto vuole ma non s'illuda: tutto svanirà come la consistenza tenue della stoppa, che dopo una fulminea vampata rimane solo cenere. Così è il papato. Apprenda l'umiltà piuttosto l'eletto: si risparmierà un'inutile deliquio il giorno che in un trionfo senza fine sarà, dal niente e all'improvviso, esaltato alla gloria del trono di Pietro. Eviterà nel corso del pontificato le manie di onnipotenza e l'eccessivo amor di se stesso (e di ciò che ha) che da tale suprema condizione di Vicario e Re dei Re può derivarne. Gli permetterà di non perdere di vista le piccole cose, quasi sempre le più importanti, e non sarà sconvolto quando ("assai presto", gli ricordano sempre Bernardo e Pier Damiani, così "non supererai gli anni di Pietro") sarà chiamato a lasciare tutto.   Persino coloro che gli si dimostrarono servi in vita ora, morente, lo deprederanno del poco che gli resta: a ricordargli ancora una volta che Omnia Nihil Est e che nulla di quanto sembrava dominare Signore dei Signori in realtà gli apparteneva. Tutto era illusione, fumo negli occhi... come quella vampata di stoppa che separa il pontefice trionfante dall'oblio del sepolcro. Come con largo anticipo annunciava già l'Ecclesiaste: “Tutto è vanità! Vanità delle vanità!”.

Questi innumerevoli arzigogolati riti che preannunciano simbolicamente la "morte" del papa, nacquero soprattutto nell'alto medioevo e raggiunsero l'acme nel cuore dell'età di mezzo, e cominciarono lentissimamente a sfoltirsi a fine medioevo, direi per volontà di Bonifacio VIII, intollerante (e quando potè vi si oppose platealmente) verso tali presagi di morte e sminuimento del senso grandioso del suo Io. Ma egli aveva un altro progetto: rendere immortale il corpo e l'eredità del papa, come manifesta nel suo strepitoso gisant sul sarcofago, che lo ritrae (si disse allora) solo “come se dormisse”, non morto.

Ma non cadiamo in errore però. Il medioevo è periodo assai più sofisticato di quanto immaginiamo, di sicuro a guardarlo meglio assai imprevedibile. Riti autoumiliatori per i papi, certo, ma la loro funzione avendo un sottofondo anche esoterico e propiziatorio invisibile ai più, aveva il compito piuttosto che di relativizzare l'istituzione, di rafforzarla invece, come ad immunizzarla (paradossalmente) dalla morte: allontanando l'idea della caducità quando sembrava invece accarezzarla. E' così che si arriva, rimarcando la caducità del corpo del papa, a rimarcare ancor più la perennità dell'Istituzione. E da qui si partirà con un brillante e sgangherato gioco di specchi cristologici ed ecclesiologici, teologici e filosofici, fisiologici e politici a salvare capra e cavoli, generando una fusione a caldo fra il corpo del papa e il corpo della chiesa: uniti, ora erano una cosa sola, fusi toccavano l'Eterno.

Dunque questi riti medioevali e in parte durati fino al rompete le righe del Concilio Vaticano II che vanno sotto il nome di riti "autoumiliatori", sono parecchi; alcuni arenatesi già nei primi secoli, molti sono assai minuti e non tutti sono veri riti, certi sono solo credenze, altri retoriche: ci limiteremo qui ad elencare solo i principali. Quelli considerati degni d'approfondimento dal massimo esperto (solo per il periodo medievale) delle ritualità papali, Agostino Paravicini Bagliani. Tuttavia è necessaria una precisazione, anche solo per ricordare che tutto il dibattito medioevale (ma proseguì oltre) circa la "caducità e transitorietà" del papa, in ogni momento si intreccia alla questione corpo del papa... diventando sin troppo carnale la questione. Lo stesso dibattito si divaricherà nel paragone del  corpo del re contrapposto a quello del papa e dell'imperatore. Fino poi a sboccare la questione nel binomio "fisicità e perennità". Per sintesi ci guarderemo bene dall'aprire (per davvero) un simile ricco capitolo che nevrotizzò parecchio l'intellighentia medioevale. Bisognerà tuttavia accennarne.

Molte cose ebbero inizio, alle corti dei papi medioevali, con il Prolongatio Vitae di Bacone. Chi s'occupa di storia della medicina sa che negli annali del Duecento la discussione sulla storia del corpo, sua integrità o scissione, divenne selvaggia. Poi arrivò Bonifacio VIII letteralmente inorridito dalla pratica di alcuni vescovi che lasciavano disposizione di far tagliare a pezzi e bollire il loro cadavere, per evitare la putrefazione durante il viaggio per essere sepolti nel luogo prescelto, magari assai lontano da quello di residenza, e fu il caso del vescovo di Viterbo (ma lo stesso Silvestro II, detto “il mago”, volle -narra una leggenda nata intorno al Duecento- essere fatto a pezzettini prima d'essere deposto nella tomba... a suo modo anche questa è un'interpretazione autoumiliatoria, con qualche eccesso di zelo semmai). Papa Caetani con la bolla Detestande Feritatis, proibì questa indecenza. E fu il suo un modo, innamorato della vita com'era, di salvare l'integrità del corpo, già pensando al suo corpo "sacro" e a come eternarlo. Bonifacio, vedeva su di sè il corpo "petrino", ed essendo il corpo suo "di Pietro" non gli apparteneva del tutto, ma era "eredità". Immaginò di continuare a vivere attraverso il corpo degli "eredi", i successori: tanti corpi papali, ma uno solo, Pietro, già fuso nella Chiesa. Bonifacio incorpora e rielabora, applicandole a molteplici campi, le teorie della Prolongatio di Bacone.1

Poi lo storico Elze si soffermò sullo scempio che fecero nella cattedrale di Perugia, 1216, del cadavere esposto del più grande dei papi, Innocenzo III: nottetempo fu spogliato e derubato di tutto, lasciato in decomposizione e in mutande, pare. Da qui, in una logica tutta medievale, Elze trasse una conclusione: il papa non aveva due corpi come il re, ma uno naturale che nasce cresce e muore. Restava la chiesa, la sede apostolica, ma il papa no.2 Kantorowicz aggiungeva che i re si perpetuano nelle istituzioni che incarnano, il papa e l'imperatore mai.

E qui la domanda epocale: ma se pure il papa "muore" e non si perpetua nella chiesa, allora la sua salma perde ogni segno della sua antica majestas? E se morendo si smarrisce anche la sua Potestas con quale criterio istituzionale la chiesa provò a riempire ritualmente un simile vuoto di potere?

La questione è affrontata dai canonisti del XII secolo e da Kantorowicz sulla "dignità che non muore". Su questo punto il papato tentò di ritualizzare il trapasso della Potestas papae. E qui tutto inizia di nuovo. E per iniziare occorre correggere un errore di tutta la storiografia: il papa è diverso dal re e dall'imperatore poiché nel medioevo egli, il suo potere è solo secondariamente temporale e politico, è prevalentemente invece spirituale ed ecclesiale. 3

Nasce da qui la domanda circa la contraddizione tra caducità fisica e continuità istituzionale: cosa doveva fare la chiesa ritualmente per edulcorare la stridente contraddizione fra questi due aspetti del papa? Fra i pontificati di Innocenzo III e Bonifacio VIII, Duecento e Trecento, si parla della Cura Corporis e della Prolongatio Vitae, ribolle la questione del raccordare individuo ad istituzione, gloria e transitorietà del potere, autoumiliazione ed esaltazione della funzione. Caducità, purificazione simbolica, tutte questioni che si estesero ai secoli successivi, fino al '500. In questa ricerca sul corpo del papa le fonti principali devono essere i cerimoniali della chiesa fra XI-XV secolo. Schimmelpfennig soprattutto, che di un argomento del genere proiettato in un'epoca tanto lontana e perciò assai dispersivo e frammentario ha fatto uno studio sistematico, basandosi sugli ordines medioevali, cioè i cerimoniali della chiesa dei secoli XI-XV, aprendo nuove e più luminose prospettive sui significati simbolici del cerimoniale papale medioevale. Né si può dimenticare il notevole lavoro sul sedimentarsi del cerimoniale pontificio di Marc Dykmans. Parlando del corpo del papa ad un certo punto si deve andare più in là di quello che intendono gli anatomisti, e passare molto oltre, alla corporeità che confluisce nella natura di quell'altissima funzione. 4

Da questa molteplicità di questioni -e subito dopo, come vedremo, dalla logica seguita da Pier Damiani- che divamparono quasi nello stesso momento, si capisce perché il dibattito sulla transitorietà del potere papale e della caducità fisica del papa trovarono spazio e sistemazione nella liturgia romana e nel Liber Pontificalis. In quegli anni la chiesa si doterà di un apparato rituale apposito che si generava a partire dai riti autoumiliatori, concentrati per di più, emblematicamente, a inizio pontificato. Ma prima di avventurarci nella ricostruzione dei riti autoumiliatori, in cui ci è guida principale il prof. Paravicini Bagliani, è bene riportare quanto egli stesso premette per chiarire la natura profonda e la funzione meno appariscente di simili cerimoniali: <<Essa [l'autoumiliazione] non nasce per indebolire, ma per rafforzare l'istituzione. Si tratta di una retorica e di una ritualità che servono a mostrare ciò che è alto -superiorità e universalità della funzione pontificia- , insistendo su ciò che è basso -caducità e transitorietà. La stessa epistola del Pier Damiani era stata rivolta ad Alessandro II all'indomani della sua vittoria su Cadalo. In essa, l'autore affermava che in quanto uomo, il papa è destinato a morire; ma in quanto papa, egli è universus episcopus, princeps imperatorum, rex regum e superiore in onore e dignità a tutti i viventi in carne>>. 5 In questa contraddizione, si può vedere per intero ciò che cela l'autoumiliazione. E non a caso in quell'XI secolo, nel cerimoniale romano, l'autoumiliazione va ad accostare l'imitatio imperii che in quel momento storico quanto mai furoreggia: l'autoumiliazione con la sua scia di caducità e transitorietà è il “contrappeso” perfetto “alla regalità imperiale” del papa, che allora voleva sempre più apparire verus imperator.

Come vedremo fra poco, Pier Damiani introduce per primo idee che resistendo sino ai nostri tempi rivelano la loro esattezza, premessa indispensabile per dare sostanza culturale ed ecclesiologica ai riti funebri pontifici che andremo ad esaminare. Il futuro dottore della chiesa crea a tavolino un discorso retorico e rituale che tutto gira intorno al sacro corpo del romano pontefice. Dall'iniziale sua ipotesi retorica (presentata apoditticamente) sulla brevità discendono due altre tradizioni retoriche: quella sulla caducità del papa e quella circa la transitorietà del suo potere. Sono tutti elementi che ruotano e paradossalmente vivificano l'umanità e la corporeità del papa, benché non si riferiscano solo al suo corpo fisico. Questa fu la base. Il resto del discorso lo svilupparono i cerimonieri e i liturgisti del Duecento, quindi i loro successori. I primi, quelli del Duecento, misero per iscritto, incanalarono e diedero forma e sostanza rituale ad alcuni gesti e procedure ritenute opportune ed evocatrici, codificandole. I secondi, gli epigoni dei vari Benedetto e Albino e Cencio, ristudiando e riscrivendo i testi dei maestri di ormai flebile memoria, apportando le giuste correzioni e aggiornamenti, fecero sì che la mole retorica dei riti autoumiliatori non si disperdessero nei secoli, ma fossero adattati alle esigenze simboliche e immaginifiche delle varie epoche, così rivivificandoli. Oltre che dai cerimonialisti addetti ai lavori, il contributo alla retorica autoumiliatoria della caducità e transitorietà fu dato con voce potente anche dai giganti spirituali dell'epoca: Bernardo di Clairvaux, Antonio da Fiesole, Arevalo e altri da tutte le parti dell'orbe cristiana. Saranno temi questi che interesseranno d'ora in poi tanti personaggi, nella chiesa e ovunque: il corpo del papa, vivo e morto, apparteneva ormai alla chiesa universale. Il corpo del papa, specialmente diventato cadavere, non smette d'ammonire e d'insegnare, di suscitare meraviglia e scandalo, terrore e pietà in tutto il popolo dei fedeli ovunque disperso. “Anche il papa muore!”: ne siano avvisati e terrorizzati i comuni mortali e gli imperatori. Al contempo sia, la morte del papa, un modello per tutti. Il papa e il suo corpo devono essere d'esempio a tutto tondo, nella loro intera umanità: occorre perciò anche la “vita esemplare”. 6

1. Brevità: non vedrai gli anni di Pietro

E' il 1064. Pier Damiani sta per iniziare una storia che avrà lunga vita . Egli è il primo a parlare di ceneri di morti e di stoppa, di autoumiliazione e caducità, per di più riferendosi al Vicario di Cristo, del quale “scopre” la corporeità, che è anche fragilità in potenza, fisica e morale, in vita e in morte, ma che prima d'essere d'imbarazzo può diventare d'esempio per l'universo mondo. Manda un libretto che ha scritto a proposito a papa Alessandro II. Il tema è spinoso e sarebbe sconveniente da inviare a un papa: "Perchè i papi vivono così poco?". Uno, massimo tre anni? E' una peste, una disgrazia senza fine che incombe sul pontefice eletto. Per la verità è il neoeletto papa Alessandro a commissionargli tale "ricerca", angustiato (è un uomo giovane, in fondo) da questa amara prospettiva che adesso lo minaccia dopo l'esaltazione del momento prima, quello dell'incoronazione. Perchè, chiede Alessandro, nessuno dei miei predecessori è campato più 4-5 anni? Damiani consultò il Liber Pontificalis: era vero! Tranne san Pietro, notò, che s'era attardato sul Soglio per 25 anni; così come notò pure che nessun altro neppure lontanamente aveva sfiorato un simile traguardo, gli "Anni di Pietro". Damiani fa presente che una tale brevità non si riscontrava in nessuna chiesa dell'orbe, nè in alcun regno grande o piccolo che fosse. Ora deve indorare la pillola da propinare al papa. Questo, dice Damiani, significa che il papa ha una natura diversa rispetto agli altri sovrani. Ciò lo vuole Dio. E' nei piani della Provvidenza. Perchè gli uomini siano presi da tremore e terrore vedendo la morte scorrere sin dai vertici, senza risparmiare il papa. Monito per tutti a disprezzare per tempo la gloria del mondo: il papa che è il primo fra gli uomini, è falciato anche per primo, affinchè tutti sappiano riflettere su che cos'è alla fine la vita, e prepararsi perciò alla morte.

Quando muore un re, dice Pier, resta vacante solo l'amministrazione di un paese, ma se muore il papa l'universo intero è privato del padre comune. Al contrario dei decessi di re di piccoli regni sperduti, la notizia del decesso papale subito travalica i regni poichè egli è Episcopus Universalis di tutte le chiese. E ancora: la gente non è tanto spaventata dalla morte di un re perchè questo è quasi scontato muoia di spada... ammazzato, e ciò ci fa sentire (noi che non siamo re) al sicuro. Ma la morte di un papa "avviene sempre secondo legge di natura", ed è proprio questo che genera il panico nell'orbe: una morte simile dovrebbe toccare ai più.

Ora Damiani fa il primo salto verso l'autoumiliazione papale. Cita Giobbe: "persino le stelle sono monde al suo cospetto", di Dio cioè. Ricorda Abramo che ebbe l'amicizia del Dio dell'Antico Testamento, ma parlandogli Abramo ebbe premura di ricordarsi delle sue origini: "Parlerò al mio Signore essendo polvere e cenere". Va al dunque: ricorda a papa Alessandro i riti d'autoumiliazione vigenti alla corte imperiale di Bisanzio durante l'incoronazione. All'imperatore fra canti e lodi è presentato un vaso pieno di ossa e ceneri di morti e un vaso colmo di stoppa di lino che subito viene accesa e in un attimo il fuoco divora tutto. Conclude: "Nel primo caso l'imperatore deve considerare ciò che è, nell'altro potrà vedere ciò che ha"... et in pulverem reverteris!... omnia nihil est!, polvere e fumo, la cenere e il nulla.

Pier Damiani si sofferma poi su tre aspetti: la brevità di vita dei papi; la supremazia della dignità pontificia su ogni altra cosa del creato; la caducità del pontefice.

Dagli anni di Pietro riparte per riaffermare il concetto di "brevità di vita" del papa e dunque lanciarlo come il fenomeno che rende "unico" il papa rispetto agli altri re. E' il De Brevitate: in questo testo afferma la soverchiante superiorità del papa. Che, a suo dire, è vetta e vertice dell'umanità; unico a presiedere l'universo mondo... dal momento che è pure re dei re e principe degli imperatori; quindi Padre comune. Dio volle il papa superiore in dignità e onore a tutti perchè con la sua vita (breve) ci edificasse e con la sua morte (naturale e prossima) ci ammonisse. La morte del papa è strumento di salvezza. Insomma il decesso del papa è un momento potente, saturo di significanze e modello per la cristianità. La sua vita è la "più breve perché è la più intensa". Damiani sottolinea l'ordine, la naturalità, la non-violenza del trapasso del papa (rispetto a quello traumatico, violento dei re), "ordine che ha per scopo di controllare il terrore innescato da un simile trapasso, immenso perchè coinvolge tutta la cristianità”. Damiani astrae così la morte del papa dalla morte comune e la rende universale: non riguarda più solo le mura di Roma, come quella di un vescovo la sua diocesi e di un re il suo regno, no, è lutto e ombra di morte che si staglia sulla Chiesa Universale. Bell'espediente quello di Damiani, perchè non ci sfugge essere queste parole destinate a tranquillizzare un po' papa Alessandro: morirà sì, presto forse, ma sarà una morte "unica" nel suo genere.7 La pillola era indorata!

Mezzo secolo dopo ci fu il caso di Pasquale II il cui pontificato durò 19 anni. Allora si parlò della profezia ab eventum che un religioso avrebbe fatto consegnare dal vescovo di Alatri al papa neoeletto con queste parole: "Ciò che vidi lo vedo grazie a Dio e tu lo vedrai fintanto che vivrai", quindi pronunciò le parole della visione "QUATER QUATERNI TERNIQUE"... cioè 4x4+3 che fa 19, gli anni di pontificato che gli spettavano. Questo a significare che soltanto la volontà imperscrutabile di Dio poteva mai giustificare un pontificato così lungo da avvicinarsi pericolosamente agli "anni di Pietro".

Un discorso autoumiliatorio vale per Callisto II: in fondo il suo pontificato era durato poco, 5 anni, era nella media, lontano dagli Anni di Pietro. Nella Vita troviamo la sua frase "Nessun potere dura a lungo" che dà inizio alla cronaca della sua morte. E' nella logica della "brevità della vita" sicuro, ma rimanda ad un altro fatto. In quella frase Callisto accenna al suo pontificato, breve ma davvero intenso, che aveva avuto successi politici massicci come il concordato con l'impero, il trattato di Worms (1122). Il papato usciva vincitore dalle lotte tremende di successione. E qui il senso autoumiliatorio di quella frase: il trionfo terreno del suo pontificato necessitava ora e subito, per contrappasso, di un contropeso che ricordasse a lui e a tutti la "transitorietà". Callisto giunto all'acme della gloria, presagisce che deve morire, e presto. Sic transit gloria mundi. E' autoumiliazione.

Bernardo di Chiaravalle a tal proposito scrisse al primo papa cistercense, un suo figlio spirituale, Adriano IV. E non ignaro della retorica di Pier Damiani, gli ricorda la sua natura di uomo, e povero uomo, “non essendo uscito dal grembo di tua madre inghirlandato e con la tiara sul capo... ma nudo”, e nudo sarebbe tornato. Rammenta anche al suo papa di quel "Dio che toglie lo spirito a principi" del mondo. Dunque con parole bellissime e crudeli come solo Bernardo, maestro di minaccia e di lusinga, sapeva fare gli ricorda la brevità della vita dei papi. <<Quanti pontefici hai visto morire in poco tempo con i tuoi stessi occhi? Gli stessi tuoi predecessori ti avvertono: la fine della tua carica non è soltanto certissima ma anche prossima. Il breve tempo del loro pontificato ti annuncia la brevità dei tuoi propri giorni. Non dimenticare quindi mai di meditare alla tua morte fra i piaceri della tua gloria odierna: poichè è certo che seguirai nella tomba coloro cui sei succeduto sul trono>>. Siamo di nuovo alla brevità usata per contrapporre caducità e prestigio della funzione; inoltre alla meditazione autoumiliatoria del papa, ora partecipa il coro dei pontefici defunti che l'hanno preceduto 8.

Venne un altro pontificato di durata record (e tale resterà per mezzo millennio) quello di Alessandro III (1159-81), con 22 anni. Dei 174 successori di Pietro fino allora solo altri due avevano messo a rischio il primato petrino: Silvestro I (23) e Adriano I (23). Di nuovo si ricorse come per Pasquale II alla giustificante della "grazia speciale della Provvidenza".

Dopo due secoli di abbondante moria dei papi... di nuovo suonarono d'improvviso tutti gli allarmi: qualcuno aveva osato sfidare il precetto autoumiliatorio damianeo "Non supererai gli anni di Pietro". Benedetto XIII: Pietro De Luna (1394-1423), che moriva in Spagna dopo 29 anni di pontificato.9 Allo stesso tempo si diede il cessato allarme: egli era stato deposto dal Concilio di Costanza nel 1417, dunque era illegittimo, e tuttavia mai De Luna riconobbe simile detronizzazione. Il fatto che avesse osato violare, sopravvivendo "oltre", l'assioma autoumiliatorio degli "Anni di Pietro" fu un motivo in più per solennizzare la damnatio memoriae di "Benedetto l'Apostata", che fra l'altro <<perseverando nella sua ostinazione oltrepassò gli anni di Pietro per sua dannazione; ciò non è meraviglia, perché non solo egli non morì nella sede di Pietro, ma, morendo, volle far eleggere un suo successore>>, chiosa irritatissimo Antonio da Firenze.

E' il teologo spagnolo Arevalo che rivisita criticamente l'assioma damianeo sul limite degli Anni di Pietro, indagando sulle ragioni della brevità: è dovuta alla <<infelicità gravissima>> afferma; essi, i papi, <<seguono l'esempio di Cristo che fu sottratto alla vita nel mezzo dei suoi anni>>; Dio distribuisce ai suoi ministri <<la vita usando un misura [durata temporale] che non alimenti in loro la superbia>> che viene dalla felicità d'un altissimo incarico, ed è questa la ragione per la quale <<strappa una vita lunga al Vicario>>. E l'eccezionale Arevalo ricorre al metodo della bottiglia mezza piena o mezza vuota: se il papa ha guidato la chiesa con rettitudine e pietà, vive e regna per "lunghissimo tempo", ossia anche se vive poco il tempo del suo pontificato risulterà nella sostanza assai lungo e intenso, perchè si "è meritato il suo tempo", che è tempo "vivo". Se al contrario il pontefice avrà vissuto il suo papato senza rettitudine e senza pietà, anche se campa cento anni in realtà il suo regno risulterà "brevissimo": un "tempo morto". La morale della critica è senza scampo: per Arevalo il topos della brevità è motivo di "riforma personale". O il papa si impegna a spiritualizzare al massimo la sua azione temporale nel tempo del suo pontificato o il suo tempus pontificatus verrà annientato, annullato. A questo punto si sostituisce, dichiarandola implicitamente inutile, la meccanica damianea del "terrore universale" della frequente morte dei papi, con il fattore morale che qui prevale su quello rituale e retorico. Arevalo sminuisce il significato della durata della vita fisica del papa a favore della valorizzazione  e dell'incremento in qualità e intensità della sua azione: il papa "deve sacrificare la brevità della sua vita per la chiesa... solo così vivrà a lungo". La vita del papa può essere "allungata" solo spiritualmente. Ammonisce quei papi smaniosi di vivere a lungo: "non si lascino ingannare dal desiderio". 10

Fra il '500 e il '600 il topos damianeo Non supererai gli anni di Pietro è apertamente sfidato, e per ragioni assai mondane, ma siamo in pieni bagordi rinascimentali. L'Aretino augura apertamente a Paolo III Farnese di "superare Pietro in anni". Il medico Rangoni, la cui cortigianeria suscita a tutt'oggi ripulsa, dedica la sua opera "scientifica" sulla possibilità di prolungare la vita dei papi (grazie ai soliti elixir) sino a 120 anni, ai papi regnanti al momento d'ogni riedizione del trattato (quando è eletto un nuovo papa, Rangoni fa ristampare il libro per poter cambiare il nome del vecchio pontefice cui era dedicato e dedicarlo al nuovo papa). Urbano VIII Barberini sta male dopo un lunghissimo pontificato che supera già il ventennio, e un perfido canonico accostandosi al letto gli mormora il "Non vedrai gli anni di Pietro": il vecchio si ridestò trasalendo e tagliò corto: <<Non est de fide!!>>.11 Nel Rinascimento si pensò di sfidare ancora il topos: Leone X in fondo fu eletto papa a 30 anni,12 perciò si nutrivano aspettative di lunga vita. Ma il suo pontificato sarà breve. De Bury due secoli dopo dichiarerà l'inutilità di tentare d'aggirare l'assioma damianeo eleggendo dei ragazzi al papato .

Arriviamo quindi all'Ottocento. Scrive Stendhal durante la sua permanenza romana: <<A Roma tutti ripetono il proverbio: No videbis annos Petri. Quando nel 1823 Pio VII si avvicinava agli anni di san Pietro, il popolo credeva che se il papa avesse smentito il proverbio, Roma sarebbe stata distrutta da un terremoto [...] Idee simili vi fanno ridere a Londra, ma qui hanno dominio incontrastato >>13. Per tutto il secolo la sorte sfidò senza requie il topos degli "Anni di Pietro": una pioggia di papi longevissimi; e prima, a inizio '700, c'erano stati i 21 anni di Clemente XI, e  alla fine, a chiusura secolo, i 24 di Pio VI,14. Il topos era sull'orlo del cedimento. Si ricorse alla spiegazione del "siccome i tempi sono tempestosi e di prova per la chiesa (ma quali non lo furono?) allora Dio ha disposto pontificati lunghi per rispondere ai maggiori bisogni"15 La spiegazione faceva acqua. Fu allora che si tentò di spostare, estrema ratio, gli "Anni di Pietro" da 25 a 32.16 Ma poco dopo i 23 anni di Pio VII, sopravvenne Pio IX, che superò i 32 anni: e fu il disastro definitivo di quasi un millennio dell'autoumiliazione damianea "Non vedrai gli anni di Pietro". Che corrispondeva poi al cedimento contemporaneo del potere temporale dei papi. Il record di Mastai fu celebrato, ad esorcizzarlo, da infinite targhe apposte sulle macerie della Roma papalina.17  Dal primo momento (essendo giovane) Pio IX aveva riaffermato che "Gli anni di Pietro" in fondo non erano "di fede": lo fece forse un po' per tranquillizzare gli altri ma soprattutto se stesso, è lecito sospettare.18 A conferma, subito dopo giunse Leone XIII: con 25 anni di pontificato. Era la definitiva pietra tombale sul topos.19  Ai nostri tempi abbiamo sperimentato i 26 anni di Giovanni Paolo II. Anche quando si tentò di spostare a 36 gli anni di Pietro, nessuno più diede retta all'antico ammonimento autoumiliatorio. L'autoumiliazione dei papi del XX secolo stava nella fatica di sfidare senz'armi e senza terra un mondo che s'era estraniato al “Dio d'Occidente”. 20

2. Sepolcro premonitore: la tomba di Silvestro II

All'alba del XII secolo, qualcosa muta. Pier Damiani per dare spessore alle sue teorizzazioni sulla brevità, aveva messo insieme elementi della storia del papato e del rituale bizantino: tutto era corniciato in un discorso morale. Ma adesso la questione caducità e transitorietà in particolare, della morte del papa in generale, verte altrove, diviene leggenda. Che si concretizza sulla tomba di papa Silvestro II, in San Giovanni in Laterano: guardacaso il sacello di colui che fu detto il papa mago, guardacaso il papa dell'anno Mille, con tutto ciò che quella data evocò, comportò, soprattutto fece temere. La morale del dottore della chiesa Pier Damiani ora è leggenda popolare. Alcune di queste leggende, pur nelle diverse varianti, dicono che il sepolcro di Gerberto, ossia Silvestro II (999-1003), emette umidore per preannunziare la morte imminente del pontefice regnante. Guglielmo Godell nelle sue Chronicon del 1135, annota che quando sta per morire un papa, dal sepolcro di papa Silvestro esce una tale quantità d'umidore che nei dintorni si genera persino fanghiglia. Se poi anzichè il papa, a dover morire sarà un cardinale o un alto prelato del “ceto dei chierici della Somma Sede”, ossia della Santa Sede, lo stesso sepolcro secernerà tanta acqua da esserne del tutto bagnato. Lo stesso Godell, lascia ai lettori decidere della fondatezza d'una simile credenza. Qualcuno forse vi nota il pericoloso accostamento fra papa e altri dignitari ecclesiastici: dal sepolcro scorre lo stesso liquido e sembrerebbe in egual quantità sia che debba morire il papa o un suo diretto sottoposto. Lo scrittore inglese Walter Map (1135-1200) tentò una prima gerarchizzazione nel De nugis curialium: quando è prossima la micracio, ossia la morte di un papa, un rivo d’acqua scorre fino a terra; se invece sta per morire un magnate, il loculo suda, a suo dire, assai di meno, da tre a quattro o anche cinque volte, a seconda dell'importanza del curiale. Il liquido ora è direttamente proporzionale alla dignità dell'ecclesiastico prossimo alla fine.21

In quegli anni l'unico a riferire a Roma dell'umidità del sepolcro di Silvestro è il diacono Giovanni, impegnato a scrivere un importante Descrizione della basilica Lateranense da donare al santo padre Alessandro III.22 Il diacono riferisce dello stupore che crea questa secrezione, e lo stupore è persino suo, che non esclude una qualche ragione soprannaturale. E rafforza questa timida e prudente ammissione, aggiungendo che, in fondo, il portico dove è sepolto il corpo dell'ex arcivescovo di Reims divenuto Silvestro II, non è un luogo umido, perciò non si può dire che il fenomeno dipenda dal clima. Oltretutto, dice che persino in giornate d'aria asciutta e serena l'urna, se è il caso, continua ad emettere gocce d'acqua, suscitando la “curiosità della gente”.23 Ma in Giovanni non v'è alcun accenno alla finalità ammonitrice dell'evento. Il perché è difficile definirlo. Di certo, sospetta Paravicini, il diacono scrive per magnificare la sua basilica, che ormai riceve la aperta e pericolosa rivalità di quella vaticana, che sembra sempre più delinearsi come chiesa madre del cristianesimo.24

Ma perchè, si domanda il medievalista Paravicini Bagliani, il mssimo studioso del corpo papale, “al sepolcro di Gerberto fu affidato il compito di preannunciare la morte imminente di papi e cardinali”?25   Una risposta possibile lo studioso la vede nel fatto che nei primi del XII secolo la basilica lateranense era diventata una necropoli papale. Dal 496 all'824 tutti i papi, salvo tre, erano stati inumati in San Pietro. Ma nel X secolo la tradizione è interrotta, e da papa Giovanni X (+928) quasi senza eccezioni sino a Sergio IV (+1012), passando per Silvestro II (+1003), i pontefici preferirono la sepoltura al Laterano, che in un primo tempo fu nell'atrio, più tardi dentro la chiesa. Poi una lunga pausa. Quindi Pasquale II (+118) inaugura di nuovo una serie di papi che scelgono la cattedrale papale come ultima dimora: su dieci papi del XII secolo dieci riposano in San Giovanni, sino a Celestino III (+1198). Il Laterano era ancora necropoli per antonomasia dei vescovi di Roma. Gregorovius vede un fine più concreto nel fare del Laterano una necropoli pontificia: i papi vi risiedono ormai regolarmente, e in ogni caso la Roma repubblicana di quel periodo era turbolenta (XI-XII secolo) e la basilica vaticana era di regola in mano all'antipapa di turno.26

In questo secolo Innocenzo II (+1143) e Anastasio IV (+1154) scelsero addirittura per i propri sarcofagi la pietra imperiale per eccellenza, ossia il porfido, il rarissimo marmo rosso, asportato qua e là da antiche costruzioni o tombe romane.27 Per trasportarne i pezzi in Laterano furono di fatto profanate le tombe o i mausolei imperiali di Adriano e di Elena madre di Costantino, giustificando i papi lo scempio con pretesti evanescenti. <<La funzione ammonitrice del sepolcro di Silvestro II non fa quindi da contrasto ad abitudini funebri pontificie di chiara imitazione imperiale? Con la sua premonizione di morte, la leggenda del papa mago non viene a porsi in perfetto equilibrio con la novità di papi che volevano essere sepolti come imperatori nella basilica lateranense, fondata da Costantino? Dopotutto, Silvestro II era stato uno dei più importanti consiglieri di Ottone III (+1002), l'artefice della Renovatio imperii dell'anno mille>>. 28

La leggenda della tomba di Silvestro subisce aggiunte a fine Duecento, ad opera del celebre domenicano Martino Polono (+1278), con la sua Cronaca degli imperatori e dei papi. Adesso la tomba del dottissimo papa non solo trasuda liquido, ma trasmette anche il rumorio delle ossa. “Silvestro II giace”, scrive il Polono,29 “sepolto nella basilica lateranense; in segno della raggiunta misericordia di Dio il suo sepolcro è presagio di morte imminente per il papa, sia per il tumulto delle ossa, sia per il sudore; così si trova scritto nell'iscrizione sepolcrale”. Qui aggiungiamo noi che il Polono o è in malafede, giusto per compiacere la creduloneria popolare e dare fascino sinistro alla sua opera, o è un pessimo decifratore della lingua latina, oppure non ha letto direttamente l'iscrizione sulla tomba limitandosi ad annotare i sentito dire .30

Paravicini Bagliani si domanda il perché il Polono ha fatto passare in seconda linea l'umidore del sepolcro. Il medievalista l'attribuisce al fatto che nel Duecento ormai la maggioranza dei papi muore fuori Roma e il Laterano perde lo status di necropoli papale. E inoltre fra il 1200 e il 1280, i papi Innocenzo III e IV e Nicolò III fanno del colle Vaticano la residenza alternativa dell'amministrazione curiale, e si costruisce e amplia persino il palazzo apostolico. Sempre Paravicini spiega che “impercettibilmente” il Polono “delocalizza”: l'ammonimento nefasto non proviene più solo dall'umidore dell'avello lateranense di Silvestro, ma dallo strepitio delle sue ossa. Tuttavia il messaggio di fondo della leggenda meglio si indirizza e si rafforza: nell'interpretazione del domenicano oltre l'umidore della tomba, <<il corpo strepitante di un papa preannuncia ora la morte imminente del pontefice regnante, unico destinatario del monito>> e dunque nella versione martiniana (del Martino Polono) della leggenda, <<ogni altro elemento gerarchico (cardinali) è caduto>>.31 E tuttavia, il Paravicini, forse in una frase più che in altre condensa il senso più vero di quella leggenda nera, quando coglie la contraddizione e il raccordo in quell'inizio millennio, fra ciò che nel papa è caduco, sottolineato dai riti autoumiliatori, e ciò che è perenne e universale, sottolineato nei riti di incoronazione, fra autoumiliazione e imitatio imperii : <<Il sepolcro di Silvestro II accoglie la sua funzione ammonitrice in contrasto con il desiderio di una serie di papi di essere sepolti come imperatori in sarcofagi di porfido. Il contrasto tra caducità e potere è qui sostenuto persino da fenomeni che hanno del magico: l'umidore del sepolcro e il rumorio delle ossa di un papa defunto>>. 32

3.Cuscinetto di papiri

La storia della autoumiliazione del papa è sempre pensiero alla morte, che fracassa ogni gloria mondana; dove ogni grandiosa illusione e ambizione terrena altro non è che miraggio, apparenza, che presto amaramente si arenerà nell'infallibile Omnia nihil est! Il papa lo sappia, e si prepari con umiltà a dare evangelicamente l'esempio di come persino lui rivestito di tanto splendore altro non è che cineres come tutti, e nel suo caso una scia luminosa che il vuoto e le tenebre spegneranno in pochi secondi. Non si illuda e rinunci già da subito all'idea patetica di voler ribaltare l'universo mondo nell'esaltazione delle prime ore della sua ascesa: Dio non ha bisogno di braccia potenti, gli bastano le sue, che si muovono secondo una logica imperscrutabile, che sfugge all'occhio e alla ragione umana ma che hanno come fine il bene; non gli servono collaboratori ma servitori e testimoni, e inoltre siamo tutti servi inutili dinanzi alla sua supremazia, persino l'uomo divenuto Pietro lo è. Testimoni questo Pietro. Testimoniando farà al volontà del Padre. Visibilmente consapevole che Dio solo dispone di tutto e che egli, il papa, altro non è che transitorietà e caducità, docile alla volontà dello Spirito; solo così stupirà il mondo, solo così inconsapevolmente né ribalterà le sorti, solo così condurrà a Lui, il vero il solo l'unico vincitore del mondo e con esso della morte. Si è servi di Dio, e Pietro è persino Servo servorum Dei. Ancora meno che servo, più modestamente Instrumentum Dei. Sarà spesso dimenticato nelle premesse di un pontificato questa epilogo già scritto prima del Liber pontificalis stesso.

C'è in particolare un rito mortuario ma che nella sua parte eclatante si celebrava a papa vivo, che presente forse fino agli inizi XII secoli disparve dai libri cerimoniali immediatamente successivi, e dalla memoria. È ricomparso nelle ricerche di Paravicini Bagliani. Si tratta del Cuscinetto di papiri. Rientrava anch'esso nei riti autoumiliatori dei papi. L'unico a citare per iscritto simile rituale è Benedetto, che nel primo libro cerimoniale dell'era post-gregoriana della chiesa romana, l'Ordo XI, scritto fra il 1140-43, lo cita insieme ad altri riti che avevano finalità simili. La strana cerimonia “perduta”, dei papiri, annota Benedetto, si doveva svolgere ogni anno il primo mercoledì di quaresima, lo stesso giorno delle Ceneri . Il papa si condurrà a piedi e scalzo sino a Santa Sabina sull'Aventino, prima stazione. Terminata la messa un chierico intingerà un papiro nell'olio di una candela, quindi lo pulirà accuratamente, e subito si dovrà portarlo al palazzo lateranense prima che vi giunga il pontefice. Incontrandosi in quel luogo il chierico dice al papa: Jube, domne, benedicere. Il papa benedirà e il chierico annuncerà: <<Oggi la stazione fu celebrata a Santa Sabina che ti saluta>>. Deo gratias replicherà il pontefice. Quindi l'accolito porgerà il papiro intinto al papa che lo bacerà con venerazione, dunque lo darà in consegna a un cubiculario che deve “riporlo diligentemente” perché sia conservato sino al giorno della morte del papa. Di tutti i papiri accumulati anno dopo anno se ne ricaverà un cuscinetto che sarà posto sotto la testa del pontefice quando sarà calato nel sepolcro. Di certo, nota Paravicini, vi sono in questo rito mortuario così legato alla persona del papa, analogie con tradizioni imperiali romane, dove con stoppe e fasci di verbene si creavano cuscini per il capo degli imperatori. E a sua volta il rito papale si rifà, come sempre, ad una certa imitatio imperii: si evince dal fatto che il papa riceve il papiro davanti al palazzo lateranense voluto da Costantino, dove verranno pure conservati i papiri fino al decesso del papa; inoltre Innocenzo II è il primo di una serie di papi che si fa seppellire nella rispettiva basilica e in un sarcofago di porfido, alla maniera degli imperatori appunto.33

Il significato del papiro non si spegne qui. Il papiro che l'accolito gli porge (qui il papa è passivo) e il papa bacia (il papa è attivo) è simbolo della sua vita di papa. La ripetizione annuale del rito è “memoriale di purificazione dell'intero tempus pontificatus”. E solo “una vita benedetta può accompagnare il papa al di là della morte”. Paravicini vede qui la principale divergenza con il rito imperiale romano: se abbonda nel rito pontifico la imitatio imperii, sovrabbonda l'accentuazione della naturale diversità del papa rispetto agli altri sovrani, <<perché il suo potere non è temporale, ma anche eminentemente spirituale, e la sua vita di papa deve essere degna>>. Si intravede appena la radice della brevità damianea, in questa sofisticata ritualizzazione. 34 E' forse questa, deduce a ragione Paravicini, la ragione della sua scomparsa, dai cerimoniali seguiti all'Ordo di Benedetto, scomparsa e persino silenzio sulla sua esistenza: l'arzigogolata sofisticheria, la “troppo debole o troppo difficilmente percettibile” simbologia di questo rito autoumiliatorio. O perché no, sospetta il medievalista, la sua origine pagana.

Fatto sta che nello stesso Ordo di Benedetto fanno la comparsa altri due riti papali autoumiliatori, che si baseranno sulle ceneri e sulla fiamma, simboli della caducità e transitorietà del potere: il rito delle ceneri e il rito della stoppa. Guardacaso, nota Paravicini, il rito delle ceneri si celebra lo stesso giorno in cui un tempo si realizzava il rito del cuscinetto di papiri, il primo mercoledì di quaresima. Fossero state le celebrazioni delle ceneri a sopprimere il rituale del papiro intinto nell'olio? Conclude il medievalista ipotizzando che la sostituzione del rito del papiro intinto sarebbe da attribuire ai cerimonieri pontifici, che nell'intento di rimarcare maggiormente e con più chiarezza la questione della caducità e transitorietà del corpo del papa, hanno cercato simboli di superiore impatto e inequivocabile significanza, soprattutto di sicura provenienza cristiana. Alla eterea, linda semplicità del vecchio rito dei papiri e del cuscinetto sul quale poggerà il capo il papa defunto, privo com'è di richiami al “basso” della morte e che rinvia a sensazioni di “profumo, biancore, morbidezza”, si sostituirà quindi un grave richiamo al pensiero della morte, che si materializzerà in rituali autoumiliatori in cui si avverte il fruscio delle ceneri, lo stridore delle ossa mortuarie, e nel rito del trono stercorato l'idea degli escrementi addirittura quale immagine della natura umana che non abbandona e già condanna alla sua ineluttabilità l'uomo che in quei momenti è appena stato esaltato sul trono di Pietro.35

4. Ceneri: et in pulverem reverteris

La genesi e il significato autoumiliatorio dell'imposizione delle ceneri sul capo del papa, è spiegato con precisione da Paravicini; noi ne accenneremo soltanto per la parte che riguarda (neppure troppo strettamente) la nostra ricerca. La cerimonia delle ceneri fu introdotta per i fedeli da Urbano II (1088-99). La rispettiva cerimonia pontificia ci è descritta sempre dal canonico Benedetto dell'Ordo XI, per il primo mercoledì di quaresima. Che all'inizio il papa avesse un ruolo “attivo”, ossia imporre le ceneri, è specificato; se poi acconsentisse ad un ruolo “passivo”, riceverle cioè, non è specificato. Persino il Pontificale romano del XII secolo dice solo che dà le ceneri, benedette poco prima dal più giovane dei cardinali che recitava il celebre versetto biblico del memento mori: <<Ricordati, uomo, che sei polvere e che in polvere ritornerai>>36. Nei cerimoniali di poco successivi, dall'ordines di Albino (1189) e Cencio (1192), l'intervento dei cardinali dei tre ordini nel rito del primo mercoledì di quaresima è chiaro e attivo: accompagnano il papa che a cavallo va a Santa Anastasia, lo scortano sino al trono, dove da seduto riceverà dal primo dei cardinali vescovi le ceneri, il quale con voce tonante gli ripeterà il memento mori, l'ineluttabilità anche per lui della morte e della polvere sepolcrale. Solo dopo il papa impone le ceneri ai cardinali dei tre ordini. A partire da Innocenzo III (1198-1216) la cerimonia subì modifiche alterne. Bonifacio VIII la visse con insofferenza e fece in modo di edulcorarla negli aspetti che troppo vistosamente, a suo giudizio, insistevano sull'aspetto della caducità anche del corpo del papa e sulla transitorietà della sua apoteosi. Ad esempio, per se stesso il papa accettò dalle mani del cardinale vescovo non le ceneri ma dell'acqua per le abluzioni. Bonifacio pretende contemporaneamente ai riti di autoumiliazione che non ama, altrettanti e persino maggiori segni nella cerimonia di pubblica riverenza e sottomissione dei cardinali nei suoi confronti. Così accadrà più o meno anche per il cerimoniale avignonese di Giovanni XXII e Clemente VI durante il Trecento: i cardinali dopo aver imposto le ceneri a croce sul capo del papa, ne ricevono a loro volta dal pontefici, e subito esibirsi a baciargli prima le ginocchia, quindi la bocca e il petto; inoltre alla declamazione del memento mori davanti a lui, si sostituisce il silenzio. Bonifacio IX (1395) toglie la preminenza attiva nel rito ai cardinali e stabilisce che chiunque sia a presiedere la cerimonia dovrà porre le ceneri sul capo del papa, rafforzando così la carica autoumiliatoria della funzione. 37 Nel cerimoniale romano seguito al Concilio di Trento, a presiedere la messa e imporre le ceneri è di nuovo un cardinale, ma stavolta sarà il Penitenziere Maggiore, esaltando così quanto mai la natura penitenziale del rito. Il Penitenziere però prima d'accostarsi al trono del papa, che lì assiso riceverà le ceneri a croce da lui, si priverà di tutte le insegne della sua dignità, e fatta una profonda riverenza stando in piedi, senza proferire parola compierà il suo ufficio. “Anche ricevendo le Ceneri, il pontefice romano continua ad essere il sommo sacerdote della chiesa di Dio”; e riceverà le ceneri in modo però che “sia visibile a tutti che, benché egli sia posto in una tale dignità grazie alla quale sorpassa di gran lunga la condizione degli altri uomini, egli è nondimeno uomo, fragile, di natura inferma, soggetto alla morte”.38

<<Il coinvolgimento del papa in una liturgia penitenziale e autoumiliatoria che riguarda tutti i fedeli, non fa che sottolineare l'attenzione che la chiesa accordò alla caducità fisica del papa dalla metà del secolo XI. Tale coinvolgimento sembra essere stato progressivo, e ciò spiega il lungo silenzio sul ruolo passivo del papa. La storia delle ceneri dimostra come sia stato difficile creare equilibrio rituale che permettesse di insistere sulla caducità fisica del papa e di rendere visibile il rispetto dovuto alla sua funzione>>, e se prima ai tempi degli ordines di Albino e Cencio doveva subire in silenzio le parole di rito, già ad Avignone il silenzio lo devono invece mantenere gli officianti davanti al papa che resta seduto in trono mentre gli amministrano le ceneri, e dovranno successivamente compiere verso di lui atti di “sottomissione”. Dopo Trento l'aspetto penitenziale e religioso sovrasta di nuovo quello gerarchico. Era difficile raccordare caducità e rispetto verso le funzioni papali, a causa del ruolo dei cardinali, che rappresentano la perennità della chiesa; il rimarcare qui la caducità del corpo del papa doveva ben guardarsi dall'intaccare la maestà pontificia; la partecipazione attiva dei cardinali al rito “non poteva correre il rischio di essere interpretata come un'ingerenza nell'ambito della plenitudo potestatis del papa”.39 Si spiega così anche l'istintivo gesto di Bonifacio VIII, che verso questo rito fu sempre ostile, quando un primo mercoledì di quaresima accettando prima la cerimonia di significato purificatore dell'abluzione, rifiuterà poco dopo l'imposizione delle ceneri da parte d'un cardinale (che -sbagliando- reputa complice dei suoi nemici politici) e anzi gli sbatterà le ceneri sugli occhi dicendo parafrasando “Ricordati che sei Ghibellino e tornerai ad essere cenere con i Ghibellini”, privando così il porporato persino della dignità vescovile. “Se l'aneddoto è vero, dimostra che Bonifacio VIII accordava alle Ceneri un significato umiliatorio più politico che religioso, ed è per questo che tentò forse lui stesso di sottrarvisi”.40

5. Stoppa: sic transit gloria mundi

Paravicini spazia su questo cerimoniale d'inizio pontificato, che raggiunge la manifestazione massima proprio nella grandiosa cerimonia d'incoronazione del papa, dove a inizio pontificato, nel momento di massima apoteosi dell'eletto, troncando in modo stridente e traumatico la sua marcia trionfale in gestatoria, gli si ricorda platealmente la sua caducità e transitorietà, e che non si illuda tanto, perché la gloria del mondo passa come una vampata e finisce in cenere e fumo. Nel pieno della sua esaltazione, un rimando terribile alla sua morte “non solo certa, ma prossima” per dirla con s. Bernardo. I riti di morte si intersecano scandalosamente ai cerimoniali trionfali.

Lo stesso Pier Damiani tramanda la tradizione bizantina di presentare per mano d'un accolito al neoeletto imperatore della stoppa di lino, che accesa, era incenerita in un attimo dalla fiammata. Quel suo rapido dileguarsi “doveva indurre l'imperatore a vedere ciò che ha”. E' probabile che sia proprio lui a proporne, qualora non vi fosse già, l'adozione per il cerimoniale papale: del resto aveva osservato qualcosa di simile nella liturgia della cattedrale di Besançon, dove quattro volte l'anno all'arcivescovo veniva propinata l'accensione della stoppa, e lo stesso si era fatto costruire la tomba, preparata con gran cura come se dovesse “accoglierlo oggi”, che se la mente si lascia ammaliare dai fasti, scrive l'arcivescovo a Damini, “dirigendo gli occhi alla tomba si accorge d'essere polvere e cenere”.41 La stoppa compare più volte persino nella Bibbia (nel Siracide soprattutto), dal momento che ben si presta come potente simbolo di transitorietà, chè quant'altri mai sintetizza con crudeltà la parabola umana e il finale preannunciato d'ogni umana ambizione, d'ogni potere e gloria.42

A Roma chi parla di questo rito è il canonico di San Pietro, Benedetto. Ci informa che si svolgeva, protagonista il papa, più volte nell'anno liturgico, a natale e a pasqua, dopo che il papa aveva compiuto processioni in vari punti della città e celebrato messa. Nel ritorno verso il Laterano o il giorno di pasqua, il papa staziona a Santa Maria Maggiore dove si accende la stoppa: un sacrista gli porge una canna con candela, che il papa userà per accendere i fascetti di stoppa pendenti dai capitelli delle colonne all'ingresso della basilica liberiana. 43 Il ruolo del papa appare, specie nelle accensioni di pasqua e natale, decisamente attivo. Si sottolinea sì il suo potere temporale, e di riflesso la sua transitorietà, ma quei fascetti bruciati non si riferiscono tanto alla sua persona quanto a significati escatologici più generali: la stoppa che brucia è simbolo della fine del mondo che avverrà col fuoco. In un testo di Onorio Augustodunense (inizi XII sec.) si parla del rito, ma solo quello pasquale. Il ruolo del papa qui sembra essere passivo: “Mentre l'Apostolicus procede in processione, il fascetto di stoppa gli viene presentato come sospeso sopra di lui, e si permette che la stoppa accesa dal fuoco cada su di lui. Con ciò si avverte che sarà ridotto in cenere, e che la gloria del suo ornamento si convertirà in faville”.45 La stessa tendenza a declinare maggiormente in senso autoumiliatorio il rito, la ritroviamo nel codice di Basilea, che di fatto aggiorna l'Ordo di Benedetto, dove è evidente anche la maggiore circoscrizione del rituale. Roma sembra aver scelto un forma e un ritmo più soft, rispetto al cerimoniale di Besanços.45

Per Lotario di Segni, futuro Innocenzo III, la stoppa ardente “rinvia al Giudizio Universale e alla fine del seculum”, e tuttavia coinvolge anche la persona del celebrante: il papa l'accende affinché “colui che avanza glorioso non si diletti nella gloria temporale, poiché tutti gli esseri di carne sono fieno e tutta la sua gloria come il fiore del fieno”. In Lotario il ruolo del papa è attivo. A qualcosa di simile aveva accennato nel suo famoso De miseria conditionis humanae, dove ammoniva contro la vanità nel vestire e nel curare l'aspetto dei prelati, proprio per porre in contrasto il “glorioso” di chi è assiso sul trono e lo “spregevole” di chi invece giace nel sepolcro.46

Ma il momento più controverso e celebre del rito della stoppa è un altro. Ce lo definisce in modo finalmente chiaro a metà Duecento Stefano Bourbon, domenicano, famoso raccoglitore medioevale di exempla, nel capitolo dedicato alla memoria mortis, che raccoglie esempi di autoumiliazione. Toccante è l'esempio che cita dalla Vita di Giovanni Elemosiniere. Il giorno dell'incoronazione all'imperatore bizantino un marmorario gli presenta tre o quattro pezzi di marmi diversi, domandandogli quale gradisce per costruire il suo monumento funebre. “L'uomo è mortale e deve aver sempre presente la morte, affinché si umili”; allo stesso modo il patriarca di Costantinopoli, l'Elemosiniere, seduto sul suo seggio in occasioni solennissime, voleva gli si accostasse qualcuno a incitarlo a terminare il suo sepolcro incompiuto, poiché non si poteva sapere “a che ora viene il ladro”. Quindi Bourbon arriva al papa. “Quando viene consacrato ed elevato al sommo onore si accende la stoppa davanti i suoi occhi e gli si dice: Sic transit gloria mundi, così ti pensi cenere e mortale”. Nota Paravicini che <<è la prima volta che in ambito pontificio il rito della stoppa viene descritto come a Bisanzio: la stoppa viene accesa nel corso della cerimonia di incoronazione del papa>> il quale <<svolge un ruolo passivo e subisce le parole di rito>>. <<Ed è anche la prima volta che l'immortale monito Sic transit gloria mundi, viene posto in relazione al papa>>. Sottolinea Paravicini anche il fatto che il rito umiliatorio della stoppa assuma sempre più una definita fisionomia in concomitanza con l'enorme accrescimento (specie sotto Gregorio IX Visconti, 1227-41), sino a farne man mano elemento epicentrale, dell'importanza data alla incoronazione con la tiara del pontefice; nel rito della stoppa, il ruolo del papa diventa passivo in relazione appunto alla crescente importanza che assume la cerimonia d'incoronazione, poiché soltanto il ruolo passivo opera una perfetta opposizione tra transitorietà e regalità della funzione pontificia. 47

Ma ad Avignone? Paravicini sembra aver trovato unica testimonianza in un ordo che sembra scritto per guidare l'incoronazione di Urbano V (1362). Nel palazzo avignonese il nuovo papa uscendo dalle sue camere s'avvia nella cappella magna per rivestire i paramenti liturgici. Qui si svolge la cerimonia della stoppa. Con una novità, parrebbe: subito dopo aver subito il rito autoumiliatorio il papa percorreva la cappella con il capo coperto da un largo panno d'oro, segno della sua nuova majestas. Giunto al coro il papa riceve il segno di pace dai tre cardinali preti che per riverenza devono baciargli il petto. Nello stesso ordo si discute della opportunità di tenere la cerimonia della stoppa entro un luogo di maggiore visibilità e gloria, come per l'incoronazione, alla presenza del popolo dei fedeli; del resto così si faceva a Roma, dove il rito si consumava sui gradini della grande scala esterna della basilica vaticana. Una prima descrizione dell'evento è data da un testimone oculare, il cronista inglese Adamo di Usk, nel 1404, che assiste all'incoronazione di Innocenzo VII in San Pietro. Qui il papa scende in basilica dai suoi palazzi e all'altare di San Gregorio gli auditori gli porgono le vesti liturgiche. Uscendo dalla cappella, davanti l'ingresso un chierico che porta una lunga canna coperta di stoppa e una candela, <<proclama ad alta voce: Pater sancte, sic transit gloria mundi, reiterando così due volte a voce più alta: Pater sancte, pater sancte e una terza volta, all'ingresso dell'altare di San Pietro, così con trina esclamazione a voce altissima: Pater sancte, pater sancte, pater sancte, e subito ciascuna volta viene estinta la stoppa>>. Come segnalato già dal Polono e dall'ordo avignonese, il papa ha quanto mai ruolo passivo e l'ammonizione autoumiliatoria è triplice. La stessa cosa per sommi capi è confermata in una epistola di Jacopo d'Angiolo ad Emanuele Crisologa, in riferimento all'incoronazione in Roma di Gregorio XII (1406); vi aggiunge il fatto che il papa prima del rituale indossa calzari aurei e si presta all'abluzione delle mani; sottolinea l'alternarsi di gesti autoumiliatori con messe in scena d'una regalità imperiale. 48

Una novità è annotata da Agostino Patrizi Piccolomini (1484-92). Il cerimoniere come di prammatica brucia la stoppa e ripete per tre volte l'ammonizione, però genuflettendosi ogni volta. Ma ciò che conta è che subito dopo il papa in processione s'avvia a visitare i sepolcri dei predecessori nella navata che estende la cappella di San Gregorio Magno. <<Al simbolismo di transitorietà del potere, così splendidamente rappresentato dalla stoppa, si è aggiunto un gesto di monito per la caducità della persona fisica del papa, a prefigurazione simbolica del suo inserimento nella serie dei pontefici defunti>>. 49

Riassumendo. Nella liturgia romana il rito della stoppa, specie durate l'incoronazione, prende corpo fra il 1064 e il 1140. Di fatto, nel rituale papale, si appropria dei significati, rende superfluo e infine sostituisce il rito delle ceneri. Abbandonato via via da tutte le corti laiche, e per ultimo dal re germanico dopo il XV secolo, il rito della stoppa diventa esclusivamente momento qualificante del cerimoniale pontificio, che lo ha tenuto in vita fino a tempi assai vicini a noi. Nel frattempo era diventato “esclusivamente simbolo della transitorietà del potere del papa regnante” e per essi soltanto dispiegava a pieno tutti i suoi significati.50

6. Seggi stercorati e porfirei: sedere e giacere

I seggi di porfido un tempo presenti in Laterano sui quali il pontefice da poco eletto prendeva possesso del complesso lateranense, contengono elementi simbolici di caducità?, si chiede Paravicini. Soffermiamoci brevemente.

Tanto per cominciare, la materia definita da Albino e Cencio porfido, marmo prettamente imperiale, è in realtà un lussuoso marmo detto rosso antico in uso nell'antica Roma repubblicana. La forma del seggio che nella Vita di Onorio II è detta, per edulcorare, a sigma nella realtà ricalca i sedili che che si potevano incontrare nei bagni pubblici delle terme romane, e forse da lì direttamente provengono. Quelli che si trovavano davanti il palazzo lateranense, appaiono come una specie di duplice trono. E di sicuro tale è se si pensa alla imitatio imperii e dunque al fatto che proprio a Bisanzio il trono dell'imperatore era duplice, elevato su gradini porfirei: nella parte destra il sovrano s'assideva nei giorni feriali vestito d'oro; in quella sinistra nei festivi, rivestito di porpora. In altri cerimoniali regali si accostavano due troni: su uno sedeva l'imperatore, “quello vuoto era di Costantino”.

Tralasciamo tutti i complessi e numerosissimi cerimoniali di presa di possesso del Laterano e insediamento del nuovo pontefice nel medioevo e primo rinascimento, che precedevano e contornavano il rito d'assidere il papa sui seggi porfirei, che non interessano a fondo alla nostra ricerca,51 e veniamo direttamente al “sedere e giacere” sul duplice trono.

Giunto in Laterano l'eletto veniva fatto sedere sul seggio di porfido di destra: il priore della basilica di San Lorenzo in Palazzo (da cui dipende il Sancta Sanctorum) gli consegnava la ferula 52 e le chiavi (simbolo di apostolicità, del potere di aprire e chiudere, legare e sciogliere dei pontefici). Il papa riconsegnerà questi oggetti passando a sedersi sul trono di sinistra. Sul seggio porfireo di sinistra riceverà invece un cingolo con appesa una borsa che contiene dodici pietre preziose e musco.53

Gli ordines concordano sul fatto che il papa deve sedere e sembrare di giacere prima su uno e poi sull'altro seggio, su entrambi. I cerimoniali riferendosi ai troni porfirei lateranensi, parlano di sedere come giacesse fra due lectuli: lo sfondo mortuario di questi riti e termini è lampante. In effetti, nota Paravicini, nella stessa Vita di Leone IX (1049-54) è usata l'immagine del “letto in cui giaceva” per dire della posizione del papa morente.54

Abbiamo accennato al De miseria conditionis humanae del futuro Innocenzo III dove esercitava l'opposizione tra l'atto di sedere sul trono e del giacere nella tomba, e parlando dei potenti il cardinal Lotario ammoniva “colui che allora sedeva glorioso in trono, ora giace disprezzato nella tomba”. Proprio i cerimoniali di Albino e Cencio descrivono questo avvicendamento, nell'ultima fase della presa di possesso del Laterano, cerimonia “che più delle altre è sostenuta da un altissimo simbolismo di apostolicità e di imitatio imperii”, per l'assidersi sui seggi porfirei, definiti per l'occasione lectuli. Proprio il sedere e giacere su di essi sta a simbolizzare simultaneamente in quel momento <<il rito di passaggio all'apostolicità della nuova funzione di sommo pontefice -primato di Pietro e predicazione di Paolo- e anticipazione rituale della morte del neo eletto. Il papa nasce e muore negli Apostoli>>.55

Secondo rituali regali dei re di Francia e l'ordo di Carlo V (1363) come per i papi anche il sovrano per essere consacrato deve rimanere seduto e quasi giacente su un apposito thalamum che gli è stato predisposto. Le differenza col rituale pontificio è che il re ha ruolo attivo, dal momento che trovato quasi giacente, egli non deve continuare a giacere, dovrà invece rialzarsi, perché nasce a nuova vita. “Il gesto corrisponde a un rito funerario inverso”: non quello di un cadavere che naturaliter si predispone verso la sua ultima dimora, bensì quello di un corpo che nasce a nuova vita. “Il papa, invece, giace come se dovesse adagiarsi tra gli Apostoli”. La differenza fra questi gesti delle due figure sovrane è la stessa che separa il detto Il re non muore mai (Le roi ne meurt jamais) dal concetto anche il papa muore. Tutto promana dalla teoria che il re ha due corpi; il papa non ha due corpi, dal momento che egli nasce e muore negli Apostoli Pietro e Paolo. 56

Un venti anni dopo il cerimoniale di Gregorio X, il cardinale Stefaneschi, che aveva assistito alla incoronazione di Bonifacio VIII nel 1295, conservava memoria delle significanze autoumiliatorie dei seggi lateranensi, definiti dal porporato come “de stercore sumptus e de pulvere nactus”. Durante il periodo avignonese, e quindi per quasi tutto il Trecento, essendo i seggi rimasti a Roma non se ne fece uso, né i cerimoniali dell'epoca vi accennano. A fine Quattrocento ne riparla del rito Agostino Patrizi Piccolomini, ma della posizione giacente del papa ne parla in riferimento alla sedia stercorata e non ai seggi di porfido, ma appare chiaro, dice Paravicini, che il Patrizi ha frainteso il rito. Preciso, al solito, è subito dopo il Burcardo57, che del possesso di Innocenzo VIII (1484) dice che si “sdraiò” su ognuno dei due seggi, prima quello destro e poi su quello sinistro, entro la cappella di San Silvestro. Così voleva la tradizione degli ordines albiniani e cenciani. Ma Burcardo ormai non riferisce più alcuna lettura simbolica del rito. Qualcosa è mutato o è andato irrimediabilmente perduto nel tempo. O forse, sostiene Paravicini, è la egemonia che va assumendo il rito di incoronazione che mandò in lenta decadenza la cerimonia di possesso lateranense; e forse “una sempre maggiore incomprensione del suo significato simbolico”. Inoltre nella cerimonia d'incoronazione ormai sono contemplati entrambi i concetti di transitorietà e di caducità che dovevano fin qui simboleggiare i due seggi lateranensi: il papa subisce il rito della stoppa e dopo deve visitare le tombe dei suoi predecessori. A Leone X (1513) non resta che prenderne atto e abolire quello che ormai gli doveva apparire come il bizzarro rito della sedia stercorata.58

NOTE

1 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del papa, Torino 1994, pp. XIV-XV.

2 Elze R., Sic transit gloria mundi, la morte del papa nel medioevo, in Annali dell'Istituto storico italo-germanico di Trento. 3 -1977-, pp. 23-41.

3 Kantorowicz E.K., The King's two bodies, Princeton 1957, pp.58-66, 123-129 . Testo esistente solo in lingua francese e inglese; con notevoli difficoltà, vista la complessità del linguaggio, siamo riusciti a studiare e interpretare solo qualche parte del testo in inglese, e in ogni caso non abbiamo reputato opportuno inserire in questo lavoro un elaborato sul discorso del Kantorowicz, perchè allargherebbe eccessivamente le tematiche da affrontare in questa tesi, che debbono essere strettamente attinenti ai rituali per la morte del papa.

4 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. XVI-XX.

5 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 51

6 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.53-4

7 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.5-11, 50

8 Gastaldelli F. ed. e trad., De consideratione in Opera di san Bernardo, I, Trattati, Milano 1984, pp.761-939

9 Si veda Cancellieri F., Storia de' solenni possessi dei sommi pontefici detti anticamente processi o processioni dopo loro coronazione dalla basilica Vaticana alla Lateranense, Roma 1802, p.54, dove l'abate rifiuta l'idea che si sia mai usato un simile assioma in determinati riti pontifici.

10 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.11-17

11 Moroni G., Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 103 voll, Venezia 1849-61, vol. 86, p. 68; il simpatico aneddoto è riportato con qualche variante anche da Marco Besso, dell'omonima fondazione di storia romana e papalina, in Besso M., Roma e il Papa, Firenze 1971, p. 200.

12 Vi è forse un errore del Paravicini, dal momento che molti testi concordano sui 38 anni di Giovanni de' Medici al momento dell'elezione. Vedi Falconi C., Leone X Giovanni de Medici, Milano 1987, pp.233-49; Picotti G.B., Giovinezza di Leone X, Roma 1981, che non arriva al pontificato però; si veda Pastor L., Storia dei Papi, 16 voll, 20 tomi, Roma 1942, vol. IV/1, pp. 12-22.

13 Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, II, pp.72, 166.

14 Da Gelmi J., I Papi, Milano 1986, pp.197-248

15 Cancellieri F., Storia de' solenni possessi, cit., p. 54, n.3

16 In Moroni G., Dizionario, cit., vol 54, p. 112; anche in Besso M., Roma e il Papa, cit., pp. 200-1.

17 A proposito delle iscrizioni papaline sparse per Roma a celebrare gesta e inaugurazioni dei vari pontefici regnanti, un originale e interessante saggio ne fa una raccolta sistematica, con particolare risalto alla sovrabbondanza di quelle di Mastai, che pare ebbe una vera passione per simili applicazioni: Huetter F., Iscrizioni della città di Roma dal 1871 al 1920, 2 voll, Roma 1959, II, pp. 295-8.

18 E' riportato anche in Besso M., Roma e i Papi, cit., pp. 200-1.

19 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 17-19

20 AA.VV., Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2007, pp. 92-257, parte dedicata alla morte di Giovanni Paolo II.

21 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 19-20; idem Paravicini Bagliani A.., Le Chiavi e la Tiara, Città di Castello 1998, pp. 85-6; sulla morte e sepoltura di Silvestro II, vedi Trystram F., L'Anno Mille, Milano 1984, specie p.374, per il resto pp.367-70; la storia di Gerberto di Aurillac e della sua tomba, è ricostruita anche da Gregorovius F., Le tombe dei Papi, Roma 1879, pp. 37-43.

22 Questo suo lavoro è stato rivisitato dalla prestigiosa opera di Valentini e Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, III, Roma nel 1946, p.348. Anche in Zanetti F., Tutti i papi attraverso le curiosità e gli aneddoti, Torino 1937, p.323.

23 Valentini e Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, cit., III, p.348.

24 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 19-20.

25 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 20

26 Herklotz I., Sepulcra e Monumenta del Medioevo, Roma 1985, p.97, dove riportando il Libero Pontificalis, si legge che comunque Pasquale II aveva anche scelto il Laterano come residenza ufficiale; Gregorovius F., Le Tombe dei papi, cit., pp. 42-3

27 Vedere a proposito sempre Herklotz I., Sepulcra, cit., p.97, n.67; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp.85-6.

28 Herklotz I., Sepulcra, cit., pp. 91-2; Stendhal, Passeggiate, cit., I, p.26, indica, sicuramente per un errore suo, Innocenzo XI -volendo di certo riferirsi a Clemente XII- che, dice, prelevò da Castel Sant'Angelo un'urna di porfido entro cui si sarebbe fatto seppellire al Laterano. E' utile a proposito di simili sepolture consultare tutte le opere generali sulle Vite dei Papi, soprattutto il Saba-Castiglioni che un po' più di interesse riserva, rispetto ad altre cronologie dei papi, alla morte e sepolture dei pontefici.

29 Martinus Polonus, Chronicon pontificum et imperatorum, in MGH, SS, XXII, 43, citato da Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 21, 63.

30 Chiarificazioni su tale scritta e sull'interpretazione equivoca dell'epigrafe in Trystram F., L'Anno Mille, cit., pp. 367-74; una breve panoramica di Gerberto e della sua tomba, con ulteriori particolari, la fa anche il Gregorovius F., Le Tombe dei papi, cit., pp. 37-40, naturalmente, da protestante e da storico, nonché conoscitore del latino, già a suo tempo l'autore -che spesso si basa sul Ciacconio e sul Platina- aveva intuito la pessima interpretazione del distico latino che diede origine alla leggenda del sepolcro ammonitore; inoltre riporta, come la succitata Trystram, la leggenda -oppure il fatto- del cadavere di Silvestro fatto a pezzettini per sua volontà.

31 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.21-22; sul fraintendimento casuale o voluto che si fece dell'epigrafe di Silvestro II, che diede vita alla leggenda, propagata dallo stesso Liber Pontificalis, tutte le spiegazioni e l'esatta traduzione in latino in Valentini e Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, cit., III, p.348 specie nella nota 5.

32 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit.,p. 52; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp. 85-6.

33 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.22-23; questo argomento è difficilmente riscontrabile altrove; il medievalista Paravicini sembrerebbe quasi l'unico ad averne parlato sistematicamente.

34 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.23.

35 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit. pp.23-4.

36 Genesi 18, 27; Giobbe 34, 15.

37 Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85, p.105 n.250.

38 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.24-28; vedi anche Cancellieri F., Storia de' solenni possessi, cit., p. 239; Dykmans M., L'ouvre di Patrizi Piccolomini ou le ceremonial papal de la premier Renaissance, 2 voll, Città del Vaticano 1980-82, p. 345 n.995.

39 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 27-8.

40 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.50.

41 Moroni G., Dizionario, cit., vol.70, p.91; Cancellieri F., Storia de' solenni possessi, cit., p. 53 n.3 .

42 Elze R., Sic transit gloria mundi, cit., p. 40.

43 Valentini e Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, III, cit., pp. 439-40.

44 Onorio cita Ezechiele 15, 4. in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 30-1.

45 Visceglia M.A., La città rituale, Roma e le sue cerimonie in età moderna, Città di Castello 2002, pp. 58-59.

46 Per il testo di Lotario futuro papa Innocenzo III, ed una analisi approfondita, vedi Lotharii cardinalis. De miseria humanae conditionis, a cura di M.Maccarrone, Lucani 1955, specie p. 71.

47 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 32,34, 52; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp. 91-2.

48 Oltre al Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 35, il rito così scandito è riscontrabile in: Burcardus J., Liber notarum ad annum 1483 usque ad anno 1506, ed. E.Celani, in R.I.S. XXXII, I, Bologna 1907, p.75, dove il giovane Burcardo presenta la stoppa al neoeletto Innocenzo VIII; in Dykmans M., Piccolomini, cit., I, p.70 n.122; per particolari fino al Settecento inoltrato sul rito, Moroni G., Dizionario, cit., vol.70, pp. 92-3.

49 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.36-7. Paravicini Bagliani A.., Le Chiavi, cit., pp. 91-2. Molte di queste stesse informazioni sono reperibili in Moroni G., Dizionario, cit., vol.70, pp. 92-3; Elze R., Sic Transit, cit., p.41, dove lo studioso spiega che quello dei fascetti restava il rito più potente, che in definitiva non aveva eguali in altre corti, perchè come rito di caducità e transitorietà, solo per il papa poteva raggingere il massimo della significanza simbolica.

50 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., p. 37. Elze R., Sic transit, cit., p.41.

51 Approfonditi da Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 43-50; in Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp.60-80, sui seggi porfirei, pp.63-6; Visceglia M.A., La città rituale, cit., pp. 57-58, apporta qualche lieve modifica all'interpretazione dei seggi porfirei.

52 Una sorta di asta sormontata in genere da una croce, una specie di pastorale vescovile, “segno di governo e di “correzione” - citando Albino e Cencio, in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.45.

53 Il cingolo allude alla castità e all'innocenza di vita; la borsa sarebbe invece il tesoro a cui deve attingere l'eletto per proteggere e servire i poveri e le vedove; i dodici sigilli rappresentano gli apostoli; il musco serve per percepire l'odore di Cristo, di cui riferisce Paolo -2 Corinti 2,15 e 16- , vale a dire anche che l'eletto deve esprimere dalla sua persona il profumo della dottrina di Cristo. Borsa, sigilli e musco appesi al cingolo, nell'insieme stanno a significare di come “la castità ed innocenza di vita sono premesse indispensabili per l'esercizio della sua nuova funzione apostolica”. Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.45-6.

54 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.46.

55 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., p. 46; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp.63-66.

56 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit. p. 48; vedi il fondamentale Elze R., Sic transit; cit., pp. 23-41; della vasta teoria “dei due corpi”, non parleremo in questa sede, benché non pochi riflessi abbia anche sulla morte del papa; tuttavia ne accenneremo qualche volta.

57 Burcardo G., Alla corte di cinque papi, Diario 1483-1506, ed. L.Bianchi, Milano 1988, p. 60.

58 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp.49-50, 52.

Capitolo secondo
Veglia e agonia

Dalle memorie scritte di alcuni cerimonieri pontifici si apprendono le prime regole da osservarsi durante l’ultima malattia, in occasione della morte e per la sepoltura d’un papa. Dalla fine del medioevo, proseguendo per tutta l'età moderna fin quasi ai nostri giorni, l'agonia e morte del papa furono affrontate il linea di massima nel modo che illustriamo di seguito.

Il papa sta male, è agonizzante. Siamo nel primo spazio, la Camera, come indica il patriarca dei cerimonieri, Pietro Ameil: è la camera da letto del papa moribondo, qui si manifestano ufficialmente le sue ultime volontà e qui confermando la sua fede, riceve gli ultimi conforti religiosi.

Appena i “medici speciali”, gli archiatri, cui è affidato il pontefice malato, hanno sentore che il male va verso l’esito fatale, questi hanno il dovere di confidarlo al pontefice infermo o incaricarne il confessore di ragguagliarlo, affinché il moribondo abbia il tempo necessario di interessarsi alla salute dell’anima propria. 1

Il moribondo dunque vorrà confessarsi (confessione e confessione generale), ricevere l’eucarestia, domandare l’indulgenza in articulo mortis, che il confessore non gli negherà: dopotutto è pur sempre il Vicario di Cristo. Ed è ancora nella pienezza della sua potestà di Magnus Sacerdos. Alla fine, se ce la fa, emette la professione di fede.

Quando la malattia palesemente prende il sopravvento con sintomi gravi, ecco che il cardinale segretario di Stato (almeno da quando questa figura fu definita), sarà obbligato ad informarne il cardinale Decano del Sacro Collegio; questo a sua volta farà sapere a tutti i “senatori” della papa, in primis i cardinali di curia e residenti a Roma che debbono precipitarsi al Palazzo Apostolico.

Ancora il segretario di Stato comunica al corpo diplomatico presso la Santa Sede le notizie funeste sulle condizioni del Sovrano infermo, affinché (è sottinteso) vogliano inviarne informativa ai rispettivi governi.

Il sacrista, che è soprattutto il Parroco dei Sacri Palazzi apostolici, e di regola è un padre agostiniano, somministra all’infermo l’estrema unzione e il santo viatico.

<<A causa del timore d’una prossima fine, alcuni pontefici ricevettero l’estrema unzione più volte. Gregorio XIV, dopo una lunga degenza nella quale tre volte fu vicino a morire, soccombette alla violenza del male al 15 ottobre 1591, dopo aver ricevuto l’unzione per la quarta volta. Clemente XIII cessò di vivere nel 1769; ma nel 1765, in agosto, essendo colpito da sincope, aveva già avuto viatico ed unzione. Passati però pochi momenti, ricuperò del tutto la sanità>> 2 .

La prima integrale descrizione di un rito di confessione e di preparazione alla morte lo troviamo dopo un secolo scarno di notizie del genere -il Duecento- nel 1304 per la morte di papa Benedetto XI. Vi si legge che durante l'agonia i penitenzieri recitavano l'ufficio dei defunti, i 7 salmi penitenziali e altre preghiere. Deceduto il papa, i cardinali visitavano la salma e poi si ritiravano 3.

Poco dopo, nel primo cerimoniale pontificio completo, l'Ameil tenterà di regolare e magari governare in modo standardizzato questo momento estremo, dando naturalmente per scontato che tutto avvenga in modo piano e programmabile. Il cerimoniere preserva anch'esso la recita dell'ufficio dei morti per i penitenzieri, insieme alle altre preghiere del loro breviario 4.

Difficilmente un papa agonizzante, salvo Giovanni Paolo I che morì d'improvviso di notte, negli ultimi secoli è stato lasciato solo nel suo stato, come ai tempi di Innocenzo X e dei papi più antichi. Per il resto la stanza dell'augusto agonizzante è affollata anche troppo, anche oltre il buon gusto, una violenza a quel pudore che la morte, anche del papa, dovrebbe comunque conservare. Presenze quasi sicure nella stanza di morte del pontefice oltre il Decano, erano il segretario di Stato (dall'età moderna inoltrata), l'Arciprete della basilica, il Penitenziere maggiore, latore delle indulgenze in favore dei moribondi; inoltre era prevista dall'etichetta la presenza di una delegazione della Guardia Nobile con le divise scarlatte, elmo e tracolla (bandoliera) dorata; con la raccomandazione però di non fare rumore con gli stivali, per non turbare il sacro silenzio che doveva circondare l'agonia del papa, e non sovrapporsi ai suoi rantoli finali e alle preghiere incessanti dei presenti. Ancora altri personaggi, questa volta estranei alla famiglia carnale o curiale del papa, visto il costume di affollare la stanza del moribondo, tollerati (raccomandati) ne approfittavano per assistere di persona al trapasso. Di fatto “il transito del Vicario di Cristo si era trasformato in un atto pubblico e, diremmo quasi, di apparato, non fosse per la serietà dell'evento”5. Si dovette attendere un papa aristocraticamente geloso della propria intimità, e al fondo pudico verso la sua stessa umanità 6 come Pio XII perché fosse disposto di ridurre al minimo il numero delle persone ammesse nella camera del papa morente: “La sua raffinata nobiltà lo portava a detestare le indiscrete esibizioni di dolore e le chiacchiere oziose e inutili di coloro che considerava intrusi in un siffatto momento”. Purtroppo autocrate com'era si ritrovò circondato di gente mediocre e naturaliter traditori, che violarono senza ritegno la strazio della sua fine, sino all'acme della bassezza raggiunto dallo squallido e incompetente suo archiatra Galeazzi Lisi, che in segreto lo fotografò agonizzante per venderne le foto ai giornali. 7 In una stanza attigua poi si installò una radio trasmittente con la quale il gesuita Francesco Pellegrino sfornava una sorta di bollettini per Radio Vaticana in cui aggiornava con regolarità il pubblico sull'andamento dell'ultima malattia del papa. Di lì a scovare un cameraman entro quelle stanze di Castel Gandolfo, il passo fu breve 8 .

Il papa vicino alla fine, codifica l'Ameil, se cosciente (e non colpito da male fulmineo, inaspettato ed obnubilante), alla presenza dei cardinali, convocati due o tre giorni prima che il papa perdesse la parola nella stanza dal cardinale camerlengo, deve dettare testamento, indicando anche il luogo dove vuol essere tumulato. Sempre ad essi consegna tutti i beni della chiesa e rende conto della sua amministrazione. Detto questo, dovrebbe pronunciare (sempre augurandosi che sia una morte piana, quieta, lenta e che si presti a simili programmazioni) come cattolico la professione di fede, segno della sua ortodossia dichiarando, spesso con fin troppa sospetta modestia curiale, come egli è vissuto e voglia morire nel grembo della santa madre Chiesa 9 . Dopo questo momento “spirituale”, vorrà rivolgere un’attenzione particolare ai suoi senatori e creature, i cardinali presenti, entro le cui mani (non le sole per la verità: fino al 1903 spesso molto più in quelle dei rispettivi sovrani “cattolicissimi”) fra poco tutto sarà riposto, mentre fra di loro già v’è colui verso il quale l'indice del Dio michelangiolesco della Sistina punta,10 o punterebbe se non fosse in concorrenza con le contropuntate sparse di sovrani tutti terreni (ma si sa: Dio scrive dritto entro righe storte). A loro affiderà la chiesa e concederà, se vorrà, alcune grazie in foro conscientiae; in cambio li esorterà, credendoci o sperandoci o meno, affinché dopo la sua dipartita siano unanimi e solidali nello scegliere il Successore, cessando ogni esasperata rivalità e contrapposizione, evitando accuratamente di screditarsi gli uni gli altri, preferendo il migliore e più degno o meno peggio fra loro, “il più acconcio” a governare la chiesa romana 11. L'Ameil contempla anche la possibilità che il papa morente, secondo coscienza e se lo ritiene opportuno, indichi ai cardinali un nome gradito per la successione. Sempre l'Ameil nel suo cerimoniale indica altre facoltà del morente e doveri dei cardinali: i cardinali dovranno perdonargli eventuali sue mancanze durante il pontificato; il papa potrà ancora raccomandare tutti i suoi familiari; riconsegnare tutti i beni, tesori, preziosi della chiesa romana; fare la lista dei crediti e dei debiti contratti per la chiesa affinché il suo successore possa riscattarli.12 Inoltre, una volta, si accreditava una particolare efficacia alla benedizione impartita dal papa in articulo mortis: si pensava che poiché egli stava per vedere Dio, avrebbe potuto ottenere da Lui maggiori grazie per i fedeli, quasi fosse un benvenuto dell'Altissimo verso il Vicario appena accolto fra le sue braccia; questo fatto spesso spiegava la presenza fuori protocollo di molte persone non intime (naturalmente titolati di gran casta) nella camera del moribondo: speravano, approfittando di un momento opportuno, di strappare dalle mani del pontefice la promessa della grazia agognata sino a tal punto 13 .

Può succedere che le ultime disposizioni il pontefice morente le prepari, come un testamento, mentre è ancora in salute e ordini che vengano rivelate post-mortem al Sacro Collegio, e cioè alla prima congreazione dei cardinali. Successe, non senza qualche stranezza, così per Pio VII. Appena morto il papa, si riunirono i suoi cardinali in una congregazione che fu non poco polemica. Si decise che il Della Somaglia, già Decano, sarebbe stato il fabbriciere, cioè sovrintendente a tutti i lavori del conclave. Il cardinale fece sapere d'aver ereditato dal suo predecessore cardinale Mattei diversi plichi con l'ordine tassativo d'aprirli subito dopo il decesso di Pio VII dinanzi al Collegio riunito. Aperti i due Brevi si vide erano in data di Fontainebleau. Qui il papa ordinava per iscritto che i cardinali si riunissero subito sotto la presidenza del Decano, e derogando a tutte le antiche costituzioni e prendendo in considerazione solo “l'impero delle condizioni de' tempi ed i pericoli della Chiesa”, di eleggere un papa in tempi brevissimi, meglio se immediatamente “ed a pluralità di voci”. Il secondo plico confermava la disposizione ma stabiliva in più che il papa s'eleggesse con i due terzi dei voti, come era anticamente. D'improvviso chiese d'intervenire il segretario del Sacro Collegio mons. Mazio, che si disse depositario d'un terzo plico del papa, da lui compilato sotto ordine di Pio VII e sotto il vincolo della confessione nel 1821. Mazio disse che il pontefice ordinava che si procedesse istantaneamente alla scelta del successore, possibilmente per acclamazione alla presenza del suo cadavere ancora tiepido... e non perdessero tempo con esequie e sepoltura, ma pensassero prima all'elezione, da farsi in segreto e senza attendere i cardinali fuori Roma né avvisare e ragguagliare le Corti estere, prima che il grave atto fosse compiuto. Quindi con parole “patetiche” ammoniva i cardinali alla concordia, all'obbedienza e alla riconoscenza, ricordandogli che erano tutti “sue creature”. I cardinali si dimostrarono profondamente commossi... forse anche dubbiosi e qualcuno irritato. Poi con serafica, vellutata, infallibile mossa tutta curiale la Congregazione convenne, scandendolo all'esagitato Mazio, che le circostanze d'allora, fra rivoluzione di Spagna e di Piemonte che agitavano l'Italia, “non erano più applicabili a' tempi attuali”: fu quasi quella del papa, si sostenenne, una decretazione d'urgenza, che non si giustificava più in quel momento 14 .

Torniamo al papa moribondo. A questo punto “rivolge le sue raccomandazioni al Sacro Collegio, dà le ultime disposizioni, benedice tutti i presenti e licenzia i cardinali”. Cioè: almeno così dovrebbero andare le cose ex regula, se non fosse il fenomeno della morte stessa quasi sempre a derogare a suo piacimento… comunque, continuando, poniamo che la morte sia sempre così “ordinata”. Ora il papa è quasi solo, restano accanto i confessori, camerieri e prelati domestici, semmai i medici. Arriva l’agonia. Il respiro è difficoltoso e pesante. Ci si affretta: “Il primo prelato ed i secondi porteranno la croce concistoriale senza coda o bastone (Ferula è il nome esatto) avanti i suoi occhi e gliela faranno baciare ricordandogli sempre la passione di Cristo” 15. Poco prima aveva ricevuto, in ordine: confessione, estrema unzione e comunione.

E’ l’ora: l’agonia è conclamata, il respiro è ormai macabro rantolo, vox mortis. Arrivano i “becchini” dei sacri palazzi, i Penitenzieri, che appartengono di regola all’ordine francescano: attorno al capezzale e davanti a Lui, come angeli della morte, reciteranno l’Ufficio dei defunti ed i salmi penitenziali, senza tregua 16. Il cardinale penitenziere, invocata l'intercessione degli angeli e dei santi per l'agonizzante, inizia le esortazioni, ormai più rivolte all'anima che non all'uomo: <<Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo...>> (“Esci, anima cristiana, da questo mondo”). L'archiatra pontificio, ogniqualvolta i segni dell'agonia diventano ambigui, avvicina alle labbra socchiuse del gran moribondo una candela accesa: se la fiamma subisce anche un lieve sussulto vorrà dire che è ancora vivo 17. Oppure si vedrà e udrà il papa aprire la bocca a bere l’ultimo respiro di questa terra. Ogni preghiera, parola, esortazione cesserà nello stesso momento. Silenzio! Un attimo di smarrimento e di vertigine per tutti: Vere papa mortuus est!, anche il Vicario di Cristo muore! Sic transit gloria mundi! Monito che d’improvviso è per tutti, astanti e distanti, finale già scritto (e mai come in questo momento evidente) per ogni umana ambizione e vanità. Lo diceva anche Pier Damiani.

L'archiatra si accosta ancora. La fiamma della candela adesso è immobile. Si procede a un accertamento di prammatica: l'auscultazione del cuore e il controllo del polso confermano la sentenza dell'antichissimo metodo della candela. Il medico alza gli occhi a incrociare lo sguardo di tutti i presenti e con un lieve cenno della testa confermerà l'unanime sospetto: il papa è davvero morto! Ma nessuno oserà pronunciare quella parola esplicitamente: si dovrà attendere la ricognizione e la dichiarazione ufficiale, che solo il camerlengo potrà fare. Il che avverrà entro due ore. Col rito del martelletto d'argento. 18 Il cerimoniale dell'Ameil è a questo punto brusco: morto il papa, prima ancora del lavaggio e vestizione della salma, i cardinali vadano a visitare la salma, ma poi devono recedere 19.

Tutti prelati, le religiose, i familiari presenti nella camera da letto, allora si inginocchiano e recitano i primi responsori: <<Subvenit, Sacti Dei, occurrite Angeli Domini: suscipientes animam ejus. Offerentes eam in conspectu Altissimi>> (“Venite in suo soccorso, Santi di Dio, accorrete Angeli del Signore: ricevete la sua anima e offritela al cospetto dell'Altissimo”). Si recita coralmente il De Profundis. Cessate le preci, ciascuno dei presenti, uno alla volta seguendo un ordine gerarchico, si accosta all'augusta salma del suo Signore e ne bacia la mano destra. Quindi si aprono le porte della stanza e si diffonde a tutti coloro che affollano il palazzo la tremenda notizia; specie a coloro che già nelle successive ore dovranno svolgere un ruolo intorno al corpo del pontefice defunto 20.

La confusione nei momenti della lunga morte di Pietro, dell'agonia e del trapasso nell'incertezza della potestà, fra riservatezza curiale e chiacchiericcio sempre curiale, può generare non pochi incidenti. L'8 ottobre 1958, il corrotto archiatra di Pio XII, Galeazzi Lisi, fra gli altri delitti che compì, prese anche accordo con un giornalista in cambio di denaro per fargli avere per primo la notizia della morte del papa, ormai agonizzante. L'accordo prevedeva che il medico appena spirato il papa avrebbe fatto cenno a un servitore complice, di aprire una certa finestra del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, dove agonizzava il papa: sarebbe stato il segnale di morte avvenuta. Pura combinazione accadde che proprio quella mattina dell'8, un'altra persona del Palazzo, estranea all'accordo, forse per il caldo aprisse quella finestra. Il giornalista subito lanciò al suo giornale la notizia Il Papa è Morto!. Lo stesso pomeriggio quattro grandi quotidiani uscirono listati a lutto col ferale annuncio. Ma il papa non era morto, morirà solo il giorno successivo. Vi fu l'irritatissima smentita ufficiale del Vaticano. I giornali, dopo la magra e patetica figuraccia, furono obbligati a ritirare immediatamente le copie dalle edicole, cosa che subito fecero se non altro per lasciare meno tracce possibili di questa pagina nera della storia del giornalismo 21.

Nelle sue lettere ai familiari del gennaio 1922, il giovane minutante alla segreteria di Stato don Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, che stava assistendo alle varie fasi delle esequie di Benedetto XV, ne fa una cronaca che lo rivela scosso; dopo aver visitato la salma del papa, il suo animo gentile così lo fa riflettere, con parole meravigliose (che riprendono a pieno la retorica sulla morte dei papi, che abbiamo illustrato all'inizio): <<Come è maestosa e disastrosa la morte vista in un papa! Questa persona, in cui sta la ragione d'una umanità perenne, che si dissolve consunta, ingigantisce l'immagine del castigo e riproduce il venerdì santo senza lumi e senza conforti. Muore e sembra che l'umanità tutta esperimenti l'agonia propria; muore nel crollo di tutto un edificio di governo, un altro se ne attende con la fretta che non ammette indugio perchè la resurrezione, proiettata anche sull'al di qua dello schermo dei destini umani, ha immediatamente da avere la propria rivincita...>> 22

E tuttavia non molti hanno provato allo spegnersi del Vicario, le stesse emozioni del giovane Montini. Quasi mai -salvo per i papi morti in fama di santità e di grande munificenza e pietà verso il popolo- la malattia, l'agonia e la morte d'un pontefice hanno suscitato le emozioni, le vibrazioni del cuore, tantomeno lo sgomento nei romani. Forse ha esacerbato il sentimento opposto. E una panoramica di cosa accadeva nella maggioranza dei casi la diamo nel capitolo sulla sede vacante. La solitudine domina. E domina la confusione. Gli istinti più bassi e la diseducazione sentimentale d'un mondo, quello curiale, tutto al maschile, disabituato ad amare e a lasciarsi governare dalle emozioni, a gestire i sentimenti: manca, sì, al loro interno la generosità e la praticità d'una mano femminile che da sempre ha gestito nel mondo secolare i supremi momenti dell'umano: la nascita e la morte. Aleggia nell'aria quasi sempre l'affermazione del frate Mansueto, in Eccleston: Nessuna morte è più miserabile di quella d'un papa. Se ne accorse anche il pur critico verso il papato Stendhal, alla morte di Leone XII, che egli segue da Roma, trafitto dal sadismo di fondo della città che doveva essere superpapalina verso il suo sovrano, ma che invece ne desidera la morte; offeso e addolorato dall'indifferenza e dall'irriverenza degli stessi cattolici romani verso il Vicario di Cristo, persino nel momento della sepoltura; sanguina Stendhal di pena e di indignazione... non sembra capire questo rapporto immaturo e distruttivo fra un popolo e il suo padre spirituale e temporale; è stordito dall'eccesso di pompa e d'onori che esalta il papa vivo e vegeto e lo squallore in cui viene precipitato quando è al declino, proprio nel momento che gli si dovrebbe essere più vicini. Non riesce a non essere ossessionato dall'immagine di un uomo neppure tanto vecchio, malato e senza famiglia, solo, in mano a soli uomini d'apparato, che pensano già al dopo. E Stendhal il critico del papato denuncia il suo stato d'animo, la sua pena per un papa, un “povero vecchio” così trattato, e lo fa nei salotti romani dell'aristocrazia ora appena illuminata ora reazionaria, e “superpapista” in ogni caso, che gli replica però con sarcasmo, con scetticismo. Con suprema indifferenza. Con ferocia tutta romana, cortigiana, curiale, “superpapalina”. Tutta maschile! Annota Stendhal in data 5 febbraio, mentre si trova in un salotto mondano: <<... Si è prodotto un silenzio profondo abbastanza singolare per un ballo [...] Monsignor N*** ha avuto la bontà di venire a informarmi, dopo qualche istante, che Leone XII era gravemente ammalato. Questa notizia ha circolato di gruppo in gruppo [...] Infine, dopo che due o tre spioni erano usciti, la padrona di casa non ha potuto trattenersi più a lungo, e ha detto a voce alta: il papa sta morendo. E' seguita una discussione di argomento medico chirurgico che mi ha disgustato. Era troppo evidente che oguno desiderava la morte di quel povero vecchio. Nessuno confessava apertamente questo desiderio, ma si insisteva sulla gravità dei sintomi della stranguria di cui il papa soffriva molto da due ore [...] Un povero vecchio solo, senza famiglia, abbandonato nel suo letto alle cure di gente che ieri lo adulava bassamente e che oggi lo esecra e desidera apertamente la sua morte, è un'immagine troppo brutta per me. Mi hanno preso in giro per la mia sensibilità, mi hanno accusato di affettazione, mi hanno ricordato gli uomini che i pregiudizi del papa moribondo hanno mandato al supplizio. Ma non ho potuto vedere che l'uomo sofferente e abbandonato da tutti>>. Sempre Stendhal in data 9 febbraio 1829, scrive: <<Leone XII ha ricevuto il viatico, che gli è stato amministrato dal suo cameriere segreto. Molti dicono che il papa sta peggio; altri sostengono che il particolare del viatico non significa niente: Leone XII è molto religioso e lo ha ricevuto già 19 volte, a conti fatti [...] In ogni casa, dopo aver commentato le ultime notizie, si discute l'importante questione: Chi sarà papa? [...] Ho potuto sondare tutta la profondità tenebrosa del carattere italiano>>23.

I PAPI DINANZI ALLA MORTE. Si potrebbe immaginare per un Vicario di Cristo, un atteggiamento sereno di fronte alla morte, momento tremendo e glorioso, di Verità suprema, un abbandono alla volontà del Padre (che dovrebbe aver conseguito per tutta la vita), sfuggendo alla regola dell'attaccamento alla vita terrena dei comuni mortali; se non altro almeno i papi avere una visione pasquale dell'avvenimento: le uniche parole che si vorrebbero pensare, l'anelito che si vorrebbe scorgere sulle loro labbra è un ...E finalmente vedrò il Tuo Volto!, pieno di curiosità e speranza cristiana. Non sempre fu così. Molti si sforzarono. Altri si rassegnarono. Certi quasi impazzirono all'idea. Taluni si ribellarono e tentarono di resistere e negare l'evidenza fino alla fine. Ci fu chi si rifugiò finalmente nella preghiera e chi fra i medici di corte; chi volle governare fino alla fine e chi sentì in hora mortis il totale distacco dalle cose di questo mondo; chi pensò alla salvezza dell'anima e chi a quella del patrimonio.

Già nelle Vite di Pasquale II, Gelasio II, Callisto II nella prima metà del secolo XI si fa cenno alla loro morte “cristiana” e tendenzialmente esemplare; questi pontefici cercano con molta devozione prima di spirare tutti i conforti sacramentali, e infatti Callisto, è scritto, “si era addormentato nel Signore”. Certo non trascurano di convocare al capezzale molti dignitari e “fratelli”, per le necessarie raccomandazioni. Niccolo III morendo nel 1278 convocò nel castello di Soriano “al suo cospetto i cardinali e i curialisti dimoranti a Viterbo”; per il resto il Duecento tace quasi del tutto sull'argomento. Si dovrà attendere l'epilogo terreno di papa Benedetto XI nel 1304 per avere la prima cronaca completa di una agonia e morte papale. Gli atti che nella preparazione a questa morte si compiono sono quelli classici devozionali e istituzionali. Presenti i cardinali il papa chiede ed ottiene confessione e comunione; domanda quindi l'estrema unzione che con gran pietà il vescovo di Albano gli amministra; fa la professione solenne di fede, per sottolineare l'ortodossia del suo operato; esorta i cardinali all'armonia. Benedetto elegge in quelle ore la sua sepoltura, nel convento domenicano di Perugia. Poi si dedica completamente alle sue creature, i cardinali: ad essi riserva l'assoluzione da ogni scomunica, abuso e peccato. Seguono ulteriori disposizioni riguardo la familia e il proprio patrimonio fin da quand'era cardinale, comprendente anche la sua importante biblioteca, in linea con la tradizione duecentesca dei testamenti curiali e prelatizi 24. Sostiene Paravicini Bagliani che tutto questo potrebbe sembrare la scena della preparazione alla morte cristiana ideale, e di fatto lo è, ma soprattutto “corrisponde ad un momento di particolare importanza ecclesiologica oltre che spirituale”. E infatti due sono i momenti rituali che precedono il trapasso, uno privato e uno pubblico. Il papa è chiamato a confessare i suoi peccati. Anzi, per Pietro Ameil essendo il papa la luce di tutto l'universo, egli deve dare esempio a tutti i re e principi, laici e chierici, che ricorrono a Dio nella loro infermità e dispongono delle loro coscienze; così egli deve fare perchè è il capo di tutta la cristianità. Nello stesso momento però il papa deve raccomandare la Chiesa ai membri del Collegio cardinalizio. La preparazione alla morte perciò “è funzione pubblica che sancisce la responsabilità dei cardinali quali protagonisti istituzionali del trapasso della potestas papae25.

I papi del medioevo giungono in genere dinanzi alla morte con un spirito di rassegnazione, un fiat voluntas Tua, non esente tuttavia da una certa afflizione. Callisto III Borja a chi gli pronostica una fine imminente, pur essendo assai vecchio e malato risponde di non esserne per nulla sicuro, e tuttavia organizza un concistoro intorno al suo letto; 26 solo alla fine accetta di ricevere i sacramenti. Alessandro VI si confessò nell'ultimo giorno della sua vita al vescovo di Carinola e ricevette la comunione. Pio III Piccolomini, già nipote di Pio II è un uomo buono ma avanti negli anni, è moribondo già dopo pochi giorni di papato, riceve per ben due volte il viatico e quindi l'estrema unzione. 27 Leone X de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, più esteta e letterato che uomo di fede, eletto papa a 38 anni muore inaspettatamente a 48; dopo che è rinvenuto da un collasso accetta la confessione generale; riceve l'unzione, ma è troppo debole ormai per ricevere il viatico; bacia di continuo il crocifisso e muore pronunciando il nome di Gesù. 28 Pio IV nel 1565 fa celebrare la messa al suo capezzale, la segue con devozione e con grande intensità riceve comunione ed estrema unzione.29 Il gran Gregorio XIII è colto di sorpresa dalla morte, e fa in tempo a ricevere solamente l'estrema unzione, senza gli altri sacramenti.30 Sisto V Peretti, resistente e ostinato quanto la stessa morte, solo quando è ormai allo stremo si convince che non ci poteva fare più nulla e solo allora accettò di ricevere i sacramenti, ma per via del massiccio catarro dovette rinunciare alla comunione. Gregorio XV chiede più volte l'unzione e l'eucarestia. Urbano VIII Barberini, il gran papa barocco e mecenate raffinatissimo, benché si sia riservato ancora vivo la tomba (in realtà il più grandioso monumento funebre) nel più onorevole e vistoso punto della nuova basilica di San Pietro che egli ha inaugurato, accanto alla Cattedra, desidererebbe, dopo il record di 21 anni di papato, “vivere ancora due mesi per fare penitenza dei suoi peccati”, specie quelli di nepotismo senza inibizioni; 31 a un prelato domestico 32 che all'orecchio gli sussurra mentre sembra assopito l'assioma damianeo del non supererai gli anni di Pietro,33 ridestandosi immediatamente il vegliardo scandì un “non est de fide!”. “Conservò fino all'ultimo la freschezza di spirito”, conferma infatti il Pastor.34 A Innocenzo X Pamphilj che era stato un carattere iracondo e funesto, sanguigno al punto d'avere il volto sempre infiammato di rosso,35 nel momento finale “l'impetuosità si fece mansuetudine”. Alessandro VIII Ottoboni, giunto al papato a 79 anni, dopo che a lungo aveva brigato e sponsorizzato se stesso in conclave per farsi eleggere, ormai è ultraottantenne ma sveglio quanto mai; quando gli annunciano la fatale cancrena alla gamba, rassegnato dispone che gli si continuasse a leggere il decreto sugli articoli gallicani.36 Innocenzo XII Pignatelli, papa civile e costumato, amministratore serio e imparziale, esprime il desiderio in punto di morte, dopo aver fatto la comunione, di essere portato a spirare nella stessa stanza dove morì il da lui veneratissimo Innocenzo XI, e lì fa la confessione generale al suo confessore cappuccino.37 Clemente XI dopo 21 anni di regno con grande pietà si accosta prima di morire ai sacramenti, fa la confessione generale, domanda il viatico solenne che pieno di devozione riceve al suo letto.38 Benedetto XIII Orsini, a costo di non pochi danni politici per il suo stato, era totalmente prete, e tale rimase anche quando ormai anziano divenne papa e gli venne spontaneo governare la chiesa come fosse un parroco, “un papa” diceva “deve morire col piviale sulle spalle”; e all'incirca così fu per lui: l'ultimo giorno della sua vita assiste in ginocchio e a capo scoperto a tutta la messa che si è fatta celebrare in camera. 39 Pio VI Braschi in quel momento deteneva, con i suoi 24 anni e mezzo di pontificato, il primato dopo San Pietro, ma rapito da Roma era prigioniero di Napoleone in Francia: a ormai 82 anni è prostrato ma non avvinto, anzi vive in quei giorni di desolazione le ore più intense spiritualmente di tutta la sua vita altrimenti mondana; si dice disposto a fare la volontà di Dio, e se necessario anche un altro massacrante spostamento; con le ultime forze, già in agonia, si fa portare alla finestra della sua camera-prigione, sotto la quale i fedeli pregano per lui e si mostra in tutta la sua ormai povera e fragilissima persona, sollevando gli occhi al cielo, ormai per sé e per gli astanti imago Christi e passio vivente, mai come in quel momento -così come teorizzavano nel medioevo sul papa- Alter Christi pronuncia il suo “Ecce Homo!”. Il 27 agosto fa la professione di fede, riceve l'eucarestia; il giorno seguente riceve l'estrema unzione, stringe con forza la mano al clero presente e ai suoi persecutori rivolge un Signore, perdona loro, riceve l'indulgenza plenaria in articulo mortis; ha nella mano destra un crocifisso col quale impartisce ai presenti e al mondo la triplice benedizione, dopodichè spira. 40 Pio VII Chiaramonti, era stato abate a San Paolo fuori le Mura prima d'essere vescovo d'Imola e papa, ed era legato a quel luogo sacro; nell'agosto del 1823 andò a fuoco e bruciò tutta per giorni interi l'attigua basilica. Nessuno ebbe il coraggio di dare al vecchio papa che troppo già aveva sofferto con Napoleone, la disastrosa notizia che gli avrebbe spezzato il cuore: aveva superato ormai gli 81 anni, e poco prima cadendo nelle sue stanze si era fratturato il bacino. Non si era più ripreso. Appena le fiamme di San Paolo si furono spente, si spense anche <<quella vita sì pura, sì saggia, e in tante occasioni sì forte>> del papa Pio VII, il 20 di agosto alle 5 del mattino. La sera del 19 non era riuscito più a prendere cibo. Durante l'agonia rimase tranquillo fino al 18, poi cominciarono sofferenze maggiori: <<Il Papa, ne' suoi vaneggiamenti andava ripetendo le parole: Savona, Fontainebleau>>... ancora lo tormentavano i fantasmi del suo esilio, quelli erano i luoghi della sua prigionia sotto il tiranno corso. Ma furono i giorni anche della sua fortissima mansuetudine, della eroica resistenza passiva. <<Ma ben presto alterossi la sua voce, e da alcune desinenze di parole latine, che di quando in quando sentivansi, si poteva dedurre ch'era costantemente in orazione>>. 41<<Nelle quattro o cinque settimane che precedettero la sua morte era rimbambito>> chiosa al solito fuoriluogo lo Stendhal. 42

Dell'ultima agonia del successore, Leone XII, Stendhal, ci riporta procedure curiali e consuetudini popolari: dopo il viatico il cardinale Bernetti, che è segretario di Stato, informa che il papa è giunto pericolosamente vicino alla fine della sua viceda terrena, nell'ordine, il Decano del Sacro Collegio, il vicario generale del papa, il corpo diplomatico. Dunque il penitenziere maggiore, il cardinale Castiglioni che è destinato a succedergli, allertato dal Decano, entra nella stanza del papa e resta accanto al suo letto a offrirgli assistenza spirituale. Intanto il S.S. Sacramento è esposto nelle basiliche maggiori ove i fedeli si affollano per recitare le orazioni pro infirmo pontifice morti proximo. <<...Noi cerchiamo soprattutto di indovinare il pensiero del popolo. V'è anzitutto un pensiero che non voglio dire; poi la morte del papa e la nomina del successore sono per questo popolo un gioco, vale a dire ciò che vi è di più interessante al mondo... Sono persuaso che, se si mettesse in articoli separati tutto ciò che si deve fare per la creazione di un papa e per la sua morte, questo codice avrebbe più di duemila articoli->> Quindi aggiunge: << Stasera tutti i teatri sono stati chiusi. Dicono che il papa è caduto in un profondo stato di incoscienza. Nelle case meglio informate si dà la sua morte per certa. L'agitazione è al colmo, tutte le fisionomie sono mutate. E gl'italiani, che si trascinano in genere così lentamente nelle strade, oggi camminano velocemente, quasi come a Parigi>>. 43

Pio XI è pienamene consapevole che sta per morire, e del resto ha ormai 82 anni. Ma si rivolge, prega quasi, scongiura non Dio 44 ma l'archiatra Milani affinchè procrastini la sua vita di almeno 24 ore ancora, giusto il tempo di ultimare e pubblicare un documento misterioso... che doveva essere (così si disse poi) una condanna aperti verbis dei fascismi, del nazismo soprattutto e del suo paganesimo non più di fondo ma conclamato e rivendicato, già con la svastica sovrapposta alla croce e poi sostituita ad essa. Forse, si mormorò, era persino pronto a rescindere i Patti Lateranensi. Il papa morì comunque prima delle 24 ore richieste in condono, l'11 febbraio 1939 45. Naturalmente si parlò di avvelenamento, commissionato dal duce per mano di un presunto medico pontificio, il dott. Petacci, padre dell'amante di Mussolini.

Tuttavia il papa può morire improvvisamente, mentre è da solo, senza che nessuno se ne accorga. Succede a Paolo II Barbo nel 1471. Il cameriere si era momentaneamente congedato da lui, rimasto in camera da letto; rientrando lo ritrova precipitato sul pavimento, la bava alla bocca, che in fin di vita aveva cercato aiuto trascinandosi verso la porta e battendoci sopra: morirà poco dopo. 46

Quando in tempi passati, come detto, i papi morenti chiamano al proprio capezzale i cardinali e per lo più li istruisce su varie questioni, si raccomanda per il papa da eleggere, fa un discorso di addio, che spesso risultò commovente, chiede il loro perdono per le sue mancanze e durezze, li benedice tutti; l'atmosfera dai racconti risulta sempre rarefatta, gonfia di emozioni, i papi almeno in quella circostanza amabili ed edificanti quanto mai. Non tutti e non sempre, naturalmente. Così fu per Eugenio IV, infaticabile tessitore nel Concilio di Firenze: dedica l'ultima sua preghiera al successore, benedice tutti cardinali presenti che l'attorniano, poi i suoi occhi sono solo per il crocifisso, e fissandolo spira. 47 Pio II Todeschini Piccolomini è al porto di Ancona in attesa di imbarcarsi per andare alla crociata: era il sogno e il progetto, l'ossessione di tutta la sua vita; gli sarebbe piaciuto morire sul campo di battaglia contro l'infedele; purtroppo si sente venir meno proprio prima di partire; capisce che è la fine, ma sembra sereno, raccomanda agli otto cardinali presenti “la crociata della sua vita”.48 Pio V Ghislieri, il papa santo ed energico e con le idee in tutto chiare quant'altri mai, uomo dalla fede fulgida e tagliente come una spada, nella sua ultima preghiera dice “Signore, aumenta i miei dolori, ma anche la mia pazienza”. 49 Urbano VII è un'altra meteora, che tuttavia con l'onestà del suo spirito ha conquistato molti cuori, ma salito al trono già vecchio ha solo il tempo di ben morire: per la sua guarigione i romani fanno, cosa rara, un processione a cui partecipano in 30.000 fedeli, mentre il papa nella sua stanza da letto assiste alla messa: all'elevazione prova a sollevare la schiena come per inchinarsi, ma non ce la fa e ricade sul cuscino, incrocia le braccia e chiede l'estrema unzione; sul finire della messa finisce anche la sua vita. Gregorio XIV dal breve pontificato rientra negli esempi “classici”: ha i cardinali intorno al letto, chiede preghiere, perdono, dà tremante la mano da baciare con cui poi li benedice.50 Clemente XI Albani, uomo mite e retto, chiede scusa ai due cardinali che ha chiamato per demandagli commissioni, e al card. Albani dice: <<Mio caro nipote, vedi qui come terminiamo tutti gli onori di questo mondo. E' solo grande ciò che è grande presso Dio. Provati a diventare un santo>>.51 Il celebrato Benedetto XIV Lambertini, anche lui domanda ai cardinali perdono, per la sua impazienza specialmente, li esorta quindi all'armonia, li raccomanda nello scegliere il suo successore;52 con parole poco religiose e però consone al suo spirito disincantato e dall'eloquio laico benché anima religiosa e di dottrina raffinatissima e solida, prima di spirare, con una modestia che si rivelerà al caso suo poco profetica, dice: <<Adesso cado nell'oblio e nel dimenticatoio, l'unico posto che mi spetta>>.53 Spesso ai papi in punto di morte, con un certo sciacallaggio bisogna dire da parte degli astanti, si domandano grazie speciali: successe molte volte che dei cardinali invocassero dal papa la creazione di nuovi porporati, possibilmente di loro filiazione; Gregorio XV e Clemente XIV Ganganelli, ad esempio, opposero un estremo e secco “No!”; Paolo III Farnese invece minacciò lui medesimo, negli ultimi momenti della sua vita di crearne il doppio di quelli esistenti nel caso qualcuno avesse avuto idea di chiamare alla successione un determinato cardinale. 54

Non sempre però all'agonia è seguita la morte; spesso c'è stata un'improvvisa ripresa, creando no pochi imbarazzi. Succedeva che al precipitare della salute del papa la curia informava le corti europee, preannunciando il conclave imminente; intanto che i lentissimi corrieri dell'epoca recapitavano il messaggio, precipitando in una corsa forsennata verso Roma i cardinali esteri, il papa magari si era del tutto ripreso.55 Accadde al degnissimo e sventurato papa Clemente XI Albani, che un dispaccio alla corte di Vienna del 3.12.1720 dava prossimo al decesso; si ristabilì perfettamente; un anno dopo nel pieno delle sue funzioni saputo dei cardinali che allora si erano appressati a partire per il conclave, li prese in giro dicendo che quel giorno si sarebbe dovuta tenere l'omelia sul passo: << Le donne vennero al sepolcro con gli aromi, che avevano preparato>> ma lo trovarono vuoto.56 Ancora più paradossale la vicenda di Clemente XIII Rezzonico nel 1773, che è in gravissimo stato e ha ricevuto gli estremi sacramenti, e già si dispone per il conclave: purtroppo per i cardinali già in fermento, l'estrema unzione gli era stata data sei anni prima della morte vera. 57

Gregorio XI, cerca di non sprecare i momenti finali: ultimo papa francese, sente già le avvisaglie del grande scisma d'Occidente, cerca di sistemare la questione del conclave che dopo tanti anni deve svolgersi a Roma.58 Altri papi, al contrario di Gregorio XI, decidono un totale distacco ormai dalle cose di questo mondo e dagli affari del loro ufficio. Sono già col pensiero al di là, protesi verso l'Eterno. Innocenzo X Pamphilj, che prima di essere papa passò una vita da prelato piuttosto burocrate e tutto assorbito dall'amministrazione, per i giorni della fine triste che ebbe, tenne al cuore solo la salute della sua anima. Il beato Innocenzo XI Odescalchi, definito il papa più importante del suo secolo, uomo fermo ma equilibrato e dalla vita ascetica, continui i suoi digiuni, quando capisce che l'ultima ora è vicina tronca bruscamente ogni questione terrena e non vuol più sentir parlare d'affari: anche lui è tutto preoccupato ormai solo delle salute dell'anima; quando si sente venire del tutto meno, fa recitare le preghiere dei moribondi, bacia la croce, pronuncia la professione di fede e dopo sei ore di agonia spira: raccontano che nello stesso attimo crollassero tre archi del Colosseo.59 Buon amministratore e principe assiduo ai suoi doveri, papa Lambertini Benedetto XIV anche lui si congeda definitivamente da ogni affare estraneo allo spirito.60

Nelle ultime ore sembra che molti pontefici gradiscano solo la presenza del confessore e, se è il caso, del medico personale, spesso illustre e chiamato da altre città. Innocenzo XI dopo essersi confessato, vuole entrambi accanto al suo letto.61 Così Innocenzo XIII de' Conti nel 1724.62 Clemente XI si fa lasciare solo col confessore e si abbandona alla confessione generale.63

In questo primo spazio della camera, avviene la prima manipolazione e preparazione del cadavere papale, che è compito dei “Fratelli della Bolla”. Ma ne parleremo nell'apposito capitolo.

NOTE

1Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p.7

2 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.8

3 AA.VV., Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004 , p. 40; Paravicini Bagliani A., Il Corpo del papa, Torino 1994, p 165.

4 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.163.

5 Santolaria A.J., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, p. 71.

6 Non voleva vedere ombra viva quando passeggiava nei giardini; non ammetteva nessuno alla sua mensa solitaria; non ebbe mai amici, e dagli stessi parenti che riceveva tutti una volta l'anno si faceva dare del Vostra Santità e gli stessi si riferivano al congiunto qualificandolo come La Santità di N.S.. Cornwell J., Il papa di Hitler, La storia segreta di Pio XII, Milano 2000, soprattuto pp. 52-69, 482-516. Libro del tutto fuorviante dal punto di vista storiografico, che sostiene tesi per lo più infondate e -l'autore ne è consapevole- vecchie e stonate, già negate da una mole di documenti un tempo riservati; tuttavia contiene un ritratto della personalità e delle consuetudini del Pacelli di notevole aderenza al personaggio reale.

7 Tutta la vastissima bibliografia sulla vita di papa Pacelli, riporta questo pessimo episodio.

8 Santolaria A.J., Quando muore il papa, cit., pp. 69-71.

9 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.8. AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 40; Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 163. Moroni G., Le Cappelle papali, cardinalizie e prelatizie. Opera storico-liturgica, Venezia 1941, pp. 70, 73.

10 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 40.

11 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti Funebri, cit., p.8.

12 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.163.

13 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.71; nella biografia di Chiomenti Vassalli D., Donna Olimpia, o del nepotismo nel Seicento, Milano 1979, pp. 226-33, 235-40, vi si riportano esempi assai tristi di vere molestie verso il moribondo da parte di cortigiani e dignitari che in ogni modo cercavano in extremis di strappargli plebende, riconoscimenti, cariche, fino a rimproverarlo di ingratitudine e ridurlo, esasperato, alle lacrime.

14 Artaud de Montor, Storia di Pio VII, Milano 1865, III, p.273; Rinaldi R., Roma fra due repubbliche, al tempo el papa re (1798-1848), Roma 1991, pp.111-121, sono offerte delle ricostruzioni dei momenti della morte di Pio VII e dell'elezione e morte di Leone XII suo successore.

15 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti Funebri, cit., p.8.

16 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.8

17 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp.72-3.

18 Santolaria .J.A, Quando muore il papa, cit., p.72

19 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.163.

20 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.72.

21 L'evento è ricordato nella maggior parte delle biografie postume di Pio XII. Con maggiore profitto: Cornwell J. Il papa di Hitler, cit., pp. 511-15; Spinosa A., Pio XII l'ultimo papa, Milano 1993, pp. 369-72; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.72-3; Di Capua G., Pascalina, la dama nera di Pio XII, Valentano 1997, pp.159-62; Tornielli A., Pio XII, Eugenio Pacelli un uomo sul trono di Pietro, Milano 2007, pp. 564-70; Lai B., I segreti del Vaticano, da Pio XII a papa Wojtyla, Bari 1984, pp.3-5, 9-13, dove il grande vaticanista fu testimone diretto dell'orribile vicenda; Rendina C., Il Vaticano, storia e segreti, Roma 2005, pp. 275-6; Zeppegno e Bellegrandi, Guida ai misteri e piaceri del Vaticano, Milano 1974, pp.129-35; Falconi C., L'Uomo che non divenne papa; Una storia vaticana, Milano 1979, pp.202-21; con più attenzione al contesto dei giorni della fine di Pio XII, si può consultare Riccardi A., Il potere del papa, da Pio XII a Giovanni Paolo II, Bari-Roma 1993, pp.149-55.

22 Montini G.B., Lettere ai familiari, 2 voll, Brescia 1986, a cura di Nello Vian, I, pp.108,119; Cremona C., Paolo VI, Milano 1991, pp.71-2.

23 Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, II, pp.291-2.

24 Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85; IV, p.216 n.951.

25 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.165-6.

26 Pastor L., Storia dei papi, 16 voll, 20 tomi, Roma 1942, I, p.587.

27 Pastor L., Papi, cit., III, pp. 431-32

28 Pastor L., Papi, cit., IV, p.325

29 Pastor L., Papi, cit., VII, p.545

30 Pastor L., Papi, cit., IX, p.846

31 Falconi C., Storia dei Papi, 4 voll. Milano 1970, IV, pp.614-5.

32 Rendina C., I Papi, storia e segreti, Roma 1996, pp.559-60; per altri riferimenti bibliografici sull'aneddoto vedi in questa tesi il capitolo sui riti autoumiliatori.

33 25 anni si dice regnò Pietro; l'assioma dei successori che non potevano superare quel limite fu una teoria dura a morire ideata da san Pier Damiani, e rientrava nei riti “autoumiliatori” dei papi spiegati da Paravicini Bagliani A., Il Corpo del Papa; l'assioma nato nel XIII secolo sarà destinato a perdere forza con i lunghi pontificati del XVIII e XIX secolo, e a cadere definitivamente con Pio IX con i suoi 32 anni di pontificato. Per maggiori riferimenti, si rimanda la capitolo sui riti autoumiliatori.

34 Pastor L., Papi, cit., XIII, p. 895

35 Gigli G., Diario, citato in Falconi C., Papi, cit., IV, pp.632-3.

36 Pastor L., Papi, cit., XVI/2, p.406; per il conclave di Alessadro VIII si veda Falconi C., Papi, cit., IV, pp.691-4.

37 Pastor L., Papi, cit., XVI 2, p.507

38 Pastor L., Papi, cit., XV, p.406

39 Pastor L., Papi, cit., XV, p.634

40 Pastor L., Papi, cit., XVI.tomo 3, p.670

41 Artaud de Montor, Pio VII, cit., tomo III, pp.269-70

42 Stendhal, Passeggiate, cit., II, p.165

43 Stendhal, Passeggiate, cit., II, pp.292-3

44 E qui venne fuori il rigoroso uomo di scienza, di libri e di matematica qual era, prima che il sacerdote; un bel itratto intimo di Pio XI è quello scritto dal suo segretario privato, il futuro cardinale Carlo Confalonieri (che fu cardiale Decano alle morti di Paolo VI e Giovanni Paolo I dei quali presiedette le solenni esequie) Pio XI visto da vicino, Cinisiello Balsamo 1993, pp.201-72, che fa anche una precisa cronaca della sua agonia; guasta la per altri versi importante ricostruzione biografica, uno stile eccessivamente retorico e qualche esagerazione celebrativa. Da aggiungere che al contrario della credenza comune, l'archiatra pontificio non era il padre di Claretta amante di Mussolini, il dott. Petacci -benchè la sua famiglia lo spacciasse per tale-, bensì il prof. Aminta Milani; il Petacci figurava fra i medici pontifici per una qualche ragione non necessariamente scientifica, ma di fatto non aveva nessun preponderante ruolo nel salvagurdare la salute del pontefice. Le stesse memorie di Confalonieri, mai citano Petacci quale archiatra né medico del papa, ma sempre si riferiscono al Milani e a qualche altro clinico.

45 Cremona C., Paolo VI, cit., pp.142-4. Confalonieri C., Pio XI, cit., pp.22-58. Cornwell J., Il Papa di Hitler, cit., pp.297-8. Fabbretti N., I vescovi di Roma, Cinisiello Balsamo 1987, p.311.

46 Pastor, Papi, cit., II, p.385.

47 Pastor, Papi, cit., I, p.257.

48 Pastor, Papi, cit., II, p.252.

49 Pastor, Papi, cit., VIII, p.584.

50 Pastor, Papi, cit., X, p.557.

51 Pastor, Papi, cit., XV, p.406.

52 Pastor, Papi, cit., XVI, p.452.

53 Pastor, Papi, cit., XVI/1, p.452.

54 Pastor, Papi, cit., III, pp.566-70

55 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 42.

56 Pastor, Papi, cit, XV p.406.

57 Pastor, Papi, cit., XVI/1, p.483.

58 Pastor, Papi, cit., I, p.93.

59 Pastor, Papi, cit., XIV/2, pp.378-80.

60 Pastor, Papi, cit., XVI/1, p.452.

61 Pastor, Papi, cit., XIV/2, p.380.

62 Pastor, Papi, cit., XV, p.484.

63 Pastor, Papi, cit., XI, p.406.

Capitolo terzo
Morte e ricognizione del cadavere

1.Lavaggio e velatura

Il papa giace sul letto morto, il corpo ancora caldo. Da questo momento la camera appena svuotata inizia a riempirsi di nuovo. Fanno ingresso per primi i canonici penitenzieri (sono coloro che si occupano della confessione dei fedeli nella basilica vaticana) che si daranno il turno nel vegliare in una prima fase il corpo del papa, privilegio che la tradizione da secoli assegnava a loro e che essi gelosamente custodivano 1. I Penitenzieri, gli lavano il corpo con acque nanfe, cioè frammiste ad essenze erbacee, odorifere, o ricavate dalla distillazione dei fiori d’arancio 2. Nel suo cerimoniale tardo-trecentesco l'Ameil è molto preciso a proposito, ma diverge un po' dagli altri (specie per l'intervento cronologico dei vari personaggi -come il camerlengo- nelle diverse funzioni) cerimoniali: sono i frati della Bolla o della Pignotta che devono lavare la salma del papa con acqua calda e buone erbe preparate dai cubiculari; il barbiere gli raderà barba e capelli. Per il lavaggio del sacro corpo, l'apoticario e i frati della Bolla otterranno del vino bianco riscaldato dai bottiglieri pontifici o dai cubiculari frammisto ad erbe odorifere e vernaccia. Aggiunge l'Ameil che il camerlengo o il sacrista dovrà consegnargli il balsamo per ungere il corpo del papa e anche le mani. Il contrasto cronologico degli uffici del cerimoniale ameliano con gli altri cerimoniali -o meglio, lo stesso cerimoniale variamente modificato- è evidente: qui entra in funzione la figura del camerlengo in anticipo, prima del lavaggio della salma e della velatura; negli anni successivi farà ingresso solo dopo questi uffici; inoltre risulta da questo cerimoniale di fine Trecento che il papa è rivestito un'unica e definitiva volta, e degli abiti pontificali e non da coro, già nella camera di morte.3 Troviamo una sostanziale conferma di queste procedure, mantenute quasi inalterate, nei cerimonieri della prima età moderna. Alla morte di Sisto IV, lamentandosi della depredazione oltre che dei preziosi anche degli indumenti intimi e oggetti da toletta del defunto, il maestro cerimoniere Burcardo, ci fa sapere, dall'elenco di tutto quanto mancava, ciò che al papa di regola serviva per il lavaggio e l'intimo: <<Le altre masserizie, non fu prima il corpo fuori della camera, che furono trabalzate non so dove, poiché con tutta la diligenza che io feci non potei in due ore ritrovare il bacile od altro vaso, nel quale stasse il vino o l'acqua con l'erbe odorifere per lavare il papa, nemmeno uno sciugatore, né un paio di mutande, né una camicia, benché io chiedessi queste cose al cardinale di Perona non che ai camerieri e alli aiutanti di camera. Al fine il cuoco m'imprestò un catino di rame pieno di acqua calda nel quale egli soleva lavare i piatti della mensa del papa, ed il barbiere mandò alla sua bottega per un bacile. Poiché fu lavato, non avendo con che rasciugarlo, bisognò servirsi della camicia con la quale era morto. Così gli rimisi ancora le medesime mutande che aveva quando morì, né ritrovandosi altra camicia, gli posi il camice sulle carni...>> 4 .

A proposito di barbieri e bottiglieri, Paravicini riporta una divertente raccomandazione dell'Ameil: <<Il barbiere del papa defunto non deve riprendere la cassetta contenente i rasoi e la bacinella d'argento [con cui ha raso il cadavere], ma il nuovo papa dovrà consegnargli 10 o 12 fiorini. La bacinella deve sempre rimanere nella camera del papa con i rasoi e i tovaglioli. Si tratta di oggetti personali, gli ultimi ad aver toccato il corpo del papa defunto, cui il barbiere aveva raso il capo e la barba. Un secondo articolo precisa che qualora i panettieri e bottiglieri del papa desiderino ottenere le tovaglie sulle quali il papa avrà mangiato per l'ultima volta e le botti dalle quali avrà bevuto l'ultima volta, queste non dovranno essere loro consegnate, perchè hanno i loro stipendi. Essi le potranno ottenere soltanto in caso contrario. Gli oggetti che hanno toccato il corpo del papa vengono quindi trasferiti all'istituzione contro il pagamento di un onorario, la gagia>>5.

E qui entra in funzione la figura che d’ora in poi sarà centrale in questo rito di passaggio da un vecchio a un nuovo pontificato (per poi ritornare, trascorso il tutto, nell’ombra): il Prefetto o Maestro delle Cerimonie 6. Il quale manda a chiamare colui che, sulla carta, alla morte del pontefice resta la più alta autorità della Chiesa, il camerlengo. In attesa del camerlengo che ne ufficializzerà la scomparsa, dopo la toletta, il Decano dei Camerieri Segreti Partecipanti copre con un velo di seta bianca il volto dell'augusto defunto. Nel mentre, o nella cappella privata dell'appartamento pontificio o presso un altare improvvisato nella camera del defunto, un prelato inaugura il ciclo di messe da requiem che d'ora in poi si celebreranno ininterrottamente per ore, officiando a turno i cardinali, i vescovi e i prelati più intimi del papa morto, in un grande sforzo di suffragio e misericordia verso il loro Signore che li ha preceduti nell'ultimo viaggio. Dopo questa prima composizione del cadavere, pare che un tempo si provvedeva a ricoprirlo fino al mento con un vasto drappo 7 di seta rossa, come fosse un lenzuolo, lasciando scoperte solo le braccia che nelle mani stringevano un crocefisso e un rosario. Alla mano destra è inserito l'anello piscatorio (non si specifica se è l'anello pontificale o piscatorio, propendiamo per quest'ultimo dal momento che servirà di lì a poco per essere sfilato e reso invalido dal camerlengo) simbolo della sua giurisdizione ancora effettiva finché il camerlengo non dichiarerà ufficialmente l'autenticità della morte del romano pontefice, e quindi lo priverà dell'anello piscatorio a suggello dell'avvenuto trapasso della potestas papae. Il volto resta velato. Ai quattro lati del letto del papa sono accesi grossi ceri inseriti in possenti candelabri, in genere due o quattro. Un vaso argenteo con acqua benedetta è collocato ai piedi del letto: gli alti prelati che visiteranno la salma potranno completare la loro preghiera di suffragio davanti il defunto con l'aspersione della salma8. La porta della camera viene aperta e si lascia entrare la guardia nobile in alta uniforme da cerimonia con elmi dorati, “che dopo essersi militarmente schierata con uno schiocco di tacchi, si situano a ciascun lato del capezzale con le spade sguainate” 9.

2. Il camerlengo

E' il momento del camerlengo 10. Questi vestito colore “pavonazzo” (violaceo, segno del suo lutto), scortato da un distaccamento di alabardieri degli Svizzeri, e accompagnato dai membri del Tribunale e dai Chierici della Camera apostolica, che in quest’occasione mesta in segno di lutto indossano l’abito nero con rocchetto “liscio” cioè senza merletto, “giunge al Palazzo apostolico, ne prende possesso e dà incarico di far l’inventario di ciò che vi si trova”. In sua assenza svolge le sue funzioni il cardinale Decano 11. Nel cerimoniale dell'Ameil il camerlengo 12 ha una notevole rilevanza e potenza. Ma Patrizi Piccolomini, dopo un secolo, ne ridimensiona la portata in favore di un potere diffuso fra il collegio cardinalizio: tocca ai principi della chiesa commissionare gli inventari dei beni papali situati nel palazzo, e prima ancora che il papa sia spirato; così disponendo il Piccolomini subordina la figura del camerlengo, privandolo del “diritto d'iniziativa”. Oltretutto il cerimoniere mette in posizione strategica il sacro collegio in ognuna delle fasi delle ritualità per la morte e sepoltura del romano pontefice; non è un caso che lo stesso riferendosi ai cardinali li citi come summi viri o membri del senatus. È emblematico che i cardinali, nel periodo di vacanza dovevano inviare le loro missive a principi e potentati usando “lo stile apostolico”, cioè presentarsi nell'intestazione come se i mittenti “fossero il papa” stesso. I cardinali avranno l'onere di stabilire quando si deve dare inizio alle esequie novendiali del pontefice; nelle quali, è bene notare, Piccolomini stabilisce la regola che i cantori durante la novena hanno il dovere di voltarsi verso il chorum cardinalium; inoltre, a riprova dell'alta autorità dei cardinali in questo frangente, le candele intorno al catafalco del papa devono essere spente, e accese solo quando un porporato si reca per celebrare la messa. A loro, sottolinea Piccolomini, è data la piena responsabilità del Palazzo Apostolico alla morte del papa, e per questa devono assicurarlo contro ogni probabile insulto da parte del popolo romano “qualora il papa morisse a Roma”: questa ultima specificazione la dice lunga sulla fama dei romani e su quanto fosse temuta. Queste definizioni non si riscontrano nell'Ameil invece, ma al suo tempo si era reduci dalla lunga cattività avignonese, dove furono del tutto assenti saccheggi e rivolte popolari al decesso del papa 13.

Ma torniamo indietro, al momento d'ingresso del camerlengo nella camera dove il papa è morto. Quindi dal Maestro di Camera, il camerlengo “viene introdotto nella camera mortuaria, ove, genuflettendosi sopra un cuscino violaceo, fa breve orazione”14. “Nella camera del defunto ha luogo il formale riconoscimento della morte” annota il Moroni, autore del famoso dizionario di cose ecclesiastiche 15. In data 10 febbraio 1829 è spirato Leone XII, e Stendhal scrive: <<Il cardinale Galeffi, camerlengo, ha riunito il tribunale della Reverenda Camera apostolica, e all'una del pomeriggio è entrato nella camera del defunto papa. Dopo ua breve preghiera, si è avvicinato al letto; è stato sollevato il velo che copriva la testa del defunto, e il camerlengo ha riconosciuto il corpo; quindi monsignor Maestro di Camera gli ha consegnato l'anello piscatorio. Alla uscita dal Vaticano, il camerlengo, che rappresenta ora il sovrano, è stato scortato dalla guardia svizzera, che indossava la divisa di gala... Gli sono stati resi al passaggio tutti gli onori militari>> 16.

Istituendo il conclave nel 1274 il magnifico papa Gregorio X, così delineava il profilo del camerlengo alla morte del papa: <<Che tutto resti sotto la guardia di colui alla cui fedeltà e diligenza è stata affidata la carica Apostolica>>. Il potere del papa, anche alla sua morte rimase sempre intrasferibile, serbato integro solo per il suo successore17. Però per giungere ad una successione vi erano una quantità di uffici da compiere e un certo numero di uffici da tenere in carica per questioni urgenti e necessarie (dipende dal periodo), specie finché vi fu il potere temporale: appunto gestire la morte del papa, mantenere l'ordine pubblico, salvaguardare l'integrità e intangibilità della potestà papale da abusi per consegnarla al successore, organizzare la legittima successione. Era l'ordinaria, per quanto straordinaria, amministrazione. Ed erano cose che non potevano avvenire e ricrearsi da sole, senza una forma di autorità che provvisoriamente facesse le veci del papa, seppur alimentandosi solo delle briciole di potestas papae che gli erano concesse invariabilmente18. Questi elementi di autorità, al momento della constatazione della morte del papa, sono spartiti fra molte figure di prelati e porporati curiali, ma fra questi primeggia il cardinale camerlengo. E del resto il suo non solo è uno dei pochi uffici che non decade in automatico con la morte del papa, ma è l'unico che esiste proprio in attesa di questo evento ferale19. Alla morte di Pio VII, così Artaud de Montor, che è testimone diretto in quelle giornate del 1823, tratteggia l'affaccendarsi del camerlengo : <<Il cardinale camerlingo, dopo aver compiuto i suoi atti nel Quirinale, tornò al proprio palazzo scortato dalla guardia svizzera; di cui un drappello dovea precederlo ed un altro tenergli dietro ogni volta uscisse al pubblico prima dell'apertura del conclave. La morte di S.Santità lo metteva al possesso degli onori dovuti al Capo dello Stato sino a quel punto. Il denaro coniato durante l'interregno doveva portare i suoi stemmi. Interveniva alle funzioni pubbliche affidate alla Congregazione detta dei Capi d'ordine, composta dal decano dei cardinali vescovi-suburbicari, del decano de' cardinali-preti e del dacano de' cardinali-diaconi, e quindi del secondo vescovo, secondo prete e secondo diacono, e così successivamente, finchè tutti, conformemente alle regole, fossero stati alla loro volta chiamati di tre in tre giorni nel loro ordine rispettivo. Questa congregazione, il 21 agosto, componevasi dei cardinali Della Somaglia, Fesch e Consalvi. Quest'ultimo rappresentava il decano de' diaconi 20 in assenza del cardinale Fabrizio Ruffo>> 20bis. Stendhal con la solita approssimazione così ne tratteggia invece il ruolo verso il 1830, alla morte di Leone XII: <<Il camerlengo è chiamato così perchè è a capo della camera apostolica, o delle finanze dello Stato. Il giorno in cui muore il papa, la sua autorità diviene immensa [...] Al tempo dei potenti cardinali nipoti, erano loro di solito i camerlenghi>>. Il magistrato e intellettuale francesce De Brosses, di stanza a Roma, alla morte di Clemente XII nel 1740, del fiscale camerlengo Annibale Albani annota: <<Il camerlengo comanda da sovrano durante la sede vacante. Per qualche giorno ha diritto a coniare moneta col suo nome e a suo vantaggio. Il camerlengo Albani ha fatto dire al direttore della zecca che, se entro tre giorni non avrà fatto fabbricare monete per una certa somma, molto considerevole, lo farà impiccare. Il direttore si guarderà bene dal mancare al suo impegno: questo terribile camelengo è un uomo di parola>> 21.

Egli si trova, scrive nel 1929 il Vercesi a proposito del camerlengo Pecciinvestito della suprema giurisdizione e ed autorità nell'interregno”. E aggiunge che per secoli i romani avvertirono questa figura che improvvisamente giganteggia e altrettanto celermente si inabissa come un'eclissi totale, come il rappresentante provvisorio di una autorità comunque suprema22 . Durante la sede vacante, conferma che persino batteva moneta con le sue armi. Muovendosi per Roma la guardia pontificia scortava il suo treno di gala (corteo di carrozze da parata). Ma nel 1878, alla morte di Pio IX, il camerlengo Pecci interruppe molto bruscamente questa usanza, consapevole d'essere il primo camerlengo a gestire un interim di una sovranità spogliata (oltretutto avrebbe dovuto scarrozzare per le strade di una città che non era più del papa ma dell'Italia e dei Savoia) 23. E tuttavia, si notò, il suo ufficio “guadagnava in importanza ciò che perdeva in splendore”. In quel momento, fra gli strascichi ancora fumanti della questione romana, era una responsabilità grossa quella del camerlengo Pecci: le leggi anteriori e le istituzioni di Pio IX lo obbligavano a preparare il conclave e proteggerne la libertà, e se il caso riunirlo fuori dall'Italia. Era una questione con implicazioni politiche e religiose enormi, potenzialmente esplosive. Ed era nelle mani del camerlengo. S'avviava ad essere una figura di prima grandezza la sua 24. Insomma, “a lui spetterà il governo interino della sede vacante, per quanto attiene ai beni e ai diritti temporali della Santa Sede per il tramite della Reverenda Camera Apostolica, della quale è a capo e da cui gli viene appunto il nome di Camerlengo” 25. Un altro particolare: il camerlengo al contrario degli altri prelati della curia, alla morte del papa, non copriva il suo rocchetto con la mantelletta ch'era d'obbligo a Roma, ma portava soltanto la mozzetta 26.

Facendo un salto indietro, verso il primo cerimoniale esequiale completo, quello dell'Ameil, che delinea alcune altre funzioni del camerlengo, vi si stabilisce che di fatto ne ha due, una privata e una pubblica. Ad esempio ha il dovere di proteggere i bona pape da qualsiasi insultum e ha facoltà per la durata della vacanza d'abitare la camera del pontefice assieme ai suoi familiares. Quando il cadavere del papa lascerà la camera privata per essere deposto in cappella, il camerlengo dovrà ricevere in consegna tutte le chiavi che custodivano fino a quel momento i cubiculari; chiamerà allora tutti i cardinali priori dei tre ordini, e in ordine d'anzianità (non specifica se di nomina o d'anagrafe), e ad essi consegnerà i preziosi e gioielli del papa, insieme agli inventari. “Solo il sacrista non deve farlo, perché l'ufficio è perpetuo” e potrà mantenere le sue chiavi27.

3. Rito del martelletto

É il primo compito del camerlengo, assistito dal Vicecamerlengo 28. Gli Aiutanti di Camera (o camerieri) vestiti di scarlatto, a un cenno del camerlengo, sollevano il velo che nasconde il volto del Romano Pontefice; “ed allora il Camerlengo s’avvicina al letto e con un martellino d’argento percuote la fronte del morto a tre differenti riprese e molto distanziate”, chiamandolo, e in lingua volgare, ad alta ed vigorosa voce col suo nome di battesimo. Rimanendo le tre chiamate dopo un minuto senza risposta, il Camerlengo, rivolto agli astanti, dice: <<Vere papa mortuus est!>>. Quindi coi suddetti prelati, in ginocchio, recita ad alta voce il salmo De Profundis, con l’orazione Absolve ecc., ed asperge il cadavere d’acqua benedetta”. 29

E' bene soffermarsi su questa procedura piuttosto impressionante, che di preciso non si sa quando ha avuto inizio e fine. Di certo è il più conosciuto e al contempo sconosciuto dei riti che si attuavano in morte del papa, e in ogni epoca ha stimolato la fantasia di fedeli, diaristi, storici, giornalisti, e molti a tutt'oggi credono -o vogliono credere- sia ancora in voga: negli ultimi decessi papali, non è stato raro il caso di articolisti che hanno descritto un simile arcaico e macabro rito come praticato sui vari Paolo VI e Giovanni Paolo II, scambiando la loro immaginazione drammatica e i precedenti storici con la realtà più scarna dei fatti. Sta di fatto che scorrendo le innumerevoli biografie e gli articoli di giornale che si soffermano sulla morte di ognuno dei papi degli ultimi due secoli ritroviamo spesso descritto, e magari con dovizia di particolari, questo Rito del Martelletto. Cerchiamo di chiarire la questione.

Il dato certo è che nella sagrestia pontificia si conserva ancora un tale martellino in argento. Nella celebre mostra tenuta al Laterano nel 2007, intitolata Habemus Papam, su tutto quanto riguardava la morte e l'elezione del papa, un esemplare era lì esposto, e si può adesso ammirare nel catalogo della esposizione. Era classificato precisamente come Martello funebre per la verifica della morte del Papa.30 Spettava usarlo, si chiariva, al camerlengo dal momento che alla morte del pontefice toccava a lui il compito di constatarne giuridicamente il decesso, alla presenza del maestro cerimoniere, prelati domestici, segretario e cancelliere della Camera apostolica, il quale stendeva l'atto autentico della morte. Si aggiungeva, però, che il rito, a lungo contemplato come premessa alla dichiarazione ufficiale di morte del papa, era stato soppresso da molti anni (parola discutibile, perchè tale atto di cassazione non ci risulta ufficialmente scritto da nessuna parte). Ma fino a oltre un secolo fa, solo quando il camerlengo, dopo aver usato il martelletto, pronunciava le parole il Papa è realmente morto (Vere papa mortuus est), il pontefice era considerato tale anche formalmente e si procedeva di conseguenza con gli atti ufficiali, e all'istante decadevano tutti gli uffici curiali salvo alcuni. Il martello superstite in questione è descritto come molto semplice e costituito da un battente di argento dorato innestato su un manico di legno d'ebano. È lo stesso che oggi si può ammirare nella Sacrestia Pontificia, dove fu trasferito nel 1892 alla morte dell'ultimo segretario di Stato di Pio IX, card. Giovanni Simeoni (1876-78, succeduto al cardinale Antonelli, morto nel 1976), che sembra, da un inventario del 1906, esserne stato il proprietario. 31

Ma perché, non si sa bene quando, si ritenne utile introdurlo? Il fine era pratico, diagnostico: in passato non esistendo le tecnologie mediche attuali, non sempre si avevano strumenti efficacissimi per dileguare dubbi circa la realtà di un decesso e il momento esatto di esso, o per distinguerlo da uno stato comatoso e di morte apparente o catalessi. Nelle morti importanti, che comportavano tante e tali modifiche giuridiche e politiche sino alla cessione e trasmissione della stessa sovranità, un errore in questo ambito non avrebbe causato solo imbarazzo, ma creato una situazione rischiosa. I metodi in voga erano talora aleatori: si accostava uno specchietto alle narici del presunto defunto per vedere se s'appannava con un respiro magari residuale, oppure ci si affidava allo stesso modo alla fiammella di una candela... fosse scossa da un sospiro. Il metodo del martelletto risultò il più efficace, ma non per questo, ci risulta, qualcuno ha mai risposto alla chiamata. Tuttavia con quel piccolo trauma sulla fronte del defunto ci si aspettava che in caso di morte apparente questo si risvegliasse: <<Giovanni Maria sei tu veramente morto?>> fu chiesto l'ultima volta che se e fece uso. Giovanni Maria non rispose.32

Dunque quando fu veramente usato per l'ultima volta e perchè somparse d'improvviso dal cerimoniale?

Resta certificato negli atti ufficiali di ricognizione stesi dai protonotari pontifici che il camerlengo di S.R.C. alla morte di Pio IX, il cardinale Gioacchino Pecci, guardacaso destinato immediatamente a succedergli, fu l'ultimo in maniera documentata a fare uso del rito del Martelletto sulla fronte di papa Mastai 33, e il nome di battesimo di “Giovanni Maria” fu, dopo secoli di ininterrotta consuetudine, l'ultimo a risuonare, e in lingua italiana, nel luogo di morte di un papa; il ferale “Vere papa mortuus est!” uscì per l'ultima volta dalla bocca di Gioacchino Pecci, nel 1878. Ma il libro ufficiale della editrice vaticana sulla sede vacante premette un “le cronache descrivono l'uso che ne ha fatto probabilmente per l'ultima volta almeno con l'assenso degli addetti al cerimoniale, il card. Pecci”.34 Alla morte dello stesso ex camerlengo divenuto Leone XIII, nel luglio 1903, il tradizionale rito fu di netto sorvolato. Così pare. Un po' per i motivi che abbiamo premesso, un po' perchè a questi se ne aggiunse un altro anomalo ma insormontabile: in quel momento il Decano del Sacro Collegio e al contempo, eccezionalmente, camerlengo di S.R.C., quindi colui che doveva svolgere il grosso degli uffici funebri pontifici, è un antico porporato piemontese, il cardinale Luigi Oreglia di S.Stefano. Il personaggio è rigido, famoso a tutti per il pessimo carattere incline ad attaccar gelidamente briga su tutto, impuntarsi anche su cose veniali, manifestare disprezzo per ognuno non escluso i papi: non gliene andava bene una, e a tutto e a tutti rispondeva col solito monosillabo “No!”. Fu questa la ragione che lo tenne piuttosto isolato -si isolò sdegnato da solo e lo isolarono seccati gli altri-, figura marginale nel gran giogo curiale, specie negli anni dell'estrema vecchiezza di Leone. 35 Se dovessimo cercare quindi il responsabile materiale della scomparsa di questo affascinante e sinistro rito, ebbene, oltre al progresso scientifico, non possiamo che pensare al nome del terribile e ispido cardinal Oreglia, che com'era suo stile, insofferente di piccole leziose imposizioni che non capiva e non voleva capire (e dava il peggio di sé quando qualcuno, magari per suo ufficio, s'aspettava che egli facesse o rispettasse un certo cavillo o qualsiasi cosa politically correct, diremmo oggi), in men che non si dica mandò in fumo una tradizione secolare, creando col suo arbitrio un precedente grave nell'antico e tuttavia assai delicato e complesso cerimoniale della chiesa cattolica. Comunque vi è la testimonianza scritta di un intellettuale dell'epoca abbastanza informato, Ernesto Masi, che scrive che alla morte di Leone “secondo il rito, il camerlengo s'è inginocchiato 36 dinanzi al letto; l'ha chiamato per tre volte, non pel suo nome di papa, ma quello di battesimo: Gioachino, Gioachino, Gioachino; gli ha battuto per tre volte sulla fronte col martello d'argento... Nessun moto; nessuna risposta. Leone XIII è morto” 37. Non si sa se Masi riporta un simile fatto per la forza dell'inerzia del sentito dire e del siccome si è fatto sempre così, o se magari si è davvero andato a informare sugli eventi: il particolare di descrivere il camerlengo in ginocchio durante il rito ci spinge verso la prima ipotesi, probabilmente non è testimone di nulla ma fa facili deduzioni. Né si può trascurare che nel dettagliatissimo e lezioso diario dell'agonia e morte di Leone XIII, il Pierconti che nulla trascura, quando arriva ad annotare della ricognizione del cadavere del papa appena deceduto, assolutamente non accenna ad alcun martelletto.

Fatto sta che il rito del martelletto scomparve. Nessuno lo stabilì canonicamente. Semplicemente si verificò il caso che qualcuno motu proprio interruppe la tradizione. E questa volta non fu un papa 38 ma un cardinale a stabilire la deroga; ma lo stabilì per quella circostanza, non voleva condizionare né implicitamente né esplicitamente gli altri camerlenghi a venire. E tuttavia per il citato criterio del precedente presago di effetti futuri durevoli che nella chiesa sempre è stato in voga, quel gesto arbitrario (ma di fatto raccordato ai tempi) ha segnato la fine di questo ufficio al contempo macabro e regale 39. Aveva ragione il beato card. Schunster, quando diceva a proposito della chiesa e della sua complessità cerimoniale “Spezzate un solo filo di un merletto e tutto verrà giù”.

La storia non finisce del tutto qui, ha degli strascichi. Si racconta infatti che nel 1939, alla morte di papa Pio XI, qualche cameriere segreto o lo stesso cerimoniere 40 tentò di ristabilire la desueta tradizione e porse il martelletto al camerlengo Eugenio Pacelli, anche egli come Pecci a suo tempo, destinato a succedere al papa appena defunto, spiegandone l'utilizzo. Pacelli rimirò un attimo l'attrezzo, e forse per paura del ridicolo, essendo evidente a tutti, medici (moderni!) compresi, l'effettivo decesso del papa lì giacente -ottantaduenne oltretutto- e completamente ingiustificato e fuori dal tempo e dal mondo ormai un simile metodo, con aria scettica domandò ai presenti “Vi sembra proprio il caso?”, e lo restituì. Da allora non se ne parlò più. 41. Un altro studioso dice che dopo la morte di Pio IX “la cerimonia del martelletto cadde in disuso perchè omessa dai camerlenghi Oreglia, Gasparri, Pacelli e Tisserant (che in realtà era solo Decano facente funzioni di camerlengo)” e aggiunge “per venire definitivamente abolita da Giovanni XXIII”. 42

Ciò non toglie che, come detto, giornalisti e saggisti si siano profusi nei loro scritti a parlare senza nulla tralasciare su questo rito in morte del papa. Persino quando da anni era caduto in disuso. Immaginandoselo forse, in buona fede dandolo per scontato, un evidente falso se descritto intorno alla salma di Paolo VI, papa oltretutto della riforma liturgica. E tuttavia a qualcuno è riuscita una descrizione perfetta, assai simile a come doveva essere stato in passato: ha saputo ricrearne l'atmosfera. E' il caso dei giornalisti investigativi americani Morgan-Witts e Thomas che nel loro libro Dentro Il Vaticano basato su una mole di confidenze riservate (così dicono) e non di personale laico e prelatizio dei palazzi apostolici, così descrivono il presunto rito del Martelletto sulla salma di Paolo VI: <<Villot 43 non è più soltanto segretario di Stato (in realtà a norma del codice canonico, spirato il papa ha cessato immediatamente la sua funzione), ora è anche il Camerlengo [...]. A Villot toccherà dirigere i preparativi per il funerale e diramare gli inviti ufficiali. Ma prima di ogni altra cosa, deve attendere ad un rituale sacro. Villot si avvicina alla sua valigetta, consapevole di avere tutti gli occhi puntati addosso. Estrae il piccolo martello d'argento e ritorna accanto al corpo inerte. Usando il martello batte lievemente sulla fronte di Paolo e, con voce possente mai udita prima, Villot formula una domanda che da secoli viene posta alle salme dei papi. Giovanni Battista Enrico Antonio Maria 44, sei tu morto? Attende un minuto intero senza ottenere risposta. Poi ripete il gesto e la domanda. Dopo un altro minuto completa il rituale una terza volta. Quindi si volta, senza rivolgersi a qualcuno in particolare. Papa Paolo è veramente morto!>> 45. Pochi giorni dopo la scena si sarebbe ripetuta per il successore, morto dopo 33 giorni di pontificato, Giovanni Paolo I, e ancora per mano del porporato francese, che era rimasto camerlengo: <<Villot si piega e apre la borsa. Quando si alza ha tra le mani il minuscolo martello d'argento che Magee 46 gli aveva visto prendere la volta precedente nella camera da letto di Paolo VI a Castel Gandolfo. Villot si ferma accanto al corpo e toglie attentamente gli occhiali di Gianpaolo. Li piega e li poggia sul tavolo accanto al letto. Poi, proprio come fece con Paolo, Villot, con il martello, dà un colpetto sulla fronte del papa e chiede solennemente se egli è veramente morto. Dopo aver rivolto la domanda per tre volte e non avendo ricevuto nessuna risposta, informa i presenti, secondo il rito della Santa Chiesa Romana Cattolica e Apostolica, che Albino Luciani è morto. Ripone il martello nella borsa, la chiude>> 47.Una considerazione è necessaria in quest'ultimo caso.

Ora è vero che, almeno un tempo, il battere il martelletto sulla fronte poteva avere una finalità diciamo di verifica diagnostica, ma il suo significato e la sua utilità principali erano soprattutto diventate di natura giuridica e retorica: stabilire e ufficializzare formalmente e pubblicamente l'avvenuto decesso del papa. Per far ciò occorreva l'assistenza di un selezionato pubblico curiale. Oltretutto ciò avveniva dopo il compimento di altre consuetudini ed uffici, fra cui la velatura e svelatura del volto, che poteva avvenire secondo il cerimoniale solo per mano di un prelato domestico. In questo caso, raccontato dai due giornalisti investigativi, non solo non furono svolte le procedure preliminari, ma manca anche un “pubblico” qualificato (di certo non poteva esserlo il solo segretario privato del papa Magee, unico presente oltre al camerlengo) ad assistervi, quindi i testimoni che avrebbero avvalorato una simile procedura che a loro si rivolgeva, come il Vere papa mortuus est rende evidente. Ma vi è un saggista di storia della Roma papalina, che citando il celebre critico letterario Antonello Trombadori,48 che in occasione del decesso di Paolo VI e della sua esposizione di cui aveva contestato la “profanazione” mediatica del corpo, sostiene essere, il rito del martelletto, “un particolare ancora in vigore”.49 Si tratta con probabilità dell'ennesimo caso di ignoranza e pressapochismo giornalistico, se proprio uno di loro, David Yellop, autore del libro-scandalo sulla morte di papa Luciani, smentisce tutte le costruzioni fantasiose dei colleghi, ammettendo che non vi fu nessun martelletto, nessun battito, né domande retoriche né alcun vere papa mortuus est. A suo dire, tutte queste cose furono abolite da Paolo VI.49bis

Questa versione sembra smentita anche, non sappiamo con quanta approssimazione, dalla mostra e dal catalogo della mostra Habemus Papam, dove si sostiene, per la verità apportando un ulteriore elemento, che l'ultimo papa a cui fu riservato questo rito pare essere Leone XIII, benché storicamente, si aggiunge, “appaia più verosimile che il rito sia stato celebrato per l'ultima volta alla morte del beato Pio IX” 50. Può essere che la confusione nasca dal fatto che il rito è legato sì al nome di Leone XIII ma in veste di camerlengo alla morte dell'immediato predecessore, nel suo ruolo attivo e non passivo.

Con meno pathos e più rigore storico, Vercesi dà una sintetica descrizione dell'ultimo vero e certificato rito del Martelletto su papa Pio IX nel 1878: <<Due ore dopo la morte di Giovanni Maria Mastai, il card. Pecci si avvicinò al suo letto di morte. Venne levato il velo bianco che copriva il volto dell'augusto defunto. -Giovanni ! Giovanni! Giovanni!- chiamò il camerlengo e per tre volte lo colpì alla fronte con un martello d'argento. A tre riprese la bocca rimase chiusa, le rughe immobili. E' veramente morto il papa sussurrò il camerlengo, e subito dopo risuonò nella camera di Pio IX il De profundis>> 51. Di questo rito nelle cronache esistono varie ricostruzioni con diverse sfumature. Ad esempio De Brosses morto Clemente XII (+1740), annota: <<Il cardinale camerlengo Annibale Albani era venuto verso le nove per fare la sua funzione; ha battuto, a diverse riprese, con un piccolo martello sulla fronte del defunto, chiamandolo per nome: Lorenzo Corsini! E, vedendo ch'egli non rispondeva, ha detto: Ecco ciò che rende muta vostra figlia; e, togliendogli dal dito l'anello piscatorio, lo ha spezzato secondo l'uso. Tutti lo hanno seguito quando egli è uscito>>. 52

Ma perchè nonostante i grandi progressi della medicina nel XIX secolo, si tenne volenti o nolenti questo arcaico rito in piedi, avendo perduto evidentemente di utilità pratica?

La risposta la possiamo soltanto dedurre logicamente. Nell'800 ormai la scienza medica aveva assunto una certa specializzazione, e sarebbe bastata da sola a stabilire l'effettività di un decesso. Però lo si adoperò fino alla fine per i cinque papi morti nel XIX secolo. E' evidente che oltre al fine pratico, passato in secondo piano a favore dell'osservazione medica, il martelletto ormai rientrava nella “tradizione”: potente ed evocatore era l'ufficio che compiva, dava dramma, suspance e maestà all'evento sempre terribile e mirabile della morte di un papa. Era un ufficio a suo modo comunque regale, di una regalità antica, fedele ad una tradizione frammista d'elementi gotici e barocchi, che sempre allo splendore intrecciava la tetraggine. Piaceva, e molti l'aspettavano con ansia, se è vero come è vero che (basta leggere i quotidiani per ogni successiva morte di un papa) i giornali continuarono a citarlo e dirsi sicuri essere stato praticato ora su quello ora su quell'altro papa del XX secolo. Poi venne meno anche il potere temporale dei papi e con esso la miriade di esteriorità assai pompose e talora futili che circondavano il papa-re (si era inaugurato il secolo della praticità, della produttività, del progresso), che sarebbero adesso risultate fuori luogo, oltretutto in quella situazione tremenda che si era venuta a creare con la Questione Romana. Inoltre, venute meno le ragioni temporali si voleva ormai spingere il papato verso una maggiore attenzione allo spirituale e al pastorale.

4. Spezzatura dell'anello

Svolto questo mesto ufficio, il Maestro di Camera sfila l’anello piscatorio dalla mano destra del papa e lo ripone in un sacchetto (o lo offre in un vassoio d'argento), che consegna al camerlengo: “è il segnale che solo adesso il regno del pontefice può considerarsi finito” dato che fino al momento prima il defunto poteva considerarsi ancora investito della sua potestà.53 “Questi lo farà spezzare”, per renderlo invalido di modo che nessuno possa falsificare documenti e brevi pontifici con l'anello papale che ha incorporato il sigillo del pescatore e le armi del papa.

Ma che cosa è l'anello piscatorio e a cosa serve davvero? Quanti anelli adoperava il papa? Soprattutto, viene davvero spezzato? 54

Fino al Concilio Vaticano II il papa doveva avere almeno tre anelli in dotazione: uno è appunto quello piscatorio d'oro ricevuto il giorno dell'incoronazione; un secondo pontificale d'oro preferibilmente gemmato da portare quotidianamente e da porgere per il bacio; un terzo con grossa gemma e magari infestato di brillanti era l'anello pontificale per eccellenza, che aveva il cerchio più largo per poterlo indossare nei solenni pontificali sopra i guanti detti chiroteche.

L'anello del Pescatore è così chiamato perché su la pietra incastonata o sul metallo del piatto, porta incisa l’immagine di s.Pietro entro una navicella in atto di tirar su o gettare giù in acqua una rete peschereccia, e contiene le armi e e tutto intorno il nome del pontefice regnante, che fungevano da sigillo personale, con cui autenticava, imprimendolo su ceralacca, i suoi brevi, bolle e altri documenti ufficiali, tanto è vero che in diversi di questi atti pontifici si legge ancora “sub anulo Piscatoris”, e ciò sta a significare che l'originale del documento è stato appunto contrassegnato con quel sigillo papale. <<Fin dalle sue origini, l'anello del pescatore era riservato a sigillare le lettere segrete del papa. Dalla fine del secolo XIV, l'anello servirà a sigillare un nuovo tipo di documento pontificio, i brevi spediti dai segretari del papa, la cui pergamena era finissima e bianca, proveniente da pelli di agnelli nati morti... colore candido in sintonia col bianco della veste papale>>55. Di questo anello si sente parlare nei documenti sin dal XIII secolo, ma la prima notizia di “spezzamento” o addirittura di distruzione si ha alla morte di Leone X de' Medici (1521). Se è persino possibile che in tempi passati quell'anello venisse spezzato, al contrario di quanto pensano molti, da secoli questa spezzatura non avviene più alla lettera (e non abbiamo prove che venisse anche letteralmente spezzato in altre epoche): ci si limitava solo a rigarlo con una seghettatura obliqua oppure incrociata per renderlo invalido e inutilizzabile, come segno della cessata giurisdizione del pontefice e perché non gli si attribuissero atti falsificati. Per spezzatura, quindi, si intende la interruzione dell'emblema per mezzo di una riga. Oggi invece sono appositi uffici vaticani custodi dei sigilli che provvedono alla loro invalidazione 56. Per le esposizioni successive del suo corpo, il papa indosserà l'anello pontificale con cerchio largo giacché sarà sovrapposto alle chiroteche rosse.57

Così Artaud de Montor descrive questa cerimonia alla morte di papa Pio VII Chiaramonti nel 1823: <<Subito dopo il funesto avvenimento, il cardinale Pacca, camerlingo, vestito cogli abiti paonazzi, accompagnato dai monsignori chierici di Camera vestiti di nero, trasferissi al Quirinale per riconoscere il corpo di Sua Santità e prendere in nome del Sagro Collegio il possesso del palazzo papale e del governo dello Stato. Compiuto il processo verbale del riconoscimento del corpo, ricevette dal Prelato, maestro di Camera di Sua Santità, l'anello Piscatorio, e dagli officiali, che n'erano i depositari, gli altri suggelli ed impronti diversi del Pontefice defunto>>.58

INVALIDAZIONI DI MATRICI E SIGILLI. Tuttavia, in Le Chiavi e la Tiara 59 Paravicini Bagliani, riportando un'antica vicenda sull'argomento, ci fa venire alcuni dubbi, anche sul materiale di questo anello: <<Il fatto che l'anello del pescatore, sigillo di cera (è l'unico a definirlo di cera) segreto e solenne, fosse già intorno al 1300 un simbolo della funzione papale, emerge con chiarezza alla morte del papa. L' anello del pescatore doveva infatti essere consegnato ai cardinali nel corso di una cerimonia che troviamo attestata per la prima volta in relazione alla morte di Clemente V (1314). Al processo intentato contro i suoi nipoti, il cardinale Raimondo di Santa Maria Nuova afferma di non sapere se alla morte del papa le pietre preziose del defunto sono state consegnate, insieme al sigillo del pescatore al collegio dei cardinali... e se i cardinali hanno fatto sigillare lo scrigno nel quale si trovavano. L'anello del pescatore rappresentava la continuità della chiesa romana, nel suo fondamento petrino>>60. E' la questione della “dissociazione tra caducità fisica e perennità dell'istituzione del papato”, così la definisce sempre Paravicini Bagliani; lo studioso a tal proposito rifacendosi al secondo cerimoniale funebre pontificio, quello di Francesco Conziè (ecclesiastico meno noto di altri ma che raggiunse il record clamoroso per l'epoca di 48 anni di camerlengato, fra il 1383-1431), introduce alcune novità sull'argomento, riferendosi non solo alla sorte, morto il papa, del sigillo del pescatore, ma anche di tutti gli altri sigilli del pontefice, limitatamente alle loro rispettive matrici. Così Paravicini trascrive le indicazioni del rituale funebre pontificio del Conziè: <<Il vicecancelliere, il cui ufficio si spegne con la morte del papa, dovrà ricevere dalle mani dei bollatori le matrici delle bolle che racchiuderà in tela forte e sulla quale apporrà il suo sigillo, affinché nessuna lettera possa più essere bollata. Il priore dei cardinali vescovi convocherà tutti i cardinali residenti in Curia che prenderanno posto, solennemente, in una delle camere del palazzo, per assistere alla cerimonia nel corso della quale verrà spezzata la matrice nella quale era scolpito il nome del defunto. Il vicecancelliere consegnerà la matrice destinata ad essere spezzata con un martello appositamente approntato dai bollatori. L'altra matrice, riproducente le immagini degli apostoli Pietro e Paolo, dovrà rimanere integra e illesa ed essere riposta nel medesimo panno, che, chiuso e sigillato dal vicecancelliere sarà consegnato al camerlengo affinché lo conservi fino all'elezione. Il panno potrà essere tenuto dal vicecancelliere, ma dopo essere stato sigillato dal priore dei cardinali vescovi o da tre priori di ciascun ordine dei cardinali>>. Quindi, conclude il medievalista Paravicini, “i cardinali sono i garanti del trapasso della potestas pape”; per gli stessi motivi, morto il papa l'anello con il sigillo del pescatore viene consegnato al Collegio cardinalizio.61

Spezzatura reale o spezzatura simbolica? Nei giornali del periodo delle varie sedi vacanti, nei saggi sull'argomento spesso si continua a sostenere che alla morte del papa l'anello viene realmente spezzato in due e con delle “apposite pinze”, cosa improbabile ma che non possiamo escludere sia talvolta accaduta in passato. Due di questi sono giornalisti statunitensi Morgan-Witts e Thomas 62, che così scrivono circa la morte di Paolo VI, per la verità segnalando un incidente che in quella circostanza accadde: <<Villot (è il camerlengo) solleva la mano destra del papa. Per un attimo la fissa, incredulo. Guarda Macchi (il segretario privato di Paolo VI) e gli chiede dove sia l'Anello Piscatorio. Villot deve prenderne possesso; più tardi, prima di riunire i cardinali, il camerlengo userà un paio di cesoie d'argento per spezzare l'anello e gli altri sigilli di Paolo. Da quel momento nessuno potrà utilizzarli per autenticare un documento falso. Macchi non sa dov'è l'anello. Gli ordini di Villot non ammettono replica: l'anello deve essere trovato, e in fretta [...] Passarono quattro giorni prima che Macchi lo scovasse in fondo a un cassetto della scrivania dello studio privato di Paolo>> 63. Subito dopo si soffermano sulla morte più controversa di Giovanni Paolo I, avvenuta un mese e mezzo dopo. Il papa è stato appena trovato morto nel suo letto, sono circa le 6 del mattino, il medico vaticano dice al camerlengo che probabilmente, a giudicare dalla freddezza del corpo e dal potente rigor mortis lo è almeno dalle 23 della sera prima. <<Ogni cosa è stata metodicamente imballata, etichettata e portata giù in un ripostiglio al piano interrato del Palazzo Apostolico. In tutto sono circa trenta contenitori. Alla fine saranno tutti consegnati ai familiari di Giovanni Paolo. Lorenzi (segretario privato del papa) conduce gli uomini nello studio privato del papa [...] Il segretario ricorda ancora quel momento particolarmente doloroso in cui, poco dopo aver formalmente annunciato la morte di Giampaolo, Villot era entrato nello studio portando l'anello piscatorio che aveva tolto al dito del pontefice. Aveva chiesto a Lorenzi una busta nella quale aveva lasciato cadere l'anello con aria indifferente. In seguito lo avrebbe rotto cerimoniosamente davanti ai cardinali >>64. Altri sostengono che nel caso di Luciani non si “frantumò” neppure l'anello piscatorio, perchè, a dire di Yellop, non si ebbe neppure il tempo di confezionarne uno, percui Giovanni Paolo I portava l'anello dorato che sarebbe stato donato da Paolo VI a tutti i padri che avevano partecipato alla chiusura del Concilio Vaticano II. 65

NOTE

1 Santolaria J.A., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, p.73

2 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p.9; Aggiunge Ippoliti: “dopodiché gli coprono il volto con un velo di seta bianca”. Qui le fonti in nostro possesso sono in contraddizione, altri, come Santolaria scrivono che è il Decano dei Camerieri segreti e non i penitenzieri a procedere alla velatura. Al momento noi accreditiamo l'ipotesi che sia il Decano dei camerieri: vedi Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp.73-4.

3 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo del Papa, Torino 1994, p.163.

4 Stralcio del Diario di Burcardo, tratto dalla raccolta del Muratori, citato da Cecchetelli-Ippoliti, Riti funebri, cit., p.32; , Burcardo G., Alla corte di 5 papi, Diario 1483-1506, ed. G.Bianchi, Milano 1988, pp.44-45, con alcune modifiche il testo è così tradotto: <<Tutto il resto è stato sottratto, per così dire, in un istante, non appena la salma è stata portata via dalla camera. E infatti, nonostante tutte le mie ricerche fra l'ora sesta e l'ora decima, non sono riuscito a procurarmi né unguento né un fazzoletto o un qualche recipiente nel quale mettere il vino e l'acqua profumata con le erbe per lavare il cadavere; e neppure dei calzoni e una camicia pulita per rivestirlo. Ciò malgrado ne avessi fatto più volte richiesta al cardinale di Parma, a Pietro di Mantova, ad Accursio, a Bartolomeo della Rovere, allo spazzino particolare [dovrebbe essere il favoleggiato “scopatore segreto”, figura della corte e degli addetti alla manutenzione della Santa Sede; nome mutato poi da Pio XII per evitare equivoci e malizie popolari], al barbiere Andrea, che erano stati tutti ciambellani e domestici del defunto Papa, il quale molto li aveva favoriti. Alla fine il cuoco mi ha dato un vaso di rame, usato abitualmente per scaldare l'acqua per lavare i piatti, con un po' d'acqua calda; e il barbiere Andrea mi ha fatto portare dalla sua bottega un unguento. Così il pontefice è stato lavato. Ma non essendoci panni per asciugarlo, ho fatto tagliare in due la sua camicia, la stessa che aveva addosso nel morire, e l'ho fatto asciugare; e non essendoci altri calzoni oltre a quelli che aveva addosso nel morire, non ho potuto cambiarglieli, dopo lavato>>.

5 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.164-5.

6 O Maestro delle Cerimonie, in Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 9.

7 Questo particolare, che al momento non abbiamo riscontrato altrove, è riportato nel libro di Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp.73-4; lo riportiamo senza essere sicuri della sua reale fondatezza, non citando l'autore alcuna fonte circa il rito.

8 Nel testo non si parla apertamente di aspersione del defunto, né si specifica se ogni prelato può effettivamente aspergere la salma; dalle parole dell'autore sembra sottinteso. Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.74.

9 Santolaria J.A:, Quando muore il papa, cit., p.74.

10 Sulla genesi della figura del camerlengo, vedi Rossi A., Il Collegio cardinalizio, Città del Vaticano 1990, pp.152-55.

11 In attesa che la prima congregazione di cardinali elegga il nuovo camerlengo, come avvenne col card. Tisserant alla morte di Pio XII, si veda Il Giornale d'Italia del 9 ottobre 1958, Anno 58-N°241, dove è annunciata la morte di Pio XII; la prima pagina porta a caratteri cubitali soprattutto il riferimento al card. Tisserant: “IL GOVERNO DELLA CHIESA ASSUNTO DAL CARDINALE TISSERANT”; di seguito sono portate in caratteri più piccoli la notizia “PIO XII è MORTO”, e tutte le notizie circa la figura del camerlengo e del decano, dunque della prima Congregazione dei cardinali che deve decidere circa queste figure in caso d'eventuale vacanza; alla morte di Pio XII infatti la chiesa non aveva un camerlengo.

12 Rossi A., Il Collegio, cit., pp.152-55.

13 Dykmans M., L'Oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le ceremonial papal de la premiere Renaissance, 2 Voll., Città Vaticano 80-82, in questi passi: I, 223 n.686, 221 n.637, 33, 93, 157, 196, 213; 236 n.705, 250-1.

Anche in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 229-30, 248-9.

14 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.10, probabilmente mutua tutte le sue ricostruzioni, come i più, dal Dizionario del Moroni. Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp.74-75.

15 Moroni G., Le Cappelle Pontificie, cardinalizie e prelatizie, Opera storico-liturgica, Venezia 1841, p.210; citato anche in AA.VV., Sede Apostolica Vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano 2004, p. 70.

16 Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, II, p.293.

17 In Vercesi E., Pio IX, Milano 1929, p.244.

18 Rossi A., Il Collegio, cit., pp.49, 152-5.

19 Queste ultime considerazioni, basate su ciò che è stato scritto sul tema -specie in Moroni e Sede Apostolica Vacante del 2007- sono mie.

20 Ercole Consalvi, di grande memoria, stoico e dignitoso segretario di Stato (benchè rifiutò tale qualifica finchè il papa rimase senza territorio, sotto le conquiste Napoleoniche, svolse le funzioni di segretario di Stato solo a patto che risultasse ufficialmente un segretario privato del papa) di Pio VII, rifiuterà sempre, come più tardi Giacomo Antonelli segretario di Stato di Pio IX, la consacrazione sacerdotale, rimanendo diacono. Su queste due figure di porporati laici si veda: Rinaldi R., Roma tra due repubbliche, al tempo del papa re (1798-1848), Roma 1991, pp. 69-112; Falconi C., Il Cardinale Antonelli, vita e carriera del Richelieu italiano nella chiesa di Pio IX, Milano 1983.

20bis Artaud de Montor, Storia di Pio VII, III tomo, Milano 1865, p. 271

21 Brosses C. de, Viaggio in Italia, Lettere familiari, 3 voll, Firenze 1958, tomo 2, p. 249; in Stendhal, Passeggiate, cit., II, pp. 258-9.

22 Entrando nella reclusione del conclave -che molto spesso furono lunghissimi, quando non durarono anni- e con l'elezione del papa. Una buona panoramica dei conclavi è offerta da .Zizola G., Il Conclave, storia e segreti, Roma 1993; Vercesi E., Pio IX, cit., p.244, libro davvero imparziale sul personaggio Mastai, e di rara serenità e lucidità politica.

23 Rossi A., Il Collegio, cit., pp. 49, 98-9, 152-5.

24 Vercesi E., Pio IX, cit., p.245.

25 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.75.

26 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.75.

27 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.162, lo stesso autore parla del vestiario e dei colori del camerlengo durante il trasporto della salma pontificia: abbiamo preferito scriverne nel paragrafo Lutto della curia.

28 Santolaria J.A. , Quando muore il papa, cit., p.75.

29 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti Funebri, cit., p.10. Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.75.

30 AA.VV., Habemus Papam, Le elezioni pontificie da s.Pietro a Benedetto XVI, Roma 2007, p. 52.

31 AA.VV., Habemus Papam, cit., p. 52.

32 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 75. Vercesi E., Pio IX, cit., pp.244-6.

33 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 75. Vercesi E., Pio IX, cit., pp.244-6

34 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 75

35 Alla sua morte nel 1912, i commenti dei suoi stessi confratelli persino desistettero dalla acclarata ipocrisia curiale e si espressero, e per iscritto talora, con termini pesanti. Ad esempio, per citarne uno, il prestigioso card. Agliardi scrivendo al celebre vescovo Geremia Bonomelli epigrafò Oreglia con un “La storia dirà... che nacque per nuocere alla chiesa” (De Agostini C., Eminenze & Eminentissimi, tutto quello che si dovrebbe sapere sui cardinali del '900, Casale Monferrato 2000, pp.22-24). Se persino l'episcopato e il Sacro Collegio giunsero a dire tanto del presule, davvero deve essere stato insopportabile il suo carattere. Due esempi. Alla morte di Pio IX, si ipotizzò, nelle prime congregazioni dei cardinali, di tenere per via della Questione Romana, il conclave fuori Roma e magari all'estero; si mise ai voti, chi era per Roma chi per l'estero, vuoi a Malta, vuoi Vienna ecc. Arrivato il turno di Oreglia, disse no al conclave a Roma, no a tenerlo fuori Roma, no all'estero. Non restava granché, anzi la logica dice che erano le uniche tre ipotesi possibili, ma nessuna ad Oreglia andava bene. Andò così per tutta la vita. Quando si trattò di eleggere papa Pio X, naturalmente non gli andava bene neppure quello, e perciò si rifiutò di incontrarlo, persino in occasioni ufficiali, finché visse (De Cesare R., Il conclave di Leone XIII, Città di Castello 1888, pp. 48-53). Lo chiamavano il Cardinal No. Con estrema preoccupazione della curia si trovò a dover gestire nel suo fortunoso doppio incarico di Decano e camerlengo -e sono i due ruoli principali alla morte del papa- tutto il lungo tempo della morte di Leone XIII e della sede vacante. Era lui a dover praticare, fra le altre cose, il rito del Martelletto sulla fronte del papa defunto. Non è per nulla escluso, anzi molti lo sostengono, che in un impeto d'irritazione e, al solito, di disapprovazione, alla vista del martelletto, anche in questo caso abbia pronunciato il suo ennesimo “NO”, rifiutando di sottomettersi ad un cerimoniale di corte che per così come era fatto lui, doveva apparirgli inutile, ridicolo e irritante, e sappiamo ormai quanto poco bastasse a irritarlo (Pierconti A., Da Leone XIII a Pio X, Diario dal giorno 3 luglio al 9 agosto 1903, Roma 1904, pp.. 212-218, 235-41).

36 Non ci risulta anche dai testi summenzionati nè dalle varie incisioni d'epoca, che il camerlengo svolgesse tale funzione in ginocchio, anche per una questione pratica.

37 Ernesto Masi, Nell'Ottocento, idee e figure del secolo XIX, Milano 1905, p.404; per la ricognizione del cadavere di Leone XIII, si veda Pierconti A., Da Leone XIII a Pio X, cit., p.214.

38 Come poi avverrà per Pio X circa l'imbalsamazione, che non volle; si veda per il testamento e la questione della sua imbalsamazione e sepoltura, Occelli P., Il B. Pio X Papa, Roma 1951, pp.246-268; Fondazione Giuseppe Sarto,., Pio X, un papa e il suo tempo, a cura di Romanato G., Cinisiello Balsamo 1987, pp.237-41; Romanato G., Pio X, la vita di papa Sarto, Milano 1992, pp.286-91; Agasso D., L'Ultimo papa Santo, Pio X, Cinisiello Balsamo 1985, pp.124-32.

39 Pierconti A., Da Leone XIII a Pio X, cit., p.105.

40 Che non sappiamo quanto informato della tacita soppressione, o caduta in disuso del martelletto, dal momento che non era codificato su nessun testo rituale: può darsi che anche egli fu soggiogato e spinto in errore dalle leggende che su questo ufficio da secoli circolavano.

41 AA.VV., Sede Ap.Vac, cit., p. 75; Spinosa A., Pio XII, l'ultimo papa, Milano 1993, p.388; Corriere della Sera 24 febbraio 1939.

42 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.75.

43 Prelato francese, successe alla segreteria di Stato al card. Amleto Cicognani nel 1970; diventato cardinale rimase nella sua carica sotto tre successivi papi; nel frattempo Paolo VI lo aveva nominato camerlengo; andrà in pensione, per “motivi di salute” nel 1979; morì lo stesso anno.

44 In realtà si son sempre pronunciati, pare, da come si legge in ogni biografia di papi passati- e da quelle sopra citate- che si soffermano sulla morte, il primo e il secondo nome, di solito gli unici due con cui familiarmente il pontefice veniva chiamato dagli intimi, specie prima del papato: nel caso di Paolo VI, Giovanni Battista.

45 Morgan-Witts e Thomas, Dentro il Vaticano, storia segreta dei pontificati di Montini, Luciani e Wojtyla, Napoli 1995, p.105.

46 Secondo segretario privato dei tre papi del '78, poi maestro delle cerimonie, oggi arcivescovo di una diocesi della natìa Irlanda.

47 Morgan-Witts e Thomas, Dentro il Vaticano, cit., p.342

48 Che però, a nostro giudizio, pare affermare quanto segue solo per montarci sopra un sonetto che vorrebbe imitare il Belli, senza riuscirci fra l'altro: si intitola Vere mortuus est, e in alcuni versi recita in romanesco <<J'è ttocato ar francese ciambellano / de dajje in fronte er botto cor martello/ e strillà :Mortuus est....>>; in Rendina C., Il Vaticano, storia e segreti, Roma 2006, p.273.

49 Rendina C., Il Vaticano, cit., p.273.

49bis Yellop D., In Nome di Dio, La morte di papa Luciani, Napoli 1984, p.237.

50 AA.VV. Habemus Papam, cit., p.52.

51 Vercesi E., Pio IX, cit., p.244.

52 De Brosses C., Viaggio, cit., tomo II, p.399; in Stendhal, Passeggiate, cit., II, pp.258-9.

53 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.75.

54 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.10-11; AA.VV., Sede Ap.Vac., , cit., pp. 76-77.

55 Paravicini Bagliani A.., Le Chiavi e la Tiara, Città di Castello 1998, p.29; Rendina C., Vaticano, cit., pp.253-6.

56 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.10-11; AA.VV., Sede Ap.Vac., , cit., pp. 76-77; 197; Rendina C., Vaticano, cit., pp. 253-6.

57 Tuttavia il Sede Apostolica Vacante, scritto sotto la supervisione dell'ex maestro delle cerimonie pontificie mons. Piero Marini, dice che attualmente il papa viene esposto con al dito “l'anello ricevuto nell'ordinazione episcopale, come segno della fedeltà alla chiesa” (si veda AA.VV., Sede ap. Vac., cit., p. 76). Il particolare sembra assai dubbio, il testo in cui è citata simile argomentazione è stato redatto da Mario Lessi-Ariosto. Piero Marini è assai contestato dai gruppi di liturgisti e semplici cattolici tradizionali, per il suo ardito spirito novatore nella liturgia papale e per essere l'allievo del da di loro odiatissimo mons. Annibale Bugnini che dopo e durante il Concilio interpretò e riformulò, tenendo presente persino le argomentazioni dei protestanti, in senso avvenieristico e di rottura con la tradizione liturgica e cerimoniale cattolico-romana.

58 Artaud Montor, Pio VII, cit., III tomo, p.270.

59 Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp.27-9.

60 Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., p. 28; per una storia sistematica dell'anello piscatorio, ricchissima di aneddoti relazionati ai vari papi, si veda la rara e davvero unica storia di Cancellieri F., Notizie sopra l'origine e l'uso dell'anello piscatorio e degli altri anelli ecclesiastici, Roma 1823, I-II.

61 Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85., III, pp. 262-335; 47-73; Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.166-7.

62 Che fecero una lunga e accurata inchiesta sul Vaticano fondata in gran parte -così affermano almeno- su rivelazioni riservate di personaggi interni alla curia, di cui spesso è citato il nome, specificando anche le molte volte che tali confessioni erano registrate su nastro magnetico.

63 Morgan-Witts e Thomas, Dentro il Vaticano, cit., p.105-7.

64 Morgan-Witts e Thomas, Dentro il Vaticano, cit., p.357.

65 Yellop D., In Nome di Dio, cit., p. 237.

Capitolo quarto
Sede Vacante

1. Notificazione

Mentre le cerimonie di ricognizione si attuano, il Notaio della Camera Apostolica redige un verbale di tutto quanto vede: la successione legittima non potrebbe aver luogo in assenza di tale processo verbale1. Subito dopo il rito del martelletto, sempre il Notaio della Camera apostolica o il Segretario della reverenda Camera, inginocchiandosi, leggerà l’atto di ricognizione del cadavere e dell’avvenuta consegna dell’anello, che avrà redatto mentre le cerimonie s'attuavano. L'anello sarà spezzato, insieme col sigillo di piombo contenuto, presenti tutti i cardinali, come primo atto della prima riunione della Congregazione generale che di li a poco si terrà; infranti i sigilli, verranno mostrati a ciascun principe della chiesa: che, si sappia!, non potranno per alcun motivo essere adoperati durante la sede vacante, usurpando in tal caso la potestà di un pontefice la cui autorità suprema è imprescrittibile e intrasmissibile, ed in teoria ancora dimora (fino all’elezione del successore) nelle sue esanimi membra 2.

Fatto questo, il camerlengo, s’occupava di notificare l’avvenuto decesso in ordine: a tutte le chiese di Roma, alle corti estere, ai cardinali, ai nunzi, ai patriarchi, ai vescovi in tutte le parti del mondo3. Le campane di San Pietro allora suoneranno a rintocchi doppi, annunciando così Urbi et Orbi la ferale notizia; le altre basiliche e parrocchie romane subito dopo faranno eco con le loro campane, “componendo una triste sinfonia nella quale i gravi accenti del campanone del Vaticano segnavano un triste e lugubre ritmo”4. Per Pio XII e Paolo VI suonarono quelle di Castel Gandolfo. Prima del 1870, cioè prima della presa di Roma da parte dei Savoia, il Senatore di Roma, appena informato della morte del papa, per annunciarlo all’urbe faceva suonare la grossa campana del Campidoglio, autorizzato dal cardinale Vicario, ai cui tocchi che potevano annunciare inequivocabilmente una sola ferale notizia (un decesso papale), rispondevano in coro luttuosamente le campane delle chiese di tutta la Città Eterna, per un’intera ora. De Brosses è a Roma quando muore Clemente XII Corsini nel 1740, scrive: <<Infine il fedele Pernet, entrando stamattina nella mia stanza mi annuncia che tutto è finito per il vicario di Gesù Cristo; egli è morto tra le sette e le otto del mattino. Sento già suonare la campana del Campidoglio e rullare il tamburo nel nostro quartiere>>. 5

Subito dopo in onore alla tradizione paternalista lo stesso Senatore, spalleggiato dai Capo Rione (una sorta di moderni presidenti di circoscrizione, ma con poteri più indefiniti e perciò più vasti) si recavano nelle Carceri Nuove a liberare alcune categorie di detenuti; le truppe pontificie invece, memori dei precedenti storici di tumultuose e squallide vicende popolari che salutavano ogni papale decesso, in fretta si concentravano in tutti i punti della città per mantenere l’ordine pubblico e molto più per evitare che si ripetesse il saccheggio degli oggetti appartenuti all’augusto defunto, come abitudine della cinica plebe romana. Lo stesso ordine si dava ai Governatori di tutte le piazze dello Stato Pontificio 6. Artaud de Montor annota il giorno della morte di Pio VII (1923): <<Per ordine del cardinale camerlingo, la grande campana del Campidoglio annunciava al popolo la perdita che avea fatta, ed il cardinale Della Genga, vicario di S.Santità, mandava a tutte le parrocchie l'ordine di rispondere al funesto annunzio. Secondo un'antica consuetudine, il capo del rione della Regola portavasi nelle pubbliche prigioni, e metteva in libertà i carcerati, ch'erano ventidue, diciotto uomini e quattro donne. Si era presa nel giorno antecedente la solita precauzione di trasferire al Castello Sant'Angelo gli accusati di gravi delitti, di maniera che v'erano in quelle prigioni soltanto individui arrestati per leggere colpe>> 7.

Finché vi fu uno Stato Pontificio ed un papa-re, che avevano in Roma la capitale, alle prime avvisaglie di una malattia del papa che volgesse verso l'agonia, e ogni speranza era smarrita, il cardinale vicario di Roma emanava l'ordine di interrompere ogni festeggiamento e pubblico svago nella capitale, e persino il preferito dagli uomini del volgo, le osterie, dove più che mangiare soprattutto si beveva, e in abbondanza. Si preparava quello che a suo modo era anch'esso uno spettacolo quasi mai privo di sorprese (dissacratorie il più delle volte, le preferite dai romani), come la lunga morte di Pietro, le pesantissime e trionfali esequie del papa, dove era talora possibile sbizzarrirsi a sfogare il proprio estro ludico frustrato dalla proibizione di pubblici svaghi fino alla chiusura in conclave dei cardinali elettori. Ma questo dopo il decesso, che poteva pure tardare di molto; ma finché il papa era solo agonizzante, l'unica distrazione assai raccomandata (e consentita) dai parroci dell'urbe ai fedeli, erano le preghiere pro infirmo pontifice che si tenevano in tutte le chiese, che per l'occasione della malattia e dell'agonia del papa-re esponevano ciascuna il Santissimo Sacramento. Per i papi più venerati in vita, l'affluenza fu sempre alta. Successe però che dilungandosi oltremodo l'ultima malattia d'un pontefice, fosse lo stesso governatore della città a invocare il vicario di Roma a porre fine o allentare le restrizioni ai pubblici svaghi, se non altro -era la scusa- a beneficio dei tanti visitatori che languivano annoiati in una città che quasi smetteva di vivere in attesa del lutto. La motivazione di fondo spesso era un altra: il popolo romano non era mai stato tenero con i suoi Signori papi, e il suo cinismo si manifestava spietato quando aveva il sentore della malattia e della morte del suo sovrano, soprattutto poi se il moribondo aveva fama di papa austero e severo, ma anche di uomo corrotto8. Scrive Stendhal, che permane a Roma in periodi che vedono la malattia morte ed elezione di diversi papi: <<Qui il popolo parla continuamente di lotterie, delle probabilità dei giochi d'azzardo, e il papa non regna più di sette o otto anni. A Roma si parla troppo, ogni giorno delle malattie del papa regnante: è un argomento crudele, triste, che mi dà fastidio; si scende fino a particolari da chirurgo>> . E più tardi annota: <<Una circostanza che allora interessò molto i romani, popolo spiritoso, superstizioso e feroce insieme, fu che la morte di Pio VII era stata formalmete predetta, e con esattezza straordinaria, nel Casamia, almanacco molto celebre>>. Quando nel febbraio 1929 si diffuse la voce altalenante della grave malattia del successore, Leone XII, Stendhal scrisse: <<Da tre giorni i medici del papa sono i personaggi più ricercati di Roma. Qui si sa tutto; questa città è troppo piccola ed i suoi abitanti sono troppo giudiziosi perchè vi siano notizie false. Hanno messo ua sentinella dinanzi alla statua di Pasquino. Vi si trovano versi deliziosi>>9. Dopo il pontificato epicureo di Leone X, dedito ai piaceri, ai sorrisi, alle cacciagioni, ai festini, alle arti e ai versi in prosa, che tanto divertirono i romani, venne il breve tempo penitenziale del povero e onesto, monacale barbaro Adriano VI, di Utrecht (ultimo papa non italiano, prima di Giovanni Paolo II), nel 1522. <<Nessuna calamità poteva eguagliare agli occhi dei romani quella di vedere al posto dell'amato Leone X un barbaro che non conosceva la loro lingua e che aveva in orrore la poesia e le belle arti. La notizia della morte di Adriano (un anno dopo) fece esplodere la gioia più viva, e l'indomani si trovò la porta del suo suo medico, Giovanni Antracino, ornata di ghirlande di fiori con questa scritta: il senato e il popolo romano al liberatore della patria>> 10.

La morte del papa era l'occasione di fare baldoria, cedere ai sacrilegi, ai saccheggi, alle sommosse, alla distruzioni delle effigi del papa morente o appena morto come successe per Paolo IV. E se c'era una cosa che proprio i romani non tolleravano, era che il papa morisse durante festività particolarmente grasse: popolo non romantico e insofferente, i romani li si doveva lasciar divertire, come piaceva a loro, in modo grasso appunto, in un ozio saturo di piaceri, della gola soprattutto; ché diversamente ci voleva poco impegnassero quella stessa energia, dissipata nell'ozio burlesco, in rivolte e ladrocini ai danni della familia pontificia, dal momento che erano già per strada: in fondo anche una rivolta, così come un funerale potevano essere vissuti, a Roma, come divertimento e svago 11. Il carnevale era una di queste feste, la più attesa: sfortunatamente cadeva quasi sempre di febbraio; e purtroppo anche i papi, quando non morivano in agosto, in genere i più spiravano a febbraio. Era un tremendo cruccio per la familia pontificia: era meglio annunciare l'agonia del papa e sospendere il carnevale o rimandare l'annuncio in attesa che la festa si consumasse da sé? Il problema si presentava specie se a morire era un papa dallo spirito penitenziale come Benedetto XIII, che muore 82enne, ma che a causa del pessimo e corrotto governo dei suoi uomini e soprattutto perché c'era il carnevale a Roma, i presenti ritennero opportuno tenere nascosta non solo la sua agonia ma anche fino al giorno dopo la notizia del suo decesso, per paura dei disordini che potevano derivare dal disturbare e interrompere i festeggiamenti e il divertimento di tutte quelle migliaia di romani riversi per strada 12.

2. Sigilli all'appartamento papale

Nel momento in cui il cardinale camerlengo dichiara ufficialmente la morte del pontefice, il Sacro Collegio assume tutti i poteri, naturalmente assai ridotti dal momento che solo il pontefice regnante ne è investito in pienezza. Tuttavia, lo stesso Collegio godrà delle prerogative protocollari corrispondenti alla persona del sommo pontefice: ogni cardinale, in fondo, è un papa potenziale13. Subito dopo la morte del papa, il Camerlengo si reca negli appartamenti privati dell'augusto defunto per ispezionarli de visu, e apporre sulle porte i sigilli di modo che nessuno possa entrarvi e disporre indebitamente delle cose del defunto. In cancelleria, il cardinale Cancelliere di Santa Romana Chiesa si faceva portare il sigillo di piombo col quale il papa sanzionava le sue bolle e limava il suo nome sopra impresso: nessun documento potrà essere emanato prima che sia eletto il nuovo pontefice. Così come l'anello piscatorio anche questi sigilli devono essere mostrati e distrutti nel corso della prima Congregazione cardinalizia14. Il cerimoniale del Conziè, a fine Trecento, prescriveva che il camerlengo, il cui ruolo alla morte del papa era rimasto immutato, doveva far chiudere tutte le porte del Palazzo Apostolico, avendo premura di riservarsene una libera per eventuali uffici necessari; questa fu probabilmente la consuetudine anche ad Avignone15.

Questo momento di vuoto può risultare traumatico, rompere in modo brusco consuetudini affermatesi nel precedente pontificato, rovesciare d'improvviso personali posizioni di forza in sventura e umiliazione; possono scaturirne spazi se non per vendette almeno per sgarbi verso qualche personaggio vicino al defunto papa reputato, specie da chi era rimasto ai margini, come nefasto per il precedente pontificato e causa della propria emarginazione. Non è mai un momento facile per gli intimi del pontefice, la morte del loro Signore. La prima cosa, infatti, a cui tutti in curia pensano, appena spirato il protettore, è allontanare immediatamente dal Palazzo Apostolico e dal Vaticano questi “intimi”, da donna Olimpia a suor Pascalina, il loro destino sarà inesorabile; l'acrimonia (e forse l'invidia) accumulata dalla corte nei loro confronti, gelida e implacabile. Prendiamo proprio l'esempio emblematico di suor Pascalina Lehnert, la suora che più di tutti fu vicina a Pio XII, signora delle sacre stanze dell'ultimo papa interamente romano; fin dai tempi della nunziatura di Pacelli a Monaco e fino alla morte del pontefice nel 1958, e anche oltre, sacerdotessa discreta e totale della memoria di Lui. Morto il suo papa, del quale fu ancella fedele e ferrigna, soprattutto guardinga, fu quasi espulsa dal Palazzo; trattata dalla curia non più come La Signora del Sacro Palazzo o la Dama Nera di Pio XII, ma come una serva che non doveva avere voce in capitolo in nulla, né accesso ai luoghi privati di Lui, che poi avendoli abitati e governati per un ventennio erano anche di Lei. Era l'effetto della sede vacante. Ecco un esempio:

<< Il cardinale decano vuole rintracciare subito le ultime volontà del pontefice appena scomparso. Il cardinale Tisserant racconta suor Pascalina mi chiese se ero a conoscenza dell'esistenza di un eventuale testamento del S.Padre. Mi ricordai allora che Pio XII l'aveva stilato in una notte particolarmente dolorosa del maggio 1956, quando mi disse: 'Morirò all'improvviso!'. Nella tasca della veste talare del S.Padre trovai la chiave dello scrittoio, ove sapevo era stato riposto, e così potei dire al Cardinale Decano (e camerlengo) che potevo favorirlo>> dunque si avviarono da Castel Gandolfo verso Roma. Giunta nella Città Eterna la fedele suor Pascalina è trafitta dal rintocco funereo delle campane della gran basilica che le confermano ancora una volta che il suo Signore è scomparso e che con Lui muore per metà anche lei... e lei non vorrebbe, ancora quasi non ci crede, il ricordo di Lui è vicino, caldo, vivo. Colei che aveva governato onnipotente le sacre stanze private del ponterfice ora può solo obbedire a tutti senza poter replicare: adesso è una suorina come tante. Alla presenza di Tisserant, l'indimenticabile colonnello-cappuccino francese ora decano-camerlengo, e del principe Carlo Pacelli, Pascalina aprì il cassetto e lasciò estrarre al prelato (era lui adesso il responsabile di quei luoghi) quanto cercava. <<Quindi mi disse che avrebbe fatto un giro per tutta la casa e poi sarebbe tornato per mettere i sigilli>>. Uscendo dall'appartamento la madre vede con i suoi occhi cosa vuol dire per un intimo servitore perdere il proprio Signore e protettore: “viene messa immediatamente di fronte alla nuova situazione”. Lo racconta, facendo signorilmente finta di non accorgersi dello sgarbo, lei stessa nelle sue memorie: <<Desiderosa di tornare subito a Castelgandolfo, io presi il piccolo ascensore>>, mentre, come era in uso alle persone reputate di riguardo, interni ed esterni del Vaticano, <<il Cardinale ed il Principe Carlo si servirono di quello grande>>. Dunque un minuto dopo, <<Giunta nel cortile di S.Damaso, ove prestava servizio la Guardia Nobile, fui avvicinata dal Comandante -credo- del detto Corpo, il quale mi disse che da quel momento non potevo più mettere piede in Vaticano. Proprio in quel momento sopraggiunse il Card. Tisserant che, messo al corrente della disposizione, intervenne con energia dicendo che noi suore dovevamo rimanere in Vaticano per sistemare le nostre cose e l'appartamento privato del papa>>.16 Tisserant, creato in tempi remoti cardinale da Pio XI Ratti, durante tutto il regno pacelliano fu alquanto emarginato e condannato quasi ad un amaro far nulla, ma era un vecchio soldato francese, il cui senso dell'onore gl'impediva di cedere alla tentazione delle vendette postume, specie verso coloro che apprarivano adesso, morto il sovrano, dei vinti, come Pascalina: a chi protestava per la licenza che avava concesso alle tre suore di abitare l'appartamento papale almeno fino alla fine delle esequie, rispose piccato che suor Pascalina era <<l'unico uomo del Vaticano>> e va da sé che chi adesso nè sparlava faceva solo la figura di donnicciola invidiosa e pettegola. L'ultima biografia della suora bavarese (scritta da una bavarese, cultrice della storia dei personaggi illustri della sua terra, Martha Schad) così descrive la situazione di Pascalina durante l'interregno e subito dopo: <<Spellman (il famoso arcivescovo di New York, potente e rispettato nell'America della guerra fredda) era molto adirato nei confronti del nuovo papa Giovanni XXIII. L'arcivecovo di New York trovava indecoroso il fatto che la prima cosa che fece il nuovo papa fu quella di mandar via dal Vaticano suor Pascalina17. Ella dovette fare le valige con tutte le sue cose nel giro di due ore>>. Tuttavia bisogna dire che Pascalina, nelle sue memorie, fornisce versioni assai più edulcorate e tranquillizzanti dei fatti, anche se vi è da ammettere anche che quelle memorie erano finalizzate alla canonizzazione di Pio XII, e che lei in fondo essendo una suora non poteva raccontar male di un cardinale o di un papa che era succeduto al suo Signore “angelico”; e in ogni caso non è quasi mai accaduto che un papa mantenesse a suo servizio personale addetto alla persona privata del predecessore, e men che meno il personale con particolare ascendente sul defunto. <<Pascalina lasciò il Vaticano perchè ci fu un duro scontro con il suo avversario Eugene Tisserant>> scrivono Schaud e il biografo del cardinale Spellman, Cooney. Eppure Pascalina dimostra, anche quando avrebbe potuto tacerne, nelle sue memorie, tutte le premure -per quanto formali- che il pomposo porporato decano-camerlengo ebbe per lei morto il Pio XII, e sottolinea la suora la gratitudine che serbava per questo “monumentale” cardinale, per la sua “gentilezza e bontà”; e ricorda la suora che Tisserant, quando stava per morire nel 1972 la mandò a chiamare... ma poi l'incontro estremo non ci fu. Probabilmente Pascalina non si scontrò con il cardinale, perchè era una suora e una donna d'altri tempi, governante in casa propria ma composta al suo posto fuor di casa; e ancora, Tisserant era il camerlengo e il decano, ed era un antico uomo di chiesa che incuteva rispetto... Pascalina una antica suora bavarese educata all'obbedienza, sempre!

Il senso e il dramma di una sede vacante per uno che è vissuto all'ombra d'un pontefice carismatico, al suo diretto servizio, con ciò che comporta emotivamente e in termini di prestigio, è condensato in questa lettera di Pascalina alla madre generale del suo ordine, in cui annunciava: <<Ancora non mi sono liberata dell'appartamento pontificio, ma anzi ci vado di più quando mi chiamano. Sa, cara madre, ora le cose vanno in modo molto diverso. Certamente ci si sarebbe spezzato il cuore se fossimo dovute restare là, di questo me ne rendo conto ogni giorno di più>>. In queste parole vi è anche la risposta al perchè ogni nuovo papa allontana subito i servitori più prossimi e legati al predecessore.18

3. Saccheggi e sommosse

Sono leggendari gli scompigli, le sommosse, i ladrocini e le depredazioni generalizzati da parte del popolo romano ai danni dei beni dei cardinali eletti al papato (o reputati come sicuri papabili) e infine, in modo ancora più riprovevole, dei beni del papa appena morto, del Palazzo Apostolico e delle stesse istituzioni e bei comuni o privati sparsi per Roma. Era morto un papa, un sovrano assoluto e la successione non era direttamente assicurata, dovendosi riunire un conclave che poteva durare moltissimi mesi per dare un successore al pontefice defunto. Soprattutto nessuno, senza essere papa, poteva minimamente neanche in posizione supplente avocare a sé i poteri e le prerogative, temporali e specie spirituali, che erano del sovrano pontefice, inalienabili, e che intere e inviolate doveva solo ereditare il suo successore legittimo. Nessuno poteva svolgere mansioni che non fossero residuale ordinaria amministrazione, delle cose temporali più che spirituali. In questo vuoto di potere, di un regime che per sua natura era assolutistico (sebbene sui generis), in questa situazione transitoria e incerta, confusa, in cui sono per dei giorni rovesciati i rapporti di forza, germinava e poi dirompeva la violenza volgare, l'avidità irrispettosa, il cinismo feroce, la famelicità bestiale ed empia della plebe romana. In quattro modi si manifestava soprattutto: violazione del domicilio di alti dignitari della curia, furto dei loro beni privati, distruzioni e danneggiamenti di beni ecclesiastici, irruzione in magazzini dello Stato e appropriazione delle derrate alimentari.19 Scrive il medievalista Paravicini Bagliani, che come per i riti di caducità, anche per la morte del papa dobbiamo rifarci alla metà dell'XI secolo, dal pontificato di Leone IX (1049-54). A due vicende soprattutto. In particolare alle depredazione che da allora solevano avvenire in morte del papa a Roma, ma anche fuori al decesso di un vescovo diocesano. Infatti alla morte del vescovo di Osimo succede l'incredibile: gli abitanti invadono l'episcopio, recidono alberi e viti dei suoi possedimenti, bruciano le case dei contadini che v'abitavano. L'accaduto è vergognoso e anche difficile da interpretare. Leone IX ne è scosso, e vuole condannare l'accaduto. Ancora una volta un papa si servirà della sottigliezza e della logica stringente di Pier Damiani, invitato a scrivere una severa reprimenda contro la “perversa consuetudine”. E' qui che Damiani con una fine retorica, inaugura una novità. Egli ricorda la caducità fisica del vescovo, ma l'oppone all'immortalità di Cristo, sposo immortale della chiesa, l'eterno pontefice. Cosa accade con queste parole? Si dichiara che morto un vescovo, rimane la Chiesa, cioè Cristo; accade che per la prima volta si decide la scissione tra la persona fisica del vescovo e la perennità della Chiesa. “La volontà di proteggere i beni pontifici” scrive Paravicini “è sottesa da un'astrazione istituzionale, o da una depersonalizzazione della rottura provocata dalla morte del vescovo o del pontefice”.20

La seconda vicenda tocca direttamente il pontefice, Leone IX. Nell'aprile 1054 egli annuncia che in una visione privata gli è stata preconizzata la morte imminente. Domanda quindi che il suo sepolcro marmoreo fosse traslato nella basilica vaticana; e poco dopo, che egli stesso, ormai agonizzante, fosse trasportano su una brandina dentro San Pietro in attesa di morire santamente. La voce del prossimo lutto papale, circola per Roma, che si riversa subito al Laterano per depredarne il palazzo, “come erano soliti fare” aggiunge amaro il biografo di questo papa. Epperò nota anche che la stessa plebaglia inibita dalla fama di santità del moribondo, presa da terrore desistette dell'entrare nel palazzo e, “vergognandosi”, indietreggiò. Intanto il papa saputolo, dallo stesso lettuccio di morte in San Pietro, pronuncia un discorso che fece leggenda, per quanto rimase di fatto inascoltato, sulla scia della libertas Ecclesiae, tutto ispirato al dovere di rispetto per i beni della Chiesa.21

La piaga della depredazione e dell'appropriazione indebita da parte di prelati e popolo dei beni di vescovi moribondi o appena defunti è davvero molto antica. Sulla stessa falsariga molti concili, a cominciare da Calcedonia nel 451, e proseguendo con quelli di Orleans, Valenza, fino a Toledo nel 655, vietarono a tutti i laici e i religiosi d'appropriarsi dei beni dei loro vescovi defunti, sotto pena della sospensione e della scomunica. Il problema grosso è però rappresentato dal ladrocinio degli stessi chierici. A Toledo perciò si dispose che la salvaguardia dei beni del defunto spettasse ad un altro vescovo, quello incaricato della cerimonia di sepoltura del confratello. Ma è nell'885 che abbiamo la cronaca più dettagliata e drammatica del saccheggio del Palazzo Apostolico dopo la morte d'un papa. Ad accorgersene per primo del misfatto è papa Stefano IV durante la presa di possesso del Laterano: la sagrestia era stata derubata di molti dei preziosissimi paramenti e suppellettili liturgici e in più erano stati depredati i suoi granai e cantine (riserve che il papa, alla presa di possesso, distribuiva fra vedove, poveri, orfani, prigionieri per il loro affrancamento; Stefano dovette provvedere con le risorse della propria famiglia ad adempiere a questo pietoso ufficio). Afferma dunque Paravicini Bagliani: <<L'abile messa in scena della desolazione del palazzo ha lo scopo di sottolineare la determinazione del papa ad ostacolare tali saccheggi, il che sembra una novità. Il papa afferma infatti solennemente, davanti agli illustri testimoni, di voler far ricercare quelle cose affichè tutti venissero a conoscenza che nulla di simile era mai stato tentato prima di allora>>22. A proposito però dei furti dei paramenti sacri pontifici, debbono farsi alcune precisazioni. Il Concilio di Roma del 595, in cui s'era discusso di certe usanze alla morte del papa, non si era occupato del saccheggio del Palazzo Apostolico, ma aveva duramente censurato l'abitudine dei romani di spartirsi le dalmatiche che erano state indossate al cadavere del papa, che da allora in poi si stabilì non doveva più esserne ricoperto. Il concilio romano voleva inibire del tutto l'abitudine di ricoprire la salma pontificia, com'era in uso, di multa velamina asportati dai vari sacris corporibus apostolurum martyrumque, proprio per evitare, a detta del concilio, che quelle venerabili velamina santificate dal contatto con corpi santi, potessero cadere nelle immonde mani di peccatori venendone contaminate; la paura dei padri conciliari sembra quindi vertere più che sullo spoglio dei beni papali sull'eventuale uso distorto e quindi potenzialmente sacrilego di queste preziose e sante reliquie.23

Tuttavia la premure di Leone IX e Stefano IV a poco servirono. L'indignazione della chiesa cresceva, e crescevano simili abusi alla morte d'ogni papa. Nel 904 un concilio romano tentò decisamente di stroncare simile “scellerata consuetudine”, soprattutto quella di saccheggiare il patriarchio lateranense e la città intera e anche oltre. Concordarono che la repressione doveva avvenire attraverso la “censura ecclesiastica” e “l'indignazione imperiale”. In questo modo il concilio volle richiamarsi ai tempi di Lotario figlio di Ludovico il Pio, quando questi dopo aver assistito nell'824 agli scandalosi eventi depredatori che seguirono la morte di Pasquale I e l'elezione di Eugenio II, rinforzato il sistema d'ordine pubblico, decretò che le razzie che abitualmente si verificavano dovevano del tutto cessare che fosse vivo o morto il papa.24

Abbiamo quindi un largo buco d'informazioni sino a inizio Duecento. Probabilmente perchè in quel lasso temporale molti papi morirono fuori Roma stante l'estrema mobilità della curia per tutto questo secolo. Anche per il periodo avignonese può dirsi la stessa cosa: documentazione di depredazioni popolari del palazzo alla morte del papa non se ne hanno, se escludiamo il caso tristissimo di Clemente V a Carpentras nel 1314, la cui salma non vegliata da nessuno finì carbonizzata per l'incidente di un cero: ci furono sì scontri e depredazioni, ma non a danno del palazzo papale, ma verso cittadini, mercanti e cardinali; oltretutto questo non avvenne alla morte del papa, ma principalmente durante il conclave, e le ragioni erano insolite, ossia la volontà del popolo indigeno d'imporre un papa ancora una volta francese... infatti i cardinali aggrediti erano tutti italiani25. Questa “pace” Avignonese ci fa ipotizzare che l'automatica violenza della plebe e la rapina del palazzo era esclusivamente legata all'Urbe e alla presenza fisica del papa in essa, di conseguenza alla celerità con cui si diffondeva la notizia del suo decesso.

Dopo questa pausa documentaria, dieci giorni prima di morire davvero (1227), esausto e semivivo, stremato Onorio III fu dalla curia quasi di peso fatto affacciare da una finestra del Laterano a dimostrazione che era ancora vivo, per scoraggiare le fameliche ciurme di romani che avevano “iniziato a sfogarsi contro i beni pontifici”. Così racconta il cronista inglese Matteo Paris 26.

A metà Quattrocento vi è una recrudescenza del caos, rivolte e rapine si moltiplicano, ma con una novità: non colpiscono più direttamente i beni pontifici come un tempo. Invece si riversano sui beni dei soli grandi notabili della curia e della corte prossima al papa. Alla morte di Sisto IV (1484), ad esempio, il popolo si spinge a razziare il palazzo del conte Riario, nipote del papa, e non lascia attaccata ai muri neppure una finestra; poi si diressero nella lontana villa di campagna a Castel Giubileo della contessa Sforza Riario e la derubarono di tutto il bestiame, comprese le galline e anche i salumi messi a stagionare. Quindi sfondarono, a Roma, i depositi di cereali. Bisogna dire però che il sacro corpo di Sisto IV non fu affatto esentato da umiliazioni: neppure era morto che la sua stanza e l'appartamento furono dai dignitari svuotati di tutto27, tant'è che il Burcardo racconta dell'impossibilità di trovare asciugamani, catinelli e persino mutande pulite per lavare e rivestire il defunto. Certo, siamo sempre nell'ambito di una vera ritualità che ammetteva alla morte del papa, che la familia pontificia potesse spartirsi le sue suppellettili... Forse però non solo in questo caso si esagerò, ma si creò una situazione di generale appropriazione indebita, per cui anche chi non aveva diritto osò appropiarsene in tutta fretta, magari privandone il legittimo avente diritto. Infatti il maestro Burcardo scrive: <<L'abate di San Sebastiano, sacrestano, si è preso il letto con tutti gli addobbi; benché spettasse piuttosto a me, considerato il mio ufficio. Tutto il resto è stato sottratto, per così dire, in un istante, non appena la salma è stata portata via dalla camera. E infatti, nonostante tutte le mie ricerche fra l'ora sesta e l'ora decima, non sono riuscito a procurarmi né unguento né un fazzoletto o un qualche recipiente nel quale mettere il vino e l'acqua profumata con le erbe per lavare il cadavere; e neppure dei calzoni e una camicia pulita per rivestirlo...>>28. Anche Alessandro VI Borgia, appena defunto, fu depredato d'ogni suppellettile e prezioso depositato nelle sue stanze, e di certo uno dei committenti della razzia fu proprio suo figlio Cesare, benchè poi ai suoi uomini sfuggì una stanza ben dissimulata, dove erano conservati paramenti preziosissimi, fra cui le tiare di Alessandro29. Alla morte di Sisto IV, così annotava il diarista Antonio de Vascho: <<Ricordo come a dì 12 agosto 1484 papa Sisto morì a hore quattro di notte, venendo il venerdì. Ricordo in questo sopradetto dì come a Roma si cominciò a fare cose strane, cioè rubbare, ferire et altre simili>>30; e alla morte del successore Innocenzo VIII, sempre de Vascho così scrive: <<Ricordo come papa Innocentio si ammalò di maggio e poi il mese di luglio morì, et in Roma furono fatti molti homicidii e molti feriti e latrocinii, e dopo li cardinali entrarono in conclave>>31. Di quest'ultima morte scrive anche il Pastor: <<Durante la lunga infermità di Innocenzo VIII erano accaduti in Roma brutti disordini; con preoccupazione pensavasi al periodo della sede vacante. Questo però, grazie alle energiche misure prese dai cardinali e dalle autorità di Roma, trascorse da principio tranquillo[...] La situazione però continuò ad essere tale, che i cardinali credettero bene di affrettare le esequie pel defunto pontefice>>.32 Morto il severissimo, e così poco amato dai romani, papa Paolo IV Carafa, il popolo accorse alle carceri ad abbatterne i cancelli liberando i detenuti, così per i prigionieri dell'inquisizione che i romani sostenevano essere carcerati per altro dall'eresia (liberando però i veri eretici li obbligarono a giurare prima fedeltà al credo cattolico, per non passare per nemici della fede). Gli stessi si diressero al Campidoglio a gettare giù la statua di papa Carafa poco prima eretta, il cui capo marmoreo fu fatto rotolare da ragazzini per tutta la città con un berretto giallo 32a e poi gettato nel Tevere. Saputo che era morto Sisto V gli ebrei che tenevano mercato a piazza Navona, s'affrettarono a raccogliere merci e baracca e fuggire, sicuri di un imminente saccheggio da parte dei romani. Quindi fra Quattrocento e Cinquecento episodi popolari criminosi alla morte del papa colpiscono i palazzi signorili romani e le famiglie prossime alla curia, categorie di semplici cittadini, ma non il Palazzo Apostolico. Tutti i cerimoniali concordano su questo dato, e di fatti 33 anche Patrizi Piccolomini, consigliando ai cardinali di fare il possibile per impedire qualsiasi tumulto alla morte del papa “qualora avvenisse a Roma”, nulla prescrive su una eventuale difesa del palazzo papale. Evidentemente non ve n'era più ragione34. Infatti, ancora prima, fra Trecento e Quattrocento, il cerimoniale del Conziè non dice altro riguardo a misure straordinarie per la difesa del palazzo papale durante la vacanza; si limita soltanto a dare indicazioni generali per il mantenimento dell'ordine pubblico, ricordando ai cardinali anche l'obbligo d'affidare ad un capitano la custodia dell'urbe 35. Ad ogni modo, dai diari del Burcardo apprendiamo che nell'epoca in cui operò come magister cerimoniarum, fra Quattrocento e Cinquecento, più che i saccheggi, le ruberie sparse ma metodiche e le appropriazioni più o meno indebite, avevano ripreso pieno vigore. Ciò era una anomalia ormai scabrosa rispetto alle corti laiche europee (in Francia specie) dove ormai di simili barbarie se ne perdeva memoria a metà Duecento. La differenza con i tempi di Leone IX però era fondamentale: non vi partecipava più dall'estero il popolo romano, ma i protagonisti incontrastati ora erano solo i curialisti e i familiari (cortigiani e consanguinei) del papa defunto. Però è cambiata anche un'altra cosa rispetto a prima: molti prelati e fra questi gli stessi Maestri delle cerimonie cominciano a provare e man mano a manifestare verso simili squallidi costumi una certa insofferenza, e quindi vera e propria indignazione. É questo il segnale, nota Paravicini Bagliani, che adesso “alcuni ambienti curiali erano in grado di opporvi una qualche resistenza” 36. Eppure, per non arrivare a questo punto, già nel Duecento i papi al fine di prevenire più che contrastare i saccheggi dei familiares, avevano riconosciuto a questi un corrispettivo in denaro in sostituzione degli oggetti della casa pontificia che per consuetudine spettavano ad alcuni di loro alla morte del papa. E un po' allo scopo di appagarli e un po' per mantenere una qualche forma d'autorità durante la sede vacante, per molti di questi curialisti si decise che i loro uffici e gli stessi titolari non decadessero alla morte del pontefice, e che anzi fossero annoverati fra gli uffici perpetui. Nel libro che raccoglieva i diritti-doveri dei membri della familia pontificia compilato fra il 1261 e il 1314, erano annoverate tutte le consuetudini in voga sotto diversi papi a partire da Bonifacio VIII; in una rubrica dedicata agli elemosinieri, ad esempio, ci si soffermava sui loro doveri alla morte del papa: lavare la salma e rivestirla prima di consegnarla ai penitenzieri. Per questo servigio i penitenzieri avrebbero potuto prendersi in cambio il letto in cui era spirato il papa 37. Nonostante tutto, se fu coronata da successo la difesa del palazzo papale dalla famelicità dei romani, fu un quasi totale fiasco la strategia per proteggerlo dagli appetiti sinistri degli stessi coinquilini del defunto. Perchè? Paravicini Bagliani dà una risposta per molti aspetti convincente: <<La ragione è semplice: la natura dell'esercizio del potere pontificio e curiale continuava a fondarsi su un vincolo personale di fedeltà che si veniva inevitabilmente a spezzare con la morte del signore. In queste condizioni, i membri dell'entourage del papa non potevano non vivere la morte del papa come un tragico momento di rottura, anche perché il nepotismo presupponeva un ampio avvicendamento personale ad ogni nuova elezione. Viceversa, il fenomeno delle ruberie di indumenti ed oggetti che erano appartenuti al papa defunto inizierà a declinare in tempi relativamente recenti, ossia con la progressiva instaurazione di un rapporto professionale di tipo traspersonale, conforme alla burocratizzazione moderna della Curia romana>> 38.

Torniamo un attimo indietro, ad analizzare. La ragione profonda dell'inizio e della fine della tradizione indecorosa dell'assalto dei beni pontifici ed ecclesiastici alla morte del papa od anche di alti prelati, è così perfettamente sintetizzata da Paravicini Bagliani, che più che di cessazione di questa ritualità parla di una sua trasformazione: <<Saccheggiando il palazzo, il popolo romano ritualizzava l'idea che parte dei beni pontifici erano di sua proprietà e dovevano quindi essergli restituiti alla morte del papa. A questo concetto obbediva anche il rito della presa di possesso del Laterano: seduto sulla sede stercorata, il neoeletto lanciava tre pugni di denari al popolo romano, esclamando: Questo argento e questo oro non mi sono dati per mio diletto; ciò che ho te lo darò 39. La lotta del papato contro questo tipo di saccheggio ebbe inizio prima della riforma gregoriana. Il primo episodio risale infatti all'885>> sebbene poi un primo provvedimento censorio è certificato solo a fine del pontificato di Leone IX, quando, come abbiamo detto, difendere i beni pontifici, equivalse a definire la scissione tra la persona fisica del papa e la Chiesa considerata eterna. <<Ciò suggerisce che la protezione del palazzo fu cronologicamente il primo ambito istituzionale entro il quale si realizzò un'esplicita e cosciente dissociazione tra caducità fisica del papa e perennità del papato>>. I primi successi contro questo nefasta tradizione si riscontrano fra Due e Trecento, ma più che per i moniti papali, per ragioni accidentali, come ad esempio le frequenti morti papali fuori sede e quindi la lunghissima cattività avignonese che ostacolarono <<il rinnovarsi del tradizionale saccheggio, la cui spontaneità e irruenza erano in qualche modo legate alla presenza fisica a Roma del papa defunto>>. Questa fu la ragione pratica. Ma la ragione culturale era un'altra: <<Il principale ostacolo derivò però dall'affermazione dell'universalità del papato, che nel Duecento è una realtà politica oltre che ecclesiologica. Già Pier Damiani aveva avvertito che la morte del papa è un momento di terrore di dimensioni universali. Dalla riforma gregoriana in poi, la morte del papa riguarda sempre più la chiesa universale. Il popolo romano poteva ancora aspirare ad appropriarsi dei beni appartenenti non più soltanto al vescovo di Roma ma alla chiesa universale?>>. Paravicini Bagliani fa notare un altro fatto importante: a inizio Duecento oltre alla protezione del palazzo, il papa ottenne dagli imperatori la promessa della loro rinuncia a spogliare i beni ecclesiastici alla morte di un vescovo. Questo successo del papa sullo ius spolii era il completamento e l'esternazione della sua plenitudo potestatis, da cui, fra l'altro, scaturì la tendenza della curia alla pratica testamentaria: <<La dottrina che sottende la licentia testandi è fondata sul concetto che parte dei beni del prelato defunto apparteneva alla chiesa>>. Chiaro che questa nuova consuetudine coinvolgeva anche il papa: <<La morte di un prelato di Curia, e ancora più quella del papa, deve svolgersi sotto il controllo della chiesa romana, nel rispetto di ambedue le sfere, privata ed istituzionale. Il papa muore, ma la chiesa è eterna>> 40. All'affievolirsi a fine Trecento di queste pratiche orribili che colpivano patrimoni di papi morti o appena eletti, e con maggiore furia di cardinali d'ogni grado e soprattutto quelli considerati più papabili, v'è un'altra ragione meno appariscente: <<Si era ormai affermato da tempo il ruolo istituzionale che era stato affidato ai cardinali fin dal 1059. I cardinali erano ormai i garanti indiscussi del trapasso della potestas papae. Anzi, i cardinali erano la Chiesa per il periodo limitato della Vacanza>> 41.

Il fenomeno se non proprio dei saccheggi, che erano scomparsi come consuetudine, delle sommosse popolari alla morte del papa continuò in modo più o meno annacquato a trascinarsi per tutto il '700, benchè spesso lo scontento popolare si indirizzasse, se si eccettuano le pasquinate, non contro il papa defunto ma verso i suoi più immediati collaboratori, individuati come responsabili unici della cattiva amministrazione di quel pontificato. É il caso del tentativo di linciaggio popolare del cardinale Coscia, collaboratore favorito di Benedetto XIII 42. Scrive Stendhal: <<Benedetto XIII Orsini regnò cinque anni . Debole per l'età avanzata, non fece niente che rispondesse alle sue pie intenzioni. E fu sotto il regno di questo papa pieno di dolcezza, d'umiltà e di carità che si verificarono le azioni di furfanteria più scandalose. L'avarizia e le spaventose concussioni del cardinale Coscia, ministro di Benedetto XIII 43, produssero un deficit di 120mila scudi romani nelle casse della camera apostolica. Nel momento in cui il papa esalava l'ultimo respiro, il 21 febbraio 1730, scoppiò a Roma una furiosa sommossa; il popolo voleva fare a pezzi il cardinal Coscia e tutti i suoi favoriti, i quali, durante i cinque anni, avevano venduto impieghi, cariche ecclesiastiche e perfino le sentenze del tribunale. Coscia passò nove anni a Castel Sant'Angelo [...]>>; dunque Stendhal fa questa analisi, non del tutto sbagliata: <<Il papismo ed il potere assoluto nelle mani di un vecchio sempre vicino a morire hanno talmente corrotto il popolo di Roma, che del potere stima solo ciò che ha di perenne: il denaro che consente di accumulare>> 44. Una pasquinata alla morte di papa Orsini recitava: <<Racchiude quest'avello/ l'ossa d'un fraticello: più che amator di santi, protettor di briganti>> 45.

La situazione è del tutto mutata ormai a fine '700 e nel primo '800, se non altro per rispetto a quei papi, come Pio VI e Pio VII che avevano subito la persecuzione, l'esilio, la prigionia e in conseguenza anche la morte sotto il regime Napoleonico. Così il diplomatico francese Artaud de Montor, da testimone, descrive il popolo romano durante l'agonia di Pio VII, nell'agosto 1823: <<Tutte le chiese intanto affolavansi di pie persone, che vi accorrevano a pregare Iddio pel Pontefice. Universale era il cordoglio. Non si vedeva, così l'ambasciatore scriveva a Parigi, nessuna apparenza di sinistre preoccupazioni, nessun'altra agitazione che quella prodotta dal dolore>>. E all'arrivo in corteo a San Pietro della salma di Pio VII proveniente dal Quirinale, sempre Artaud de Montor, meravigliato ma memore dei precedenti storici (ma anche del fatto che era dai tempi di Clemente XIV, e cioè da mezzo secolo, che un papa non moriva a Roma, e la maggioranza dei romani assisteva per la prima volta a delle esequie pontificie), scrive: <<In questa occasione chiaramente si potè ravvisare la naturale docilità del popolo romano. A mal grado della viva curiosità, da cui tanta gente era animata, a mal grado d'una certa insufficienza d'illuminazione, e forse anche di provvedimenti della polizia, non si ebbe a deplorare nessun disgustoso accidente>> 46.

4. Vedovanza della chiesa

Vi è un aspetto che specie intorno all'XI secolo va affermandosi, ispirato probabilmente dall'idea damianea sulla morte del papa, e che possiamo, contro la sua tradizione, ritrovare persino nelle Vite di quel periodo del Liber Pontificalis. Infatti Paravicini Bagliani 47 lì ritrova la descrizione del trasporto del corpo di Eugenio III (1153) da Tivoli al Vaticano lo stesso giorno in cui è spirato. L'afflusso del popolo fedele e del clero fu massiccio. Il biografo Bosone parla per la prima volta nel Liber di “lutto e tristizia”. Non è solo emotività legata al momento; è qualcosa di più: la morte del papa è un lutto, lutto per la Chiesa, lutto universale, lutto del popolo di Dio. Questa idea prende più corpo ancora nella Vita di Gregorio IX (1227-41), quando si fa notare il contrasto fra la magnificenza dell'intronizzazione lateranense e il periodo della morte del papa, quando per la Chiesa ha inizio un tempo di lutto. Che si dileguerà con l'ascesa al soglio del nuovo pontefice, che segnerà una fase di rinascita per la Chiesa. “Nel ricordare l'elezione di Innocenzo IV (1243) la Vita di Gregorio IX usa nuovamente il concetto della vedovanza della chiesa romana, che completa con l'immagine dello sposo, ritrovato integralmente con l'avvenuta elezione del pontefice” 48. I cardinali capi dei tre ordini, nel 1823, alla morte di Pio VII, scrivendo ai cardiali assenti per avvisarli dell'imminenza del conclave, ad un certo punto della loro missiva scrivono: <<...gettando uno sguardo allo stato di vedovanza, nella quale si trova la chiesa stessa, noi ci affrettiamo di procedere all'adempimento de' nostri sacri doveri>> 49.

5. Il lutto della curia

Il canone 335 del Diritto Canonico (Codice Diritto Canonico, promulgato nel 1983), così recita: “Quando resti vacante o totalmente impedita la Sede Romana, nulla si deve innovare nel regime della Chiesa universale; vanno tuttavia osservate le leggi speciali formulate per questi casi”. La sede vacante per la morte del papa è una situazione ambigua e transitoria, un limbo in cui tutto è sospeso e naviga restando immobile; anche quando, e accadrà spesso, si dilungherà per interi anni nell'attesa che un conclave partorisse un papa che non veniva. Fu il caso, ad esempio, di Clemente IV morto nel 1268 e al quale solo nel 1271 a Viterbo si decise di dare un successore, ma solo perché Rosso Orsini spazientito insieme ai fedeli, di fatto murò i cardinali dentro il palazzo e giorno dopo giorno ne diminuì i pasti sino a ridurli pane e acqua (nasce da questa vicenda paradossale la clausura del conclave). In questo periodo di sospensione e attesa si crea una specie di governo interino della chiesa (e un tempo dello Stato Pontificio) affidato al Collegio cardinalizio nel suo insieme, che si esprime durante le congregazioni cardinalizie. Ad alcuni membri del Sacro Collegio e della familia pontificia, sono affidati compiti singolari, come, ad esempio, il camerlengo e il decano dei cardinali; altri prelati mantengono il loro ufficio anche alla morte del papa 50. Tutti insieme, oltre ad avere un potere diffuso in fatto cerimoniale e di ordinaria amministrazione, hanno anche di fatto le mani legate in tutte le questioni importanti. Solo il papa ha la plenitudo potestatis, che muore con lui. O meglio: giacché quella petrina non è una proprietà di uno ma eredità di chiunque diventi Pietro, eredità petrina, non muore e non si dilegua col papa, resta intatta e intangibile per investire in pieno il successore legittimo. È tramandata51. In teoria è affidata al Sacro Collegio affinché la preservi integra per il successore del papa defunto, perché solo il prossimo Pietro potrà possederla pienamente ed effettivamente, validamente ed efficacemente52. A questo proposito qualcuno porta l'esempio dei faraoni, che si facevano seppellire coi propri servitori 53, quasi in una morte collettiva. In un certo senso, e non come capriccio superstizioso e cinico di un potere senza limiti come quello egiziano, una cosa simile in senso figurato avviene alla morte dei papi: <<Può dirsi che anche i funzionari del papa defunto muoiono con lui, dal momento che, vacante la sede apostolica, restano del pari automaticamente vacanti le alte cariche della curia romana, a cominciare dal segretario di stato. La chiesa cattolica entra, per così dire, in uno stato di letargo dal quale deve uscire al più presto possibile>>54. Appunto, alla morte del papa accertata dal camerlengo decadono la maggioranza delle cariche curiali. Altre permangono immutate, salvo per la parte dei loro uffici che abbisognano dell'assenso del pontefice regnante55. Alla morte di Pio VII <<Il cardinale penitenziere ed il cardinale segretario de' Brevi erano le sole autorità, i cui uffici non rimanevano interrotti; tutte le altre dovevano essere riconfermate dal Sagro Collegio. Il tribunale dell Rota, gli altri tribunali e la Dataria avevano sospese le loro sentenze e le spedizioni delle Bolle>> 56.

La maggioranza delle discettazioni, specie medievali sul periodo di vuoto in cui ci si imbatte alla morte del papa e sulla funzione ed essenza del Sacro Collegio durante l'interregno, convergono sul fatto che il Collegio cardinalizio “rappresenta la Chiesa durante la vacanza” . In questo contesto proprio per l'importanza delle loro funzioni alla morte del papa, le figure del camerlengo e dei penitenzieri si ingigantivano ulteriormente in prestigio e importanza. Clemente V (1305-14) infatti stabilisce che proprio le funzioni e responsabilità di queste due figure curiali deve rimanere intatta “e non spirare a causa della morte del pontefice”. Questa loro importanza è sottolineata dalla facoltà data al Sacro Collegio durante la vacanza, di nominare un altro camerlengo o penitenziere nel caso di morte di uno di questi. Tuttavia un ordo papale del Quattrocento dice che morto il papa, decade anche l'ufficio dei penitenzieri; però, al contrario d'altri, essi si dovevano presentare davanti il Collegio cardinalizio, condotti dal cardinale penitenziere (maggiore) per ricevere l'autorizzazione ad esercitare le loro mansioni di sede vacante57. A partire dal 1300, sempre più le funzioni del camerlengo e dei penitenzieri durante la vacanza, vengono percepite da tutti come uffici perpetui che per la loro peculiarità era opportuno non decadessero in nessuna forma alla morte del papa. Da qui la curiosa consuetudine dei penitenzieri, durante la sede vacante, di intestare le loro missive ufficiali con la formula Auctoritate sancte Romane Ecclesie, qua fungimur. Questo particolare è emblematico: quando il papa era vivo si appellava il camerlengo con la definizione di domini pape e non sancte Romane Ecclesie o sacri palatii come era in uso per altri curialisti; inoltre cardinali e curiali per potersi confessare durante l'interregno, dovevano ricorrere al penitenziere del papa defunto, perchè questi rappresentava “la persona del papa in materia di penitenza”. Conclude perciò Paravicini Bagliani: <<Tutte queste decisioni consolidano il prestigio ecclesiologico del cardinalato e sono sottese ad una chiara presa di coscienza della continuità della Chiesa romana. Si può dire che l'insieme di queste decisioni costituisce un punto culminante della dissociazione tra caducità fisica del papa e perennità dell'istituzione, le cui prime avvisaglie risalgono alla metà dell'XI secolo [...] Due secoli dopo la chiesa romana dispone ormai di strumenti giuridici (l'Ubi Periculum), di spazi rituali (i novendiali) e di argomenti ecclesiologici (relativi al cardinalato) per poter affrontare con una certa serenità l'avvento della morte del papa, quel periodo di vuoto che Pier Damiani aveva definito come momento di terrore >> 58.

Un altro particolare, erano le condoglianze dei corpi diplomatici, dei rappresentanti dei sovrani e dei titolari di cariche civili a Roma e nello Stato Pontificio, ai cardinali dei vari ordini e gradi, dopo la solenne messa esequiale prima della sepoltura del papa. Stendhal riporta un caso del genere alla morte di Leone XII nel 1829: <<Dopo la messa i cardinali si sono riuniti per i loro affari di Stato; la seduta ha avuto luogo nella camera del capitolo di San Pietro; hanno confermato tutte le persone in carica. I Conservatori 59 di Roma son venuti a far loro le condoglianze per la morte di Leone XII, di cui tutti sono contenti>>, e aggiunge con disincanto l'autore de Il Rosso e il Nero, <<Del resto, anche se fosse stato un Sisto V, sarebbe stato lo stesso>> 60.

Il potere temporale risiede diffusamente adesso nei cardinali, quindi ogni principe della chiesa, in vece del suo Signore defunto, avrebbe diritto agli onori di un sovrano61. A tal proposito v'è un aneddoto indicativo della nuova situazione dei cardinali. Lo racconta il presidente de Brosses62, dove il prestigioso viaggiatore settecentesco testimone della morte di Clemente XII, nota che durante la sede vacante, quando accompagnava nei suoi spostamenti il cardinale de Tencing, nessuno osava mettersi al suo fianco nella carrozza come invece era consuetudine, bensì prendeva posto da solo sulla vettura, “come rappresentantante di una parte del monarca”. Qui si innesta ancora il discorso più vasto, spesse volte accennato su caducità della persona fisica del papa e perennità del papato, sull'anche il papa muore e sulla dignità che non muore del papa ossia della sua funzione, quindi il sofisma del papa che non ha due corpi come il re. Non riapriremo qui il discorso, lasciamo a Paravicini Bagliani di collegare, con poche esatte parole, questi assiomi con il ruolo del Sacro Collegio alla morte del papa: <<Il Re sopravvive al re... Viceversa, il papa e l'imperatore non possono avere due corpi, perchè papato e impero sono istituzioni squisitamente non dinastiche. Anche il papa muore, e alla sua morte la potestas papae, eterna, passa al suo successore tramite il collegio dei cardinali che rappresenta la Chiesa durante il periodo limitato della vacanza. È per questa ragione che quando tenevano concistoro (nel senso di congregazione) durante la vacanza, i cardinali dovevano sedersi in modo tale da non lasciare vuoto il posto del papa>> 63. Sintesi perfetta.

I COLORI E I SEGNI DEL LUTTO. Prima che il Concilio Vaticano II semplificasse, insieme a tutto il resto, gli abiti dei cardinali e dei prelati esistevano una mole di segni, consuetudini, regole che dovevano rappresentare esteriormente la nuova situazione in cui si era venuta a trovare la curia romana, alla morte del suo Pontefice, Padre e Signore. Era il lutto. Questo era visibile specie nel vestiario usato dai prelati per il periodo di interregno nelle varie funzioni liturgiche o cerimoniali o giuridiche 64.

Deceduto il papa, i cardinali immediatamente indossavano vesti di colore paonazzo; i cardinali poi che erano stati creati dal defunto, ci informa il Moroni, alla morte del loro benefattore aggiungevano alle vesti ulteriori dimostrazioni di duolo. Tutti nell'incedere si privavano della consueta mantelletta, tenendo così scoperto il rocchetto in segno di giurisdizione. In un secondo momento si assumevano abiti di colore verde o paonazzo, dipendeva dalla prossimità del rapporto che ciascuno aveva intrattenuto col defunto pontefice. Succedeva prima del 1797 che i cardinali in certe cerimonie si facessero precedere nella corte dalla mazza d'argento, una specie di baculum: morto il papa, in segno di lutto questo si continuava ad usare, ma non più tenuto in alto, bensì calato. I prelati invece vestivano di nero, dal quale erano dispensati i familiari del papa morto 65. Anche il cardinale camerlengo, dopo aver constatato la morte del pontefice, proclamato il vere papa mortuus est!, ascoltato la lettura del verbale della cerimonia redatto dal protonotario, lasciava la camera, scortato dalla guardia svizzera, e subito dopo “deponeva la mantelletta poiché il papa era veramente morto”.66

Andando indietro, al cerimoniale dell'Ameil, questi aggiunge altri particolari, specie per il camerlengo. Vi è scritto che durante la traslazione del papa dalla camera alla cappella, soltanto al camerlengo, alla domus e alla familia pontificia è permesso portare cappucci neri (non meglio identificati) e ad accompagnare la salma del papa. Egli, il camerlengo, scrive il cerimoniere, deve vedere tutto e cioè accompagnare il corpo; ma solo qualora non sia cardinale; così come si vestirà di nero solo se non è cardinale; e se fosse invece un porporato allora non si vestirà né di nero, nè di rosso, né di verde, ma di altri colori. Quindi il cerimoniere Ameil porta un elenco di prelati della familia che hanno l'obbligo di indossare il nero in segno di lutto per la morte del papa. Come vedremo, per tutto il tempo della preparazione della salma e della sua semi-pubblica esposizione in cappella, i porporati non vi presenziano; soprattutto, prescrive Ameil, non porteranno insegne e vesti che indichino la loro dignità cardinalizia. Se i principi della chiesa vorranno partecipare alle esequie del papa, magari svolte nella cappella, si accomoderanno fra i banchi, ma senza paramenti e senza indossare il colore rosso; porteranno invece delle cappe di lana67. Circa il senatore di Roma, anche qualora il pontefice decedesse a Roma, non deve propter officium indossare vesti colore nero, né verde o rosso; poi se proprio volesse mettersi in nigris per dimostrare particolare amore e affezione al papa defunto, lo facesse pure, ma a titolo privato.68

I cardinali ancora, durante la novena, dovranno evitare il nero, il rosso, il verde nel vestiario: useranno altri colori. Potranno indossare dei piviali neri esclusivamente durante le messe novendiali: “Il lutto dei cardinali è liturgico e coincide con il tempo dei funerali ufficiali”. L' Ameil ancora dispone che il primo giorno delle esequie il feretro del pontefice sia circondato dai suoi familiari in nero e dal camerlengo, a patto che non sia cardinale; il Sacro Collegio si riunirà nel coro. In seguito celebreranno i loro uffici funebri, rispettando un rigoroso ordine gerarchico fra cardinali vescovi, presbiteri e diaconi, pena la perdita del posto69. Poco dopo, nel cerimoniale funebre di Francesco Conziè (1383-1431) è confermato che i cardinali debbono portare cappe di colore scuro, ma mai nero, e aggiunge che debbono essere foderate di grigio o di blu scuro; ne dispensava però i prelati provenienti dalla parentela del pontefice defunto o che da lui erano stati creati70. Di poco prima, durante la cattività avignonese, parlano alcune vite di papi di quell'epoca. Ad esempio in quella di Innocenzo VI (+1362), dove si accenna ai suoi novendiali . Spulciando fra i dati della contabilità della Camera apostolica si sa che il cadavere di Innocenzo VI fu esposto per due giornate dentro la cappella grande del palazzo apostolico avignonese; si ha anche la lista con tutti gli uffici previsti e spesso remunerati; dalla stessa contabilità si viene a sapere che in quei giorni furono acquistati molti abiti di colore nero, per i funzionari papali che erano decaduti dal loro incarico alla morte del pontefice e che adesso erano tenuti a portare il lutto71 . Quindi il camerlengo e cerimonialista Conziè scinde in due categorie la curia alla morte del papa, e in base a queste distribuisce il diritto o meno a portare il lutto per il papa, e infatti scrive: <<Si deve sapere che le vesti lugubri a causa della morte del papa non vengono portate da coloro che tengono uffici perpetui in Curia... Coloro invece che tengono uffici non perpetui, che spirano alla morte del papa... portano le vesti lugubri, a meno che, oltre a questi uffici, essi non siano in possesso di uffici perpetui minori>>. Conziè si scosta ancora dall'Ameil, che negava a tutti i cardinali di portare il lutto e il nero per la morte e i funerali del papa, escluso il piviale nero per la celebrazione della messa della novena. Conziè abbiamo visto distingue fra cardinali parenti del papa o da lui creati, e tutti gli altri: solo le creature del defunto potranno indossare piviali neri, i restanti cardinali si limiteranno a portare cappe di colore scuro ma non nero. Proprio in queste ultime pignolerie curiali, nel confronto fra i due cerimoniali, notano il Paravicini e il Dykmans, si manifesta ancora una volta il tentativo di “dissociazione tra la dimensione fisica del papa, caduca, e la perennità della chiesa”. Il papa muore, ma la Chiesa è eterna: è questa l'architrave ideologica su cui si è costruita e retta, dalla riforma gregoriana in poi, passando per Avignone (che se ha portato novità, erano comunque novità mutuate da questa retorica medioevale), il grosso della storia della morte del papa72. A tal proposito lo studioso francese riporta fra i vari esempi, uno emblematico derivato ideologicamente dai rituali funebri regali di Francia: i presidenti del parlamento di Parigi alla morte del re, non dovevano portare il lutto, perché “la Corona e la Giustizia non muoiono mai”.73

NOTE

1 Santolaria J.A., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, p.76.

2 Vercesi E., Pio IX, Milano 1929, pp.243-46; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p.11.

3 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.11.

4 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.76.

5 Brosses C. de, Viaggio in Italia, Lettere familiari, 3 voll, Firenze 1958, p. 299; Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, II, pp.258-9.

6 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.11.

7 Artaud de Montor, Storia di Pio VII, Milano 1865, III tomo, pp.270-1; per il rintocco delle campane alla morte di Leone XII, Stendhal, Passeggiate, cit., II, pp.293-4.

8 Visceglia A.M, La Città rituale, Roma e le sue cerimonie in età moderna, Città di Castello 2002, pp.60-63.

9 Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, pp.72, 167, 291.

10 Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, p.190; Pastor L., Storia dei Papi, 16 voll, 20 tomi, Roma 1942, IV/2, pp.138-45; idem IV/1, pp.326-30.

11 Visceglia A.M., La Città rituale, cit., pp.60-3; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.69.

12 Pastor L., Papi, cit., XV, p.634; Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, 202.

13 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.81.

14 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.81.

15 Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85; IV p. 264 n.7

16 Lehnert P., Pio XII, il privilegio di servirlo, Milano 1984, pp.238-43; Tornielli A., Pio XII, Eugenio Pacelli un uomo sul trono di Pietro, Milano 2007, pp. 568-9; Spinosa A., Pio XII, l'ultimo papa, Milano 1993, pp.371-2.

17 In realtà forse va anche fatto risalire a un certo orrore di Roncalli, culturale e protocollare, ad essere a stretto contatto e sotto lo stesso tetto con delle donne... era un fatto consueto per certi preti preconciliari. Ad esempio non ammise mai alla sua mensa le sorelle -escluse le festività-, che lasciava pranzare in cucina con la servitù. Delucidazioni in: Oddi S., Il Tenero Mastino di Dio, Memorie del Cardinale Silvio Oddi, intervista di L.Brunelli, Roma 1996 , pp.121-2.

18 Lai B., I segreti del Vaticano, da Pio XII a papa Wojtyla, Bari 1984, pp.15-6; Andreotti G., A ogni morte di papa, I papi che ho conosciuto, Milano 1980, pp.45-6; Di Capua G., Pascalina, la dama nera di Pio XII, Valentano 1997, pp.185-8; Lehnert P., Pio XII, cit., pp.239-46; Schad M., La Signora del sacro palazzo, suor Pascalina e Pio XII, Cinisiello Balsamo 2008, pp.193-200; Cooney J., The American Pope. The Life and Time of Francis Cardinal Spellman, New York 1984, p.262.

19 La pubblicistica e la bibliografia sul tema dei saccheggi e sommosse popolari a ogni morte di papa, sono sterminate: cronache e aneddoti su singoli casi, se ne trovano praticamente in ogni biografia papale su pontefici antecedenti l'Ottocento, e in molte delle opere enciclopediche o monografiche sulla storia del papato e della chiesa romana. E' la ragione principale che ci spinge a selezionare in modo restrittivo le fonti e la bibliografia limitandoci all'analisi profonda che, forse il solo, ne ha fatto del fenomeno Agostino Paravicini Bagliani in alcune sue opere, specie ne Il corpo del papa, ma anche Maria Antonietta Visceglia in La città rituale, benchè assai deve al volume del Paravicini; talora aggiungeremo qualche citazione emblematica presa da qualche volume che accenna al problema -specie, se sarà possibile in Visceglia, La città rituale, rinunciando in partenza alle decine di opere che potremmo citare, che inevitabilmente ci porterebbero a fare di questa tesi sulla morte dei papi, una tesi anche sui saccheggi popolari e curiali durante la sede vacante.

20 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del papa, Torino 1994, pp.148, 151.

21 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 147-8

22 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.148-9

23 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.171, si basa sul Liber Pontificalis, nel quale è bene vedere la Vita Severini, a proposito della natura equivoca dei saccheggi avvenuti alla morte di papa Severino nel 640, AA.VV. Liber Pontificalis, 3 voll, Roma 1978, I, pp.328-29.

24 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 149-50

25 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 173; su questa vicenda è consultabile sempre il grande studioso della cattività, il Mollat G., The popes at Avignon, London 1963; anche Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.31; sulla vicenda di Clemente V sono consultabili tutte le varie “vite dei papi” -specie di Falconi, Saba-Castiglioni, Marcora che ne accennano in vario modo.

26 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.151

27 Oltre alle testimonianze del Burcardo per cui rimandiamo al capitolo Composizione e Vestizione, vi sono molteplici altre testimonianze sugli accadimenti alla morte di Sisto IV, dai quali anche abbiamo attinto. Si veda Infessura S., Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, fra le pp. 230 e 335 che si intrattiene sulle sommosse del 1484; citato anche in RIS, III, 2, 37-38, 1904 da D.Toni, nel suo intervento Il diario romano di Gaspare Pontani; i veda anche l'ottimo diarista Antonio de' Vascho Il diario della città di Roma dal 1480 al 1490, a cura di G.Chiesa, nella rivista R.I.S., XXIII/3, fascc. 6-3, Bologna 1904-11, p.513.

28 Burcardo G., Alla Corte di cinque papi, Diario 1483-1506, ed.G.Bianchi, Milano 1988, pp.44-45; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.21; Visceglia A.M., La Città rituale, cit., pp. 60-61, riporta molti altri esempi di spogli, in riferimento soprattutto all'elezione del papa però; basa molte delle sue riflessioni su un libro che conosciamo, ma che non inseriremo in questa tesi, di Ginzburg, Saccheggi rituali, 1987 in “Quaderni di Storia”.

29 Si rimanda la paragrafo sui Papi Borgia.

30 Vascho de' A.., Il diario, cit., p.513

31 Vascho de' A., Il diario, cit., p. 545 n.12

32 Pastor L., Papi, cit, III, p.278.

32a Carafa aveva obbligato gli ebrei del ghetto ad indossare questa infame insegna, si veda Pastor L., Papi, cit., VI, pp.583-6.

33 Se escludiamo quello dell'Ameil, il più antico, che asseriva solo che la protezione del palazzo papale era compito del camerlengo, e perciò doveva chiuderne tutte le porte, tenendosi solo una chiave per eventuali urgenze, in Dykmans M., Le Ceremonial, cit., II, p.471.

34 Dykmans M., L'Oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le cérémonial papal de la première Renaissance, 2 voll, Città del Vaticano 1980-82 , I, p.233 n.687.

35 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., IV, pp.266-7, n.17-18.

36 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.191.

37 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.210, n.53.

38 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.191-2.

39 Visceglia A.M., La Città rituale, cit., p.61

40 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.153-4; l'argomento è affrontato da Elze R., Sic transit gloria mundi: la morte del papa nel Medioevo, in <<Annali dell'istituto storico italo-germanico>> in Trento, 3 (1977), p.38, dove si legge che nel 1262 Urbano IV ebbe ragione nella partita, stabilendo una contromisura destinata a colpire le appropriazioni indebite alla morte di prelati: morto un ecclesiastico automaticamente la chiesa romana entrava in possesso dei suoi beni incamerandoli; da questa misura il prelato poteva affrancarsi soltanto domandando o possedendo alla morte una licentia testandi pontificia.

41 Paravicini Bagliani A.., il Corpo, cit., p.229.

42 Pastor L., Papi, cit., XV, pp.505-8, 633-7,641-2; l'episodio è riportato in ogni biografia di papa Orsini, e in ogni serie di “Vite dei Papi”, con maggiore profitto vedere Marcora C., Storia dei papi, 4 voll, Milano 1962, IV, pp.510-22.

43 In realtà il Coscia non fu mai ufficialmente segretario di Stato, rimase solo segretario ai Memoriali, ciò nulla toglie che fosse la vera eminenza grigia della curia, che non poco strumentalizzò il papa che se lo era portato dietro da Benevento alla sua elevazione al papato, per avere qualcuno di fiducia accanto e che oltremodo lo beneficò; vedi nota stesso libro Stendhal ,Passeggiate romane, cit., II, p.332 n.228; Moroni G, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, da san Pietro sino ai nostri giorni, 103 voll., Venezia 1849-61, XVII, pp.306-7; ottima, al solito la ricostruzione nel Pastor L., Papi, cit., XV, pp.505-8, 633-8.

44 Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, p.202.

45 Rendina C., I Papi, storia e segreti, Roma 1996, p.593.

46 Artaud de Montor, Pio VII, cit., III, p.272.

47 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.160-1.

48 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.161.

49 Artaud de Montor, Storia di Leone XII, Milano 1844, p.22, la missiva è firmata dal segretario del Sacro Collegio, Mazio.

50 Vedi anche in Rossi A., Il Collegio cardinalizio, Città del Vaticano 1990, pp. 3-5, 7, 34, 49-50, 61-72, soprattutto 152-6.

51 A proposito di questo tema le teorie nei secoli sono state le più disparate, tuttavia abbiamo ritenuto di non doverle inserire in questo lavoro: pensiamo che, benchè legate a doppio filo logicamente alla morte del papa,

in realtà poi aprono e sviluppano un capitolo autonomo e complesso che ci trascinerebbe alquanto fuori tema. Per una panoramica sulla questione della vacanza e dell'interregno, dunque sui poteri legittimi del Sacro Collegio alla morte del papa in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.221-22; una veloce panoramica storica sul collegio cardinalizio in Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., specie da pp. 49-100, sullla sede vacante pp.49-50.

52 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit, p.17; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.49-50.

53 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit, p.17; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.49-50.

54 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit, p.17; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.49-50.

55 Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.49-50

56 Artaud de Montor, Pio VII, cit., III, p.271.

57 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 222, 245-6; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.49-50, soprattutto pp.152-55.

58 Visceglia A.M. , La Città rituale, cit., p.59. Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp. 222-3.

59 Erano magistrati preposti all'amministrazione civile di Roma, vedi Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, p.339 n.344.

60 Stendhal, Passeggiate romane, cit.,II, p.294.

61 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.18; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp. 49-50, 29-34

62 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.18.

63 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 223-4; lo stesso discorso all'incirca sviluppa Dykmans M., Le ceremonial, cit., II, p.471.

64 AA.VV. Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004 , p.104.

65 Moroni G., Le Cappelle Pontificie, cardinalizie e prelatizie. Opera storico-liturgica, Venezia 1841, pp.140-5; AA.VV., Sede Ap. Vac., cit., p.103.

66 Vercesi E., Pio IX, cit., p.246.

67 in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.162-4.

68 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.180; negli ultimi decenni dello Stato Pontificio sarà consuetudine essere un laico, a proposito vedi Negro S., Seconda Roma, Vicenza 1966, pp.185-219. Moroni G., Cappelle, cit., p.143; per le le particolarità e curiosità su questa figura, vedi Visceglia A.M., La Città rituale, cit., pp.147-52.

69 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.164-7.

70 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., IV, p.266 n.16.

71 Deprez E., Les Funerailles de Clement VI et Innocent VI d'apres les comptes de la cour pontificale, in <<Melanges d'archeologie et d'Historie>>, 20, (luogo non indicato) 1900, pp. 230-48.

72 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., IV, p.264 n.7; Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit. p.167.

73 In Kantorowicz K., The King's two bodies, Princeton 1957, pp.123-129; la frase esatta si trova nelle note dell'edizione francese del 1983, Les deux corps du roi, Paris, pp..536 n.343, che -può essere per nostra disattezione- non abbiamo ritrovato nella precedente edizione inglese succitata. Utile a chiarire l'argomento -per quello che abbiamo potuto limitatamente arguire dal testo in francese- è anche il volume di R.Giesey, Le roi ne muert jamais, Paris 1987, soprattutto p.340.

Capitolo quinto
Composizione ed esposizione della salma

1. Precordi e imbalsamazione

PRECORDI A SANTI VINCENZO E ANASTASIO. Trascorse 24 ore dal decesso, si passava al pietoso e crudele ufficio dell’apertura del cadavere del papa per imbalsamarlo. L’intervento avveniva ad opera del chirurgo del defunto e di altro personale abilitato del Palazzo Apostolico, presenti un medico del pontefice, l’archiatra e lo speziale palatino, magari accompagnati tutti da loro coadiutori. Aperto l'addome, venivano estratti i precordi e posti in un vaso di coccio assolutamente sigillato, che era di regola trasportato nella cripta sotterranea dietro l'altare maggiore della chiesa palatina, cioè la parrocchia del Quirinale che era SS.Vincenzo ed Anastasio a piazza Fontana di Trevi, ricostruita nel 1650 per interessamento del card. Mazzarino1. La sepoltura dei precordi in questa chiesa doveva essere riservata solo ai papi che morivano al Quirinale, ma nei fatti non sempre fu così. Per questo la chiesa fu definita dal Belliun museo de corate e de ciorcelli” 2. O meglio: fu così finchè Leone XII della Genga (1823-29), sebbene avesse disposto che quella chiesetta non fosse più parrocchia palatina, stabilì che vi si inumasserro nella cripta non solo i visceri dei papi spirati al Quirinale ma anche di quelli che sarebbero morti in Vaticano 3. Ad esempio Leone XIII Pecci non solo non morì al Quirinale, ma all'epoca, è il 1903, quel palazzo non apparteneva più neppure ai papi ma ai re d'Italia; ciò nonostante i suoi precordi furono egualmente -è l'ultima volta- sepolti nella ormai ex chiesa palatina 4.

Morendo, il papa diventa Ceneri di Pietro, così si diceva ad un certo punto nel Duecento, ed è forse questa retorica, scrive Paravicini Bagliani, che spinse la chiesa a conservare le viscere del papa estratte dal cadavere per procedere all'imbalsamazione interna... e fu proprio per riferirsi agli interna corporis dei pontefici che si coniò un termine nuovo: ciò che per i comuni mortali indistintamente erano gli “intestini” o “budella”, per il papa diventavano i “precordi”: una accortezza cortigiana che accentuava la natura regale del papato e l'alterità della persona del pontefice5.

Dal Cinquecento in poi, i precordi dei papi imbalsamati furono tutti piuttosto anonimamente inumati nelle grotte vaticane. Così fu per Giulio II, Clemente VII, Paolo IV, Pio IV, Pio V (tutti papi che erano destinati ad essere sepolti in luogo diverso dalla basilica di San Pietro). Il chirurgo bolognese Pietro Argellata, imbalsamatore di Alessandro V (+1410), a proposito delle viscere pontificie riporta alcuni suoi appunti 6 : <<Gli intestini e gli altri membri furono sepolti immediatamente>> ma dimentica di dire dove, ammesso lo sapesse. Quando Pio II morì d'improvviso ad Ancona, mentre s'imbarcava per la crociata, racconta un biografo pontificio (Campano?), i suoi precordi furono sepolti in quella città nella chiesa di San Ciriaco. <<Un tempo veniva innanzitutto prelevato il cuore per conservarlo in un'urna nel coro di questa chiesa... usanza barbara, ma indicata dalla tecnica più antica dell'imbalsamazione, che contemplava anche il prelevamento delle viscere, ad esempio, presso gli esperti egiziani>> 7. Il corpo di Pio VII nel 1823 fu imbalsamato integralmente: le viscere e gli organi asportati, senza alcun apparato cerimoniale furono trasportati nella chiesa palatina 8.

Fino alla morte di papa Gregorio XVI Cappellari il triste trasporto avveniva su una carrozza accompagnata da uno dei Cappellani Segreti di Palazzo e da alcuni chierici con quattro torce accese. Tutt'oggi nella chiesetta vi sono murate, con poche interruzioni, le viscere e i precordi dei papi da Sisto V fino a Leone XIII. Dunque la sepoltura dei precordi papali nelle chiesetta palatina fu stabilita da papa Sisto V, che nel frattempo aveva fatto edificare nello stesso luogo la residenza temporale ufficiale dei papi, il Quirinale. Papa Peretti (+1590) fu il primo i cui precordi furono lì depositati: fu integralmente e dall'interno imbalsamato, dunque gli era necessario un luogo consacrato che accogliesse degnamente gli organi asportati dal cadavere. Papa Innocenzo XI stabilì che i suoi precordi, cuore compreso, fossero seppelliti sì in SS Vincenzo e Anastasio, ma non dov'erano tutti quelli dei predecessori, bensì in chiesa, nella terza cappella laterale dedicata alla Madonna, a sinistra della navata 9. Benedetto XIV Lambertini nel 1757 volle farvi costruire, sotto l'altare maggiore, una cappella sotterranea in cui conservare in un vaso mortuario ermeticamente chiuso e sigillato a ceralacca gli interna corporis dei suoi predecessori, e un giorno anche i suoi, i cui nomi sarebbero stati incisi su due grandi lastre marmoree chiare applicate su ciascune delle pareti laterali dell'altare maggiore, ove tutt'oggi si possono ammirare 10.

PREPARAZIONE DEL CORPO. Come si leggerà in alcuni di questi capitoli, in seguito a diverse vicende la storia della morte del papa e della sua salma trova una sua definizione retorica e cerimoniale a partire certo dalla riforma gregoriana, ma soprattutto nel tardo Trecento, coi cerimoniali funebri di Ameil e Conziè. Così scrive il massimo esperto dell'argomento, il medievalista Paravicini Bagliani: <<Da questa secolare vicenda rituale che ha condotto alla creazione di un nuovo spazio rituale -i novendiali- emerge però un altro elemento centrale: un interesse sempre crescente per il corpo del papa defunto. Si pensi alla scena di Leone IX (+1054) che si fa portare morente nella basilica di San Pietro. Si pensi all'insistenza retorica sulle onorificenze dovute al papa defunto. La partecipazione alla sepoltura del papa diventa elemento di legittimazione o di contestazione per l'elezione del successore. Leggendo il Liber Pontificalis del secolo XII, si può parlare di una vera e propria rivalutazione storiografica della salma>>. 11.

Veniamo dunque al corpo morto del papa. Come abbiamo già stabilito, la preparazione della salma era in epoche passate prerogativa dei “Fratelli della Bolla”, detti anche della “Pignotta” 12, incaricati di produrre le bolle pontificie, che procedevano per prima cosa con la detersione del corpo del papa, lavato con acqua calda e con erbe. Quindi il barbiere papale che rade la barba e i capelli. In previsione poi di una prolungata esposizione della salma, si passava a predisporre il necessario per il macabro ufficio della imbalsamazione. Sembra che la più antica notizia di imbalsamazione si abbia a proposito di papa Pasquale II (1099-1118), infatti nella sua Vita si legge che fu “ricoperto di balsamo”. Quindi, è solo una imbalsamazione superficiale, esterna, affidata ai penitenzieri, ma difficilmente sembrerebbe in funzione dell'esposizione pubblica. Tuttavia questa vicenda rimarrà isolata, poiché da questo momento vi sarà un silenzio (almeno nei documenti) di due secoli sulla questione dell'imbalsamazione dei papi. Più tardi comparirà l'imbalsamazione interna, affidata a un professionista, l'apoticario, <<finalizzata a prevenire la putrefazione del volto, per otto giorni, termine coincidente coi novendiali, in cui, finché dura l'esposizione, il viso, le mani e i piedi>>13 devono essere visibili. Ormai era diventata consuetudine imprescindibile l'esposizione sempre più lunga e sempre più carica di ritualità del corpo del papa, e proporzionalmente crebbero e si raffinarono, divenendo sempre più sistematiche le tecniche d'imbalsamazione della sua salma 14.

A partire dal primo cerimoniale pontificio, quello scritto da Pietro Ameil, il problema della manipolazione della salma è affrontato con più precisione. Il Dizionario Ecclesiastico del Moroni ne traduce uno stralcio: <<Morto il papa, i penitenzieri, con i frati della Bolla, se vi saranno, ovvero della Pignotta, con acqua, e con buone erbe, la quale devono preparare i cubiculari, o aiutanti di camera, laveranno bene il corpo, e il barbiere gli rade la testa e la barba. Così lavato, lo speziale, e i detti frati della bolla, gli chiuderanno bene tutte le aperture con bombace, ovvero con istoppa; l'ano, la bocca, le narici, le orecchie con mirra, incenso, aloè se si può avere: sia lavato ancora il corpo con vino bianco, e riscaldato con erbe odorifere, e con buona vernaccia, la quale i cubiculari aiutanti di camera, ovvero i bottiglieri, devono somministrare ai lavatori. La gola poi si riempie di aromi, e di specie col bombace, e le narici col muschio. In ultimo poi anche il volto sia stropicciato [nel senso di frizionato], e si unga con balsamo buono, ed anche le mani. Il camerlengo, ovvero [oppure] i cubicularii aiutanti di camera, o il sagrista, che custodiscono il balsamo, se lo hanno, lo consegnino>>. Quindi tutti questi uffici sono affidati sin dall'inizio al triangolo curiale: penitenzieri, cubiculari, elemosinari. L'imbalsamazione è superficiale ed esterna, nessun taglio, incisione o asportazione è praticata sul cadavere. E' il celebre chirurgo dell'epoca, Guido di Chauliac, che scrisse un manuale di chirurgia divenuto famoso, che illustra anche molte di queste pratiche conservative, e persino dedica un minuzioso capitolo all'argomento: “Custodia dei corpi defunti” 15. É proprio il medico personale di Clemente VI (1342-52), Chauliac, che ci parla dell'altra imbalsamazione, quella profonda, e su come si pratica sui corpora mortuorum (così intitola il paragrafo): per prima cosa, si apre il ventre e si estraggono le viscere. Lo stesso chirurgo precisa che tale tecnica gli è stata riferita dall'apoticario Giacomo... “Joacobus pharmacopeus, qui multos romanos pontifices praeparaverat”, che molti papi aveva già imbalsamato. Da queste parole si deduce che l'uso dell'imbalsamazione interna doveva essere usanza piuttosto vecchia nella curia romana. In curia si stabilì che per questa complessa operazione, occorresse un personale specializzato e qualificato: ai penitenzieri fu da allora accostata la figura dell'apoticario, professionista che era un po' farmacista e un po' (diremmo oggi) medico legale, soprattutto un tecnico di tanatoprassi. A questo punto si potrebbe contestare che, come abbiamo raccontato nell'inizio, non troppo prima di Chauliac, Bonifacio VIII con la decretale Detestande feritatis, aveva proibito lo smembramento e l'eviscerazione del cadavere, come alcuni prelati in quei tempi avevano l'abitudine di far fare su se stessi 16. Herklotz basandosi su Brown, sembra appoggiare l'ipotesi di assoluto divieto di smembramenti, per via della proibizione bonifaciana. Ma Paravicini Bagliani contesta in parte simile teoria, riportando tutta una serie di fonti che narrano di imbalsamazioni interne (successive all'epoca bonifaciana); e ricorda che fu lo stesso Clemente V a concedere senza troppi problemi dispense alla decretale; oltretutto, nota il medievalista italiano, né l'imbalsamazione superficiale né quella interna richiedevano pratiche proibite espressamente da Bonifacio, come lo smembramento e la bollitura del cadavere o dei pezzi da esso tratti17. Lo Chauliac, spiega che l'imbalsamazione del corpo papale deve “impedire la putrefazione del viso” per otto giorni, il tempo delle esposizioni, in pratica. Spostandosi dalla teoria alla pratica, l'allievo e successore di Chauliac, Pietro Argellata, che tenne la cattedra di chirurgia a Bologna18, manifestò tutto il suo compiacimento per essere riuscito nell'impresa di imbalsamare Alessandro V morto a Bologna, il cui cadavere resistette splendidamente, a suo dire, alla prova dell'esposizione di otto giorni. E precisò che i piedi, le mani e il volto furono lasciati scoperti, perchè “devono essere visti”. Tale era la consuetudine che andava affermandosi anche per i restanti sovrani europei.

Morto Leone XII nel 1829, racconta Stendhal, fu stata fatta la toletta al cadavere: <<E' stato vestito, rasato; si dice gli hanno messo un po' di rossetto. Vegliano il suo corpo i penitenzieri di San Pietro. Si è proceduto all'imbalsamazione; il viso sarà ricoperto più tardi con una maschera di cera molto somigliante>>19; qui lo scrittore francese dà per usuale l'uso della maschera di cera, ma sappiamo che questa era adoperata (o di cera o d'argento) in genere qualora l'epidermide o i tratti del cadavere mostravano gravi danni a causa di troppo subitanei fenomeni cadaverici abiotici e trasformativi, come avvenne per Clemente XIV o Pio XII. 20

2. Vestizione

Dopo la ricucitura del cadavere e una ulteriore lavatura e imbellettatura, si provvedeva a vestirlo una prima volta 21. In teoria e di regola le esposizioni solenni del corpo del papa erano tre. La questione è comunque complicata. Di certo sappiamo che il cambio di abiti accompagnava ciascuna delle molteplici esposizioni in ognuno degli spazi previsti dall'Ameil: camera, cappella, chiesa. Anche se non sempre vi furono tutte queste tappe: potevano essere di meno o persino di più. Ma noi seguiamo la regola generale: che prevede tre esposizioni e di fatto due vestizioni. “Qualora il papa fosse morto in Vaticano 22, la salma veniva dai Penitenzieri rivestita degli abiti abituali”, ossia quelli da coro. Vale a dire: talare di lana (serica spesso) bianca, talvolta con l'aggiunta della falda23, cintura serica bianca con fregio d’oro24, rocchetto, mozzetta (“mozzetta di stoffa rossa”, scrive superficialmente l'Ippoliti) rossa di velluto bordata di ermellino, camauro orlato pure d'ermellino25, stola 26, calzari e pantofole rosse, anello pontificale . Cosi rivestito prima sul letto di morte, più tardi su uno speciale letto funebre con baldacchino negli appartamenti di rappresentanza del Palazzo Apostolico, gli rendevano un primo omaggio la familia pontificia e gli ambasciatori27. L'ultimo papa morto ad essere esposto con gli abiti da coro negli appartamenti privati fu Pio XII nel 1958, da allora in poi si usò vestire il papa un’unica definitiva e solenne volta direttamente con gli abiti pontificali. Anche il cerimoniale dell'Ameil a fine Trecento prevedeva che i penitenzieri rivestissero sì il corpo del papa, dopo averlo quasi seduto, ma non un prima volta, bensì un'unica e definitiva volta, e non degli abiti da coro ma direttamente di quelli pontificali, con qualche singolarità specie per le scarpe e il pallio: <<I paramenti sacri [erano] quasi tutti di colore rosso: ossia con sandali bianchi, cingolo e succintorio, fanone, stola, tunicella, manipolo, dalmatica, guanti, pianeta, e pallio tolto dal corpo di Pietro dopo aver toccato il corpo del Principe degli Apostoli. Essi [i penitenzieri] piegheranno il fanone sul capo e intorno alle spalle come se [il defunto] dovesse celebrare, e porranno sul suo capo la berretta (probabile che intenda una specie di camauro che al tempo si usava sotto la tiara e talora la mitra, come molti dipinti medioevali e rinascimentali sembrano dimostrare) con la mitra bianca senza perle e oro>>. La salma e il feretro, insomma, devono avere i segni visibili dell'antica majestas. Infatti, a proposito del feretro (si dovrebbe qui intendere il cataletto o barella su cui il papa è adagiato scoperto in cappella), il suo materasso deve essere ricoperto da una coltre di seta rossa, sulla quale verranno adagiati due panni dorati legati insieme; il feretro a questo punto sarà coperto con un drappo di seta nera o blu-viola, detto jacintino, con gli stemmi del papa e della chiesa romana. Allo stesso modo, sempre mentre è esposto in cappella, sotto la testa e i piedi del papa si pongono due cuscini foderati di panno d'oro con bordi di seta 28. Burcardo annota della vestizone dopo il lavaggio del cadavere di Sisto IV Della Rovere: <<Così gli rimisi ancora le medesime mutande che aveva quando morì, né ritrovandosi altra camicia, gli posi il camice sulle carni (un mantello senza il camice sotto) ed un paio di calzette rosse (scarpette di panno rosso) che mi diede il vescovo di Cervia, già suo cameriere (ciambellano del papa), ed una veste di damasco rosso (e una lunga veste damascata, rossa o bianca, se ben ricordo...), ma feci un errore perché bisognava mettergli sotto l'abito di san Francesco , perché era stato frate, poi gli misi i paramenti papali sopra la detta veste non v'essendo un rocchetto; i sandali, (l'amitto), (l'alba), il cingolo, la stola, la quale accomodai in forma di croce, non essendosi potuto avere la croce pastorale ( intende la croce pettorale! Non si riferisce proprio ad una sorta di pastorale, o croce pastorale che però il papa non ha di regola in uso -fino a Paolo VI- e men che meno gli vien fatta sfoggiare per la sua morte -fino alla esposizione di Giovanni Paolo I), la tunicella, la dalmatica, i guanti (chiroteche), il piviale (la preziosa casula bianca) (il pallio) e la mitra semplice ed un anello con uno zaffiro che fu stimato (prezioso nel valore, a detta del sacrestano) trecento scudi (ducati), nel qual modo poi che fu vestito lo rimettemmo sopra quella tavola con due guanciali (con cuscini per il capo e un drappo di broccato) della (in mezzo alla) camera, dove stette finché fu portato a seppellire>> 29.

Ancora Burcardo ci parla della vestizione di Alessandro VI: <<Arrivato dal papa, gli ho messo tutti i paramenti rossi di broccatello, un amitto corto, una bella pianeta e le calze. Poiché le scarpette non avevano la croce, gli ho messo le sue pantofole di tutti i giorni di velluto cremisi, con una croce d'oro ricamata, come se fossero dei sandali; e gliele ho legate dietro ai calcagni con due stringhe. Gli mancava l'anello, che non ero riuscito a trovare. Così addobbato... l'abbiamo portato alla sala del Pappagallo>> 30.

Dopo le squallide e accidentate e persino incomplete esequie di Alessandro VI che aveva raccontato, il maestro delle cerimonie Burcardo, così descrive la vestizione, serena e regolare del successore Pio III, morto dopo neppure un mese di pontificato, il 18 ottobre 1503: <<Il papa è stato lavato, vestito e portato nella sua anticamera dove, sopra un letto il cui materasso era ricoperto da un velluto verde, è stato vestito dei paramenti sacri, con la sola eccezione della croce pettorale, che non c'era, e che ho sostituito con una croce formata con i cingoli pendenti, fermati con quattro spille>> 31.

E' interessante riportare le due testimonianze a Rinascimento appena trascorso, di ciò che si vide all'esumazione di due grandiosi papi medievali. Gregorio VII (+1085) e Bonifacio VIII (+1303). Gli atti notarili compilati in questa occasione, più minuzioso e completo per Bonifacio ma assai più lacunoso per Gregorio, sono una miniera preziosa e pura di informazioni circa i paramenti funebri, e quindi anche la manipolazione del corpo e riti di sepoltura, adoperati nelle varie epoche per le esequie papali. E ciò che non rivela l'immagine, all'apertura del sepolcro, qualora il tempo avesse danneggiato gravemente la salma, lo rivela ufficialmente e per iscritto il rogito posto accanto ai resti mortali. Infatti, in base a questi elementi, il canonico Giacomo Grimaldi l'11 ottobre 1605, alla prima apertura del sarcofago di Bonifacio VIII cui presenzia, poteva in veste di notaio riportare queste informazioni nella stesura dell'atto:

<<Aveva le calzette intere che coprivano le gambe e le coscie, secondo il costume di quei tempi; il rovescio era di colore rosso, e nella sommità avevano fibbie di argento. La sottana era di rovescio bianco, il rocchetto lungo sino al tallone, di tela di Cambray, ed avanti al petto, dopo le gambe, e nell'estremità delle braccia, erano ricami d'oro e di seta, rappresentanti i misteri della vita di Gesù Cristo, e la sua lughezza discendeva ai piedi. La stola che portava al collo, lunga circa palmi cinque, legavasi con fiocco di broccato tessuto con argento e seta nera. Il cingolo era di seta rossa e verde, ben lavorato con bottoni e fiocchi di seta. Il manipolo tessuto d'oro e argento, di opera fatta a onde, di seta nera, e paonazza, lungo tre palmi. I sandali di color nero appuntiti secondo lo stile gotico, senza croce, lavorati a fior di seta. La tonaca pontificale di drappo di seta nera con maniche strette, lavoro di broccato, con leoni tessuti di seta e oro in campo azzurro. La dalmatica di drappo di seta nera, con lavoro simile di broccato, ricamato a rose, con due cani ai piedi. Le calze pontificali di seta nera. La pianeta larga, e lunga di drappo di seta nera, con lavori curiosi. Il fanone era come quello che si usa oggidì. Il pallio di seta bianca sottilissima colle croci. I guanti di seta bianca fatti coll'ago ben lavorati, e ornati di perle. Le mani erano incrociate, e la sinistra posava sulla destra, e nel dito solito v'era un anello, con zaffiro di gran valore: finalmente aveva in capo la mitra di damasco bianco, lunga e larga un palmo>> 32 . Apparentemente sembra quasi di trovarci di fronte al ribaltamento, alla prova dei fatti, di quanto abbiamo sostenuto circa la composizione e i colori dei paramenti funebri del papa, specie della “regola” secondo cui il papa liturgicamente non veste il nero quale segno di lutto. E ad ogni modo il Grimaldi non stende l'atto tenendo l'occhio sui cerimoniali codificati, ma annota persino con eccesso di zelo tutto quanto dal vivo vede sotto i suoi occhi, a 303 anni dalla morte di papa Caetani: come quasi sempre la realtà diverge dalla regola scritta. Ma in fondo la morte di Bonifacio VIII precede di quasi un secolo l'opera dell'Ameil: non sono dunque le consuetudini funerarie ai tempi di Bonifacio che rincorrono il patriarca dei cerimonieri Ameil, semmai è il contrario. E infatti Paravicini Bagliani dice a proposito: <<Tutti i paramenti previsti dal Cerimoniale di Pietro Ameil per la vestizione della salma del papa si ritrovano nella relazione di Giacomo Grimaldi, nella quale compare in più il rocchetto, gli anelli con zaffiro, e un cenno circa la disposizione della mani in forma di croce. La corrispondeza non potrebbe essere più completa. Persino il modo di incrociare il fanone sull'alba intorno al collo viene descritto in modo identico nei due documenti. Ciò significa che il Cerimoniale di Ameil riflette antiche consuetudini rituali, che sono state rispettate almeno in occasione della sepoltura di Bonifacio VIII. Grimaldi descrive tra l'altro croci [affisse] sul pallio con seta nera, come usano oggi i pontefici romani, e spille d'oro munite di zaffiri preziosi una al centro del piatto e l'altra sul braccio sinistro, ancora integre. Simili spille compaiono sulle statue funebri di Onorio IV (+1287) e di Bonifacio VIII (+1303). Anche secondo Pietro Ameil, le croci sul pallio dovevano essere tenute con tre aghi secondo la consuetudine>> 33.

Ma la domanda iniziale resta: nel caso di Bonifacio, dove è finita quella predominanza del colore rosso sul papa, vivo o morte, di cui tante volte parliamo in questa tesi? Domina il colore invece che più d'ogni altro abbiamo detto era tenuto a distanza dal corpo del papa, e solo in posizione minoritaria vi è il bianco. Bonifacio, alla esumazione, di rosso aveva solo il risvolto delle calzette e il cingolo. E come se non bastasse, aggiunge un particolare il Paravicini: “In epoca moderna, lo scudiere del papa seguiva il letto funebre cavalcando un cavallo nero” 34.

Veniamo adesso all'atto di ricognizione canonica di Gregorio VII (+1085), Ildebrando di Soana, nel 1578, nella cattedrale salernitana, città in cui morì e proprio perciò, secondo la consuetudine e le regole canoniche, fu sepolto e dove tutt'ora riposa in una barocca teca di cristallo. Qui notiamo un riequilibrio, a favore del rosso e di tutti gli ornamenti più tradizionali classici per la morte del papa, benchè questo papa preceda di due secoli Bonifacio. <<Il corpo del predetto pontefice fu trovato quale era, del tutto integro, con il naso, i denti e le altre membra del corpo. Aveva una mitra semplice pontificale, alle cui bende erano apposte delle croci. Parimenti aveva una stola serita tessuta di oro, con ornamenti aurei, nei quali erano inscritte delle lettere, cioè PAX NOSTRA. Aveva guanti serici tessuti, con mirabile bellezza, di oro e perle, con una croce sopra, e nel dito anulare aveva un anello di oro senza gemma. Portava pianeta rossa tessuta in oro, una tunicella serica: i calzari corrosi, tessuti anche essi di oro e seta con croce sopra i piedi, giungevano presso alle ginocchia. Aveva cingolo di oro, ed al viso sovrapposto un velo. Apparivano ancora vestigia del pallio, e molte croci erano apposte alle vestimenta, di guisa che niente, di quanto era necessario agli indumenti pontifici, mancasse>> 35. Ma né il rogito, come nota anche il Paravicini Bagliani, né questa sintetica benchè esaustiva descrizione, si premurano di indicarci se la veste o tunica del pontefice esumato fosse nera o d'altro colore. Nella fedele ricostruzione che nel 1954 della salma è stata fatta nell'urna vitrea la tunica apposta a Gregorio è bianca, la casula rossa. Però un dato che sarà poi prettamente ameliano lo ritroviamo nel passo dell'atto che recita “ad al viso sovrapposto un velo” che due secoli dopo il Cerimoniale dell'Amiel tradurrà con “e piegheranno il fanone sul suo capo”... infatti, come già sappiamo, alla deposizione nella bara il sacro corpo viene coperto, velato36.

Ricapitolando, di regola gli indumenti che il papa doveva indossare nell'esposizione pubblica e solenne della sua salma, per le esequie e la sepoltura erano, fino alla morte di Giovanni XXIII nel 1963 e alla riforma liturgica e curiale di Paolo VI che cancellò ogni tradizione: veste talare bianca piana in lana o serica; fascia serica con fregio e fiocco; falda serica a strascico; calzari e pantofole rosse a crociatura dorata; amitto; rocchetto merlettato detto anche albaromana; cingolo e subcintorio; tunicella rossa; dalmatica rossa; stola rossa e filettature in oro; pianeta rossa a bordature dorate; manipolo rosso abbinato, ripiegato sulla pianeta; chiroteche rosse con ricami in filo d'oro; fanone sulle spalle; pallio con fermagli; anello pontificale gemmato; zucchetto bianco sul capo; quindi una mitra o bianca damascata bordata di filigrana d'oro o un mitra in lamina d'oro; alla fine una croce fra le mani. Talora si sostiene che s'indossa al defunto anche la croce pettorale (Burcardo lo dice di Sisto IV e d'altri papi che servì, benchè la citi per denunciare il fatto che ad ogni morte era “introvabile”).

L'ABITO DEL PROPRIO ORDINE RELIGIOSO. Poco fa abbiamo ascoltato la cronaca di Burcardo circa la vestizione ch'egli fece della salma di Sisto IV (+1484), e l'abbiamo sentito ammettere un errore: “In hoc erravi: debebat enim in habitu sancti Francisci, cujus ordinem professus erat, desuper in vestibus sacris pontificalibus sibi impositis” “...ma feci un errore, perché bisognava mettergli sotto l'abito di san Francesco, perché era stato frate, poi gli misi i paramenti papali sopra la detta veste non v'essendo un rocchetto...”37. Nella confusione del momento, nell'andirivieni di uomini e (senza ritorno) oggetti appartenuti al defunto, dunque Burcardo ha una dimenticanza grave: Sisto IV era stato frate francescano, e chi è appartenuto prima del papato ad un grande ordine religioso, per regola alla morte viene rivestito sotto i paramenti pontificali con l'abito della propria famiglia religiosa; o al massimo solo con un simbolo di essa: ad esempio, per i francescani, al posto del cingolo per stringere il camice liturgico lungo la vita, si poteva adoperare il cordone del saio francescano. Patrizi Piccolomini nel suo cerimoniale (1484-92) insiste oltremodo sulla assoluta necessità di rivestire il papa defunto dei paramenti che indossava prima del pontificato, specie poi se proveniva da un ordine religioso38. Il problema si era presentato un'altra volta nel Quattrocento, alla morte d'un altro papa francescano, Alessandro V (+1410). E' l'occasione per il magister cerimoniarum Giovanni Burcardo di riflettere sull'annosa questione della caducità che non risparmia il papa, che anzi in maniera più eloquente (e ricca di significati ammonitori) d'altri lo affligge: <<Va sottolineato che stamattina, vestendo il defunto, abbiamo commesso un errore. Infatti avrebbe dovuto aver addosso, sotto i paramenti sacri, l'abito dell'ordine francescano, cui apparteneva, e non quello pontificale. Così del resto venne a suo tempo vestito Alessandro V, anche lui dell'ordine di San Francesco; e la ragione di ciò è che un uomo, con la morte, perde ogni umana superiorità gerarchica, perciò Sisto avrebbe dovuto essere sepolto secondo la sua condizione umana precedente la carica apostolica>> 39.

Con piglio più scientifico ed ex catedra, com'era nel suo stile rispetto al più informale e tormentato Burcardo, il successore Paride de Grassi, gelidamente impartisce la sua lezione inserita nel suo trattato De Funeribus et exequiis, che del resto conferma la meditazione del predecessore mitteleuropeo (che fra i due, benchè teutonico, era di spirito e di passioni -e rancori- il più italiano): <<Quando un religioso viene eletto papa dovrà, in vita, deporre l'abito regolare per rivestire quello apostolico, uguale per tutti i pontefici: unico è infatti l'abito papale, che segue la regola di nessun ordine; infatti, in quanto pontefice massimo egli viene, per verità, considerato più grande di ogni uomo, maior homine; sebbene egli non sia sottomesso a nessuna regola e non possa essere obbligato, in vita, ad abbandonare l'abito regolare, ciò nonostante, in quanto vicario di Cristo egli è al di sopra della condizione umana. Da morto, quindi, il pontefice, poiché cessa di essere il vicario di Cristo e ritorna ad essere uomo, per questa ragione, per la sua sepoltura, dovrà essere vestito, portato e sepolto con l'abito che era solito portare prima dell'Apostolato, quando ancora era uomo. E' vero però che la salma del defunto dovrà rivestire, oltre l'abito regolare, anche tutti i paramenti pontificali con i quali, in vita, era solito celebrare la messa>> 40. Molto prima, nel 1285 v'era stato il caso di un papa francese, Martino IV, che pur non essendo mai stato francescano, ma solo un gran protettore degli ordini mendicanti, pare avesse chiesto d'essere alla sua morte rivestito anche col saio di San Francesco 41. Allo scoccare del 1500 quindi, è quanto mai in auge l'assioma del papa che morendo ritorna ad essere uomo. È questa volta la conferma viene direttamente e convintamente (non si pongono domande: affermano!) dalla bocca di due massimi maestri delle cerimonie papali, che oltretutto furono alle dipendenze non di papi qualunque, ma di pontefici del peso dei due Della Rovere, Borgia, Medici, destinati a segnare la storia, e, visto il loro concitato imperio, quanto mai in conflitto con l'umiltà spietata di quell'assioma, intenti com'erano a propalare gli strascichi e i bagliori della loro antica majestas ben oltre la morte, a comiciare dalla glorificazione della loro stessa salma, sino ai grandiosi monumenti funebri, sino alle opere faraoniche con le loro armi disseminate per lo Stato Pontificio.

E' sotto lo stesso Paride de Grassi, che Giulio II ordina a Michelangelo di fare della nuova basilica di San Pietro proprio la sua monumentale, strepitosa, indimenticabile “tomba” 42. Ribellione più plateale al papa che morendo ritorna uomo, non poteva esserci. Ma i cerimonieri avevano ragione, per un sortilegio degli arcana imperii questa legge era inesorabile: la nuova San Pietro non divenne mai la tomba di Giulio, anzi neppure vi fu mai sepolto, e per ironia del destino fu traslato proprio in una chiesa minore, San Pietro... ma in Vincoli, della quale era titolare -combinazione- da cardinale. Persino il suo mausoleo che doveva essere ciclopico (e di veloce realizzazione) si ridusse a una cappelletta che solo dopo quasi un secolo si riuscì a suon di carta bollata (degli eredi della Rovere) a ultimare, e il risultato del lavoro fu comunque un “non-finito”: la montagna aveva partorito, dopo le scosse delle doglie caratteriali di Giulio, il topolino! Colpo di scena: neppure qui, monumento tanto agognato, vi fu mai sepolto Giulio. Tornò alla basilica vaticana, nascosto nella stessa tomba di suo zio Sisto, per poi finire per volontà di Pio XI, sotto il pavimento della basilica a cui egli stesso aveva posto la prima pietra, sotto una semplice lastra, in compagnia sempre dello zio e d'altri Della Rovere ecclesiastici, in un punto anonimo: i fedeli passandoci sopra neppure s'accorgono di cammiare sui resti mortali d'un papa che vivendo aveva eretto San Pietro e morendo avrebbe voluto sovrastarla. Il papa che mai volle rassegnarsi, dopo essere salito all'altezza vertiginosa del trono petrino, a scendere, morto, al livello d'ogni altro uomo, alla fine per forza vi era stato ricondotto, più disgraziato in questo d'altri papi ben inferiori a lui ma che dentro la sua basilica avano monumenti trionfali. Al di sopra d'ogni altro com'era e si riteneva, finì sotto tutti i comuni mortali e, peggio, più in basso persino dei suoi precedessori. Davvero allora il papa morto, ritorna ad essere uomo.43 Così si deduce anche da un ordo di Patrizi Piccolomini, dove è scritto inoltre che il papa in punto di morte è invitato esplicitamente a ripetere le parole già ascoltate nel giorno dell'incoronazione: Sic transit gloria mundi.44 Nelle cronache delle agonie dei papi, reali o costruite, ascolteremo spesso uscire fra le ultime parole del pontefice morente proprio queste, come accadde, ad esempio per Benedetto XIV.45

Ci si avviava quindi, un’ora dopo il tramonto alla traslazione entro la Cappella Sistina. E qui ancora i penitenzieri 46 s’apprestavano di nuovo al pietoso ufficio della spoliazione e vestizione della salma pontificia. Il sacro corpo veniva spogliato degli abiti da coro e “l’ornavano dei paludamenti pontificali”, cioè veniva rivestito con i paramenti pontificali, “come per celebrare” diceva l'antica disposizione in materia di Innocenzo III, e in effetti così, nella parte liturgica, il sommo pontefice celebrava nei suoi solenni pontificali 47 e tale quale doveva essere rivestito in una esposizione esequiale classica: con “tutte le vesti color rosso che il papa è solito assumere quando celebra solennemente”: tale doveva essere di prammatica, come sappiamo sin dai diari del più importante dei cerimonieri, il Paride de Grassi che, interrogato da Giulio II di quale colore dovessero essere i paramenti d’un pontefice defunto, rispose “Di rosso, come gli antichi”.48

L'ultimo papa ad essere rivestito con ciascuno di questi paramenti alla sua morte fu di fatto Pio XI nel 1939; l'ultimo in assoluto ad indossarne la gran parte (eccettuate la falda e qualche altro accessorio pontificio) fu Giovanni XXIII, dopodiché a compimento del Concilio da lui inaugurato, il successore Paolo VI e con la riforma liturgica e con la riforma del cerimoniale e della corte pontificia (che diventerà famiglia) e, in ultimo, con le disposizioni testamentarie di quest'ultimo circa le proprie esequie saranno quasi tutte aboliti, forse definitivamente. Rimase però la predominanza, nei paramenti esequiali decimati, del colore rosso. Tuttavia ripetiamo che dall'antichità, l'uso di questo colore in morte del papa, non sempre fu costate. Esumandoparecchi pontefici antichi e medioevali soprattutto, specie durante l'abbattimento della basilica costantiniana, si vide che molti di essi erano parati di nero o di paonazzo.49

Così rivestito il cadavere era pronto per la traslazione ed esposizione nella basilica di San Pietro da effettuarsi in serata.

Nel 275 il pontefice Eutichiano stabilì che i papi si seppellissero rivestiti della dalmatica e del colobio rossi. Ma come vedremo ciò non sempre fu vero, tanto più che certe volte molti capi del vestiario pontificale sono figli del caso, dell’urgenza o di un capriccio o del defunto mentre era in vita o di qualche cerimoniere con certi gusti, o magari frutto di pressappochismo e disinformazione. Così come è vero che nei secoli i papi da vivi non si sono sempre vestiti allo stesso modo, né sempre sono stati coerenti nei colori, nelle stoffe o nei modelli. Quando appunto si dovette demolire la vecchia basilica costantiniana di San Pietro e si aprirono tutti i sarcofaghi dei pontefici lì seppelliti, si notò davvero una gran varietà d’abbigliamenti mortuari. Il corpo di Adriano IV (+1159) all’apertura del sacello nel 1607 apparve adorno di paramenti pontificali di colore nero; nel 1603 i resti di Bonifacio VIII (+1303) furono rinvenuti con vesti color nero e “pavonazzo”.

Alcuni papi poi, appartenuti ad ordini religiosi, legame originario questo con una famiglia religiosa che non si dimentica neppure dall’alto del trono petrino, vollero assolutamente essere deposti nella tomba con sotto le vesti pontificali l’abito claustrale. Si mantiene la regola ancora oggi: papi provenienti da ordini religiosi vengono in morte rivestiti del sajo della propria “famiglia”. L’ultimo fu Gregorio XVI camaldolese; ma anche Pio IX che già papa volle farsi terziario francescano. Urbano V deceduto nel 1370 aveva dato disposizioni che la sua salma fosse rivestita dell’abito cluniacense ; Martino IV, Alessandro V e Sisto IV del sajo francescano.50

E successe anche che i papi venissero sepolti oltre che con sfarzose vesti, anche con suppellettili e insegne assai preziose. Almeno finché non si resero conto che più che onorare la maestà del loro Signore, stimolavano la cleptomania di molti addetti ai lavori, e inducevano in tentazione e in peccato persino per altri versi santi monaci che invece d’accudire il defunto lo depredavano. È il caso del povero Adriano III, che quasi non si fece in tempo a seppellirlo con i suoi preziosissimi indumenti a Nonantola, che nottetempo avidi monaci lo ripulirono di tutto. Purtroppo non fu il solo (senza contare i furti non scoperti). Di simile turpe sacrilegio furono fatte vittime anche i corpi dell’immenso Gregorio VII e Giulio II, e poi tanti ancora. Bonifacio VIII che tanto amava la bellezza, la maestà e lo sfarzo, che anzi, per il papato fu l’inventore di simile splendore, venne sepolto con insegne aure, persino con un grosso zaffiro al dito: durante le esequie e durante la sepoltura e nella riesumazione 300 anni dopo, fu esentato da tale crimine, solo ci si limitò a sostituire il prezioso anello con un altro meno prezioso. Ma non fu risparmiato nella seconda riesumazione 100 anni dopo nel 1720 circa: l'anello che gli era rimasto al dito sparì in cinque minuti. E con esso anche il dito (si presume per la fretta) che lo infilava; il pronipote che tanto ne aveva implorato il secondo disseppellimento doveva, pare, saperne qualcosa 51. Quando ci fu la ricognizione della salma del grande e risoluto Giovanni XXII nel 1759 fu trovato come spesso accade integro, guanti di seta bianca e al dito un grosso anello d’oro con pietra turchese. Indossava una tonaca serica paonazza con sopra un gran piviale arricchito da una gloriosa tempesta di perline, sovrapposto a questo il pallio; sulla testa una piccola mitra di seta bianca satura di figurine e gigli simili a quelli dell’antico stemma di Francia, sparsa di ricami leziosi nel tessuto com’è per il damasco; i lemnisci, le due code insomma della mitra, erano anch’esse di seta bianca con le estremità di seta rossa.52

3. Nudita' e abbandono: i Mendicanti custodi della salma

Ispirati dalla ricerca sul corpo del papa del Paravicini Bagliani, e da alcuni lavori di Elze, Gregorovius, soprattutto Salimbene de Adam, introduciamo il discorso sulla nudità proprio in questo capitolo che ragiona del contrario: alla Vestizione è contrapposta la Nudità della salma del papa. La ragione cerchiamo di spiegarla qui di seguito: riusciremo a comprendere anche, lungo questa ricostruzione, il perchè i Francescani sono a tutt'oggi i custodi della salma del papa... ragion per cui qualcuno li ha definiti “i becchini” del Palazzo Apostolico.

Tutto ha inizio con la fine del primo papa del Duecento. Che a detta di molti fu anche il più grande del secolo e di tutti i tempi. Lo si disse stupor mundi, di sicuro almeno il più potente del Medioevo53. E' Innocenzo III, un tempo il Lotario da Segni del De miseria condicionis humanae che tante volte incontreremo in questa ricerca, la cui morte però fu inversamente proporzionale allo splendore della sua fama. Nel 1216 la curia pontificia è allocata a Perugia. Qui il papa Innocenzo muore dopo 18 anni di regno. Un testimone oculare degli eventi è quel Giacomo di Vitry, glorioso predicatore che sarà vescovo di Frascati, che già abbiamo incontrato in queste pagine. Il Vitry si recò a Perugia per essere consacrato vescovo, ma quando giunse trovò purtroppo il papa cadavere e ancora dissepolto. La scena che descrive è desolante. Il corpo esposto nella cattedrale di Perugia, nottetempo fu da alcuni (e forse parecchi) personaggi depredato e spogliato furtivamente dei sontuosi paramenti pontificali che lo avrebbero dovuto accompagnare nel sepolcro. Il cadavere apparve al Vitry quasi nudo e fetidum cioè in condizioni di grave decomposizione. Il predicatore allora, dopo aver visto tutto quello scempio, con amarezza fece la celebre riflessione su come è breve e vano lo splendore ingannevole di questo mondo 54. Difficile, come nota Paravicini Bagliani, non sentire la sintonia con la classica retorica di caducità e transitorietà e umiliazione di cui abbiamo già discusso, e in cui rientra anche il De miseria di Lotario: <<Quest'analogia va sottolineata perchè tocca punti essenziali: la nudità, il fetore del cadavere e la transitorietà del potere>>. Ma cosa intende veramente per quasi nudo il de Vitry?, si domanda lo studioso. Ora è da tenersi presente che nel linguaggio medievale spesso si assimilava la nudità alla lettera con “la trasparenza e il biancore”, e perciò quella nudità di Innocenzo potrebbe significare anche che fosse rimasto con indosso solo il camice bianco. Una fonte oculare anonima di Perugia però tace del tutto della spolizione di papa Innocenzo. In ogni caso niente di questo basta a smentire la concretezza della cupa cronaca del predicatore 55.

La questione nudità della salma del papa si riaffaccia ancora nel Duecento, e rigurda la morte in Napoli di un altro potente papa, Innocenzo IV dei Fieschi. 1254. A parlarne questa volta è un celebre cronista francescano, Salimbene de Adam, sebbene l'opera sia parecchio successiva all'evento. Il religioso scrive che il Fieschi rimase “nudo sulla paglia e abbandonato da tutti, secondo la consuetudine dei romani pontefici quando muoiono”. Il corpo sarebbe stato vegliato non da profani uscieri pontifici ma da “frati Minori Teutonici” (sic!), che si sarebbero anche premurati di lavare il defunto, e, racconta il Salimbene, pateticamente e amaramente avrebbero così mormorato al defunto: <<E' vero signor papa, abbiamo soggiornato in questa terra per molti mesi, desiderando parlarvi e discutere con voi dei nostri problemi. I vostri uscieri non ci hanno però permesso di entrare e di vedervi di persona. Ora essi non si curano della custodia della vostra salma perchè non hanno più nulla da attendere da voi. Ciò nonostante, noi laveremo il vostro corpo>> 56. Il Paravicini Bagliani però nota che il vescovo di Assisi, Niccolò da Calvi, che scrisse la Vita di Innocenzo IV, ribalta tutta la ricostruzione del Salimbene: <<Frati Minori e Predicatori e molti altri religiosi ed anche chierici secolari trascorsero la notte accanto alla bara del padre defunto e lo assistettero con laudi e preghiere>>. Tutto questo strano traffico notturno intorno alla salma, conclude il medievalista, induce a pensare che chi fra i due mente è il vescovo, per una qualche forma di sacro rispetto, o forse qualcos'altro che non è dato sapere, verso il grande scomparso57. Il medievalista interrogandosi sui due uomini religiosi, su chi mente e chi no e sul perchè, sottolineando che il vescovo d'Assisi comunque scrive anni dopo la morte del papa, intravede comunque una ragione di fondo in entrambe le ricostruzioni degli uffici verso la salma di Innocenzo IV. <<Salimbene e Niccolò da Calvi parlano della stessa cosa? A ben vedere, Salimbene ha in mente il periodo immediatamente successivo alla morte del papa: Innocenzo IV è stato abbandonato nudo sulla paglia, e soltanto la sollecitudine dei Frati Minori riuscirà a lavarlo; abbandono e nudità sono una consuetudine dei romani pontefici quando muoiono. Ciò significa indubbiamente che per il francescano di Parma la salma è stata abbandonata nuda prima di essere preparata, vestita ed esposta. Per il fracescano, la nudità del papa è immediatamente successiva alla sua morte>> 58.

Il vescovo Niccolò da Calvi invece sembra più attento alla forma, quella canonica proveniente dai cerimoniali, e del resto era familiare alla corte pontificia, e benchè minorita egli stesso, fu a lungo confessore di papa Fieschi: <<Pensa alla veglia notturna, un momento che deve essere tenuto distinto dal precedente, e che gli è posteriore. In questo senso, la sua testimonianza è in perfetta coerenza con il più antico cerimoniale funebre pontificio (Pietro Ameil)>> di cui si è detto 59.

Ma a questo punto lo studioso del corpo del papa, Paravicini Bagliani, fa ricorso ad un altro testo quasi coevo che di questa vicenda anche tratta, e se da un lato potrebbe confermare la ricostruzione del Salimbene, dall'altro lo stesso se non proprio la destabilizza, di certo apre una nuova e più larga prospettiva che rivela molte sfaccetature storiche in cui viene meglio collocata e relativizzata. La fonte a cui ricorre proviene dai francescani... e francescano è anche il Salimbene! Il testo è di poco precedente la Cronica del Salimbene, tuttavia è la più antica cronaca sui Francescani inglesi. E' il De adventu Minorum in Angliam, l'autore Tommaso di Eccleston60. Qui è sottolineato quanto mai lo scontro fra papa Fieschi e i Mendicanti riguardo la loro avversità ai maestri secolari dello Studium di Parigi, che sfociò in decreti papali assai duri contro l'Ordine. Il veleno scorre dalla penna dell'Eccleston: in seguito al suo gesto il papa avrebbe perso l'uso della parola (vi è l'eco di tutto quel che secoli dopo, e non solo ad opera dei gesuiti, si sarebbe detto sulle circostanze e i particolari della morte di Clemente XIV dopo aver soppresso l'ordine ignaziano); in seguito la riacquistò... ma... solo per grazia di san Francesco! Guardacaso! L'analogia fra il racconto della cronaca francescana e quello della nudità della salma di papa Fieschi è lampante: solo in seguito sarà lavato e vestito... dai frati mendicanti! gli unici a non abbandonarlo a dispetto di altri, rendendogli (è nelle righe) bene per male. <<In verità alla morte di Innocenzo IV tutti i suoi familiari lo abbandonarono, tranne i Frati Minori . Lo stesso accadde con Gregorio IX, Onorio III e Innocenzo III, alla cui morte san Francesco fu presente>>61. L'Eccleston trae da questa vicenda un'amara riflessione sulla morte dei papi: <<Frate Mansueto disse che nessun mendicante, anzi nessun uomo muore in modo così miserabile e vile come un papa>>.62

Di fatto contemporanei, reduci da una stessa tradizione storiografica, entrambi in disputa furiosa con Innocenzo IV, i due francescani, Salimbene ed Eccleston, dice Paravicini Bagliani, <<vanno letti insieme>>; e continua: <<Il potenziale abbandono cui poteva incorrere la salma del papa al momento della morte serve a costruire la damnatio memoriae di un papa (Innocenzo IV) che avrebbe agito contro gli interessi dell'ordine>>.63

Questo exemplum di damnatio memoriae e nudità, per i Mendicanti non è un semplice caso fortuito, rientra in una vera e propria strategia che conterà non pochi altri exempla 64. Abbiamo visto che entrambi gli autori francescani accennano alla consuetudine dell'abbandono della salma del papa. Ragionando di questa impietosa consuetudine, i figli di Francesco ne approfittarono per contrapporgli e sottolineare la loro nobile volontà d'assicurare al papa una amorevole e zelante cura della sua salma. Nelle loro cronache, nello stesso Eccleston come abbiamo visto, vengono annoverati una sequela di pontefici i cui cadaveri sarebbero stati “protetti da una duplice mediazione francescana: la mitica presenza di san Francesco ai funerali di Innocenzo III, e la devozione con cui i frati Minori avrebbero lavato, composto e vegliato le salme dei papi che avevano maggiormente favorito l'Ordine fin dalla sua fondazione: Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX”. E' qui Paravicini Bagliani individua l'origine d'un destino singolare dei minoriti, che si manifesterà da allora, sino ad oggi, alla morte di ogni papa: <<La funzione di questi racconti è duplice: insistere sulla consuetudine dell'abbandono, per poter erigere l'Ordine francescano a custode del corpo del papa defunto. Ciò non avrebbe avuto senso se abbandono e nudità non corrispondevano ad una qualche realtà. I Francescani si rendono mediatori di una possente retorica della caducità, che può persino sfociare in una damnatio memoriae, ma compiono nello stesso tempo un'operazione di appropriazione postuma e devota del corpo del papa e nei confronti dei corpi dei papi defunti, anche di un papa considerato nemico dell'Ordine...>>.65

Nei diari di Burcardo leggiamo più volte che il corpo del papa, in privato, viene deposto nudo su una tavola per essere lavato e pulito 66. Trecento anni prima Salimbene ci aveva detto la stessa cosa, circa queste consuetudini. Quindi a tre secoli di distanza Salimbene e il Burcardo sono d'accordo su una simile tradizione, solo che per il primo è una consuetudine e per il secondo è un fatto normale, e questo serve da definitiva conferma: abbandono e nudità investono il corpo del papa dopo il decesso, prima d'essere lavato e rivestito. È per essi, di fatto, un evento rituale, che sta a indicare una cosa: anche il papa muore 67. E' per noi, l'ulteriore conferma delle teorie di Elze: abbandono e nudità del corpo morto del papa significano che <<Il papa non ha due corpi o sostanze come il sovrano, ma solo il corpo naturale, che nasce e muore. Ciò che rimaneva era Cristo, era la Chiesa Romana, la Sede Apostolica, ma non il papa>>. E a tal proposito Elze riporta due assiomi d'origine diversa: “Le roi ne meurt jamais”, “papa moritur68. Scrive ancora il Paravicinini Bagliani: <<I cardinali -il Collegio- erano la Chiesa [...] Certo, il papa non ha due corpi come il re; il corpo fisico del papa è destinato a morire, ma la Chiesa, rappresentata dal Collegio dei cardinali durante la Vacanza, è eterna. Nudità, Ceneri di Pietro, perennità: sono questi i tre momenti essenziali che segnano il percorso rituale che fu imposto alla salma del papa nei secoli che qui ci interessano. La loro contraddizione è solo apparente. Morendo, il papa è nudo, perchè con la morte il papa ritorna ad essere uomo, cioè perde la potestas papae. Alla caducità del papa, che il tema della nudità o le macabre descrizioni dei Maestri dei cerimoniali tardoquattrocenteschi si compiacevano di sottolineare, fa però riscontro una forte coscienza storica della perennità della Chiesa, che la cerimonia dei novendiali riuscì a ritualizzare in modo perfetto. L'opposizione tra caducità e perennità, pur così potente, non esaurisce però la storia della morte del papa, perchè il corpo del papa defunto appartiene virtualmente alla serie di corpi santi dei successori di Pietro>> 69. E sempre il nostro medievalista riporta in un capitolo del suo studio, che non riguarda esattamente la morte dei papi, ma la prolongatio vitae, una meravigliosa intuizione circa la pericolosa assimilazione che si fece della figura del Vicario di Cristo a Cristo stesso, e quindi fra il papa e l'istituzione Chiesa negli anni di Bonifacio VIII: <<In fondo, non è anche di questo che parla la leggenda della Papessa Giovanna? Figura di madre, la Papessa muore partorendo un figlio. La leggenda incarna un desiderio illecito: la perpetuazione di un corpo di papa. In vita, il papa rappresenta la chiesa - l' Ecclesia Mater-, ma non può perpetuarsi nella chiesa, poiché anche egli muore, alla stregua di altri uomini. Il papa non ha due corpi come il re. Morendo, il papa ritorna ad essere uomo; si sveste cioè della persona di sommo pontefice. È per questo che, morto, il papa è nudo. La potestà del papa, invece, è perpetua perchè rimane sempre nel collegio, ossia nella Chiesa, che appartiene a Cristo, il suo capo incorruttibile e permanente. Il papa, intorno al 1300, è la Chiesa; ma soltanto in vita, non dopo la sua morte>>.70

Dopo queste vicende vi è un lungo silenzio documentario che si rompe solo alla morte di Giulio II Della Rovere, nel 1513, dopo più di due secoli. Tempo prima che morisse, il papa mandò a chiamare il suo celebre maestro delle cerimonie, Paride de Grassi, al quale manifestò la sua preoccupazione per il destino della sua salma il giorno che fosse morto, conservando ancora limpidi i ricordi di quand'era cardinale e aveva assistito di persona al sacrilegio di cui furono bersaglio i cadaveri dei suoi predecessori, non ultimo suo zio Sisto IV Della Rovere. Rivolgendosi al de Grassi, Giulio dice: <<Ho visto molti papi che, da morti, furono abbandonati da parenti e servitori e depredati anche dell'indispensabile, talchè giacevano lì in modo indegno, addirittura nudi con le vergogne scoperte, cose che, per un'autorità -una maiestas- così elevata come quella papale era infamante e disonorante>>. Con lui questo non doveva accadere una volta morto, e per assicurarsene pensò di pagare in anticipo il cerimoniere. Il Paravicini Bagliani ci fa rilevare che questa udienza al de Grassi fu l'unica sino a tutto il Rinascimento in cui un papa osò discutere circa la sua sepoltura. Lo stesso studioso, ma chiunque nelle parole di papa Giulio non può non avvertire una “parossistica angoscia nei confronti dell'idea che morendo, il papa ritorna ad essere uomo”. Il fatto stesso della regola, ribadita dai cerimonieri stessi, da Burcardo a de Grassi, che un papa che fu religioso prima del papato, morto dove indossare sotto quelli pontificali gli abiti del suo Ordine, sta a confermare che il papa dopo la morte ritorna ad essere uomo. La perdità morendo dell'antica majestas soprattutto, proprio a un papa come Giulio II che come quant'altri mai sentì intenso il senso della sua auctoritas, doveva risultare del tutto indigesta e ingiusta. Quando il magister cerimoniarum pontificalium Paride propone a Giulio d'accettare che la sua salma un giorno, secondo antica tradizione, sia rivestita da un camice bianco, il papa accetta; ma a patto che il “panno bianco destinato ad avvolgere la sua salma fosse dorato”. La vestizione del suo cadavere doveva reclamare ancora e rendere manifesti i segni dell'antica maiestas. Come ci ha informato Paravicini Bagliani, specie per il Medioevo, dire bianco o biancore poteva voler dire anche nudità e viceversa. Giulio II perciò respinge la nudità della sua salma, accetta il bianco purchè bordato d'oro: i bordi dorati trasformano il biancore, e dunque la nudità, in gloria71. Nel Diarium Burcardo aggiunge una nota finale, che davvero rispecchia il realismo disincantato e diffidente di papa Della Rovere: finita l'udienza, Giulio II ordinò a due curialisti lì presenti di tenere d'occhio il maestro delle cerimonie perchè “non mentisse eseguendo tali cose”72. Il papa non aveva torto a nutrire timori del genere: era consapevole d'essere un grande papa (e lo si può essere nel bene e nel male), e sapeva che la storia ha riservato ai più grandi di loro più che ai mediocri in hora mortis un finale miserabile e tragico. Aveva del resto davanti gli occhi il quasi immediato precedente di suo zio Sisto IV, a quanto racconta il Burcardo73, e quello più infame ancora del suo immediato e detestato predecessore Alessandro VI Borgia, abbandonato morto tutta la notte, in decomposizione e derubato d'ogni cosa, senza alcuno che lo vegliasse e neppure un penitenziere a recitare l'ufficio dei morti, e sarebbe ancora stato bersaglio di calunnie e sacrilegi a cadavere ancora caldo74. Nota il Paravicini Bagliani che certe retoriche e consuetudini, come quelle della caducità e transitorietà del papa, e quindi questa dell'abbandono e della nudità della salma del papa, si intensificano in determinati momenti storici, nel Duecento e a fine Quattrocento, cioè nei momenti di massima potenza del papato, quando sul trono di Pietro vi sono papi “ierocratici”, come Innocenzo III e IV o magari un Alessandro VI e Giulio II: la mannaia di questa rituale offesa a quei venerabili corpi, ha evidentemente per gli stessi papi una valenza umiliatoria che dovrebbe riequilibrare il senso gradioso del loro Io.

4. I colori del papa

Facciamo un passo indietro, e fermiamoci ad analizzare i colori del papa, quelli funebri specialmente. E scopriamo le ragioni retoriche e simboliche che hanno portato il corpo vivo o morto del papa ad essere rivestito di alcuni anziché altri colori liturgici, specie in momenti luttuosi, spesso in controtendenza con il resto dei mortali, fossero anche alti prelati prossimi al pontefice. Ipotizza Cecchetelli-Ippoliti: <<Le salme papali vestonsi in rosso non solo perché con questo colore s’intende praticare quanto fa la chiesa greca nei giorni di lutto (per loro il rosso indica tristezza), ma anche per essere stati molti papi martirizzati e perciò sepolti con vesti rosse, sebbene s’introducesse poi l’uso di rivestirli di bianco>>75. Chiaro che questa sua deduzione la mutua dal Dizionario del Moroni, alla voce cadavere 76, che dà due ragioni al rosso, specie di stola dalmatica e pianeta: perché segno di lutto per la chiesa greca e per il martirio di molti papi. E' una spiegazione insufficiente e fuorviante77. Ne discute a lungo e in modo crediamo definitivo della questione Paravicini Bagliani 78. Molto più probabile che la questione del rosso in origine avesse a che fare con le ascendenze regali e imperiali di questo colore, il colore della gloria di Augusto: rientrando nella categoria delle molteplici imitatio imperii a cui sempre la Chiesa fece ricorso, dai flabelli alla porpora, dal porfido alla coronazione79. Sulla questione del rosso che fino al Quattrocento primeggiava sul bianco e nel Medioevo dominava nelle vesti papali, tralasciando i momenti in cui era prescritto, limitandoci alle sue significanze. Occorre aggiungere che, a parte l'imitatio imperii, nel cerimoniale di Gregorio X (1273) la duplice veste del papa, rossa e bianca, “serve a simbolizzare anche la plenitudo potestatis del pontefice e la natura cristica della sua funzione”. Sono gli anni in cui si definisce e si concorda definitivamente sul papa come Vicarius Christi, cioè persona Christi, e il corpo del papa, architrave istituzionale della chiesa universale.80

I cerimoniali precedenti a questo indicavano solo il colore rosso del manto con cui l'arcidiacono o il priore dei diaconi ammantava il neo eletto pontefice subito dopo l'elezione. “Il colore bianco e rosso rendono visibile il fatto che il papa rappresenta la persona di Cristo, che è la chiesa. Il papa deve dunque essere rivestito degli stessi colori che simbolizzano la chiesa” 81. Guglielmo Durando, definisce in maniera duratura così la questione dei colori: <<Il rosso rinvia al martirio di Cristo, il bianco alla purezza e all'innocenza di vita. L'esercizio della funzione, simbolizzata dall'esteriorità del manto, deve coincidere con il biancore della veste interiore>>. Lo stesso liturgista specificherà, fornendoci l'interpretazione più antica del simbolismo della veste papale: <<Il sommo pontefice appare sempre vestito di un manto rosso all'esterno; ma all'interno è ricoperto di veste candida: perché il biancore significa innocenza e carità; il rosso esterno simbolizza la compassione... il papa rappresenta infatti la persona di Colui che per noi rese rosso il suo indumento>> 82. Sono gli anni in cui prolifera il dibattito sull'innocenza di vita, la purezza interiore necessaria del papa, di cui le stesse agiografie dei papi ne vogliono rendere nota (vedi la Vita di Gregorio X) esaltando la munditia dei costumi e l'austerità del loro quotidiano. È in questo contesto concettuale di purificazione e tendenza verso ciò che è alto, che il Medioevo imbastisce la sua più splendida formulazione ideale del papa: il papa angelicus, che fra l'altro molte profezie coeve prevedevano sarebbe prestissimo giunto a santificare e sanare una chiesa che all'epoca (Duecento, Trecento) sbandava nel disordine83. Nella sua denuncia delle deviazioni della curia, il celebre vescovo inglese Roberto Grossatesta, dice: <<Coloro che presiedono a questa sacra sede rivestono la persona di Cristo in modo singolarissimo fra tutti i mortali... occorre perciò che nei papi le opere di Cristo brillino nel modo più alto e non vi sia nulla che possa essere contrario alle opere di Cristo... occorre che tutti obbediscano a coloro che presiedono a questa sacra sede, proprio in quanto rivestono Cristo e vi presiedono con verità. Se uno di loro -e non sia mai- dovesse indossare il vestito di parenti o della propria carne o del mondo o di qualsiasi altra cosa che non sia Cristo... allora questi si separa da Cristo e dal suo corpo, che è la chiesa>>. Come persona Christi, il papa è tutto; rivestito della propria carne il papa non è niente; per essere persona Christi deve svestirsi della propria carne.84 In clima di controriforma, si aggiungono nuove interpretazioni al duplice colore, ma si assiste ad un predominio sempre maggiore del bianco. Il teologo Alessandro da Torquemada (da non confondersi col famigerato inquisitore spagnolo Tomas de Torquemada) dedica a papa Sisto V (1585-90) un trattato in cui spiega anche che <<Erode rivestì Cristo di bianco in segno di derisione; per questo la chiesa decretò che il suo Preside fosse rivestito dell'ornamento di quel colore col quale il suo Redentore fu coperto d'infamia e di ignominia. Soltanto questo colore, puro e minimamente inquinato, soltanto lui, simbolizza la mondezza, la purezza e l'integrità>> e con tale purezza e limpidezza il papa dovrà reggere la chiesa e vigilare sulla fede, così il suo abito sarà bianco. Al bianco interno e al rosso esterno si aggiunga anche il pallio, che sarà di lana bianca: lana per indicare al papa che rappresenta la persona dell'Agnello di Cristo mitissimo e obbedientissimo; bianco per indicare la purezza d'animo e di vita “di cui il Sacerdote deve essere adornato”. Queste cromie devono dire che <<l'esterna corporis apparentia, significa che il pontefice deve risplendere in tutto l'Orbe cristiano con chiari ornamenti di purezza e di carità>>85. E' evidente qui l'aspirazione della controriforma a presentare la figura e la funzione del papa come trasfigurate da una purificazione totale, sola premessa ad una corporis apparentia della persona Christi che sia il più universale possibile. Il biancore delle vesti quotidiane e le simbologie del corpo-agnello del papa, avevano il fine di risolvere simbolicamente in partenza il potenziale conflitto tra una corporeità possibilmente fragile e la suprema funzione che il papa ricopriva 86. Paravicini Bagliani nel Corpo del Papa, fa una sistematica ricostruzione della genesi e sviluppo di questi colori nelle vesti papali: dall'Immantatio, ossia al momento dell'insediamento; nella vita quotidiana; quindi alla morte del papa stesso. Egli analizza il significato del “biancore”, il bianco , del quale non parleremo in questa sede; quindi il rosso; in finale vari derivati: rosso e bianco, bianco e nero87. Facciamo una sintesi della sua teoria, tutta basata sulle uniche poche fonti attendibili sul tema, quelle di liturgisti di varia gradazione dell'alto Medioevo, che ci sarà utile a capire le remote ragioni dei colori funebri del papa. Risponderemo così anche ad una domanda ricorrente: perché alla morte dei papi non si usano i colori nero e viola che altrimenti vigono per tutti gli altri comuni (e non) mortali?

Dal cerimoniale di Gregorio X, apprendiamo che il neo eletto è rivestito dal primo diacono con manto rosso, l'immantatio; poco dopo ne è privato per essere rivestito con l'albaromana, di colore bianco, con le parole “Ti investo del papato romano, affinché tu presieda urbi et orbi”. Quindi il pontefice si recava nelle sue stanze per prepararsi al Te Deum e al festino coi cardinali. Deponeva piviale (manto) rosso e mitra bianca, assumeva un altro mantus rosso e mitra di panno rosso, così calzari e stivaletti di cuoio. Nella cerimonia d'incoronazione invece tutti vestiranno di bianco. In tutte le fasi successive dell'inaugurazione del papato vi sarà un alternarsi di rosso e bianco, mentre nei vecchi ordines era solo previsto il rosso della cappa rubea (il manto). Persino il cavallo della presa di possesso è bianco, ma con un drappo rosso nel retro. Il diritto al manto rosso del papa sembra scaturisca dal famoso falso storico della Donazione di Costantino, per cui l'imperatore, è scritto, avrebbe donato a Silvestro I (314-35) vari indumenti imperiali compresa la “clamide purpurea”. Fatto sta che quando Pier Damiani volle contestare le rivendicazioni dell'antipapa Cadalo (1061-64) gli domandò: <<Sei forse stato rivestito del manto rosso...?>>. È evidente l'emblematicità di questo paramento per ufficializzare l'investitura. Con l'immantatio di Gregorio VII (1076) abbiamo il primo caso certificato di simile consuetudine; certificazioni di questo tipo aumenteranno con i successori di Alessandro III (1159). Albino e Cencio confermano nei loro ordines: <<L'Immantatio è l'elemento rituale che rende visibile il legittimo accesso alla dignità pontificia>>.88

Anche il bianco è colore imperiale, e infatti i cerimoniali di vari sovrani prevedevano oltre la “clamide purpurea” un camice “di lino sottilissimo e candidissimo”. Di fatto già i più antichi cerimoniali pontifici ripresero simile consuetudine, e, di fatto, il rosso e il bianco dei papi furono elementi di imitatio imperii; e non è escluso che il rosso della clamide s'ispirasse anche al rosso del sommo sacerdote dell'Antico Testamento. Fatto sta che nel cerimoniale di Gregorio X l'investitura universale avviene quando il papa viene rivestito non solo del manto rosso ma anche dell'albaromana (sarebbe una sorta di rocchetto), indumento di lino bianco che indica nel papa (e nei prelati) poteri giurisdizionali; inoltre questa veste bianca dovrà essere indossata quasi sempre dal papa, perché il pontefice è sempre immagine di Cristo in terra, rappresentante la chiesa universale e la persona divina di Cristo, per questo il candore del rocchetto di lino simbolizza nel papa “l'intrinseca naturale purezza”, spiega Urbano V (1362-70). L'ordo di Gregorio X prescrive che tutte le fasi dell'incoronazione e d'ogni solenne adunata liturgica o cerimoniale devono vedere il papa con l'albaromana calzata sopra una tunica di lino bianco, e quando il cerimoniale non prevede il manto rosso purpureo, dovrà comunque indossare il mantello rosso, che sarebbe la mozzetta, o pellegrina rossa89. Nel suo cerimoniale Patrizi Piccolomini (1484-92) considera assolutamente obbligatorio l'uso quotidiano per il papa dell'abito bianco e rosso: <<nelle vesti non sacre, sopra il rocchetto, il papa non usa che il rosso, sotto il rocchetto, il papa porta sempre la toga bianca e calze rosse, con sandali ornati dalla croce d'oro>>. Ancora il Durando afferma: <<Il papa porta sempre vesti bianche e rosse... il bianco rappresenta il nostro pontefice signore Cristo cioè l'immutabilità della natura divina>>; per questo il papa porta le vesti bianche sempre, sia in casa che in pubblico; bianche devono essere tutte le sue sottane 90. Dirà Innocenzo III, raccordando i colori rosso e bianco alla sua idea di regalità e potestà: <<Ho ricevuto da Lui (Pietro) la mitra del mio sacerdozio e la corona della mia regalità; mi ha stabilito Vicario di colui che è re dei re, signore dei signori, prete per l'eternità secondo l'ordine di Melchisedech>>. Più tardi vedremo i papi raffigurati col manto rosso e l'alba bianca ogni volta che avranno sul capo la tiara: tutti e tre i paramenti “riassumono la plenitudo potestatis del pontefice”.91 Spiega Paravicini Bagliani: <<Dal cerimoniale di Gregorio X (1273) in poi, la duplice veste del papa, rossa e bianca, rinvia all'imitatio imperii ma serve ancora più a simbolizzare la plenitudo potestatis del papa e la natura cristica della sua funzione. A quell'epoca, il papa era ormai definitivamente Vicarius Christi, ossia persona Christi,e il corpo del papa punto di riferimento istituzionale della chiesa romana>>.92

Il bianco e il rosso sono cromie cristiche: lo stesso sepolcro di Gesù era indicato da simili colori, perciò sono simboli di martirio e divinità, di riflesso colori della chiesa. Trascurando le significanze del bianco affrontate da Paravicini Bagliani, soffermiamoci sul rosso, che ha maggiore attinenza col lutto del papa. Nel Dictatus papae (nel codice di Avranches, fine XI sec.) si dice che soltanto il papa può usare la cappa rossa in segno di “imperio e di martirio”. In definitiva, il manto purpureo del Vicario di Cristo è lo stesso che i soldati del governatore posero sulle spalle di Cristo stesso nel pretorio: emblematicamente poco dopo sarebbe seguita la coronazione di spine. Il colore rosso del manto quindi simbolizza il martirio di Gesù, la porpora il suo sangue.

Ancora nel cerimoniale di Gregorio X troviamo affermazioni che rivelano il fine della maggiore universalizzazione dell'ufficio papale, attraverso il rafforzamento della già citata raffigurazione del papa quale Vicarius Christi, immagine vivente di Cristo in terra, rappresentante della persona Christi che poi è la Chiesa. Perciò il papa dovrà essere rivestito degli stessi colori della Chiesa. È proprio sul rosso, il bianco e il suo negativo, il nero, che Lotario basa l'intera architettura liturgica romana.93

Veniamo all'ultimo punto. Il colore liturgico nero. Perché il nero non è previsto per le esequie papali e quindi il cadavere indossa paramenti rossi? E perché il papa non lo indossa neppure in vita, ad esempio nella commemorazione dei defunti?

Sempre nel cerimoniale di Gregorio X si stabilisce che il papa secondo il suo beneplacido può celebrare messa con paramenti viola o neri; ma l'ordo XIV (1328) fa notare che il papa per regola non celebra solenni funzioni per i defunti, “nemmeno se si tratta di un importante re”, e in ogni caso non indossa paramenti liturgici neri, bensì il manto rosso aperto davanti e una mitra bianca non gemmata, come quando un papa presenziò alle esequie del re Carlo IV: lo fece senza celebrare, ma assiso in trono con mitra bianca e una cappa di lana chiusa davanti 94. Nel cerimoniale di Patrizi Piccolomini si dice, ad esempio, che nella solennità dei defunti il papa indossa un manto o un semplice piviale rosso; soprattutto non celebra personalmente: lascia fare a un cardinale che però indosserà paramenti neri. Sia il Burcardo che il Dykmans, ci ricordano che quando morì papa Callisto III (+1458) e Pio II (+1464), nelle rispettive camere si reperirono vesti di due soli colori: rosso e bianco95. Sappiamo che a fine Quattrocento il papa non commemora liturgicamente l'anniversario della dipartita del suo predecessore; inoltre non presenzia ai funerali dei cardinali. Lo stesso mercoledì delle ceneri, secondo il Piccolomini, il papa non usa paramenti neri e si limita ad una stola violacea sopra il piviale rosso; tale rinuncia al nero durante le ceneri risulta già all'epoca dal cerimoniale (1385-90) di Pietro Ameil. Ma secondo il cerimoniale in voga ad Avignone, il pontefice celebra rivestito di nero, ma solo il venerdì santo, ed il motivo è potente: si commemora la morte di Cristo. Secondo la stessa logica celebrando nell'ottava di pasqua indosserà abiti solamente bianchi (persino la mozzetta, di solito rossa, solo in questa unica occasione sarà bianca damascata), simbolo della Resurrezione.96

Quindi cosa si può concludere? Che il definitivo adottare della duplice veste bianca e rossa dei pontefici, portò a far cadere in disuso ed espellere dal cerimoniale papale i paramenti liturgici neri. Egli, il papa, “rappresenta la persona di Cristo, l'eterno pontefice, e non può, come tale, avere un contatto diretto con la morte”. A riprova di ciò, non sappiamo con quanta esattezza d'interpretazione, Paravicini Bagliani porta l'esempio della malattia del cubiculario di Onorio III (1216-27), che quando fu ormai lampante che era imminente il decesso, prima degli uffici degli infermi, il papa che gli era accanto, raccomandandolo a Dio, se ne andò 97. Alessandro VI non partecipò affatto alle esequie del suo figlio prediletto, il duca de Gandia, che pure era morto misteriosamente a Roma, e a pochi passi dal Palazzo Apostolico furono celebrati i funerali 98. Neppure i papi recenti hanno presenziato alle esequie di parenti strettissimi, a cui magari erano particolarmente legati: appena saputo dell'elezione di suo figlio a Clemente XIII Rezzonico, la madre del nuovo papa morì per la troppa emozione: il figlio non partecipò in alcun modo al lutto della madre, se non con preghiere dal Palazzo Apostolico. Uno dei due fratelli di Paolo VI, Francesco Montini, morì all'inizio degli anni '70 quando il fratello era da circa un decennio papa: il papa non celebrò esequie né rese visita alla salma dell'amato consanguineo; tuttavia da papa partecipò direttamente e con estrema commozione all'agonia e agli ultimi momenti di vita del beato Giacomo Alberione; allo stesso modo, con un vero unicum, volle partecipare alla messa di suffragio per la morte dell'amico Aldo Moro... Qualcosa iniziava dopo secoli a scongelarsi, qualcos'altro ad umanizzarsi.99

5. Esposizione

Sappiamo dal cerimoniale dell'Amiel che le esposizioni del corpo del papa dovevano avvenire in ognuno dei tre spazi da lui elencati: camera, cappella, chiesa. Non sempre è andata così, ma grosso modo questa ripartizione è rimasta. La difficoltà più grande è data dal fatto che, oltre alla frammentarietà delle notizie relative, queste molteplici esposizioni del cadavere nel corso dei secoli non furono sempre le stesse, né si realizzarono in egual numero e negli stessi luoghi, ma variarono in ogni senso nel Medioevo, nel Rinascimento, nei secoli successivi fino ad oggi; talora aggiungendo o eliminando una esposizione. Dipendeva dalle circostanze. Senza contare che in certe epoche magari non esistevano determinate cappelle (ad es. la Sistina) o addirittura palazzi, come il Quirinale, che oltretutto da 140 anni non appartiene più ai papi. Dall'epoca moderna, in genere le esposizioni furono 3 o 4: nella camera da letto, negli appartamenti pontifici, nella Sistina, in San Pietro. Qualcuno parla persino, in epoche passate, di ben tre soste in punti diversi nella sola basilica vaticana: altare Maggiore, cappella del Sacramento, cappella del Coro. Lo si deduce da alcune morti papali. Ad esempio dalle fonti risulta che il corpo di Alessandro VI soggiornò prima nella camera da letto, poi nella sala del Pappagallo, quindi in San Pietro nella cappella del Coro e -pare- davanti l'altare maggiore. Ma bisogna dire che da parecchi secoli, lo spazio della cappella e della chiesa rappresentano un unico evento. Per moltissimo tempo l'iter classico della esposizione del corpo del papa è stato: camera privata e appartamento apostolico, cappella Sistina, cappella del Sacramento e (durante le esequie) cappella del Coro nella basilica di San Pietro. Andiamo con ordine.

<<La prima statio dell'Ordo Exesequiarum Romani Pontificis si svolge nella casa del defunto. Nel caso specifico di morte del Sommo Pontefice avvenuta in Vaticano per casa del defunto si intende l'appartamento pontificio esistente nel Palazzo apostolico nella sua duplice accezione di appartamento privato e appartamento di rappresentanza o nobile, come veniva designato antecedentemente. L'appartamento privato è situato al terzo piano del Palazzo, quello di rappresentanza al secondo. Ambedue si trovano nella parte del Palazzo edificata su disegno di Domenico Fontana per volere di Sisto V (1585-90) modificata al tempo di Clemente VIII (1592-1605)>>100. Questa suddivisione vale anche per i vecchi tempi.

CAMERA PRIVATA. Esposizione privata. Appartamento privato del Palazzo Apostolico, 3° piano.

L'appartamento privato è quello dove il papa ha vissuto, lavorato, ricevuto i collaboratori più intimi, recitato l'Angelus, insomma dove si svolge la sua vita101 domestica.101bis

Il papa è morto nella sua camera. Giace sul letto, ma sotto le coltri, in camicia bianca da notte. Come sappiamo, dalle consuetudini e dai vari uffici canonicamente previsti, che debbono in questo momento compiersi, esso resta esposto in quel letto di morte tal quale come è morto, e negli stessi abiti (dalle varie biografie risulta andare per la maggiore camicione bianco magari unito a mutandoni di lana lunghi) con cui ha reso l'anima a Dio. Resta così visibile dinanzi a coloro che hanno assistito al suo trapasso. Quindi gli rendono visita i prelati presenti nel Palazzo Apostolico, ma non solo per omaggiarlo, ma anche, taluni di loro, per compiere canonicamente i loro uffici giuridici e religiosi intorno alla salma, come, per citarne alcuni, l'assoluzione e l'aspersione della salma, la “spezzatura” dell'anello. Per tutte queste ragioni e per altre immaginabili questa prima esposizione va considerata come privata. E' qui che il papa è rivestito con gli abiti da coro, per essere esposto negli appartamenti di rappresentanza del Palazzo.

Di questo momento privato nella camera dove il pontefice ha reso l'anima a Dio, ce ne lascia una descrizione forzatamente desolante il De Brosses per la morte di Clemente XII nel 1740, che -a quanto dice- egli andò a visitare appena defunto: <<Ho visto, al palazzo di Monte Cavallo (Quirinale), una triste immagine delle grandezze umane; tutti gli appartamenti erano aperti e deserti; li ho attraversati senza trovarvi un gatto, fino alla stanza del papa, di cui ho visto il corpo disteso come al solito e vegliato da quattro gesuiti (li confonde con i francescani o gli agostiniani) che recitavano preghiere o che fingevano di recitarle [...] Subito dopo (la ricognizione del camerlengo), siccome il corpo del papa deve restare a lungo esposto al pubblico, son venuti a radergli la barba ed a mettergli un po' di rosso sulle gote, per attenuare il gra pallore della morte. Vi assicuro che in questo stato egli ha migliore aspetto che non durante la malattia. Ha tratti abbastanza regolari; è un vecchio molto bello; il suo corpo deve essere imbalsamato stasera. Subito ci si occuperà di molte cose che mettono in agitazione la città; le esequie, il catafalco, i preparativi del conclave>> 102. Certo, il De Brosses, si lamentava nelle sue lettere-diario che Clemente XII giaceva solitario sul letto del Quirinale, e chiunque poteva entrare e uscire dalla stanza; ma bisogna capire in che circostanze e momento il celebre francese vi fece ingresso. Il de Brosses sembra ignorare che fu lasciato entrare senza problemi, come altri, non per mancanza di sorveglianza, ma perché egli era noto a tutti e oltretutto l'esposizione al Quirinale sarebbe stata di lì a poco, pubblica. Poi annota egli stesso, benché gli sembri inconsistente presenza, che v'erano “solo quattro gesuiti” che recitavano le preci intorno al morto... ma era questa, come sappiamo, l'antica regola, benchè non fossero previsti dei “gesuiti”.

SALA DI RAPPRESENTANZA. Esposizione semi-pubblica. Appartamento di rappresentanza del Palazzo Apostolico, 2°piano.

Nell'appartamento di rappresentanza, pregevole, in alcune stanze sontuoso, ricco di opere d'arte, il papa in vita concedeva udienza a gruppi o a singoli: è una sfilza di sale inaugurate dalla sala Clementina, seguita da quella del Concistoro, fino alla sala del Trono, che dà sulla porta della biblioteca, dove il papa concede udienze private.103

Rivestita nella sua camera degli abiti da coro, successivamente la salma del papa, circondata dalla guardia nobile e svizzera e dai penitenzieri, veniva una prima volta esposta allo sguardo e alla venerazione del personale palatino, quindi dei potenti laici e degli ambasciatori, in una delle anticamere pontificie, di solito (dipende se moriva in Vaticano o, dopo Sisto V, al Quirinale, oppure a partire da Urbano VIII che lo acquistò, nel palazzo di Castel Gandolfo) quella dove s’adunava il Concistoro, sopra più che “un catafalco un letto funebre sovrastato di baldacchino ricoperto di tessuti rossi di broccato filettato d’oro”, come ci informa nel celebre Dizionario alla voce “cadavere” il Moroni, come avvenne alla morte di Gregorio XVI, aggiunge, quando una esposizione veniva fatta nella stanza stessa o nelle stanze vicine dell'appartamento privato. Questo “letto funebre” doveva essere riservato solo alla salma del papa: infatti nel 1632 la Sacra Congregazione dei Riti, censurò e proibì che, come stava diventando in voga, lo facessero prescrivere per le proprie esequie i vescovi; nel 1879 si ribadì la proibizione estendendola anche ad arcivescovi, cardinali, primati. Tuttavia per “letto funebre” si intendeva anche la lettiga con la quale veniva fatta la traslazione del papa quando ci era steso con il camauro e gli abiti da coro.104

Questa esposizione, fino al primo Rinascimento, poteva avvenire nella sala del Trono o soprattutto nella sala del Pappagallo (o nella sala Clementina, o in quella degli Svizzeri... dipende dalle epoche a dal palazzo), come si legge nei diari di alcuni cerimonieri; ad esempio, il Burcardo ci informa che in tale sala sostarono le salme almeno di Alessandro VI e Pio III. Di papa Borgia il famoso cerimoniere scrive: <<Così addobbato, attraverso due stanze, la sala dei pontefici e la sala delle udienze, l'abbiamo portato alla sala del Pappagallo. Abbiamo preparato una bella tavola lunga una canna, coperta con un tessuto cremisi e con un tappeto. Abbiamo preso quattro cuscini di broccato, uno di raso cremisi e un altro, antico, di velluto cremisi. Abbiamo tenuto uno di quelli di broccato e quello di raso cremisi, abbiamo messo quello antico sotto le spalle, poi due a fianco e uno sotto la testa del papa; che abbiamo coperto con un altro tappeto antico>>105. Del suo fugace successore, Pio III Piccolomini, invece, scrive che dopo la vestizione della salma <<È stato trasferito nella sala del Pappagallo, sopra la tavola il cui materasso era ricoperto da un velluto verde. Nel frattempo, nell'anticamera e nella sala del Pappagallo, i penitenzieri dicevano senza interruzione l'ufficio dei morti. I cardinali si sono riuniti nella sala dei pontefici, poi sono passati nella sala del Pappagallo, recitando il Padre nostro... e gli hanno baciato il piede>>106. Artaud de Montor, testimone nel 1823 delle esequie di Pio VII, risultando sommario sulla vestizione e preciso sul resto, scrive: <<Il corpo vestito della sottana bianca, colla stola e colla croce pettorale (si riferisce di certo all'abito da coro, del quale tralascia però parecchi elementi), rimase esposto sopra un catafalco in una delle sale del palazzo. Le guardie svizzere erano alla porta esteriore, la guardia nobile, istituzione dovuta ai primi giorni del regno di Pio VII, occupava la sala funebre; e quattro de' suoi ufficiali erano intorno al cadavere>>, e aggiunge che la piazza di “Monte-Cavallo” (nome originario della piazza oggi del Quirinale) era satura di fedeli che si contendevano l'entrata nel palazzo del Quirinale a rendere omaggio all'augusta salma; tale ingresso <<si concedeva ad intervalli, e per tante persone solamente quante ne poteva capire quella sala>>.107

Questa può essere definita come esposizione semi-pubblica.108 Quindi in Vaticano, nell'appartamento di rappresentanza, le stanze preferite per la prima esposizione semi-pubblica restano la sala Clementina e quella del Trono (quest'ultima omonima di quella del Quirinale). Anche l'altro Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo ha chiaramente un piano nobile o di rappresentanza, e qualora il papa lì vi morisse sarà di regola esposto nel salone degli Svizzeri, quello a cui si accede a destra poco dopo varcata la soglia del palazzo, sala tagliata in due da quattro colonne, con sul fondo un alto camino con lo stemma di Urbano VIII, che acquistò e ampliò quell'edificio. 109

Pio XII (+1958) e Paolo VI (+1978), deceduti a Castel Gandolfo, furono esposti nel Salone degli Svizzeri di quel palazzo. Giovanni XXIII (+1963), così come aveva desiderato, venne esposto nel Salone dell'appartamento privato al terzo piano. Giovanni Paolo I (+1978) e Giovanni Paolo II (+2005) furono esposti nella Sala Clementina che è la più spaziosa dell'appartamento di rappresentanza e che funge quasi da atrio110; il basso e non troppo voluminoso catafalco fu disposto in modo tale che l'ampio caminetto marmoreo fungesse da cornice alla salma del papa 111. In questi ultimi casi gli accessori per l'esposizione nei saloni del piano nobile sono stati un cataletto, ossia un catafalco di assai ridotte dimensioni, circondato da alcuni candelieri e posizionato in modo tale da permettere ai fedeli selezionati di rendere l'estremo privato omaggio alla salma. Negli ultimi due decessi papali ai lati della salma sono stati posti un cero pasquale e un prezioso antico crocefisso in ebano e avorio. La guardia svizzera si dispone ai quattro angoli del catafalco. Intorno al letto funebre vi sarà quanto necessario per la preghiera guidata dei laici e prelati che gli faranno visita: un ambone, degli inginocchiatoi, un aspersorio con l'acqua benedetta.112

Passato il terzo giorno dal decesso, l'antico cerimoniale prevedeva che il corpo venisse esposto direttamente dentro la basilica di San Pietro; una successiva modifica stabilì che invece dovesse essere traslato processionalmente alla Sistina e da lì, dopo un certo tempo, direttamente entro la cappella del Sacramento in San Pietro113. Oggi l'esposizione in Sistina è caduta in disuso in favore della traslazione diretta dal Palazzo Apostolico alla basilica vaticana.114

CAPPELLA SISTINA. Esposizione privata, ma talora aperta limitatamente ai fedeli.

Ci si avviava quindi, in tempi passati, un’ora dopo il tramonto, alla traslazione dal Palazzo Apostolico verso la Cappella Sistina, in un “trasporto che dicesi privato”115, mentre la lettiga è accompagnata da otto guardie nobili. Nel tragitto verso la Sistina era scortata da una schiera di prelati che reggevano i ceri gialli dei defunti e da una coda di cardinali vestiti di viola, quindi dal corpo diplomatico al gran completo vestiti in uniforme di gala ma senza decorazioni in segno di lutto; seguono i rappresentanti o i generali degli ordini monastici e gli altri religiosi. A pochi metri dall'affresco del Giudizio Universale di Michelangelo (da alcune incisioni e foto d'epoca sembra collocato più verso la cancellata che si trova a metà della navata della Sistina) intanto è stato preparato un catafalco rivestito di seta rossa, circondato di ceri, sul quale le guardie nobili depongono l'augusto defunto116. Pare che qui fosse ammessa a visitare il papa defunto una prima ondata di fedeli, che attendevano in fila dietro la Porta di Bronzo del Palazzo Apostolico: fatti poi sistemare nel recinto della parte riservata ai fedeli della Sistina (le due aree, come detto, erano divise da un cancello amovibile), si univano con le loro orazioni ai salmi dell'ufficio dei defunti recitati dai rispettivi breviari dagli ecclesiastici presenti, collocati nell'altra area della cappella, verso l'altare. La veglia durava fino ad ora assai tarda. La notte, la Porta di Bronzo veniva chiusa, fra le rituali proteste dei presenti che avevano atteso inutilmente sino a quell'ora il loro turno per vedere il papa.117 Qui, in Sistina, il corpo del papa veniva dai penitenzieri consegnato ai canonici di San Pietro ai quali spettava il compito di rivestirlo degli abiti pontificali, come per celebrare, predisponendolo così alla più solenne e importate delle esposizioni, quella nella basilica vaticana. Intanto il sacro corpo, come dal primo momento della morte, anche qui, e successivamente anche altrove, è affidato alla custodia della guardia nobile, che piantonando il catafalco lo veglierà tutta la notte.118

Siamo quindi nel secondo spazio, previsto dal proto-cerimoniale dell'Ameil, e per questo spazio le descrizioni di esposizioni più antiche risalgono a Giacomo de Vitry, lo stesso che descrive lo spoglio notturno di Innocenzo III nella cattedrale di Perugia, sino a lasciarlo quasi nudo. Il Vitry riporta la cronaca del trasporto del corpo di Eugenio III nel 1153 da Tivoli al Vaticano con un corte di clero e popolo. Scrive che il papa è rivestito con i paramenti liturgici, quasi tutti rossi119. Lo stesso Ameil prescrive che la salma dell'augusto defunto sia coperta con due panni d'oro, con gli stemmi del papa e della chiesa e stesa su due cuscini ricoperti di panno dorato, della medesima lunghezza del catafalco.120

Nei tempi andati per i papi che spiravano al Quirinale si preferiva esporli nella “grande aula” cioè la Sala Regia, che finché ci furono lì i papi era detta “Cappella Paolina”, nella quale si svolgevano le celebrazioni papali e, se capitava, l'elezione stessa del pontefice. Invece, quando morivano in Vaticano, era uso normale esporre le salme in Sistina: lì molti di loro erano stati eletti e lì avevano presieduto molte celebrazioni. Ma all'improvviso, dalla fine dell'800, per una serie di fattori fortuiti, la tradizionale esposizione e vestizione in Sistina cominciò ad accusare duri colpi. Pio IX, che si considerava “prigioniero dell'Italia”, morto nel 1878, dopo essere stato per un giorno esposto nell'anticamera segreta121, fu poi trasportato direttamente dietro i cancelli sbarrati (mai quanto quel periodo, di sconvolgimenti “liberali”) della cappella del Sacramento in basilica, saltando interamente la tappa della Sistina, per via della grave situazione politica seguita al 1870 con la Breccia di Porta Pia. Leone XIII, Pio X, Benedetto XV furono invece esposti nella sala del Trono dell'appartamento di rappresentanza, poi passarono alla Sistina. Così fu con Pio XI nel 1939, quando il papa defunto fece sosta ancora una volta nella Sistina: sarà l'ultima occasione in cui le volte michelangiolesche contemplarono lo spettacolo maestoso e miserando di una esposizione papale. Infatti, il corpo di Pio XII (+ 1958) venendo da Castel Gandolfo,122 entrando a Roma fece breve sosta al Laterano e da lì fu indirizzato direttamente verso la basilica di San Pietro (ancora una volta nella storia del cerimoniale romano, un caso fortuito -la morte in Castel Gandolfo e il cattivo stato della salma- derogando a una antica consuetudine contribuì a farla definitivamente cadere in disuso); lì giunto, fu esposto davanti il baldacchino del Bernini, neppure nella cappella per eccellenza delle esposizioni delle salme papali, quella del SS. Sacramento, che da allora cadde dopo secoli di onorato e macabro servizio totalmente in disuso, perdendo il grosso del fascino sinistro che aveva a lungo esercitato sui fedeli.123 Certo, contarono anche altri fattori determinanti: era la prima volta nel 1958 che un papa moriva a Castel Gandolfo, e 159 anni che non ne moriva uno fuori da Roma (l'ultimo fu il prigioniero di Napoleone, Pio VI, morto in Francia, a Valencia nel 1799) ed il cerimoniale fu improvvisato: Pio XII e Paolo VI arrivarono in piazza San Pietro che già erano rivestiti dalla villa di Castel Gandolfo di abiti pontificali, cosa che per tradizione -come abbiamo visto- doveva avvenire in Sistina, e fu l'altra ragione che fece considerare inutile questa tappa.124

SAN PIETRO, CAPPELLA DEL SACRAMENTO. Esposizione pubblica. Cappella del SS. Sacramento o davanti il baldacchino del Bernini.

Dopo la Sistina, quindi, ci si disponeva per la traslazione in San Pietro. Giunto il tramonto si avvia l'ennesimo solenne e mesto trasporto125 con la corte pontificia al gran completo, la stessa delle processioni trionfali del papa vivo e assiso in gestatoria. Quindi la lettiga di velluto o seta rossa con adagiato il corpo è sollevata a braccia basse dai sediari vestiti di damascato scarlatto, a sottolineare la loro appartenenza al servizio diretto della Sacra Persona, mentre ai lati si pongono i padri penitenzieri e le guardie nobili; seguono in coda i cardinali, i prelati di corte e i più illustri dignitari ecclesiastici e laici, spesso si aggiunge anche qualche notabile del patriziato nero di Roma (tutto, tutto questo prima del Concilio Vaticano II). Più precisamente: Guardia Palatina, principi romani Assistenti al Soglio ( in prima fila i vari principi Colonna, Orsini, Torlonia, Chigi-Albani), Bussolanti, Cappellani Segreti e di Onore, Camerieri Segreti, Guardia Nobile, Prelati Domestici, eccetera; vi è una compagnia della guardia svizzera, seguita dal clero della basilica ad aprire la processione; alla fine i cardinali 126. Il corteo sfila per le Logge, discende al primo piano e attraversa le sale Ducale e Regia, dunque riscende lungo la scala Regia e quindi svolta verso il portico e da qui fa solenne ingresso in basilica dal portone centrale, il portone di Bronzo, dove lo accoglie sulla soglia il capitolo vaticano 127. Nel gran silenzio del tempio il corpo del papa lo si fa sostare un attimo davanti la Confessione per un responsorio, riprende la processione verso la cappella del SS Sacramento 128. I cantori della Sistina intonano il Miserere finché il feretro non sia giunto in basilica all'altezza della cappella del Sacramento che ha spalancato adesso i possenti cancelli. Qui un non troppo alto catafalco, la parte più alta -quella posteriore- è circa due metri, attende la deposizione del pontefice defunto per la definitiva esposizione “coi piedi fuori della cancellata , affinché lo baci il popolo” 129: vi sarà posto con tutta la lettiga foderata di seta (o raso o velluto o broccato) rossa con estrema premura dai bussolanti. Questo catafalco rivestito di velluto cremisi e filettato talora d'oro (quando non ha ricamato sul davanti un teschio con ossa incrociate) è inclinato di modo che anche il viso del pontefice sia visibile ai fedeli che vi sfileranno davanti non appena chiuse le cancellate. Il papa resterà qui esposto all'omaggio della folla per tre giorni. Nel frattempo gli è stato inserito fra le mani allungandosi verso il petto un crocefisso di legno scuro (ebano con Cristo in argento, in genere). Vicino ai piedi gli son posti due cappelli, a forma l'uno di galero e l'altro di saturno, di velluto cremisi, che poi sono gli stessi che nelle pubbliche funzioni spesso indossavano due dei camerieri segreti del papa, e che simboleggiavano le due giurisdizioni del pontefice, temporale e spirituale. 130

Questa cerimonia della pubblica esposizione ha creato spesso imbarazzi e grattacapi agli addetti ai lavori della curia, oltre che, certe volte, per il cattivo stato della salma, soprattutto a causa dell'interagire scomposto, se non proprio sacrilego in determinate circostanze, del popolo di fedeli che v'affluiva in teoria per rendere omaggio al defunto. Così come, a fine Quattrocento si assisterà in curia ad una crescente indignazione per le appropriazioni più o meno indebite da parte della familia pontificia dei beni privati del papa appena morto, alla stessa maniera e nello steso periodo verrà montando una notevole insofferenza curiale per gli incidenti popolari durante l'esposizione della salma del papa in San Pietro. Il corpo di papa Eugenio IV, trattato con balsamo conservativo, è concesso all'omaggio della folla per un solo giorno 131. Il diarista Jacopo Gherardi ci informa che i penitenzieri depositarono la salma di papa Sisto IV, rivestito di abiti pontificali, sul catafalco affichè fosse “esposto pubblicamente”132. Ce lo conferma il cerimoniere stesso, Burcardo naturalmente: <<Dapprima la salma fu deposta dinanzi all'altare maggiore, in alto, poi più in basso, con la testa rivolta verso l'altare e i piedi al di fuori di una grata di ferro, chiusa, di modo che chi voleva riuscisse a baciarli. Più tardi la grata è stata aperta, e il defunto è stato maggiormente avvicinato all'altare, cosicchè tutti potessero entrare e uscire liberamente...>> attenzione a questo passo, che spiega il nervosismo degli addetti al cerimoniale <<...abbiamo però lasciato dei custodi, perchè nessuno rubasse l'anello o qualcosa d'altro. Fino a circa l'una di notte è rimasto lì>>. Quindi il Burcardo passa a descrivere la ben più tragica esposizione di Alessandro VI, nascondendo a malapena un certo compiacimento per l'oscenità del corpo, l'indecorosa esposizione e l'oltraggioso atteggiamento di alcuni presenti... anche Alessandro “per timore...di uno scandalo” è stato blindato “per tutto il giorno” dietro “un cancello rimasto sempre chiuso”.133

In data 14 febbraio 1829, morto da tre giorni Leone XII, così riporta ciò che ha potuto vedere in San Pietro Stendhal, per l'inizio delle esequie: <<I funerali del defunto papa hanno avuto inizio oggi in San Pietro: dureranno nove giorni, secondo l'uso. Eravamo in San Pietro dalle undici del mattino. Monsignor N*** ha la bontà di spiegarci tutto il cerimoniale che vediamo compiersi sotto i nostri occhi. Il catafalco è stato innalzato nella cappella del coro134; è attorniato dalle guardie nobili, vestite con la loro bella uniforme rossa, con due spalline da colonnello in oro. Il corpo del papa non c'è ancora. Abbiamo assistito ad una messa solenne detta dinanzi al catafalco. L'ha officiata il cardinal Pacca, nella sua qualità di sottodecano del Sacro Collegio [...] Tutti gli stranieri hanno assistito a questa messa>>.135

Così il giovane minutante della segreteria di stato vaticana, l'allora ventiquattrenne Giovanni Battista Montini, nelle lettere inviate ai familiari, racconta la “sua” esperienza della morte di un Papa: il primo che conobbe e servì, Benedetto XV Della Chiesa, nel 1922. Il giovane prete sembra commosso e incantato da tutto l'apparato barocco, da quell'aria “d'oltretomba” durante la traslazione in basilica e l'esposizione nella cappella del Sacramento della salma del papa. Quasi mezzo secolo dopo, quello stesso giovane prete, impressionato davanti al mistero e allo spettacolo denso della morte dei papi, divenuto pontefice col nome di Paolo VI, smantellerà in pochi mesi ogni residuato barocco in qualsiasi cerimonia pontificia a cominicare dalle esequie papali; appannò e spense ogni residuale bagliore di splendore della chiesa romana di sempre136. Montini che era maestro di eloquenza, sembra percepire quasi in versi questa lettera ai suoi parenti a Concesio, e tal quale la riportiamo:

<<Carissimi, questa mattina verso le nove la salma del S. Padre, dalla sala del Trono, che sta al secondo piano delle Logge, dove era stata trasportata ieri alle 15 […] su una portantina sorretta dai Sediari è stata portata in S. Pietro, accompagnata solo da dignitari della Curia e da alcuni prelati. La sfilata che discendeva lenta e grave cantando il Miserere a verso dev’essere stata solenne d’un misterioso cordoglio. Poi in S. Pietro immenso fra canti d’infinita dolcezza, così mi dicono, il corteo ha deposto le spoglie del Papa nella Cappella del Santissimo.

I cancelli sono chiusi, e il popolo comincia a sfilare.

Piove, come piove a Roma, ma quest’oggi, alle due, tutti si va a S. Pietro. Non è manco possibile pensare a prendere un tram. La piazza è un esercito d’ombrelli, gregge nero accalcato, ammonticchiato contro i cordoni della truppa che divide in sezioni la Piazza perché la ressa sia meno disordinata. Si è fermati alla gradinata e si sta sotto la pioggia che sembra singhiozzi da un cielo crucciato e implacabile. La folla curiosa, ciarliera, impaziente non cede.

C’è tra la gente qualche viso pacato di forestiero, qualche velo sdruscito di monaca; il resto è popolo, è Roma, popolo che sembra creato apposta per riflettere nel suo animo le emozioni di lutto oggi, di gioia domani che dal mondo confluiscono qua; popolo che nell’incalzante pressione verso le soglie del grande cenacolo dell’umanità, sembra alle spalle premuto da popoli lontani, oltre l’agro oltre le Alpi, oltre l’Oceano. I soldati tengono a stento la fila anche nel tempio, che qualcuno desidererebbe fosse, per amor delle proprie costole, un pochino, solo un pochino più vasto. Poi finalmente si sfila; un’improvvisa impressione d’oltretomba passa sui visi, la curiosità si risolve in un indefinito senso di tristezza.

Il Papa, eccolo! Dietro le sbarre chiuse della Cappella, sollevato all’altezza d’un uomo, in posizione obliqua, vestito cogli abiti pontificali rossi, e la mitra d’oro giace: un’unica maestà è rimasta, quella della morte. La fisionomia, pallida, angolosa, smunta, conserva i suoi tratti caratteristici; i capelli nerissimi che appaiono sulle tempia dànno un risalto notevole al volto bianco, cereo. E’ morto, e la mano, stanca di benedire, riposa sul petto augusto, inerte. Si ha la percezione inconsapevole d’essere dinanzi a una morte simbolica. Perché il più grande enigma umano, la morte, viene finalmente a coprire anche Pietro che si dice vincitore della morte e padrone, testimonio dell’al di là. Tutta questa folla che passa e contempla e non si sazia pare voglia spiare attraverso le palpebre chiuse un qualche raggio nascosto dell’alba eterna; guarda e pensa lontano; e neppure prega, perché crede che la preghiera sia già consumata in un trionfo; e passa e non parla più, quasi per non svegliare, il Dormente.

Pietro, perché dormi? Ma donde mai questa certezza di saperlo vegliante e orante?
Eppure è morto anche Lui, ed era il Papa. Già, qui sotto la cupola michelangiolesca anche S. Pietro è morto ed è sepolto, andiamo a pregare alla Confessione. E finalmente colla fronte appoggiata sul marmo gelato si prega, e vien sulle labbra il Credo; il Credo, sulla tomba dell’Apostolo che piantò la Croce, il polo della umanità, dei secoli, della storia, qui dove egli morendo visse la verità della Fede.

O sublime dramma della vita e della morte qui avrai la catastrofe? […]
E lo si guarda ancora fra la penombra; con un ultimo slancio di tenerezza. Che tu sia Benedetto!
E poi si ritorna dall’ultima udienza; mentre piove; e si dominano collo sguardo le migliaia di persone che affluiscono ancora tra le braccia distese del colonnato, come per abbracciare il mondo. Don Battista - Roma, 23 gennaio 1922>>
(Giovanni B. Montini). 137

BACIO DEL PIEDE. Nella cappella del Sacramento il papa era sempre vegliato dagli svizzeri (all'esterno del cancello spesso da altri gendarmi, per garantire l'ordine ed evitare gesti sacrileghi della folla verso il cadavere), ed era collocato sul catafalco, ad altezza uomo, in maniera tale che i suoi piedi calzati nelle pantofole rosse con crociatura riccamente (a secondo) ricamata in canuttiglia d'oro e galloni, potessero appena sporgere dalla cancellata di modo che il popolo potesse baciarli o sfiorarli con le mani o con fazzoletti e oggetti da conservare poi come reliquie138. E' stata questa per secoli un'occasione ghiotta per il popolo romano di dare il meglio, e dunque il peggio, di sé. Intorno a questo stravagante rito pietoso del “bacio del piede” è accaduto di tutto, come testimoniano diari e cronache d'epoca, non esclusi furti (di pantofole papali) e tagli di paramenti del defunto in un eccesso di feticismo religioso, strofinature lungo la pantofola di fazzoletti e rosari, fino a scene di isteria, svenimenti e veri dileggi, tentativi (pare) di tirar giù per un piede il defunto o di mozzicarlo, spettacoli dell'orrore offerti al pubblico ludibrio e per il pubblico brivido con salme gonfie, putrefatte, nauseabonde, quando non capitò di sostituire il papa con un fantoccio, senza che facesse molto la differenza per la non troppo delicata sensibilità dei cattolici di Roma verso i papi morti139. Sarà un po' per tutte queste ragioni che -come testimoniano una miriade di foto d'epoca e incisioni- da molto prima che venisse meno questo rito popolare e romanissimo, si pensò di ritrarre un po', abbastanza, parecchio indietro la salma rispetto alla cancellata, di modo che solo in teoria la si potesse “baciare” nei piedi; e quando poi capirono che le mani erano più pericolose delle labbra, la spostarono ancora più lontano di modo che al bacio ormai teorico seguisse uno sfiorare con la mano la venerata pantofola ancora più simbolico; ci si accontentò negli anni successivi di far oscillare nel vuoto le braccia dall'altra parte della cancellata verso l'ormai lontano sacro corpo del pontefice defunto. Per la pace di tutti e magari del defunto e per ulteriore precauzione, sapendosi la fantasia popolare senza limiti, si provvide pure ad aumentare la sorveglianza di gendarmi e carabinieri davanti il cancello della cappella del Sacramento mentre sfilava il popolo di Roma, nell'eventualità l'omaggio al solito degenerasse in oltraggio140. E ad ogni modo non fu sempre farsa e scempio: in alcuni casi, rari per la verità, il rimpianto per un papa defunto fu sincero, il cordoglio e la devozione verso la salma onesti, specie nel caso si ritenesse santo o particolarmente magnanimo il papa morto. Oggi, e da parecchio tempo, questo rito non è più in uso da quando il bacio del piede è stato tolto dal cerimoniale, come sottolinea il volume ufficiale sulla sede vacante141. Tolto insieme all'esposizione in Sistina e nella Cappella del Sacramento. Il corpo di Pio XII ne fu dispensato nel 1958 142. Alla morte di Giovanni XXIII nel 1963 forse si sarebbe pure ritornati alla tradizione, ma la cosa fu resa impossibile dalle impalcature del Concilio Vaticano II che ricoprivano e chiudevano tutte le navate laterali della basilica, compresa la cappella del SS Sacramento. Come risulta dal notevole materiale fotografico ed iconografico di esequie papali, quello di Pio XI nel 1939, fu davvero l'ultimo funerale all'antica con tutti gli orpelli e gli eccessi della tradizione romana: l'ultimo ad essere esposto in Sistina, l'ultimo ad esserlo nella cappella del Sacramento, l'ultimo a cui si poté baciare (in teoria) il piede. “Ultimo” per caso.143

Va detto anche che i papi a partire da Pio XII fino a Giovani Paolo II hanno potuto usufruire a pieno dei mezzi di comunicazione di massa, attirando così miriadi di fedeli sconosciuti ai predecessori, che una esposizione tradizionale nella cappella del SS Sacramento avrebbe reso impossibile accogliere: è l'altro motivo per il quale dalla morte di Pio XII in poi i papi sono stati posti su un catafalco davanti la Confessione, nel cuore della basilica e non più nella cappella apposita.144

In questo terzo spazio, la chiesa, per seguire il ragionamento dell'Amiel, qualcuno ci vede qualcosa di più. L'esposizione pubblica del corpo del papa in chiesa per le esequie solenni, si “contrappone alla nudità”145. Praticata già nel XII secolo per gli alti funzionari in Italia, l'esposizione è una larga imitazione dell'antichità romana, a glorificazione del defunto, come a Bisanzio per la salma dell'imperatore e più tardi in Europa per la salma del re 146. Precisa in una logica assai raffinata il Paravicini Bagliani: <<Se la nudità serve a dire che, morendo, il papa ritorna ad essere uomo, l'esposizione della salma è uno strumento di gloria oltre che di autenticazione pubblica della morte del papa>>. Se, poi, il viso del papa (e talora le mani) viene ricoperto quando è esposto in cappella e quando la salma è deposta nel feretro, lo stesso, invece, viene scoperto nell'esposizione pubblica in chiesa. Come si vede, l'esposizione e prima l'imbalsamazione, sono elementi importanti del delicato trapasso della potestas papae.147

Come dicevamo, durante queste esposizioni gli incidenti non mancarono. A Clemente XI la gran mole di romani accorsi ad omaggiarlo, non esitarono a tagliargli via qualche pezzetto (magari prezioso) degli abiti pontificali. Spesso è la conservazione del cadavere a creare imbarazzanti problemi nella cappella, del resto l'imbalsamazione costava non poco denaro alla chiesa, perciò si economizzava (in realtà ci si affrettava anche per la ristrettezza dei tempi cerimoniali) esigendo trattamenti in teoria superficiali che garantissero almeno l'arresto della putrefazione per il periodo esequiale. Cecchetelli-Ippoliti porta alcuni esempi sebbene corredati da ipotesi medico-legali pre-scientifiche e sorpassate da un pezzo (scrive nel 1919): <<Non è raro il caso in cui, o per la non riuscita operazione, o per la fragilità del corpo del papa, spesso dipendente dalla grave età o dal genere di malattia che cagionò la morte, il cadavere emani insopportabile fetore. Quello di Giovanni XXII (4 dicembre 1334) fu sepolto nella cattedrale di Avignone, senza essersi potuto esporre, perché disfattosi tutto appena il pontefice spirò. Quando Clemente XIV spirò per una scorbutica affezione ed acrimonia dei sali retrocessi (22 settembre 1774), il corpo si scompose interamente; onde, anche per il cattivo odore che emanava, non poté essere esposto al pubblico e si dovette subito incassare [in realtà le cose furono un po' diverse]. Il corpo di Leone XII puzzava siffattamente, che furono obbligati a rimuoverlo dalla cappella del Sacramento e sostituirgli un fantoccio, che fu ugualmente baciato e adorato dai fedeli. Talora, dovendosi il cadavere tenere esposto durante le esequie, si fece uso di una maschera di cera imitante l'effigie del defunto, che si rinnovava ogni giorno. Per applicarla, era necessario recidere o deprimere alcune parti del corpo>>.148

PANTOFOLE PAPALI. Importante indicatore delle mode papali furono le scarpe o “pantofole” del pontefice: ve ne erano in genere, per le cerimonie e per l’uso quotidiano, dunque per la sua morte; nei secoli furono di molte varietà.

I papi dei primi tempi –tempi grami e duri- usavano i classici sandali coi legacci. Finite le persecuzione il “supremo gerarca” potè mostrarsi in pubblico: per l’occasione sfoggiò scarpe in preziosi materiali, decorate di lino bianco nella foggia dei calcei cavi senatori che coprivano tutto il piede, come Silvestro I (+337). Con le invasioni barbariche, e dal V al VII secolo, anche i papi come i privati cedettero alle calzature alla longobarda con tomaio acuto traforato. Con Onorio I sino a Callisto II (625-1124) le scarpe divennero nere con ornamenti bianchi. Poi fu la volta della moda iniziata da Innocenzo II durata sino ad Adriano V (1130-1276): ancora a forma longobarda, però stavolta con sfiziosi ricami in oro e file di perle, finestrature apparenti; quella delle perle era un ritorno a certi imperatori romani, ma poi generalizzata nel periodo delle crociate. Con Onorio IV (1285-87) è il trionfo: senza correggioli, le calzature sono rivestite di fastose decorazioni; hanno di nuovo la forma di calceo cavo, ma stavolta sono cosparse di galloni d’oro con semicircoli sulla punta, stoffa arabescata, con il fregio centrale e persino la suola arricchite con gemme; furono le stesse per Nicolò III e IV e persino per il mite eremita del “gran rifiuto” Celestino V. Un esempio spettacolare di queste calzature medioevali lo si può ammirare sulla lastra del sarcofago di Bonifacio VIII nelle grotte vaticane; ed arano le stesse che il cerimoniere Paolo Mucanzio osservò all’apertura di quel sarcofago l’11 ottobre 1605, e così ce le descrive: << Sandalia nigri coloris, acuta et cuspidata, more gotico, sine cruce, et serico nigro ad flores parvos auro intexsos, longitudinis palmi unius et quarti unius [trenta cm]>>. Di solito erano fatte di sughero poi ricoperto di pelle bianca decorata di arabeschi dorati. Poco si sa della moda calzaturiera del periodo avignonese, dato che molti mausolei papali furono manomessi o distrutti; si sa solo che da Gregorio XI (1370-78), l’ultimo papa della “cattività”, si comincia a smussarne l’acutezza, e prende una forma più consona all’anatomia del piede. Da Urbano VI fino a Paolo III (che poi nel monumento in s.Pietro, nella tribuna, sarà scolpito con degli apostolici sandali a legacci), sempre più le scarpe andarono ridimensionandosi, divenendo più tondeggianti e rispettose delle dimensioni del piede, come si nota dalle effigi sui sepolcri pontifici nelle grotte vaticane o su nella basilica. La pantofola papale non ha requie: con Paolo IV (1555-59) essa diventa di punta quadrata. Ma Pio V, spirito pratico, preferì ancora quella a lingua di bue, rosso scarlatto; così andò fino a Urbano VII. Di nuovo le scarpe fanno marcia indietro: da Leone XI sino a Innocenzo XII la punta è di nuovo quadra, e nel monumento funebre a Innocenzo XI in San Pietro è nettamente squadrata ancorché istoriata di croce e arabescature. Clemente XII, e siamo a metà '700, ancora le portò in quella strana foggia, ma furono le ultime. Da papa Benedetto XIV Lambertini a Pio VII Chiaramonti, furono quasi tonde, e con quest'ultimo siamo giunti a '800 inoltrato. Un particolare quasi costante a tutte le foggie è però la crociatura: la prima prova ce la dà l’effigie sepolcrale nelle grotte di papa Innocenzo VII (1404-08). E la troveremo sulla gran parte dei monumenti papali. Ci furono di croci semplici e assai elaborate, con leziose gallonature o indorature, ricami… dipende! Il per altri versi semplice papa Benedetto XIV superò tutti per il certosino e barocco tripudio di galloni su tutto il tomaio delle sue pantofole, al contrario di Sisto IV che ne aveva di abbastanza semplici e l’unica nota appena brillante è una croce fatta di galloni stretti. Un suo successore anch'esso francescano, Clemente XIV Ganganelli, provvide a far ridimensionare un po’ sul tomaio simile trionfo, e si limitò ad una croce greca raggiata qua e là. Tali capricci decorativi si limitavano quando la scarpa era decorata con una croce latina, che in genere regnava sovrana e solitaria… ma quando si cedeva alla croce greca allora, nelle sei quadrature disponibili, era un tripudio di ricami, orticoli, arabescature, perline, gemme, lustrini e pagliette d’oro (crisoclavi). Sembra che i papi più esteti, gradissero notevolmente le croci formate con galloni decussati; mentre anticamente le croci erano fatte di cuoio poi indorato. Così il materiale delle calzature: nei primi tempi erano di pelle; più tardi cambellotto; quindi panno, marocchino, velluto, alla fine di raso. Ma anche il colore non fu sempre lo stesso: prevaleva lo scarlatto nelle preferenze, ma Silvestro I le volle verde scuro; Martino I rosso scuro e infine Onorio I e Callisto II di nero con ornati bianchi. Poi quasi di regola rimasero di rosso, da Innocenzo II a Pio VII. La prassi avrebbe voluto che il colore delle pantofole fosse abbinata al colore dei paramenti dei periodi liturgici (regola spesso osservata fino al Concilio Vaticano II -che di fatto le abolì, eccettuato per il papa- dai vescovi e arcivescovi nei loro solenni pontificali); ma la regola non era così ferrea, pare che un po’ dipendesse dai gusti personali… se è vero come lo è che in vari dipinti vediamo dei papi vestiti magari giallo oro ma con scarpe nere e ornati bianchi. E aggiungiamo che le forme e i colori spesso variavano a secondo della specifica funzione liturgica che in quel momento il papa assolveva, o secondo il luogo e il tempo liturgico. L’allacciatura in genere era fatta con correggioli di pelle o lacci e fettucce di seta abbinate al colore della scarpa, con all’estremità fiocchetti d’oro.

Sappiamo che anticamente si usava seppellire i pontefici con sandali neri; più tardi (e fu la “moda” più longeva) si passò a quelli rossi, mai di velluto, ma di seta. Quando si è proceduto alle esumazioni e traslazioni papali, specie fra 1604-6, alla demolizione della vecchia basilica costantiniana, i privilegiati testimoni hanno asserito che si son trovati esemplari di pantofole ben conservate. All’epoca in cui scrive il Cecchetelli-Ippoliti (1919 circa), come racconta, si conservavano ancora esemplari di pantofole papali presso chiese e privati (non sappiamo se ancora oggi è così, ma forse sì): quelle di Silvestro I e Martino I <<si veggono ancora oggi -1919- nella chiesa a loro intitolata nel rione Monti in Roma; quelle di Pio V nella chiesa di s.Lorenzo in Panisperna e di s.Maria in Vallicella… A Matelica nelle Marche al museo Piersanti si veggono le scarpe di seta rossa di Clemente XI, Benedetto XIII e Benedetto XIV>>.149

6. Visibilità

La prima testimonianza di una esposizione pubblica della salma del papa, come già accennato, l'abbiamo per voce di Giacomo di Vitry, a proposito di quella di Innocenzo III, spoliata nella cattedrale di Perugia. Fonti più antiche al riguardo non ne esistono150. Ancora il pontificale romano del XII secolo stabiliva che “dopo che l'anima è uscita dal corpo, il corpo del defunto va lavato, quindi pulito, riposto nel feretro e portato in chiesa”. E' evidente da queste parole che il sacro corpo è dispensato da qualsiasi ufficiale visione, per mezzo dell'esposizione. Abbiamo pure accennato alla traslazione della salma di Eugenio III (+1153) da Tivoli a Roma il giorno stesso della sua morte, narrata da Bosone che tanto tiene a precisare che il corteo funebre fu guidato da una gran quantità di popolo ed ecclesiastici percorrendo “la strada pubblica” passando “attraverso la città”. E' il segno dell'attenzione nuova che viene formandosi per la visibilità del corpo del papa defunto, interesse che è sì di pietas, ma che è soprattutto di natura regale e di attestazione pubblica del decesso del papa. Nel tempo diventerà un momento religioso, cortigiano, cerimoniale, politico, di maestà, giuridico.151

Dopo la cronaca del Vitry abbiamo una lunga pausa documentaria. Solo verso la seconda metà Duecento sapremo qualche particolare ancora sull'esposizione. Se scarseggiano documenti scritti, qualche testimonianza però la possiamo ricavare dalle tombe di papi e cardinali. Ad esempio a Santa Prassede a Roma vi troviamo la tomba del cardinale di Troyes, nipote di Urbano IV: il porporato, ed è la prima volta in un monumento funebre a Roma, è raffigurato in rilievo giacente su una coltre funebre istoriata di figure araldiche con riferimenti simbolici mortuari. Arriviamo dunque al celebre sarcofago di Bonifacio VIII scolpito verso il 1296 da Arnolfo da Cambio, traslato nelle grotte vaticane dopo l'abbattimento della basilica costantiniana: si sovrappogono due pezze, una ha impresso il medaglione dei Caetani. Troveremo d'ora in poi spesso apposti su molti sacelli cardinalizi e pontifici lo stemma personale del defunto, come per Urbano IV, Onorio IV (è il primo moumento funebre papale che lo riporta), il cardinale Fieschi discendente di un papa. Del resto, come abbiamo visto, è il cerimoniale dell'Ameil che dà l'ispirazione, quando stabilisce che i feretri papali per l'esposizione devono essere ammantati di due panni d'oro, con impressi gli stemmi della chiesa e del defunto, e che successivamente le salme devono essere adagiate su due cuscini coperti di panno dorato lunghi quanto il catafalco. E infatti nessun simulacro papale del tardo Duecento è stato scolpito tralasciando questi particolari nella rappresetazione, anzi insistono leziosamete sui particolari delle stoffe, e non dimenticano neppure alcuno dei paramenti liturgici pontifici previsti dai cerimoniali del Trecento.152

Pocanzi abbiamo detto del rallegramento di Pietro Argellata per la sua riuscita imbalsamazione del cadavere di Alessandro V così pronto a sfidare otto giorni di esposizione; abbiamo sentito il chirurgo bolognese puntualizzare che i piedi, le mani e il volto di Alessadro furono lasciati scoperti, perchè “devono essere visti”. La fedeltà al cerimoniale ameliano è evidente: la faccia del papa è coperta quando è esposto in cappella, è scoperta durante l'esposizione pubblica in chiesa, di nuovo coperta alla deposizione nella bara della salma: “morendo il papa torna ad essere uomo (viso coperto), ma la sua morte deve essere visibile (viso scoperto)”153. In effetti quando si provvide alla prima estumulazione della salma di Gregorio VII154 nel 1578 si vide che sulla faccia era posato un velo, “indizio che potrebbe parlare a sfavore di una esposizione nella bara”155, afferma l'Herklotz. Ma Paravicini Bagliani ribatte che “ciò riguarda invece soltanto il modo con cui il papa era stato deposto nel sepolcro, non il momento della sua esposizione, che avveniva invece a viso scoperto156, come del resto è affermato nel rogito trovato nella cassa157. Lo stesso monumento funebre di Adriano V (+1276) a San Francesco alla Rocca in Viterbo sembra confermare questo triangolo imprescindibile: mani piedi volto. Tutto il gisant che chiude il sarcofaco, ove il papa è scolpito giacente ed esanime in abiti pontificali, sembra progettato, fin nei giochi prospettici e nei punti di fuga, per mettere in risalto proprio questi tre elementi anatomici; il gisant <<riproduce gli elementi essenziali di un letto funebre pontificio al momento della sua esposizione pubblica [...] Anche secondo Ameil, il camerlengo o il sacrista dovranno consegnare del balsamo all'apoticario e ai frati della bolla per ungere la salma del pontefice defunto, e anche le mani>>158. Inoltre, a dar retta ai chirurghi del Trecento, l'imbalsamazione del papa serviva a conservarlo integro per almeno otto giorni, l'esatta durata dei novendiali; queste fonti allora ci suggeriscono che è questo il periodo che vide l'introduzione dei novendiali nelle cerimonie per le esequie del papa. L'esposizione del pontefice, infine, con mani piedi e volto scoperti, oltre a rimandare all'imitatio imperii e rendere visibile l'alta funzione che aveva assunto il defunto, serviva anche a permettere l'autenticazione pubblica dell'avvenuto decesso. L'imbalsamazione ed esposizione del papa “sono quindi aspetti indissociabili, di fondamentale importanza nel trapasso della potestas papae159. Come già raccontato, l'esposizione pubblica della salma del papa fa da contrapposizione alla nudità e al rischio di abbandono. E' per rimarcare questo stridente contrasto che il Vitry ricorre con insistenza alla retorica della caducità. Nel Duecento, del resto, l'esposizione pubblica del cadavere è il momento saliente delle cerimonie funebri di cavalieri e alti funzionari delle città italiane, e tutte insieme si rifanno largamente all'imitatio dell'antica Roma, dove l'esposizione è mezzo di glorificazione del defunto; così a Bisanzio, ad esempio, dove la salma dell'imperatore è pubblicamente esposta nel palazzo rivestita delle vesti del giorno dell'incoronazione. L'uso andò sempre più diffondendosi nelle corti europee 160. E Paravicini Bagliani conclude giustamente: <<Il contrasto è solo apparente. Se la nudità serve a dire che morendo il papa ritorna ad essere uomo, l'esposizione della salma è strumento di gloria oltre che di autenticazione pubblica della morte del papa>>. Scrive, compediando, sempre il Paravicini Bagliani: <<Morendo, il papa perde la potestas. Ecco perchè la matrice con cui si fabbricano le bolle papali viene spezzata nella parte che reca il nome del papa defunto, e la salma del papa viene deposta nel feretro con il viso coperto. Durante l'esposizione pubblica della salma che precede la sua deposizione, il viso del papa è invece scoperto, e così devono essere anche le mani e i piedi. Il corpo del papa defunto deve poter essere visto, ma anche toccato. Come dirà l'epitaffio di Clemente IV, il papa morto è ceneri di Pietro. Il corpo di un papa defunto può infatti essere oggetto di devozione e apparire come un corpo santo. Il concetto di santità, che la riforma gregoriana era riuscita ad applicare alla figura del papa, si trasferisce così al corpo di un papa defunto>>.161

NOTE

1 Norberg – Schulz C., Architettura Barocca, Martellago Venezia, 1998, p. 177

2 Rendina C., Le Chiese di Roma, Milano 2000, pp. 370-1

3 Moroni G., Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, da san Pietro sino ai nostri giorni, 103 voll., Venezia 1849-61, LV, p.62. Pratesi, Rione II Trevi, in AA.VV, I rioni di Roma, Milano 2000, Vol. I, pp. 131-201.

4 Pierconti A., Da Leone XIII a Pio X, Diario dal giorno 3 luglio al 9 agosto 1903 , Roma 1904, pp. 246-8.

5 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del Papa, Torino 1994, p.202.

6 Dal suo Chirurgia, trascritti nel Dizionario del Moroni.

7 Rendina C., Il Vaticano storia e segreti, Roma 2005, p. 274.

8 Artaud de Montor, Storia di Pio VII, Milano 1865, III tomo, p. 271.

9 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p.11; Santolaria J.A., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, pp.76-77.

10 Moroni G., Dizionario, cit., LV, pp.62-3, per ulteriori notizie sui precordi andare alla voce “precordi pontifici”; Crespi M., Argellata Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Roma 1962; Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 202-3, 217.

11 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.168.

12 Questo termine è usato dal volume AA.VV., Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed.2007, tuttavia Cecchetelli-Ippoliti R., in Riti funebri, cit., pp.8-12 che si basa soprattutto sul celebre Dizionario del Moroni, parla semplicemente dei canonici penitenzieri, quindi i francescani.

13 Particolare strano: nel paragrafo dedicato alle scarpe papali, ci risulta che in ogni circostanza, fin dai primi secoli, il papa ha indossato sempre calzari, alla morte compresa: rendere i piedi “visibili” significherebbe averli privi di scarpe; circa le mani di sicuro, almeno a partire da dopo l'anno 1000, come risulta da antiche esumazioni, le salme papali in esposizione indossavano i guanti rossi -ma talora anche bianchi o neri-, le chiroteche.

14 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.163, 194; AA.VV. Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004, p. 40; Moroni G., Dizionario, cit., VI, pp. 201-2; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 8; Rendina C., Vaticano, cit., pp. 274-5.

15 Moroni G., Dizionario, cit.,VI, pp. 201-2; Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85,IV, p. 19 n.969; Il volume del chirurgo medievale Chauliac, Cyrurgia magna, nel trattato VI parla dell'imbalsamazione dei papi: dei passi scritti in latino, che per lo più non riprodurremo, sono raccolti in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 211 n.54-57.

16 A tal proposito vi è uno studio approfondito in lingua inglese di Brown E., Death and Human Body in the Later Middle Ages; The Legislation of Boniface VIII on the division of the corpse, apparso su “Viator” -del 1981-, 12, pp.221-70, importante lavoro, prettamente medievalistico, che spesso si sofferma sulla morte dei papi nel medioevo; Herklotz I., Paris de Grassi, Tractatus de funeribus et exequiis, Vienna-Roma 1990, p.245, n.127.

17 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 211-12, n.57.

18 Per notizie su questo illustre chirurgo bolognese del medioevo, Crespi M., Argellata Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, p.114.

19 Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, II, p.293.

20 Gioberti V., Vita di Fra Lorenzo Ganganelli, papa Clemente XIV, Firenze 1848, pp.150-9; Zeppegno & Bellegrandi, Guida ai misteri e piaceri del Vaticano, Milano 1974, pp.129-39.

21 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.8-10.

22 Errore dell'autore citato, Cecchetelli-Ippoliti nel suo saggio Riti Funebri, cit., pp 8-10: tale vestizione era valida in qualunque luogo il papa morisse, come risulta unanimemente da tutta la pubblicistica sul tema. Il suo errore nasce di certo dal fatto che si basava su fonti antecedenti la presa di Roma nel 1870; prima di quella data i testi che parlano dei decessi papali davano per scontato che il Pontefice decedesse al Quirinale; tuttavia non escludevano che spirasse anche in Vaticano ma premettevano sempre un “qualora”, per sottolinearne l'eccezionalità: lo vedremo nel corso di questo lavoro, riportando testi di autori ante 1870 che narrano di morti papali nella loro epoca.

23 Cecchetelli-Ippoliti, l'ha dimenticata come molte altre cose; nella lista l'aggiungiamo noi in base alla mole di documenti ufficiali e non, incisioni d'epoca e fotografie che danno un quadro esattissimo dei paramenti -con rare piccole variazioni- che il papa indossava nelle varie esposizioni della sua salma. Per la bibliografia si rimanda al paragrafo I Colori del papa. Correggeremo noi le mancanze del citato autore. Si veda anche AA.VV., Sede Ap. Vac., cit. pp.103-4, 197.

24 Per i secoli più recenti: la questione della talare e dei colori del papa è lunga e trova chiarificazioni attorno al secolo XI per via di Gregorio X, e solo nel XVI, sotto Pio V, si avvia l'uso definitivo della talare bianca e del colore bianco come colore papale per eccellenza. Prima aveva prevalenza il rosso, come colore apostolico e papale. Per la bibliografia si rimanda al paragrafo I colori del papa; circa l'abitudine di Pio V di vestire di bianco, come per i domenicani, si veda Fabbretti N., I vescovi di Roma, Cinisiello Balsamo 1987, pp. 259-60; Rendina C., Vaticano, cit., Roma 2005, pp.253-4.

25 Che solo in questa circostanza continuò ad essere adoperato, anche quando nell'uso quotidiano era caduto del tutto in disuso dai tempi di Clemente XIV; basta guardare una storia dei papi qualsiasi che sia illustrata per renderesene conto, meglio Saba-Castiglioni, Storia dei Papi, Torino 1939, che arriva sino al pontificato di Pio XI.

26 Non necessariamente: da foto della prima esposizione di vari papi del '900, notiamo che spesso non hanno alcuna stola. Foto di papi defunti nel XX secolo vestiti in abiti da coro ma senza stola: Leone XIII in Pierconti A., Da Leone XIII a Pio X, cit., p.244; Pio XI in Il Gazzettino Illustrato del 19 febbraio 1939 n°8; Pio XII, vedi il numero speciale del settimanale Orizzonti 13 ottobre 1958 N°42. Pio XII fu l'ultimo papa vestito dopo la morte in abiti da coro.

27 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp. 8-10.

28 in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.163-4.

29 Riporto lo stralcio del diario di Burcardo, tratto dalla raccolta del Muratori, ma la traduzione dal latino in italiano specie dei nomi di paramenti papali appare spesso grossolana ed errata, quando addirittura non ne omette alcuni; percui integro il testo con l'inserimento ove occorre, fra parentesi, della versione più recente e precisa del Diario: Burcardo G., Alla corte di cinque papi, Diario 1483-1506, Milano 1988, ed. G.Bianchi, pp.44-45; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri,cit., p.32, cita espressamente anch'esso il brano del Muratori e ne indica le pg.; Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 189-90, 207-8. Vi è da aggiungere del resto che la errata traduzione del Muratori crea uno strano accostamento: per secoli, le disposizioni liturgiche pontificie mai hanno abbinato le chiroteche con il piviale, ma sempre con la pianeta, che a quei tempi era detta talora anche “casula”; oltretutto non specifica il colore delle chiroteche del papa, che di regola, per le sue esequie dovrebbero essere rosse, colore del lutto papale.

30 Burcardo G., Alla Corte, cit., pp. 404-6.

31 Burcardo G., Alla Corte, cit., p. 430

32 In Moroni G., Dizionario, cit., VI, p.205, vi è la versione completa; un saggio che ruota su questo argomento che ci è stato impossibile reperire in versione integrale, e che ci sarebbe stato di fondamentale aiuto in questo lavoro: Deprez G., Les funerailles de Clement VI et d' Innocent VI, in <<Melanges d'archeologie et d'Historie>>, 20 (1900), pp. 235-50; in maniera più sintetica su Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.13-17, con più attenzione ai calzari.

33 Paravicini Bagliani A., Corpo, cit., pp.197-8; gli stessi passi e ragionamenti sono riportati similmente in Herklotz I., Sepulcra e Monumenta del Medioevo, Roma 1985, p.194; Herklotz I., Paris de Grassi, cit., pp.230-1; Dykmans M., Le Ceremonial, cit., IV, p.219 n.977, in riferimento soprattutto ai palli; un interessante saggio, in inglese, è quello oxfordiano di Gardner J., The Tombs and the Tiara. Curial Tomb Sculpture in Rome and Avignon in the Later Middle Ages, Oxford 1992, del quale abbiamo avuto occasione di consultare qualche pagina, come la pg. 181, in vario modo poi inserito in queste righe.

34 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.198.

35 La trascrizione del rogito trovato dentro la bara di Gregorio VII e questo atto notarile sono riportati in Capone A., Il Duomo di Salerno, 2 voll, Salerno 1927, I, pp. 124-5.

36 Paravicini Bagliani A., ILCorpo, cit., pp.198-9

37 Burcardo G., Alla Corte, cit., p. 430.

38 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.190, 208 cita l'analisi del cerimoniale del Patrizi Piccolomini fatta da Dykmans.

39 Burcardo G., Alla Corte, cit., p.47.

40 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 190, 208 n.31 riporta il riferimento a un codice vaticano: Paride de Grassi , Tractatus de funeribus et exequiis, Vat.lat.5986, f.127 v.; anche in Dykmans M., Paris de Grassi, in Ephemerides liturgicae, Roma 1982, 96 -1982-, p. 436 n.52.

41 Kelly J., Vite dei Papi, Casale Monferrato 1995, pp.345-6.

42 Per tutta la vicenda del rapporto di lavoro fra Giulio II e il Buonarroti per la basilica e la tomba di Giulio, si veda il libro di Scotti R.A., I Misteri di San Pietro, Milano 2006, pp. 3-102; qualche notizia tratta dal libro l'abbiamo inserita qui di seguito, rinunciando a ricostruire i progetti dei due uomini per la tomba di Giulio II.

43 In Noè V., Le tombe e i monumenti funebri dei papi nella basilica di S.Pietro in Vaticano, Modena 2001, pp. 148-52.

44 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.190.

45 Pastor L., Storia dei Papi, 16 voll, 20 tomi, Roma 1942, XVI/1, pp.453-4; inoltre si possono scorrere tutti i volumi della sua Storia dei papi, nella parte finale d'ogni biografia papale dove si accenna -spesso velocemente- alle fasi della loro malattia e morte, più raramente alle esequie et similia.

46 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., a p.78, parla precisamente di “canonici di San Pietro”.

47 Prima della riforma del Concilio Vaticano II, il papa non celebrava mai in pubblico, tranne che nei quattro solenni pontificali dell'anno liturgico, in occasione di canonizzazioni e chiusura o apertura di concili e anni santi; per il resto si limitava ad assistere assiso in trono a lato del presbiterio alla cerimonia presieduta da un cardinale in basilica; il papa celebrava in prima persona solo la messa mattutina nella sua cappella privata. Si veda Moroni G., Cappelle Pontificie, cardinalizie e prelatizie. Opera storico-liturgica, Venezia 1841, vari esempi di celerazioni papali sine populo fra p.34 e p.112.

48 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.12.

49 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 78; per delle foto sulla vestizione della salma di Giovanni XXIII, del resto assai diffuse, si veda: Fabbretti N., Giovanni XXIII, Il Papa Buono, 2 voll., Milano 1987, II, pp.354-62; Allegri R., Il Papa Buono, La storia di Giovanni XXIII, Milano 2000, p.173; Carrara G., Papa Giovanni, In cielo come in terra, Bergamo (anno non indicato), pp. 212-14; Oggi, settimanale di politica attualità e cultura, N°24, 13 Giugno 1963, pp. 4-22; AA.VV., I Cinque papi della nostra vita, da Pacelli a Wojtyla, allegato a “Oggi” n°38 del 1983, p.94.

50 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.13.

51 Paravicini Bagliani A., Bonifacio VIII, Milano 2006, da p.280 in poi. In effetti il dito di Bonifacio si trovava -almeno fino all'Ottocento, in casa dei principi Caetani, conservato in una teca a reliquario.

52 Cecchetelli-Ippoliti R. Riti funebri, cit., p.13.

53 Lo dice il cronista inglese Matteo Paris, una sorta di vaticanista dell'epoca, in Elze R., Sic transit gloria mundi: la morte del papa nel Medioevo, in <<Annali dell'istituto storico italo-germanico>> in Trento, 3 (1977), p.23; della morte e del giudizio finale su Innocenzo III nell'ottica del più grande e potente dei papi in Gregorovius F., Storia della città di Roma nel medioevo, 16 voll, Roma 1941, VIII, pp.114-118.

54 Questo scritto del Vitry è consultabile ma in latino in Vitry J.de' , Lettres de Jacques de Vitry, ed. da R.B.C. Huygens, Lieden 1960, p.73.

55 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.183-4; circa la fonte anonima coeva, è citata dal Paravicini Bagliani, nota 6 alla p.204: Anonima relazione sul soggiorno di Innocenzo III a Perugia e sulla morte i quella città; Perugia, Archivio Capitolare, ms 41, pp. 206-7.

56 In Salimbene de Adam, Chronica, ed. G.Scalia, Bari 1966, p. 608, il testo è riportato in latino.

57 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.184-5; anche in Elze R., Sic Transit, cit., p.28.

58 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.185.

59 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.185.

60 E' reperibile una edizione ottocentesca di questo libro, edita in Brewer J.S., Monumenta Franciscana, London 1858, p.68, è riportato quanto scriviamo in alcuni punti di questo paragrafo.

61 Anche in Vitry J.de' , Lettres de Jacques de Vitry, cit., p.73 n.62.

62 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.186.

63 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 186.

64 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.187-88 è riportato l'emblematico ed esplicito caso di un nemico dei Mendicanti il card. Pietro da Collemezzo e della sua particolare morte nel 1253, avvenuta per ironia della sorte in Assisi.

65 Paravicini Bagliai A., Il Corpo, cit., p. 187.

66 Burcardo G., Alla Corte, cit., p. 247.

67 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 191.

68 Elze R., Sic transit, cit., pp.24, 36.

69 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 233-4.

70 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 342

71 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.188-9; la vicenda è ricostruita negli stessi termini anche da Visceglia A.M., La Città rituale, cit., pp.62-63, evidente il suo riallacciarsi a Paravicini.

72 I passi di questo paragrafo trovano la fonte principale in Burcardo, nella edizione antica in latino -recente è quella in italiano, curata da Bianchi- da cui tutti coloro che hanno scritto di queste cose hanno attinto; Johannes Burkardus, Liber Notarum ab anno 1483 usque ad annum 1506, ed. Celani, I, Bologna 1907, p.428; ancora, Elze R., Sic transit, cit., p. 39.

73 Burcardo G., Alla Corte, cit., pp.44-45.

74 Per tutta la vicenda Borgia e la bibliografia vedi paragrafo sui papi Borgia.

75 Naturalmente circa il bianco, si intende la veste che quotidianamente il papa usa; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.12.

76 Vol.6, p.204.

77 Persino assurda nell'idea che la chiesa cattolica con la sua tradizione millenaria, imiti un'altra chiesa; questa idea è stata per intero ripresa dall'autore dal Dizionario del Moroni, che dice quasi la stessa identica cosa.

78 Per una sistematica disamina dei colori delle vesti papali, dal medioevo, vedere Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.109-130; per uno studio più agile e sintetico sempre Paravicini Bagliani A.., Le Chiavi e la Tiara, Città di Castello 1998, pp.47-9 ; descrizione della fattura dei paramenti in AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.77.

79 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.78

80 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.128; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp.48-9; per una descrizione dei colori e delle vesti del papa in termini più divulgativi, Rendina C., Vaticano, cit., pp.253-4.

81 Paravicini Bagliani A.., Le Chiavi, cit., pp.49, 61-63.

82 in Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., p.48.

83 Paravicini B., Corpo, cit., pp.124-5.

84 in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 125.

85 in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.127.

86 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.129; si può approfondire in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.109-15, dove si parla della cerimonia degli Agni.

87 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 117-130; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp. 48-9, 50-51.

88 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., I, p. 228 n.5; Moroni G., Dizionario, cit., vol.63, p.70 soprattutto in riferimento al rocchetto in generale e per i vescovi.

89 Moroni G., Dizionario, vol.96, p.238; vol.63, p. 74.

90 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.128.

91 in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 120-23.

92 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.128; Dykmans M., Le ceremonial, cit., I, p. 205 n.224; II, p.473 n.114, pp. 239-40.

93 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.121-2.

94 Dykmans M., L'Oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le cérémonial papal de la première Renaissance, 2 voll, Città del Vaticano 1980-82; II, p. 443 n.1362.

95 Dykmans M., Piccolomini, cit., II, p.434; Burckardus J., Liber notarum, cit., I, p.122.

96 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.126.

97 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.126; per questi importanti passi sui rapporti fra il pontefice e la morte in generale si veda Dykmans M., Piccolomini, cit., II, pp. 343, 382 n.1130, 391 n.1169, 502 n.1593; Dykmans M., Le Ceremonial, cit., IV, p.95; ancora, sulle vesti rosse del pontefice vedi Moroni G., Dizionario, cit., 96, p.219; sugli argomenti sopra descritti vedi sempre Paravicini Bagliani A., Le Chiavi, cit., pp.47-49.

98 Si veda il paragrafo sui papi Borgia, anche per la biliografia.

99 Pastor L., Papi, cit., XVI/1, p.475; Novaes G. de', Elementi della storia de' Sommi Pontefici da San Pietro al felicemente regnante Pio Papa VII, 16 voll., Roma 1822; XV, 3; Cremona C., Paolo VI, Milano 1991, p.130.

100 Così recita il libro sulla sede vacante, edito dalla editrice vaticana, sotto la supervisione del maestro delle cerimonie nel 2005, mons. Piero Marini. AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p. 70.

101 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.70

101bis Perduto ormai il Quirinale, oggi i papi possono risiedere nel Palazzo Apostolico del Vaticano o (in certi periodi dell'anno) in quello di Castel Gandolfo, a parecchi chilometri dall'Urbe. Oltretutto il papa da almeno 40 anni viaggia spesso per l'Orbe cattolica e non. Sono queste le ragioni per cui appositamente la Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis prevede l'eventualità non remotissima (del resto è avvenuto per Pio XII e Paolo VI) di un decesso del sommo pontefice fuori Roma. A parlare oggi è l'Ordo Exsequiarum Romani Pontificis. Che indica il Luogo per la prima pubblica esposizione, la prima statio, della salma del papa con queste parole: “In un ambiente adatto della casa pontificia”. Che deve essere anche luogo di preghiera e riflessione, e oltre ad essere disposto a contenere grandi afflussi di fedeli che omaggiano la salma, deve anche essere disposto a favorire la pietas cristiana e il senso del mistero della morte in Cristo”. Lo stesso OERP indica la seconda statio della salma, che comprende due momenti: “la traslazione nella basilica di San Pietro e la Messa esequiale”. “La Basilica Vaticana è di fatto il luogo dove il Santo Padre ha normalmente esercitato la sua funzione sacerdotale in quanto il Sommo Pontefice, e , soprattutto per i papi più vicini a noi nel tempo, dove hanno presieduto la celebrazione dell'Eucaristia, celebrato l'Anno liturgico circondati dal popolo di Dio, commentato la Parola di Dio e amministrati i sacramenti”. AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., pp.71-2.

102 Brosses C. de, Viaggio in Italia, Lettere familiari, 3 voll, Firenze 1958, II, p.299 ; citato anche in Stendhal, Passeggiate, cit., II, pp.258-9; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.74.

103 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.70

104 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.71

105 Burcardo G., Alla Corte, cit., pp.404-6.

106 Burcardo G., Alla Corte, cit., p.430.

107 Artaud de Montor, Pio VII, cit., III, pp.271-2

108 Approssimando, il volume ufficiale Sede Ap.Vac., cit., pp.71-3, la dice “pubblica”, ma si intende comunque circoscritta la visita a prelati e laici dei sacri palazzi, clero di Roma e alle istituzioni e rappresentanze degli stati.

109 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.72

110 Si trova a livello della seconda Loggia, risultato dell'unione di due sale e del rialzamento a volta del soffitto che compre due piani, voluti da Clemente VIII. Decorata di pavimenti marmorei spettacolari e affreschi che illustrano la vita e il martirio di papa Clemente I, AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., pp.71-73.

111 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., pp.71-72.

112 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.72

113 Cecchetelli-Ippoliti R, Riti funebri, cit., p. 21

114 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.72

115 Precisa il Moroni, facendone del corteo una scrupolosa descrizione nel suo libro Cappelle Pontificie, citato in AA.VV. Sede Ap.Vac., cit., p.72.

116 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.78; per delle immagini della collocazione della catafalco nella Sistina, si veda Il Gazzettino Illustrato, n° 8, 19 Febbraio 1939.

117 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.78.

118 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.79.

119 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., p.4, n.978

120 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., pp.4, 219, n.976; in Paravicini Bagliani A., La vita quotidiana alla corte dei papi, Bari 1996, pp. 235-51.

121 E' bene chiarire che questo aggettivo “segreto” che spesso compare affibbiato a moltissimi sostantivi nel gergo curiale -cameriere segreto, scopatore segreto, archivio segreto ecc.- non va affatto interpretato nel senso letterale, né tantomeno figurato, ma nel senso di qualcosa o qualcuno che è immediatamente al servizio della persona del sommo pontefice, e da lui direttamente dipende. Si veda fra le note dei curatori di Gigli G., Diario di Roma, Roma 1994, vol I, p.215.

122 Era la prima volta che un papa moriva a Castel Gandolfo (si veda Andreotti G., A Ogni morte di papa, Milano 1980, pp.57-8 o Negro S., Vaticano Minore, Vicenza 1963, pp.367-81) ed il cerimoniale era incerto; soprattutto Zeppegno & Bellegrandi, Guida ai misteri e piaceri del Vaticano, Milano 1974, pp 295-6.

123 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.71.

124 Negro S., Vaticano Minore, cit., pp.375-6; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.80.

125 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.79, sostiene che la traslazione avveniva al mattino e non a sera, inoltre dice, contraddicendo gli altri autori da noi precedentemente citati, che sono i sediari che aprono il corteo con delle torce in mano, cosa che non risulta dalle molteplici foto e incisioni in nostro possesso dal momento che i sediari portano in spalla la lettiga con defunto. Per le foto si veda il numero speciale Il Gazzettino Illustrato del 19 febbraio 1939 n°8, sui vari trasporti ed esposizioni della salma di Pio XI.

126 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.79; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 21; Moroni G., Cappelle Pontificie, cit., p.73.

127 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.21; Moroni G., Cappelle Pontificie, cit., p.73; anche citato in AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.72.

128 In Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.80.

129 Moroni G., Cappelle Pontificie, cit., p.74; anche in AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.72.

130 Moroni G., Cappelle Pontificie, cit., p.74; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 11.

131 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.230.

132 Carusi E., Il diario romano di Jacopo Gherardi da Volterra, in RIS, XXIII, 3, Bologna 1904-11, pp.136-7. La rivista riporta brevi stralci del rarissimo diario del cronista toscano, che spesso in quelle pagine si soffermò sulla morte dei papi: non ci è stato possibile trovarne alcuna riedizione integrale.

133 Burcardo G., Alla Corte, cit., pp.45-6. A p. 404 racconta della stessa cerimonia per Pio III, nel 1503.

134 Probabilmente si tratta di un simbolico piccolo tumulo posato per terra coperto da un drappo, come ci fosse la bara del papa; perchè il catafalco vero con la salma del papa è situato nella cappella prospiciente, detta del Sacramento. Per capire a cosa si riferisce l'autore, si possono vedere delle incisioni d'epoca, con piccolo tumulo fittizio entro la Cappella del Coro durante le esequie, in AA.VV. Habemus Papam, Le elezioni pontificie da s.Pietro a Benedetto XVI, Roma 2007, pp. 63-4.

135 Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, p.294.

136 Per un storia di Paolo VI, si veda soprattutto Cremona C, Paolo VI, Milano 1991, biografia sincera ma piuttosto entusiatica; Jean Guitton, il grande filosofo francese, fornisce del suo amico papa un ritratto intellettuale e personale in Dialoghi con Paolo VI, meglio e più completa nell'edizione della Rusconi, Milano 1986; un ritratto sempre scritto da Guitton e basato sui loro incontri, in Guitton J., Paolo VI segreto, Roma 1981; per un analisi assolutamente critica, a tratti spietata, si veda Villa L., Paolo VI, Processo a un papa?, Brescia 1999, dove è attaccato in primis per le scelte liturgiche e poi per tutto il resto, non escluso come inconsapevole favoreggiatore dell'apostasia generale seguita alle deviazioni post-conciliari.

137 Montini G.B., Lettere ai familiari 1919-1943, a cura di Nello Vian, 2 voll., Brescia 1986 , pp.12-5

138 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 11.

139 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 12, vi è da dire che è il solo autore che fa riferimento alla sostituzione della salma di Leone XII con un manichino che lo rappresentasse.

140 Aneddoti sulle esposizioni del papa morto nella Cappella del Sacramento e sul popolo romano che va a visitarlo, se ne trovano elencati praticamente in tutte le storie dei papi e in moltissime delle biografie a ciascuno di loro dedicate, ma soprattutto nei vari diari di Roma e dei cerimonieri pontifici, alcuni dei quali sono presenti nella nostra bibliografia. Grande e insuperata cosa fece Giovanni Battista Gattico, un canonico lateranense, che nel 1753 ebbe la pazienza di mettere sù una grossa raccolta dei trattati dei cerimonieri pontifici fra i più importanti, cioè quello di Alesando VI, il famoso Burcardo, e del cerimoniere di Giulio II e Leone X, Paride Grassi. Titolo lunghissimo: “Acta selecta caerimonialia s.r.e. ex variis mss. codicibus et diariis saeculi XV, XVI, XVII”. Dei riti funebri parlano in modo più laico e scanzonato i diaristi romani, l’indimenticabile Stefano Infessura (del periodo 1294-1494). Antonio de Pietro (del 1404-17). Paolo dello Mastro (del 1431-1475). Paulo di Liello Petrono (1434-46). Iacopo Gherardi (1479-84). Antonio de Vascho (1480-92). Sebastiano di Branca Tellini (1497-1517). Cola Colleine (1521-61). Antonio Valena (1576-1640). Giacinto Gigli (1608-57). Deone (1640-50). Francesco Cecconi, il mitico “Ciacconio” (1700-1725). Characas (1716-48)... e molti altri.

141 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.72; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.80

142 Di fatto nessuno ha abolito il bacio del piede del defunto papa, semplicemente che, come per mille altre minuzie del cerimoniale, all'improvviso o per una banale dimenticanza o per ragioni contingenti, magari solo logistiche, o di maggiore affluenza di fedeli in visita alla salma, si pensò per una volta di fare a meno di quell'ufficio. Gesti del genere nel cerimoniale della chiesa di una volta, che nel grosso si nutriva di antiche consuetudini più che di legiferazioni canoniche nel rito non liturgico, era un gesto silenziosamente traumatico, presago di conseguenze future. Quasi ha il valore di una tacita soppressione, da nessuno stabilita se non in certo senso dal caso. Circa il nostro caso le cose son andate, pare, così: Pio XII morì in Castelgandolfo, dove fra l'altro già la salma aveva cominciato a guastarsi. Il tempo della traslazione a Roma comportò altro tempo, tolto alle esequie regolari, che si tentò di recuperare eliminando per quella volta cerimonie consuetudinarie come l'esposizione nella Cappella del SS Sacramento, in favore della esposizione su un alto catafalco avanti il baldacchino del Bernini, cosa del tutto nuova nelle esequie del papa. Oltre alla ragione del tempo da recuperare per le esequie a discapito della esposizione in Cappella, ve ne furono altre due contingenti. La prima: il papato grazie ai mezzi di comunicazione moderni che bene sfruttò papa Pio XII in favore di una reale universalizzazione dell'istituzione, era diventato un fenomeno che coinvolgeva masse sterminate, e che anche grazie ai moderni mezzi di trasporto avrebbe convogliato in San Pietro non più solo il vecchio popolino di Roma, ma fedeli di ogni parte d'Italia e del globo che volevano vedere per l'ultima volta il papa; e la salma di papa Pio XII fu visitata da quasi un milione di persone; questo rendeva ormai impossibile per ragioni tecniche e di salvaguardia della salma, l'afflusso di tanto popolo in un punto scomodo della basilica come la cappella del Sacramento, che immediatamente si sarebbe ingorgato; figurarsi poi cosa sarebbe costato, per amor di tradizione, un eventuale “bacio del piede”; oltretutto la stessa Roma, che ai tempi di Leone XIII contava non più di 250 mila abitanti e che altro non era da secoli che un budello di borghi e chiese, adesso s'avviava ad essere una vera metropoli.

La seconda ragione è meno nobile: la salma del papa era in cattivissime condizioni, in piena fermentazione gassosa e completamente deformata dalla decomposizione. Metterla a portata di mano di quella moltitudine di fedeli avrebbe causato evidenti problemi, non ultimo pericoli di tipo igienico-sanitario, malesseri dovuti all'olezzo che emanava, e di certo turbamento per gli animi più impressionabili; e non va escluso il minimo di decoro e di pudore che la morte deve sempre portare con sé e che si doveva conservare ad una salma in tali disastrose condizioni, alla quale si dovette persino mettere uno strato di cera in faccia. Tutte queste ragioni spiegano perché si optò per un insolitamente alto catafalco, isolato da tutti e arroccato per la prima volta avanti il baldacchino della Confessione.

Circa il fatto dell'abolizione del bacio del piede in generale, tolto dal cerimoniale, fino a renderlo in ogni circostanza fuori etichetta, ciò avvenne improvvisamente nell'ottobre 1958. All'elezione del papa i cardinali dovevano partecipare all' adoratio dell'eletto, cominciando col baciargli la pantofola, e la mano -un tempo anche le ginocchia e le labbra- e le due guance. Ciò doveva accadere con Giovanni XXIII, ma il neoeletto si oppose fermamente: “Non lo voglio!” ripeté recisamente a chi, come il segretario privato mons. Loris Capovilla, insisteva a non interrompere così repentinamente una lunga tradizione, che se si voleva poteva essere successivamente e per vie regolari cancellata. Il papa non indietreggiò; il bacio del piede non avvenne a inaugurazione di pontificato, e da allora si considerò abolito su tutta la linea, scomparendo da ogni cerimoniale, benché fosse uno dei più antichi regali segni esteriori della potestà ed autorità del papa.

Si veda Capovilla L., Giovanni XXIII, Nel ricordo del segretario con documenti inediti, intervistato da M.Roncalli, Cinisiello Balsamo 1994, pp. 55-6. Per quanto detto all'inizio: queste deduzioni scorse negli anni in vari quotidiani d'epoca e ascoltati dalla viva voce di qualche testimone di quei tempi, sono confermate nel volume di Santolaria J.A.. Quando muore il papa, cit., p.80; Cornwell, Il Papa di Hitler, storia segreta di pio XII, Milano 2000, pp.511-15; Negro S., Vaticano Minore, Vicenza 1963, pp. 375-6.

143 SAV, 72-73; tuttavia la cosa è riscontrabile in qualsiasi quotidiano d'epoca con apparato iconografico in morte dei papi del XX secolo; disparati volumi accennano solamente di sfuggita e con approssimazione a questo cambio, che dovette sembrare a molti trascurabile, benché cancellasse in pochi giorni secoli di una vistosissima tradizione, che per il resto appassionò i romani e i diaristi in città.

144 Santolaria J.A.. Quando muore il papa, cit., p.80.

145 Il discorso lo sviluppa Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.194.

146 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.41.

147 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.41

148 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.14

149 Questa curiosa storia della pantofola papale è tratta da Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp. 13-7; lo stesso autore dice che s'è ispirato al Moroni, Dizionario, voce Pantofole, Scarpe papali.

150 Herklotz I., Sepulcra e Monumenta del Medioevo, Roma 1985, pp.38-44.

151 Herklotz I., Sepulcra,  cit., pp. 38-44.

152 Herklotz I., Sepulcra, cit., pp. 38-44; Dykmans M., Le Ceremonial, cit., IV, p.219, n.978.

153 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.198-9.

154 L'ultima avverrà l'8-12 luglio 1954, il riconoscimento della salma, per ordine della Santa Sede sarà affidato al cardinale di Milano I. Schuster: in Crivelli L., Schuster, Un monaco prestato a Milano, Cinisiello Balsamo 1996, p.197.

155 Herklotz I., Sepulcra, cit., p. 210 n.185.

156 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.212

157 Trascritto e pubblicato poi nel 1927 da Capone A., Il Duomo di Salerno, cit., I, p.125.

158 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.196.

159 Paravicini Bagliani A.,Corpo, cit., p.196; Brown E., Death and Human Body in the Later Middle Ages; The Legislation of Boniface VIII on the division of the corpse, pubblicato su “Viator” -del 1981-, p. 268

160 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp.193-4; Herklotz I., Sepulcra, cit., pp 224-5.

161 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp.194, 237-8.

Capitolo sesto
Esequie

In origine

I primi segnali dell'esistenza di una speciale ritualità riservata solo alla morte del papa li abbiamo a partire dall'inizio dalla fine dell'XI secolo. Abbiamo già sentito la vicenda di Leone IX (+1054), primo dei papi riformatori, che agonizzante si fa trasportare in San Pietro insieme al sarcofago che si è scelto. E' un gesto clamoroso, che rende drammatica e tonante la morte di un papa e proprio perciò ne mette in risalto la fisicità. Eppure, per il suo successore Stefano IX, la ritualità funebre, ancorché vi è qualche premura per la salma, sembra del tutto assente o comunque in nulla regolata: morto Stefano a Firenze (+942), “l'abate di Cluny, Ugo, dopo aver assistito il papa durante la sua agonia, si occupa personalmente di lavare la salma, di rivestirla e di seppellirla”, e così bruscamente si chiude la vicenda 1. Ma a ben vedere già tre secoli prima papa Benedetto III aveva fatto un tentativo di regolamentare le cerimonie di sepoltura, ma a parte il mezzo fallimento dell'impresa, Benedetto diluiva le esequie pontificie nel più vasto quadro generale delle cerimonie per la sepoltura ecclesiastica globale2. A speciali ritualità accenna di sfuggita anche l'autore della Vita di Pasquale II, che scrivendo della sua morte nel 1118 dice che <<prima di essere sepolta con i dovuti ossequi ed onori e portata nella basilica del Laterano, la salma del papa, ricoperta di balsamo, era stata rivestita di paramenti sacri secondo le istruzioni dell'Ordo>>3. Anche la Vita del suo predecessore Urbano II, morto nel 1099, racconta della salma del papa trattata con tutte le onorificenze e trasportata attraverso il Tevere, per evitare imboscate sacrileghe dei suoi nemici, nella basilica di San Pietro com'era in uso e “ivi sepolto con onore”. Nella Vita di Onorio II (+1130) è citato come antico un ordo romano che illustrava quali onori erano da attribuirsi alla salma pontificia. Nel Liber Pontificalis, nella parte compilata da Pietro Guglielmo (1142), si denuncia che in ben due casi non sono stati rispettati i rituali funebri pontifici. L'autore si mostra particolarmente indignato per il caso di Onorio II, il cui cadavere fu traslato dal Laterano al monastero dei ss.Gregorio e Andrea, rivestito solamente di brache e camicia, il feretro privo di lenzuolo e, cosa peggiore, da “mani laiche”. Questo passo è un chiaro riferimento all'esistenza di un determinata liturgia per i funerali e a un cerimoniale intorno alla salma del papa; ossia un complesso di funzioni valide esclusivamente per la morte del papa, che in quelle stesse pagine sono definite deportanda, deportata della gleba, cioè del cadavere. Si tratta dunque dello stesso cerimoniale di cui parlano le succitate biografie dei papi Pasquale e Onorio, le prescrizioni sono le stesse: imbalsamazione (nel senso di ungere la salma con unguenti balsamici), vestizione del cadavere, partecipazione solenne alla funzione dei cardinali. Prima di questi papi, il Liber Pontificalis si limitava solo a segnalare la collocazione delle sepolture dei papi 4.

Quasi un secolo dopo, Bosone, già camerlengo di Adriano IV e Alessandro III, nel compilare la sua parte di Liber Pontificalis, parla dettagliatamente ormai dell'esistenza di onorifici cerimoniali esequiali per la morte del pontefice. È chiaro a questo punto che l'esistenza di simili riti a metà Duecento è una consuetudine assai consolidata: tra fine XI e inizio XIII secolo <<Un lungo cammino fu rapidamente percorso. Il Liber Pontificalis permette di seguirne le tracce, dapprima con breve cenno alla sepoltura onorifica di Urbano II, poi con un rinvio esplicito all'esistenza di un ordo e la descrizione di alcuni elementi costitutivi del (nuovo) cerimoniale. La necessità di mettere sempre più in evidenza i funerali del papa con il sostegno di onorificenze cerimoniali implicava una valorizzazione della salma oltre che della tomba>> 5.

1. Novendiali

Siamo quindi ai Novendiali. Per la Chiesa sono il complesso di cerimonie che si celebrano, fra i palazzi apostolici e la basilica vaticana, per i nove giorni successivi la dipartita del pontefice, e a cui prendono parte i cardinali e un tempo (specie prima dell'ultimo concilio) “tutti quelli che hanno posto nelle Cappelle papali, cioè nella Cappella del Coro, mentre anticamente avevano luogo in quella della Pietà” 6. Il Sede Apostolica Vacante del 2005 così sintetizza alla voce Messa Esequiale, guardando ai vecchi tempi: “Prima della riforma liturgica, voluta dal Concilio Vaticano II, la Messa esequiale (Missa in die obitus seu depositionis) per un sommo pontefice veniva celebrata al mattino in San Pietro, nella cappella del Coro, mentre ancora il suo corpo era esposto nella Basilica” 7. Sia nelle esequie che nei novendiali, in tempi passati, i concelebranti usavano il colore liturgico nero che spesso veniva adoperato anche per addobbare chiesa e catafalco; poi prese del tutto il sopravvento, in ogni fase del lungo funerale del papa, il colore rosso. Moroni precisa intorno al 1841 che la messa da Requie oltre a venire di solito celebrata nel Coro della basilica, talvolta lo era in Sistina, almeno per gli ultimi tre giorni, quando officiavano i cardinali 8.

Nei primi secoli le esequie papali duravano un solo giorno, lo stesso che si dava sepoltura al pontefice. Nel 607 Bonifacio III stabilì che dovessero passare almeno tre giorni dal decesso del predecessore per avere licenza di discutere circa l'elezione del successore. Poi il 19 ottobre 1187 le esequie di Urbano III deceduto a Ferrara: durarono sette giorni. Fu invece un grande papa e un formidabile legislatore, Gregorio X, che fra i primi diede forma certa ed esatta al cerimoniale pontificio, che nelle leggi per l'elezione del pontefice, durante il XIV concilio generale di Lione nel 1274, inserì la clausola che i cardinali elettori dopo i novendiali attendessero per altri dieci giorni ancora i colleghi assenti, dopodiché inderogabilmente si sarebbero chiusi in conclave9. Scrive a proposito della natura profonda di questi uffici il Paravicini Bagliani: <<La genesi di una ritualità funebre onorifica riservata in modo del tutto specifico alla morte del papa è il riflesso di una profonda presa di coscienza della perennità dell'istituzione del papato [...] Per una ritualizzazione completa di un'evoluzione ecclesiologica si dovranno attendere i novendiali, uno spazio rituale nuovo, sorto negli ultimi decenni del Duecento, in seguito all'Ubi periculum di Gregorio X che ordinava ai cardinali d'attendere dieci giorni per dare inizio al conclave. La cerimonia dei novendiali si rivelò capace di rendere visibile la morte del papa ma anche la perennità della Chiesa, rappresentata, per il tempo ristretto e provvisorio della Vacanza, dal collegio dei cardinali. La nascita dei novendiali costituisce il culmine della riflessione sulla morte del papa iniziata ai primordi del papato riformatore dell'XI secolo [...] che vede affermarsi il diritto esclusivo dei cardinali di eleggere il pontefice [...] i cardinali diventano i garanti della continuità istituzionale del papato [...] Come ebbe a dire Agostino Trionfo (1270-1328), la potestà del papa è perpetua, ma non può perpetuarsi nel papa, poiché anche egli muore [...] Occorre che si perpetui nel Collegio, che è (temporaneamente) la Chiesa. Secondo il più antico cerimoniale funebre pontificio (Pietro Ameil), è ai cardinali che il papa deve consegnare la Chiesa negli ultimi istanti della sua vita. Nel 1503, durante la Vacanza della sede apostolica, il popolo romano lancia le grida: Ecclesia! Ecclesia! Collegio! Collegio!>> 10.

Tuttavia ancora nel Duecento morte e sepoltura erano assai ravvicinate, come nei tempi antichi. Innocenzo III, ad esempio, muore nel luglio 1216 a Perugia “all'ora nona”; il giorno dopo era già stato seppellito nella tomba marmorea allocata vicino l'altare del beato Ercolano; le esequie furono solenni e, come da tradizione, concelebrate da 17 cardinali vescovi, preti, diaconi e un gran numero di alti prelati e, naturalmente, con intervento massiccio di popolo. Poco dopo così fu anche per Onorio III (+1227) e la meteora breve 17 giorni di Celestino IV (+1241): cerimonia tradizionale e sepoltura il giorno dopo che erano spirati.

Verso la fine del Duecento qualche cosa sembra muoversi, anche se v'è da pensare per motivi del tutto accidentali o pratici: le esequie (e le esposizioni) infatti si allungano. Quando muore il famoso Pietro Ispano, medico e scienziato, divenuto Giovanni XXI (+1277), in seguito pare al crollo sulla sua testa del soffitto dello studiolo che s'era fatto costruire nel palazzo dei papi a Viterbo11, il suo corpo restò solennemente esposto, dicono le cronache, per sei giorni.12 Tale allungamento serviva ad attestare la regolarità di quella morte, nonostante fosse avvenuta per disgrazia? Il successore Nicolò III invece muore nel 1280 a Soriano, il 22 agosto, ma le esequie si celebrarono in San Pietro solo il 25, giorno della sepoltura anche; ma qui è lecito immaginare che ciò fosse dovuto ai tempi di trasporto della salma verso Roma. Martino IV, morto a Perugia nel 1285, a detta di cronisti e di alcuni testimoni oculari, sembra che, esposto alcuni giorni, fu sepolto quattro o cinque giorni dopo la dipartita. 13

Paravicini Bagliani ci fa notare, giustamente, che tale aumento dei giorni di esequie è “cronologicamente vicino alla promulgazione della costituzione Ubi Periculum con cui Gregorio X (1271-76) diede vita al conclave moderno” che, come sopra detto, creava un lasso di tempo obbligatorio fra morte, sepoltura del papa e i lavori per l'elezione del successore. Per i primi tempi ebbe destini alterni questa costituzione, qualche papa di fatto la respinse,14 ma poi s'impose da sé e per intervento d'autorità di Celestino V (1294); il successore, infatti (in seguito all'abdicazione di Celestino), venne eletto dopo dieci giorni.15 Stranamente, del papa più interessato a queste ritualità, Bonifacio VIII, non sappiamo se ebbe alla sua morte i novendiali. Ferreto de Ferreti 16 sostiene che le esequie avvennero “secondo la tradizione antica”, e Tolomeo da Lucca dice che fu inumato “con minore rilevanza” di quanto converrebbe per un sommo pontefice. Ciò forse sta a significare che non si volle applicare per lui il nuovo rito dei novendiali... e tuttavia il successore Benedetto XI Boccasini fu eletto undici giorni dopo la sepoltura di papa Caetani17. Proprio per papa Benedetto, che morendo fu venerato come un santo miracoloso, non sappiamo che rituale fu adoperato, sappiamo solo che, alla maniera antica, fu sepolto il giorno dopo il decesso 18. Nelle Vite poi dei papi avignonesi non si parla di novendiali, nota il Paravicini Bagliani, tuttavia risulta che alla morte di Clemente VI (+1352) i novendiali vi furono. Alcune Vite del successore Urbano V si aprono allacciandosi alla novena del predecessore, Innocenzo VI (+1362). In effetti, risalendo ai dati della contabilità della Camera apostolica -lo fa il Deprez- si arguisce che il cadavere di Innocenzo VI fu esposto per due giornate dentro la cappella grande del palazzo apostolico avignonese, vegliato dalla guardia d'onore; mentre nelle ore del giorno dei sacerdoti alternandosi officiarono delle messe di suffragio; inoltre dalla stessa contabilità si sa che negli stessi giorni furono acquistati molti abiti di colore nero, per i funzionari papali che erano decaduti dal loro incarico alla morte del pontefice e che adesso erano tenuti a portare il lutto19. Della morte del papa che Caterina da Siena riuscì a convincere a riportare la sede del papato a Roma, Gregorio XI (+1378), conosciamo notizie precise per quanto singolari: spirò il sabato 27 marzo, il lunedì si assistette alla sua esposizione nel coro della basilica vaticana; ma l'esposizione solenne avverrà solo il 30 marzo, oltretutto nella chiesa di Santa Maria Nuova dove la salma era stata traslata quello stesso giorno. Era da più di 70 anni che Roma non assisteva ad un funerale pontificio. Il successore, Urbano VI, fece una cosa curiosa: quattro giorni dopo l'elezione20 celebrò un'altra volta le esequie del predecessore, forse per garantirsi maggiormente agli occhi di tutti della legittimità della sua successione, per altri versi rocambolesca21. Per la cerimonia dei novendiali e delle esequie tutto è ancora, come si vede, allo stato magmatico; bisognerà attendere che il benemerito Pietro Ameil, il grande cerimoniere, ne fornisse una definizione certa e per iscritto.

Vi è da aggiungere che anche in questa cerimonia novendiale della chiesa romana, come per altri riti pontifici solenni, v'è un rimando all'imitatio imperii. Ad esempio a Bisanzio, per certi lutti stretti i parenti prossimi dell'imperatore usavano portare il lutto, guardacaso, per nove giorni; è documentato inoltre che per la sepoltura di qualche imperatore bizantino, la cerimonia funebre durò appunto nove giorni 22.

Un'altra ragione per giustificare i novendiali, così come la stessa esposizione della salma, la individua Dykmans, ed è una ragione d'ordine ecclesiologica ed istituzionale: i novendiali <<<rendevano possibile la visibilità di due corpi: la salma del papa defunto, da esporre pubblicamente a viso scoperto, e il corpus Ecclesiae, rappresentato in modo altrettanto visibile dal collegio dei cardinali [...] Non a caso Gregorio X inizia il suo Cerimoniale ricordando il concetto damianeo della brevità della vita ... Ed insiste sulla necessità di garantire la continuità istituzionale>> , dunque argomenta su come <<una così alta gerarchia non debba essere acefala quasi un mostro>> 23. Il cadavere del papa esposto e il collegio dei cardinali presenti: è l'immagine della continuità istituzionale, quasi gli anelli di una catena... non a caso l'Ostiense sottolinea quanto mai l'immagine evocativa dei cardinali che hanno per dovere di provvedere alla inumazione del corpo 24 del loro Signore deceduto.25 *

Tornando alla celebrazione dei novendiali, questi furono chiaramente confermati con una mirata bolla dai papi Pio IV e Gregorio XV.

I novendiali, queste specialissime funzioni religiose, si svolgevano nella parte liturgica interamente nella cappella del Coro della basilica di San Pietro 26, durante i nove giorni consecutivi alla morte del papa, sempre che non cadessero durante le solenni festività della chiesa, perché in tal caso si sarebbero dovute cessare nel giorno indicato senza la possibilità di riprenderle in quello successivo o in altra data. Iniziavano il giorno successivo a quello dell'esposizione del sacro corpo nella cappella del Sacramento, che poi è collocata in basilica esattamente prospiciente alla cappella destinata alla parte liturgica delle esequie, la cappella del Coro 27.

Da che si scrive di esposizione della salma e novena per la morte del papa, si è fatto sempre confusione sulla questione se nei novendiali andavano annoverati anche i giorni dell'esposizione del papa, o se i nove giorni andavano contati dal momento della sepoltura del papa. Purtroppo sono gli stessi precedenti storici ad essere saturi di eccezioni e di discordanze. Tuttavia dobbiamo attenerci alla regola generale, e in particolare alla prima regola scritta. Da Ameil sappiamo che la novena, cioè i nove giorni di esequie papali, comprendevano anche i giorni d'esposizione del cadavere e quello della sepoltura. La prima messa novendiale si officiava appena la salma veniva trasportata dal Palazzo Apostolico. In Dykmans leggiamo28 che i cardinali dopo ogni sermone quotidiano, vestiti di amitto, piviale nero e mitra bianca semplice, avevano il dovere di visitare la salma del papa (esposta in chiesa, sembrerebbe sottinteso) “se non è sepolta”: queste parole indicano che il papa nella prima frase dei novendiali era ancora dissepolto... sebbene poi quel “se” potrebbe anche significare che potevano esserci eccezioni 29. Ma la regola doveva essere quella. V'è comunque d'aggiungere che nella confusione e nel trauma del passaggio fra Trecento e Quattrocento (e di fatto fino a fine secolo) dalla sede avignonese alla sede romana, avvennero non solo molte profonde modifiche nel cerimoniale esequiale, ma cambiò anche il modo di percepire e definire luoghi, spazi, tempi per la morte del papa. Ad esempio, mentre l'Ameil codifica sulla morte del papa inquadrandola dall'agonia sino al conclave, al contrario il Burcardo (un secolo dopo, riscrivendo il capitolo XV del cerimoniale del Piccolomini) limita il momento esequiale d'interesse cerimoniale a partire dalla morte del papa, lasciando cadere tutte le prescrizioni riguardo le funzioni da tenersi durante la malattia e l'agonia30. Dicevamo, dunque, che la novena è comprensiva dei giorni d'esposizione della salma dissepolta. Questo è evidente nella lista delle spese della Camera apostolica (l'abbiamo già citato in questo capitolo) per la sepoltura degli avignonesi Clemente VI (+1352) e Innocenzo VI (+1362): a inizio novena erano ancora esposti. Nella seconda metà del Quattrocento si assiste ad una drastica riduzione del tempo dell'esposizione del cadavere pontificio in chiesa: fra la traslazione dal Palazzo Apostolico verso la chiesa e l'inumazione, il papa restava visibile un solo giorno. E tuttavia, il cerimoniere di quegli anni, il Burcardo, annota che “anticamente si soleva lasciarlo per tre giorni”. In effetti di un suo papa, Pio III, racconta che rimase esposto in San Pietro da martedì 17 ore 18-19 a giovedì 19 ottobre 1503 all'ora terza 31.

In questa ferale occasione la basilica non veniva apparecchiata con drappeggi neri, come accadeva per le esequie dei cardinali la cui chiesa era “nobilmente apparata di nero con frange d'oro... e per arazzo dell'altare sopra un parato nero si rappresentava una gran croce di lama d'oro”; ci si limitava, sostiene il Moroni, solo a innalzare lo stemma del papa deceduto sull'architrave della porta maggiore esterna, e ad appendere un fregio nero con frangia dorata sull'altro architrave d'ingresso all'atrio della basilica vaticana 32. Tuttavia più fonti registrano alcune variazioni spesso curiose, anzi danno per abituale altre consuetudini, di origine piuttosto popolare, circa l'addobbo dei due ingressi: era uso, ad esempio, appendere intorno all'ingresso principale esterno e sulla facciata dell'atrio di San Pietro, e di alcune altre basiliche, molti scheletri e scheletrini, fantasmini e capemorte di cartapesta o di stoffa, aspetto su cui si intrattiene, nel romanzo storico di Desiato, il famigerato e forse leggendario Marchese Onofrio del Grillo, in riferimento alla morte di Clemente XI e Innocenzo XIII fra il 1721 e il 1723 33; inoltre era in uso collocare sullo stesso ingresso un grande tendone funebre di colore cremisi, consuetudine che poi si è ripetuta anche all'ultimo decesso papale nel 2005, quello di Giovanni Paolo II.

Qui la faccenda è complicata quanto mai. Finché v'è stata una corte pontificia vera, c'è stata anche la prescrizione cerimoniale d'ergere un sontuoso tumulo nel centro della cappella del Coro dei canonici, avvolto da esattamente mille candele e venti torce a cera gialla fissate sopra candelabri di ferro. Ma non va confuso né col catafalco obliquo della cappella del Sacramento, dove la salma è esposta all'omaggio dei fedeli, né col succesivo catafalco, mastodontico in genere, che s'inaugura nel cuore della basilica alla sepoltura del pontefice. Questo tumulo nella cappella del Coro, contornato dalle guardie nobili in tenuta da gala, doveva rimanere allestito sino al sesto giorno delle esequie. A questa funzione intervenivano i cardinali, e quelli creati dal papa defunto vestiti in sajetta, i restanti in seta; quindi secondo la rigida gerarchia da etichetta si recavano in cappella gli arcivescovi, prelati, protonotari apostolici, chierici di camera e tutti muniti di cappe paonazze. “Ognuno poi, all'entrata nella cappella, non solo si genuflette avanti l'altare, ma anche avanti i componenti il Sacro Collegio, perché il futuro papa, sebbene incognito, può stare tra essi”.34

Il primo giorno dei novendiali, che poi era il quarto dalla morte del papa (in teoria, il 1° era nella camera, il 2° nel palazzo apostolico, il 3° in Sistina, su questa complicata numerazione si sono imbrogliati e confusi, paradossalmente, la maggioranza di storici e persino canonisti piuttosto “specializzati” in materia... i loro saggi perciò spesso confondono invece che chiarire), la messa era cantata dal cardinale Decano; nei successivi giorni presiedevano la liturgia i cardinali vescovi suburbicari e nelle ultime tre giornate i cardinali preti. Messa cantata tutta piana, come quella dei morti, dai cantori pontifici. È proprio in queste ultime tre messe novendiali che vengono impartite le tre famose solenni assoluzioni dell'augusto tumulo 35. Così invece spiega Apeles Santolarìa: “Una volta collocato [su catafalco] il corpo del papa defunto in San Pietro -dove rimarrà per tre giorni prima della celebrazione delle esequie solenni- hanno inizio nella Cappella Sistina i servizi funebri che, per il fatto di essere celebrati per nove giorni di seguito, sono detti novendiali36... naturalmente la ricostruzione è confusa e in parte erronea.

La cerimonia delle esequie novendiali andrebbe così ripartita:

1° giorno, morte del papa.

2° giorno, esposizione nel Palazzo Apostolico.

3° giorno, traslazione in Sistina (ma spesso si saltò questa tappa).

4° giorno, traslazione in San Pietro, cappella del Sacramento, inizio dei novendiali, le esequie solenni si celebrano nella cappella del Coro, a partire da questo giorno.

5° giorno, secondo di novendiale, continua l'esposizione, e le esequie liturgiche nel Coro.

6° giorno, terzo di novendiali, ultimo giorno di esposizione, si celebrano nel pomeggio le esequie solennissime, a sera avviene la sepoltura.

7° giorno, quarto di novendiali, in genere s'inaugura il catafalco monumentale, i cardinali celebrano le esequie nel Coro.

8° giorno, quinto di novendiali, continuano le celebrazioni esequiali dei cardinali.

9° giorno, sesto di novendiali, idem.

10° giorno, settimo di novendiali, idem (talora si è sostenuto che in questo giorno si davano le cinque assoluzioni al tumulo: l'equivoco nasce dal fatto che in molti contavano daccapo i giorni di nivendiali a partire dalla sepoltura del papa: percui il nono giorno diventava il “settimo”... nel senso di “settimo” giorno dalla sepoltura del papa e non settimo giorno complessivo di novendiali ).

11° giorno, ottavo di novendiali, idem.

12° giorno, nono e ultimo di novendiali, si danno le cinque solenni assoluzioni al tumulo-catafalco. Termine delle esequie solenni del pontefice defunto, fine dei novendiali. La mattina seguente si concelebrava la messa solenne detta “dello Spirito Santo” o pro eligiendo romani pontificis, al termine della quale i cardinali si avviavano al conclave.

Dunque è il terzo giorno dei novendiali che avviene la tumulazione del romano pontefice. Appena scesa la sera, o meglio “passata l'ora nona” (le tre del pomeriggio), le voci bianche della cappella Giulia iniziavano a cantare in tono recto (senza modulazioni cioè) i sette salmi penitenziali ognuno concluso dal versetto dei defunti Requiem aeternam anziché il consueto Gloria Patri. Negli intervalli fra un salmo e l'altro, si ode il tintinnio di un campanello d'argento, “il tutto si svolge con tanta misurata delicatezza, da far sembrare che cori angelici cullino con il loro canto il sonno eterno del papa e temano di turbarlo” 37.

Il cardinale arciprete, i canonici e il clero ascritto della basilica, preceduti dalla croce (astile ma senza ferula?) facevano ingresso nella cappella del Sacramento dove il corpo del papa ancora giaceva sul catafalco. Il cardinale arciprete di San Pietro indossava un gran piviale nero e una mitra bianca. Viene cantato in tutto questo tempo il salmo 50, Miserere. I cappellani sollevavano dal catafalco il cadavere con tutta la lettiga (era posato sul catafalco con sotto il cataletto servito per scenderlo in San Pietro dai palazzi apostolici) del primo trasporto e lo deponevano nella bara, la prima, in legno di pino.38

Dunque, croce papale ben sollevata in testa al corteo, con le guardie nobili in uniforme di gala, gli svizzeri e i dignitari a fiancheggiare il feretro scoperto, con gli alunni del seminario Lateranense, i canonici cinti di fascia di seta viola, i camerieri in abito scarlatto, si mettevano in processione verso la prospiciente cappella del Coro dei canonici, tagliando la navata centrale lungo il percorso vigilato dalle singole guarigioni pontificie. Appena varcata la cancellata spalancata del Coro, avrebbero posato il feretro sopra un tumulo (una specie di basso catafalco) lì precedentemente allestito. Intanto, nel Coro, erano stati ammessi anche i famigliari del gran defunto, il corpo diplomatico e il patriziato romano. Il padre Apeles Santolaria, riporta una versione lievemente differete: <<A San Pietro il corpo giacente del papa attende sul tumulo (inteso come catafalco) il momento della discesa nel sepolcro. Nel corso dei tre giorni dell'esposizione, sono state installate tribune accanto alla cancellata della cappella dei Canonici (Coro), i quali prendono posto sulle poltrone inferiori. Di fronte ad essi si collocano il corpo diplomatico, i rappresentanti dei principali ordini militare (come il Sovrano Ordine di Malta, e quello del Santo Sepolcro) e i membri della corte pontificia che renderanno gli ultimi servigi al loro augusto Signore. Le dame, in lutto stretto, sono fatte accomodare nelle tribune alte e la nobiltà romana prende posto all'entrata della cappella>>. Facevano ingresso nel Coro a presiedere la funzione Decano e camerlengo; si intonava quindi la solenne assoluzione Libera me, Domine, de morte aeterna. Alla fine dell'ultimo versetto39 <<i camerieri depongono le spoglie mortali in un feretro di cipresso foderato40 di velluto cremisi inserito in un altro di piombo dello spessore di 4mm che a sua volta viene messo in un terzo feretro, questo di legno di olmo verniciato>>. A questo punto si cantava il responsorio In Paradisum e dopo un dignitario del capitolo impartiva la terza benedizione, quindi incensava e benediceva sia la salma sia il feretro recitando una speciale preghiera al risuonare dell'antifona Ingrediar e del salmo Quemadmodum desiderat dei cantori.41

Ecco una testimonianza in diretta del trasporto dalla cappella del Sacramento a quella del Coro, del corpo di Leone XII Della Genga nel 1829, il testimone è Stendhal: <<Mentre i cardinali discutevano, il clero di San Pietro è andato a prendere il corpo di Leone nella cappella nella quale era stato esposto (del Sacramento). Hanno cantato il Miserere piuttosto male. Giunto il corpo del papa nella cappella del coro, i cardinali vi hanno fatto ritorno (erano riuniti per accordi nel capitolo della basilica). Il corpo del papa era rivestito magnificamente di bianco42; è stato deposto con pompa, e in rigorosa conformità con un cerimoniale molto complicato, avvolto in un sudario di seta cremisi, ornato di pizzi e di frange d'oro. Nella bara sono state deposte tre borse piene di medaglie e una pergamena contenente la storia della vita del papa. Le tende della grande porta della cappella del coro erano chiuse; ma alcuni stranieri raccomandati sono stati introdotti furtivamente nella tribuna dei cantori>>; quindi Stendhal sente il bisogno d'aggiungere una nota un po' ingenua <<Un notaio stende il verbale di tutte le cerimonie, delle quali vi sto fornendo un resoconto molto sommario. Una sfiducia giustificata presiede a tutto ciò che avviene in occasione della morte del papa. Perchè, tutto sommato, il povero defunto non ha parenti presenti, e le persone incaricate di scegliergli un successore potrebbero anche sotterrare un papa vivo>>. Quindi gli pare di scorgere una novità indicativa: mentre il famoso scrittore torna a casa “stanco e morto di freddo”, nota sulla soglia del palazzo del principe don Agostino Chigi, una guardia d'onore che piantona la porta. Egli è il maresciallo del conclave; il garante della legittima e indipendente scelta del nuovo papa da parte del Sacro Collegio43. Vi è anche la testimonianza, per le esequie di Leone XII, del famossisimo intellettuale cattolico e ambasciatore di Francia Chateauriand, che però sembra fare una sintesi di tutti i momenti delle esequie, fondendoli in un unico periodo: <<Ho assistito alla prima cerimonia funebre (e quale sarebbe, per lui?) per il papa in San Pietro. Era un singolare miscuglio d'indecenza e di grandezza. I colpi di martello che inchiodavano la bara del papa (sembra unire oniricamente nel racconto la messa esequiale solenne, il trasporto nel Coro e la notturna tumulazione nel loculo dei provvisori), qualche canto interrotto, il lume della luna che si mescola a quello delle torce, la bara infine sollevata da una puleggia e sospesa nell'ombra per essere collocata sopra ad una porta nel sarcofago di Pio VII, i cui resti facevao posto a quelli di Leone XII; v'immaginate tutto questo, e le idee che un simile spettacolo suggeriva?>>, e non si fa sfuggire un ultimo appunto struggente: <<Mi hanno portato il gattino del papa defunto: è tutto grigio, e dolcissimo, come il suo padrone>>.44

SECONDA VELATURA. Abbiamo visto che una prima velatura del volto del papa avveniva appena deceduto, ma una seconda solenne velatura conclude la giacenza sopra terra del papa. Un tempo un cardinale nepote o in sua mancanza un altro parente del defunto, o in assenza di entrambi monsignor Maggiordomo, componeva il sacro corpo e ricopriva con un velo di seta o un panno di lino bianchi le parti nude visibili del pontefice, il volto e talora le mani e persino i piedi 45. Da quel momento il volto del sommo pontefice era nascosto per sempre all'impudicizia e all'impurità dello sguardo del mondo; nulla del mondano che un giorno quegli occhi e quel viso hanno fissato e desiderato potrà ancora attrarre il suo cuore e i suoi sensi, che sono già al di là del mondo; il suo volto e i suoi occhi adesso hanno finalmente il tempo di fissarsi su colui che Era, che È e che Viene, contemplano l'Eterno, la sola cosa che resta e che conta: il suo volto è riflesso nel volto del Divino, ultima ed unica speranza, preghiera finale d'ogni cristiano nel momento della fine: ... E finalmente i miei occhi vedranno il tuo Santo Volto! “Il Segretario dei Brevi ai Prìncipi si colloca allora accanto alla bara e pronuncia, in un forbito latino classico, il panegirico del defunto, citando i fatti più salienti della sua vita e del suo regno”46: legge dalla stessa pergamena che fra poco, arrotolandola, se ne ricaverà il Rogito.

MONETE E MEDAGLIE. Ai suoi piedi, lo stesso Maggiordomo, deporrà una borsa di velluto cremisi decorata in filo d'oro; al suo interno tre ulteriori sacchetti di velluto rosso contenenti rispettivamente medaglie e monete d'oro, argento e bronzo, tante quanti son stati gli anni di pontificato; ciascuna medaglia, a conio annuale, ha impressa in un lato il volto del defunto papa e nel retro le più prestigiose gesta del suo regno. Su queste sacchette le cronache registrano delle variazioni. Ad esempio, il Moroni nel 1841 47 racconta di “tre borse di velluto cremisi trinate d'oro con all'interno medaglie d'oro, d'argento, e di bronzo”. La Civiltà Cattolica riprendendo le notizie dall'Osservatore Romano del 1878 per la scomparsa di papa Mastai, parla di tre borse; ma per papa Pecci nel 1903 ne annovera solo due, di medaglie, poiché il papa non essendo più Re e capo di Stato non batteva più moneta. Per Pio XI nel 1939 (col concordato del '29 il papa aveva di nuovo uno Stato, seppur minimale, quindi essendo sovrano poteva battere moneta, quantunque solo simbolicamente, essendo moneta corrente in Vaticano la stessa della nazione italiana) si riparla ancora di monete d'oro, d'argento e di bronzo. È sicuro invece che nella bara di Pio XII nel 1958 non furono immesse le monete d'oro, perché non si trovarono. Alla morte Giovanni XXIII e Paolo VI, nel 1963 e nel 1978, chi vi assistette afferma che furono depositate nei sacchetti solo monete argentee e bronzee, ma non aure; nessuna accanto al cadavere di papa Luciani nel '78, perché nei 33 giorni di regno non vi fu tempo per coniarle 48.

COLTRE E ROGITO. Il più anziano dei cardinali che il papa ha creato si accosta alla bara scoperta e sul sacro corpo del suo creatore fa calare un sudario di seta o raso rosso bordato con frange in oro, lungo tutto il cadavere fino ad avvolgerlo, legandolo poi con delle fettucce; lo stesso ai suoi piedi depositava un cilindro di metallo (latta spesso) o di vetro, il rogito, nel quale era racchiusa una legenda, una pergamena che elencava in sintesi e i dati biografici del papa e gli eventi salienti degli anni in cui pontificò. Questo veniva letto pubblicamente poco prima e sottoscritto dai presenti49. Nel diario del Gigli, per la morte di Innocenzo X, si legge che durante l'esposizione: <<Si mandò da donna Olimpia, che volesse fargli fare la cassa, et la coltre>>, facendoci pensare che taluno pensava fosse dovere dei familiari fornire la coltre funebre al defunto50.

BARE E SIGILLI. Prima di fissare il coperchio di regola con applicata una croce sulla prima bara lignea, viene impartita un'ultima benedizione; un notaio della Camera apostolica genuflesso legge l'atto di tumulazione e l'atto di consegna della salma al Capitolo della basilica da parte del Sacro Collegio. La bara, dopo essere stata assicurata coi sigilli del Maggiordomo, del Capitolo, del cardinale arciprete e del camerlengo, è collocata in una cassa di piombo, su cui è riprodotto in rilievo lo stemma del defunto, e spesso i dati anagrafici, benché non sempre è stato così nei secoli. Bisogna dire che è probabile che a volte la prima cassa lignea, venisse chiusa prima della messa di esequie solenni, anche se non ermeticamente e comunque dissigillata (non è chiaro se la messa esequiale solenne, entro la cappella del Coro, avveniva alla presenza del feretro del papa o se questi rimaneva nella cappella del Sacramento sino al termine della funzione, per poi esservi trasportato subito dopo). A queste operazioni collaboravano volta per volta per la parte tecnica i sampietrini, che facevano la loro comparsa nella cappella del Coro, nel mezzo della cerimonia, fra canti e preghiere, nella quale per mano dei prelati domestici il papa era stato appena posto nella prima bara e questa incastonata in quella plumbea (ma potevano essere anche gli operai a incastonarla). I sampietrini, che erano gli operai della basilica, adesso dovevano col massimo decoro possibile, nei limiti della loro funzione bassa, chiudere le tre bare. Niente difficoltà per la prima di cipresso (o pino o altro), il cui coperchio era leggero e occorreva solo avvitarlo al feretro. Su di esso si apponevano di traverso due fasce di seta viola, per apporci i sigilli degli alti prelati che sappiamo. Arrivava poi il momento più complicato, la saldatura a caldo nel pieno della funzione sacra della lastra di piombo sulla bara plumbea, “alla quale si procede nel pieno di un silenzio imbarazzante per via della prosaicità dell'operazione, in pieno contrasto con la solennità del momento”.51

Successivamente le due bare sono depositate in una terza di legno pregiato (rovere o quercia od olmo), sulla quale si applicano in bronzo o rame le stesse insegne ed epigrafi della prima cassa, nome del papa, tempo in cui visse, regnò, morì, quindo croce armi e teschio, che sarebbero servite in una futura eventuale ricognizione a far riconoscere l'augusto defunto depositato. Ci si avvia verso la sepoltura. 52. Il triplice feretro che pesa ora anche più di mezza tonnellata, impossibile da tenere su spalla, viene depositato su un furgone carrellato, coperto da drappi viola, e trasportato presso la Confessione, dove con delle pulegge lo si dispone per essere calato nelle cripte dall'entrata della tomba dell'Apostolo, se dovrà essere sepolto nelle grotte vaticane; qui, se la sua sepoltura è provvisoria in attesa della costruzione del sarcofago definitivo, per almeno un anno, nel punto del muro preventivamente designato, il feretro sarà introdotto in un pertugio praticato ex professo, poi tappato mediante mattoni. Se invece il santo padre deve essere provvisoriamente sepolto in basilica, il furgone si dirigerà appena fuori la cappella del Coro, verso la nicchia a muro dei provvisori, venendo sollevata con dei possenti argani. La scelta di depositare il sacro feretro entro le grotte, in genere avveniva qualora il loculo dei provvisori fosse di già occupato, prolungandone la provvisorietà, da uno dei precedessori del papa defunto53. Più spesso però si estumulava il vecchio occupante per deporlo nelle grotte o nel proprio monumento funebre, se ultimato, lasciando spazio al nuovo papa defunto.54

Non v'è dubbio che tutte queste operazioni profane, persino troppo rozze quando s'arrivava alla saldatura della cassa plumbea, toglievano dignità e gravità alle antiche sacre e regali cerimonie di congedo dal sommo pontefice defunto. Fu per questa ragione che Giovanni XXIII stabilì che, apposti i sigilli sulla prima bara di cipresso, la cerimonia per le successive operazioni continuasse in privato, con la sola presenza dei cardinali alla testa dei tre ordini (vescovi, presbiteri, diaconi), dell'ex segretario di stato, di alcuni canonici di San Pietro e dei familiari del papa. Solo loro sarebbero stati testimoni della successiva chiusura del feretro. Inoltre papa Giovanni dispose che da allora in poi il feretro avrebbe evitato le tradizionali pesanti e goffe operazioni con argani e macchine montate apposta per calarlo nelle grotte dalla cripta di San Pietro, sotto la Confessione, e più comodamente sarebbe stato condotto nelle cripte passando sotto il berniniano monumento funebre di Alessandro VII, quindi dopo un tratto di strada all'aperto fiancheggiante la basilica, avrebbe varcato la porta di Santa Marta, la quale conduce all'accesso alle grotte ed ha una entrata regolare e spaziosa.55

Circa i sigilli bisogna precisare alcune cose. Attualmente, in base all'Ordo Exsequiarum Romani Pontificis devono seguirsi in questo modo: la prima cassa lignea appena chiusa, prima di essere incastonata nella successiva, è legata con dei nastri rossi annodati e sigillati con la ceralacca attraverso quattro sigilli: della Camera Apostolica, della Prefettura della Casa Pontificia, dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche e infine del Capitolo Vaticano. Le stesse sigillature sono ripetute sulla cassa di zinco56. Però nei cerimoniali funebri del XIX secolo si annoveravano ben sei sigilli: del Camerlengo, Maggiordomo, Capitolo Vaticano, Arciprete della Basilica Vaticana; applicati non solo sulla prima cassa lignea e sulla seconda plumbea, ma anche sulla terza cassa, quella esterna. Il motivo di tanto zelo burocratico andrebbe cercato nella consegna che in tempi passati si faceva della salma al Capitolo Vaticano perché la tenesse in custodia nella sepoltura provvisoria fintanto che non si fosse costruito il monumento funebre che l'avrebbe accolta per sempre. Vi è una precisa illustrazione d'epoca 57 su una prestigiosa antica biografia postuma di Pio IX, dove si raffigura la sua prima bara: la forma è di parallelepipedo trapezoidale, con facce irregolari, al centro verso l'alto del coperchio vi è applicata una croce, sotto un modello di tiara, quindi le armi mastaiane, i dati “Corpus Pii IX...” , seguiti ancora sotto da un teschio con ossa incrociate. Ma la cosa interessate sono i sigilli: ve ne sono sei, ma provenienti da soli quattro uffici. Definiti “suggello” ve ne sono tre sul lato sinistro, in ordine del camerlengo in alto, del cardinale arciprete della basilica al centro, del maggiordomo sotto; altri tre applicati lungo il lato destro, ma in ordine contrario al precedente e quindi del maggiordomo, questa volta del Capitolo vaticano, ancora, ma adesso in basso, del camerlengo.

Molte di queste consuetudini funebri sono mutuate da antichi cerimoniali adoperati per i sovrani, come ad esempio le tre bare; altri provengono dalla comune cura mortuorum dell'Occidente, come il velo sul volto. Già nell'antica Roma, per la sepoltura della gente ricca si adoperavano sarcofagi di pietra, o più semplicemente fittili; più tardi si sostituì un cofano di legno: in ciascuno di questi contenitori il defunto vi era depositato solo avvolto in un lenzuolo o drappo. La cassa lignea già verso il XIII secolo, per i più facoltosi personaggi, cominciò ad essere foderata con una di piombo, che in casi particolari veniva ulteriormente racchiusa in una terza cassa di legno più prestigioso e magari decorato e intagliato. Probabile che proprio da questa tradizione gentilizia derivi l'uso delle tre casse, e in quei materiali, per il corpo del papa, sino a Giovanni Paolo I. Tuttavia l'uso della cassa plumbea, sebbene di spessore sottile, rendeva comunque pesantissimo il feretro, sino a tre e cinque quintali, creando, come le cronache annotano, enormi difficoltà nelle operazioni di trasporto e tumulazione o esumazione, sino a procurare diversi traumi fisici ai palafrenieri che la caricavano. E' il motivo che deve aver spinto l'attuale Ordo Exesequiarum Romani Pontificis al n.13058 a parlare non più di cassa di piombo, ma di bara zincata, materiale assai più leggero e sottile.

2. Erezione del catafalco o tumulo

Facciamo un passo indietro, e apriamo una parentesi per soffermarci su un particolare che spesso, in tempi passati, fece leggenda: il Tumulo. Castrum doloris, questo era il catafalco o mausoleo o tumulo. Fa scrivere a proposito il maestro di cerimonie di Giovanni Paolo II, mons. Piero Marini: “L'arredamento una volta comportava un tumulo per sorreggere la bara, con attorno delle candele”. Di fatto, sostiene il volume Sede Apostolica Vacante, l'ultimo vero esemplare, sebbene assai semplice, fu allestito per la morte di Giovanni XXIII, nel giugno 1963, ma già era qualcosa di diverso rispetto a ciò che fu e rappresentò in passato.59 E lo era sì qualcosa di diverso: il succitato libro pubblicato dall'Uffico delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, dunque testo ufficiale, precipita in un fraintendimento madornale: confonde l'alto catafalco-lettiga su cui fu posto il cadavere di Giovanni XXIII per l'esposizione pubblica davanti il baldacchino del Bernini, con il mausoleo, cioè il catafalco-tumulo apparato effimero simbolico, che in nessun documento a nostra disposizione, bibliografico e fotografico, risulta essere mai stato allestito per papa Roncalli. L'ultimo catafalco-tumulo (o mausoleo) fu costruito per i novendiali di Pio XII nel 1958, come inequivocabilmente risulta da foto ufficiali pubblicate in molti testi e giornali d'epoca. Oggi u simile apparato effimero non esiste più, una fra le mille cose andate perdute al chiudersi del Concilio Vaticano II. 59bis

In quanto è l'apparato funebre pontificio più celebre ma anche più frainteso della storia, prima di scendere nei dettagli che ci fornisce la bibliografia (su questo argomento vastissima, e spesso satura d'errori), condensiamo in una sintesi preventiva la vera natura del catafalco-tumulo.

Spieghiamo dunque cosa era di preciso il catafalco, dal momento che in molti, studiosi e giornalisti compresi, riferendosi a questa non troppo remota macchina funebre, pensano ancora vi fosse adagiato sopra, coperto da coltri funebri, il feretro con la salma del papa.

Prima di tutto non va confuso col catafalco-lettiga dove viene adagiata la salma del papa per la pubblica esposizione, il catafalco-tumulo è tutt'altra cosa! Dalle molte foto che ci son pervenute e dalle moltissime e dettagliatissime incisioni per i tempi più antichi, sappiamo che se ne costruivano in due casi: le esequie del papa o la traslazione del corpo d'un papa in altra chiesa, e in questo caso si montava nella chiesa che l'avrebbe accolto definitivamente. Per le esequie in San Pietro, il catafalco nella maggioranza dei casi era preferibilmente costruito in uno di questi tre punti: nell'abside della Cattedra di San Pietro (es. così per Pio XI); sulla “Rota” porfiretica al centro della basilica vaticana (es. per Pio XII); nella cappella Sistina (es. per Leone XIII). La forma classica (per quelli più recenti... tralasciando quelli barocchi e monumentali d'un tempo) del catafalco, semplificando al massimo, si può dire consistere in un grande parallelepipedo rivestito di drappi di velluto rosso scuro talora bordato d'oro (in genere ha delle scritte commemoranti il defunto sulle quattro facce). Su questa base di regola viene sovrapposto un altro parallelepipedo più piccolo addobbato alla stessa maniera o in finto marmo (compensato dipinto). Sovrapposto a questo vi è un cenotafio, meglio un fax-simile di sontuoso feretro (la bara), che dovrebbe simboleggiare quello del papa appena sepolto: sarà ricoperto di coltri funebri rosse o nere. All'estremità di questa piramide funebre, sopra il simulacro di bara papale, poggia un cuscino rosso vellutato o serico con soprapposto un triregno (spesso fittizio, in cartapesta). Naturalmente tutto l'apparato è circondato da miriadi di candele. Questo per sommi capi è il catafalco-tumulo. Dunque su questo catafalco-tumulo vi era il cadavere del papa chiuso nella bara? È un antico equivoco che va avanti da secoli, a cui ha contribuito un cerimoniale volutamente ambiguo. La risposta è NO, no per due ragioni: il catafalco-tumulo era inaugurato dopo il terzo giorno d'esequie, che era il giorno in cui (di regola) il corpo del papa dopo la messa solenne (celebrata nella cappella del Coro) veniva sepolto; per questa ragione il catafalco-tumulo era solo un mausoleo effimero commemorativo: simulava simbolicamente la presenza del corpo del papa che in realtà era già chiuso nella tomba.

Ma torniamo ancora indietro, a cercare qualche descrizione che ci illustri quale colossale, persino folle, spropositato effimero capriccio barocco rappresentò. Noi non abbiamo fatto in tempo a viverle certe cose, e ci è duro interpretare rettamente il senso di un simile sperpero di energie, danaro, genio, senso del limite in creazioni di questo tipo, di abbacinante bellezza, ma indecifrabili ormai ai nostri occhi e ai nostri sensi; difficile da immaginare per un contemporaneo, difficile persino da capire, sfuggente la sua utilità pratica (che non aveva... se non la bellezza e l'abbondanza che si arrampicavano su se stesse, senza motivo se non l'eccesso di pompa) quando li ammiriamo nella gran quantità di incisioni e litografie d'epoca che ce ne illustrano almeno gli esemplari più spettacolari. Lasciamo allora la parola al nostro primo accompagnatore in questo viaggio all'indietro verso ciò che fu, Rodolfo Cecchetelli-Ippoliti che scrivendo nel 1919 (in Riti funebri per la morte del papa) fece in tempo ancora a vedere gli ultimi esemplari di catafalchi e tumuli monumentali, in tempi in cui la chiesa sembrava sempre uguale a se stessa, una nave metafisica su cui tutto era rimasto immutato da secoli, galleggiante ma immobile nell'oceano ora morto ora turbinoso del tempo: <<E' una macchina grave e sontuosa, che ha per lo più la forma di piramide. Poggia sopra una base proporzionata, circondata da un ordine di scalini, a piè dei quali, nei quattro spigoli, sorgono quattro grandiosi candelabri. Il catafalco eretto durante i novendiali in mezzo alla basilica vaticana, è ornato di figure, d'emblemi, d'iscrizioni e di pitture a guazzo imitanti il bassorilievo e celebranti le azioni del pontificato e le virtù più cospicue del defunto, di cui riproducono il ritratto insieme con gli stemmi d'esso e della chiesa>>.60

Ne discettano minuziosamente e ne forniscono abbozzi in abbondanza molti diaristi romani, le cronache d'epoca, spesso pubblicate dalle celeberrime Stamperie Chracas di Roma; di questi apparati effimeri ne scrive anche il Moroni nel suo Dizionario. Quindi sappiamo che il catafalco doveva servire anche per le assoluzioni: al settimo giorno (la questione è dubbia: potrebbe trattarsi in realtà del nono giorno) dei novendiali, terminata la messa, avevano inizio attorno al catafalco le cinque pontificali benedizioni previste dagli ordini romani. I catafalchi monumentali venivano montati generalmente in un punto preciso della basilica, sulla cosiddetta ruota porfiretica61, cioè un antichissimo disco del marmo imperiale per eccellenza, un porfido rosso egiziano di diametro 2,58 cm, che un tempo serviva a incoronare e ungere da parte del papa, re e imperatori sopra inginocchiati, da Carlo Magno a Federico III, e da secoli ormai incastonata al centro del pavimento della navata centrale della basilica, poco dopo l'ingresso 62. Ma il catafalco non veniva solo montato in San Pietro, bensì vi era facoltà d'innalzarlo in qualsiasi altra basilica romana o cattedrale dell' Orbe cristiano. Lo testimonia anche Stendhal in data 16 febbraio 1829: <<Abbiamo trascorso due ore in San Pietro. Il cardinal Castiglioni, gran penitenziere, ha detto la messa dinanzi alle spoglie del papa (in realtà il papa è già sepolto, si tratta del catafalco-monumentale). Molte chiese di Roma hanno innalzato catafalchi; siamo andati a vedere quello di San Giovanni in Laterano>>.63

La loro esistenza nella chiesa romana è antichissima, se si conserva memoria dei catafalchi allestiti già per i papi d'Avignone. Alcuni furono davvero dei capolavori, come attesta una notevole quantità di disegni e descrizioni minuziose pervenuteci. E furono il più delle volte proprio gli astri delle arti, che intitolarono a sé intere epoche e costruivano per l'eternità, a porre mano ai bozzetti e spesso alla stessa realizzazione dell'opera effimera: Bernini, Domenico Fontana, Valadier, Vespignani. Il materiale in genere era prevalentemente cartapesta e legno, compensato e sego. Spesso erano mastodontici, contornati da migliaia di candele d'ogni dimensione, da statue effimere in cartapesta d'ogni specie, da molteplici epigrafi. Memorabili per il fasto restano i catafalchi di Sisto V, Innocenzo X (proprio lui, a cui nessuno voleva pagare una degna sepoltura), Alessandro VII, Innocenzo XI, Alessandro VIII, Innocenzo XII (architetto Contini), Innocenzo XIII (architetto Filippo Barigioni), Clemente XIV (arch. Salvatore Casali), Pio VI (arch. Tommaso Zappati), Gregorio XVI (arch. Vespignani)64. Quello per le solennissime esequie del mite e giusto Alessandro VII Chigi, che da vivo aveva sempre tenuto una bara sotto il letto e un teschio scolpitogli dal Bernini sulla scrivania, recita l'Avviso del 4 giugno 1667, fu un <<Gran mausoleo eretto in mezzo di detta basilica con 4 alte guglie alli cantoni di esso pieni di candelotti accesi, con molti medaglioni messi a oro rappresentanti le fabriche di chiese, teatro e catedra fatte dal defunto pontefice, et in mezzo vi era l'urna con sopra il triregno sostenuta da un altissimo piedistallo, il quale alle 4 facce rappresentava pure posto a oro l'Immacolata Concettione di N. Signora, le due canonizzazioni di S.Tommaso de Villanova e Francesco di Sales (ecc...), attorniato da molte armi, imprese, eloggii e inscritioni, in lode di S.S.>>.65

Quello di Leone XII (arch. Valadier), che fu mastodontico poggiando su un basamento di 20 metri per lato e raggiungendo, candele comprese, 20 metri di altezza, a forma di piramide con in cima una gigantesca statua di cartapesta simboleggiante la fede, che sfiorava la volta a botte della basilica vaticana, fu situato al centro della basilica in eguale distanza fra la cappella del Sacramento e quella del Coro.66 Così ce lo illustra Stendhal: <<E' stato innalzato un magnifico catafalco al centro della navata maggiore di San Pietro: gli ornamenti sono dello scultore Tadolini; Valadier ne è l'architetto. Veramente tutto il complesso non è male. È stata data grosso modo forma di una piramide [...] Ci sono bassorilievi che rappresentano azioni di Leone XII, e numerose iscrizioni latine dell'abate Amati.67 Il corpo diplomatico assiste alla cerimonia che si è svolta attorno al catafalco>>; quindi intontito da questo cerimoniale ridondante e minuzioso, del quale poco ci capisce, ammette :<<Queste cerimonie, sempre le stesse, cominciano a sembrarci lunghe: gl'inglesi, accorsi da Napoli, ci vanno invece con entusiasmo. Hanno pagato i cavalli di posta, sulla strada di Napoli, a prezzi elevatissimi [...] Leggiamo nei loro occhi che tutte queste cerimonie funebri sono per loro una cosa ben altrimenti diversa che per noi. [...] È quasi impossibile trovare alloggio a Roma (in questi giorni)>>.68

Anni prima, intorno il magnifico catafalco di Benedetto XIV si stagliavano quattro grossi candelabri angolari con 50 candele ciascuno, ancora intorno vi erano 20 grosse candele e 70 cornucopii con fiaccolotti; nel 1958 invece per Pio XII, ne resistettero solo un centinaio di candele. Ogni catafalco aveva per ogni lato e angolazione diverse epigrafi latine che magnificavano il defunto illustrando sinteticamente quelle che si ritenevano le sue gesta più ragguardevoli e degne di memoria: in precedenza arrivavano persino a otto, poi si ridussero a quattro . Le ebbe, dice erroneamente il Sede Apostolica Vacante, anche quello che è stato69 “l'ultimo e disadorno catafalco eretto per le esequie d'un papa, quello di Giovanni XXIII nel 1963 costruito nell'abside di San Pietro”. Il successore, Paolo VI, ritenne opportuno, fra le moltissime altre cose, di eliminare anche questa tradizione assai appariscente, che escluse per testamento: <<Si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso>>. La rinuncia è stata tacitamente mantenuta dai successori, ragion per cui sembra scontato che non ce ne saranno in futuro.70

Ma non sempre (lo abbiamo accennato) i catafalchi servirono per i novendiali e le esequie vere e proprie, ma anche per le traslazioni dei papi anni dopo la prima sepoltura, come nel caso di Pio V, Sisto V e Paolo V tutti traslati alla basilica liberiana. Strepitoso fu quello a forma di tempio esagonale inaugurato in Santa Maria Maggiore per il trasferimento da san Pietro della salma di Sisto V il 26 agosto 1591, descritto in ogni minuzia da Baldo Catani71, dove risulta occorse il genio di non uno ma tre importanti uomini di arte e di scienze: la parte architettonica del Fontana, pittorica del Giovanni Guerra da Modena, l'opera dello scultore di Brescia Prospero Antichi. È la stessa basilica liberiana poco più tardi ad ospitare un altro trionfo dell'effimero, in occasione della traslazione, avvenuta qualche tempo dopo il decesso, del feretro di Paolo V Borghese da san Pietro alla cappella intitolata alla sua nobilissima famiglia. La costruzione in cartapesta e legno, come molte particolareggiate stampe d'epoca dimostrano, toccava con le guglie la volta della basilica, ed aveva più un aria festosa che mesta (non erano esequie: il papa era morto già da oltre un anno), e fu opera stavolta dello scultore Bernini e dell'architetto Venturi. La relazione dettagliata dell'evento la scrisse Lelio Guidiccioni.72

Paravicini Bagliani ha avuto il merito di ricostruite esattamente la vicenda di questa macchina funebre, chiarendo secolari equivoci e svelando il segreto significato di alcune misteriose consuetudini che si verificavano intorno a questo mausoleo; soprattutto ci fornisce dei preziosi rimandi a una antica bibliografia sul tema che, consultandola in questi mesi, ha aiutato anche noi a schiarirci le idee su questo ufficio incerto che ci aveva lasciato con non pochi dubbi.

Il medievalista ne Il corpo del Papa, inizia col notare un particolare contestuale: nel Quattrocento gli spazi e i tempi delle varie fasi delle esequie pontificie si sviluppano meglio, si separano e si distinguono. <<I novendiali appaiono sempre più distinti dalla sepoltura della salma del pontefice defunto. Rendendosi autonomi dalla sepoltura reale del papa defunto, i novendiali diventano tempo rituale riservato ai cardinali, la cui partecipazione segue ora un ritmo strettamente gerarchico: i cardinali vescovi aprono e chiudono la cerimonia dei novendiali. Inoltre, essendo la salma del papa già stata esposta e sepolta, i novendiali si celebrano intorno al catafalco (castrum doloris) vuoto>> . A questo punto fu necessario ricorrere a un artificio per simulare sul catafalco (ove era posto in cima una finta bara) la presenza del cadavere papale: due palafrenieri vestiti a lutto, in piedi ai due lati del catafalco <<muovevano di continuo e placidamente ventagli neri recanti gli stemmi del papa, come se dovessero cacciare le mosche>>, dal momento che si sapeva che le mosche svolazzavano sempre ove c'erano cadaveri. Non sappiamo quanto sia durata la consuetudine di questo stravagante ventaglio-caccia-mosche. Neppure si sa di preciso quando tale ritualità sia stata immessa nel cerimoniale pontificio. Sappiamo però che la prima notizia di simile rappresentazione fittizia della presenza del cadavere pontificio è dell'epoca delle esequie di Eugenio IV nel febbraio 1447. Ma l'ispirazione sembra provenire dal mondo antico e dalla letteratura antico-romana. L'impagabile letterato e futuro papa Enea Silvio Piccolomini, racconta divertito (com'era nel suo carattere giocondo) d'avervi in un'occasione assistito alla farsa, e un po' la pone in ridicolo benché poi riconosca trattarsi d'una antica consuetudine. Il rito si estenderà anche alle esequie dei cardinali, dove, commenta il Patrizi Piccolomini, i ventagli ex serico nigro s'agitavano indefessi “come se dovessero cacciare le mosche anche se il clima doveva essere invernale”.73

Separazione e definizione di tempi e spazi rituali dunque, fra esposizione e sepoltura, gerarchizzazione degli interventi del personale celebrante, rigidissima scaletta cerimoniale: il cerimoniere quattrocentesco vuole che tutto sia programmato. Di questa volontà se ne trova traccia nei preziosi e concisi diari romani di Stefano Infessura, negli appunti sulla morte e sepoltura di Innocenzo VII Migliorati (+1406); riguardo anche alla morte di Sisto IV Della Rovere o di Innocenzo VIII Cybo. Su Sisto si legge che morì il 12 agosto (1484), il corpo fu traslato in chiesa il 13 e nelle stesse ore sepolto; tuttavia le esequie novendiali iniziarono solo il 17 e si chiusero il 25: in totale, in questo caso, la lunga morte di Pietro durò 13 giorni. Innocenzo VIII Cybo, come la maggioranza dei papi, muore durate la calura dell'estate romana: spirato il 25 luglio, probabilmente i novendiali si aprirono il 28, il 5 agosto terminarono le esequie: la lunga morte durò in totale 11 giorni. Della morte del più antico Innocenzo VII Migliorati nel 1406, invece, l'Infessura, nel suo linguaggio altalenante tra volgare e latino, ci lascia questi secchi dati: <<Dello ditto anno 1407 (errore dell'autore) del mese di novembre die 7 (ma pare essere il 6) morio papa Innocentio settimo, et fu de sabbato. Fatto lo ossequio, li cardinali si missero in conclave allo palazzo de Santo Pietro die 14 di novembre, et stettero nello conclave fino a lo primo di decembre>>.74 Un'altra fonte non firmata dell'epoca della morte di papa Migliorati riporta una cronologia esequiale che Paravicini così compendia: <<6 novembre: morte di papa Innocenzo VII; lo stesso giorno: trasposto dalla camera alla sala; domenica 7 novembre: trasporto alla cappella (vespri); mercoledì 10 novembre: trasporto a San Pietro; 10-18 novembre: novendiali; 18-22: conclave>>.75

LE CINQUE ASSOLUZIONI AL TUMULO. Al settimo ( in realtà dovrebbe essere il nono) giorno dei novendiali, terminata la messa, si dava inizio al suggestivo e lungo rito delle cinque solenni assoluzioni definite majoris potentiae, intorno al catafalco-mausoleo papale eretto nel cuore della basilica, come gli ordini romani prevedevano. Intanto ai quattro angoli del tumulo, venivano posati, sopra piccoli tappeti, degli sgabelli: vi si sarebbero seduti quattro cardinali per ordine di anzianità indossando l'amitto, la catena d'oro con la croce pettorale, la stola e dunque il piviale nero (colore che poi sparirà dal lutto papale in favore del rosso) e la mitra bianca damascata (d'obbligo anche oggi per le esequie papali). Il tappetino e lo sgabello del celebrante erano collocati avanti la cappella del Coro, dove negli ultimi tre giorni delle esequie si cantava la messa con l'assistenza del Sacro Collegio e gli aventi diritto a presenziare alle cappelle. Presenza costante in tutti questi momenti era la cornice di guardie nobili e granatieri ai lati del catafalco.

Terminata la messa cantata e la recita del Pater Noster, i cardinali in cappella si alzavano insieme ai rispettivi caudatari che reggevano per tutto il tempo delle cinque assoluzioni delle torce accese. Il cardinale che aveva iniziato la preghiera si accostava al tumulo e lo incensava e lo aspergeva tutt'attorno per tre volte di seguito, nel mentre echeggiava possente il Subvenite, sancti Dei dei cantori. Lo stesso rito si ripeteva ininterrottamente, piuttosto a lungo, con l'avvicendarsi dei celebranti ogni volta che arrivava il turno per un altro cardinale di attendere all'aspersione del tumulo, turno che iniziava dai vescovi più prossimi al vescovo di Roma defunto ossia i vescovi suburbicari e seguiva con quelli dell'ordine dei preti.

L'ultimo a dare l'assoluzione, la quinta, concludeva la cerimonia dicendo Et non inducas in tentationem, a cui i cantori rispondevano Amen, dunque immediatamente intonavano il Libera me, Domine e altri inni sacri seguiti da un celestiale Requiem aeternam.

Si passava al secondo responsorio, con il Qui Lazarum resuscitasti, dunque l'ultimo struggente Libera me, Domine, quindi si chiudeva con un finale vibrante Requiem aeternam. Con queste invocazioni piene di pietà e speranza cristiana, abbandono e trionfo si concludeva la cerimonia delle esequie solenni del romano pontefice.76 Con le cinque ultime assoluzioni al tumulo del Vicario di Cristo, sempre assistita da una moltitudine di popolo di fedeli, terminavano un tempo le esequie papali.

Con la presa di Roma da parte dei Savoia, dal 1870, si stabilì che i funerali papali negli ultimi tre giorni di novendiali dovevano celebrarsi nella cappella Sistina (ma non era poi una novità), e lì doveva essere allestito il catafalco. Potevano parteciparvi i componenti la cappella papale, in ordine: i patriarchi, gli arcivescovi, vescovi e generali degli ordini religiosi. Dalle apposite tribune avevano facoltà d'assistere aristocrazia nera romana e diplomatici accreditati presso la S.Sede. I riti erano simili a quelli sopraelencati: i quattro porporati con piviale nero disposti agli angoli del feretro, il celebrante assiso sul faldistorio accanto alla croce; preghiere, giaculatorie e responsori, le stesse. Compiuto il loro ufficio pietoso, i cardinali dismettevano i sacri paramenti e reindossavano le cappe, avviandosi alle congregazioni generali nella sala del Concistoro.77

3. Orazione funebre

Nei secoli scorsi si pronunciava l'orazione funebre ogni giorno a conclusione della messa da parte del cardinale che l'aveva presieduta; e lo stesso cardinale al termine della liturgia della nona oltre all'orazione funebre sosteneva anche un sermone oltre che di elogio del papa morto, di esortazione ai grandi elettori per una pacifica e rapida scelta del successore. In seguito, e per molto tempo, si stabilì che l'orazione dovesse essere solo una, nell'ultimo giorno dei novendiali, pronunciata dal pulpito dalla parte del vangelo e presso i gradini dell'altare. L'oratore sarebbe stato nominato dal Sacro Collegio nella prima congregazione generale alla morte del pontefice. Naturalmente ogni orazione sottolineava quanto mai solo gli aspetti più santi e venerabili dell'esistenza del defunto, che ce ne fossero o meno; orazioni erano queste che si soleva pronunciare anche per le traslazioni o gli anniversari della resa dell'anima del papa, e che in ogni caso si pubblicavano sulla stampa romana. Vi erano variazioni nel vestiario a secondo del grado gerarchico dell'oratore. Se vescovo, avrebbe indossato il rocchetto, con amitto e piviale nero; se semplice prelato, rocchetto con cappa e berretta. Se prete semplice, sulla talare e il rocchetto avrebbe aggiunto la cappa prelatizia abbinata alla berretta. E tuttavia fu a lungo consuetudine convocare a sostenere l'elogio funebre, sacerdoti celebri per la favella, la calda abilità oratoria e la profondità della propria scienza e dottrina. Alcuni di questi casi rimasero famosi, protagonisti futuri dottori della chiesa, giganti spirituali e persino futuri papi oltre a menti che avrebbero sfidato i secoli: l'orazione funebre per Clemente VI fu pronunciata nientemeno che dal “Pier Tommaso aquitano” carmelitano arcivescovo, abile legato pontificio e creatore di ponti fra cattolici e cristiani separati, poi canonizzato; per la dipartita di Eugenio IV l'orazione fu letta dal cardinale Parentucelli che poi sarà Nicolò V; per Callisto III da Giannantonio Campano; l'insigne teologo romano generale degli agostiniani Ambrogio Coriolano per Sisto IV; per Innocenzo VIII quanto mai bisognoso di articolati elogi -simili al fumo negli occhi- che lo divincolassero almeno in quell'ultimo momento dalla scandalosa condotta durante il suo pontificato si ricorse al vescovo di Concordia Leonello Cheregato; il custode della biblioteca vaticana Fedro Inghirami si mobilitò per Giulio II; al novarese Giulio Poggiani toccò il facile compito di “illuminare la luce” sull'effimero e davvero laudabile e specchiato Marcello II; l'elogio per Pio V lo articolò il cattedratico romano Marcantonio Mureto, raffinatissimo latinista; il benefattore dei gesuiti Gregorio XIII fu omaggiato dal brillate storico della Compagnia ignaziana Orazio Torsellini; Lelio Pellegrini Sonnino dell'università di Roma parlò per Sisto V; il famoso retorico spagnolo Vincenzo Blas Gargia mise la sua abilità linguistica a disposizione di Gregorio XIV; il gesuita (la compagnia di Gesù prendeva sempre più il sopravvento, esperti di casistica ed elastici mentalmente come erano) Benedetto Giustiniani celebrò le elette virtù del beato Innocenzo XI; il diarista informatissimo in fatto di decessi papali Lelio Guidiccioni di Lucca non fa mancare la sua perizia cronachistica e letteraria per Paolo V; lo storico insigne Fammiano Strada si impegna per Gregorio XV; Luigi Sergardi per Alessandro VIII; il potente cardinale Angelo Mai la pronunciò per Leone XII, e Stendhal la definì solo un “centone” di Cicerone, senza idee e senza vita, applicabile indifferentemente per l'elogio di qualsiasi papa d'ogni tempo78 mentre Artaud, di cultura assai più robusta la definisce uno squarcio incomparabile d'eloquenza da pubblicare per ogni dove 79. La lista degli oratori nelle novendiali esequie pontificie fu a suo tempo curata da mons. Galletti nella missiva al Federici, premessa all'Oratio funebris pro Iulio II Roma 1777; stessa fatica fece l'eccellente biografo dei papi Novaes in Storia de' Sommi Pontefici 80. Al momento non ci risulta, e non risultava a suo tempo al nostro primo storico di riferimento sul tema, Cecchetelli-Ippoliti, che vi sia una pubblicazione unica e completa che raccolga tutti gli elogi funebri letti per la morte di un papa; ma molte di queste si ritrovano in una cinquecentina intitolata Orationes clarorum hominum, Parigi 1577- Hanau 1613; altro si può trovare in antichi opuscoli che raccontano succintamente degli uffici funebri pontifici, e in vere biografie di papi e negli impagabili Diari Romani d'ogni celebre firma coeva 81.

MESSA DELLO SPIRITO SANTO: FINE DEI NOVENDIALI. Alla fine dei nove giorni di esequie pontificie, nella mattina successiva i cardinali e la prelatura continuavano ad indossare le stesse vesti e cappe dei giorni precedenti, e così si recavano ancora nella cappella del Coro. Qui il cardinale decano, o in sostituzione il più anziano vescovo, celebrava la messa De Spiritu Sancto, con paramenti rossi, sandali dello stesso colore e la mitra gemmata. Il vescovo prescelto a tenere l'orazione latina De eligendo summo Pontifice saliva verso il pulpito indossando paramenti di damasco rosso e da lì predicava; “e poiché bene spesso questo prelato è trascelto nel ceto dei vescovi, si para in quest'occasione di amitto, pluviale e mitra che sempre tiene in testa mentre recita l'orazione, che poi si pubblica per le stampe”.82

Finita la funzione, il terzo maestro delle cerimonie, indossando la soprana paonazza con la croce astata, con ai lati gli ostiari (ufficiali detti della virga rubea perchè recano per distintivo un piccolo bastoncino coperto di velluto cremisi e ornato d'argento nelle estremità e nel mezzo), postosi davanti l'altare si genufletteva sopra l'ultimo gradino, mentre due cantori della cappella pontificia intonano il Veni, Creator Spiritus. Dopo la prima strofa, tutti si alzavano in piedi, precedendo la croce con l'effige del Cristo rivolta ai cardinali, mentre s'incamminavano in coppia processionalmente verso il luogo del conclave. Oltrepassando la porta maggiore della basilica, il corteo cardinalizio saliva la scala del Maresciallo; quindi si era nella cappella Sistina (Paolina, al Quiriale); terminato l'inno allo Spirito Santo e l'orazione del cardinale decano Deus, qui corda fidelium, si congedavano tutti i non addetti ai lavori.83 Era l'extra omnes, con cui il maestro di cerimonie avrebbe dovuto non solo licenziare il mondo dal conclave ma gli stessi cardinali dal mondo, concentrati ora solo ad avvertire il soffio dello Spirito, attenti ad osservare la direzione che il dito del Dio michelangiolesco indicava. O quella additata da un sovrano “cattolicissimo”. 84

NOTE

1 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del Papa, Torino 1996, p. 174 n.42.

2 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.294, la vicenda è raccontata nella Vita redatta nel Liber Pontificalis, II voll, Città Vaticano 1978, II, p.294.

3 Herklotz I., Sepulcra e Monumenta del Medioevo, Roma 1985, p.209 n.168; in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 155.

4 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.155; opere che danno un quadro generale sulle sepolture papali sono, naturalmente, di Herklotz I., Sepulcra, cit. specie fra le pp.133-214; ma anche un importante volume in nostro possesso che abbiamo deciso di non inserire in questo elaborato: Montini U.R., Le tombe dei papi, Firenze 1957, con apparato iconografico ricchissimo, pieno di dati inediti sulle varie sepolture.

5 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.155-6.

6 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p. 22.

7 AA.VV. Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004, p.102.

8 Moroni G., Le Cappelle Pontificie, cardinalizie e prelatizie. Opera storico-liturgica, Venezia 1841 pp. 76-77.

9 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.23; Cancellieri F., Notizie Istoriche delle stagioni e dei siti diversi i cui sono tenuti i Conclavi nella città di Roma, Roma 1823, pp.8-9; Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.218.

10 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 236-7; Cancellieri F., Conclavi nella città di Roma, cit., pp. 8-13.

11 Falconi C., Storia dei Papi, 4 voll, Milano 1970, III, pp.362-4.

12 Appena succedutogli Nicolò III in una lettera di presentazione scriverà delle sue esequie solenni citando, ed la prima volta nella storia delle missive cancelleresche, la presenza del suo cadavere durante i riti. L'appunto è di Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.242.

13 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.218-19.

14 Nessuno mise in dubbio -lo si evince dalle epistole- la regola della costituzione sull'obbligo d'identità fra luogo di morte del papa e d'elezione del successore: si dava molta importanza a questa regola. Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 243.

15 Paravicini Bagliani A., IlCorpo, cit., pp.219, 243; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, Città Vaticano 1990, pp.61-78.

16 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 243 n.26, 27.

17 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.219-20.

18 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., p.243 n.17.

19 Deprez G., Les funerailles de Clement VI et Innocent VI d'apres les comptes de la cour pontificale, in <<Melanges d'archeologie et d'Historie>>, 20 (1900), pp. 230-48, rivista edita nel 1900 in Francia. Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp. 243, si limita a citarne -e nelle note- alcune frasi integrate oltretutto con scritti del Mollat, grande studioso della cattività.

20 Tremenda e tumultuosa quanto mai, e a tratti ebbe anche momenti comici. Vedi Falconi C., Papi, cit., III, pp.545-54.

21 Seppelt e Schwaiger, Storia dei Papi, 3 voll, Roma 1964, III, 135-48; Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.243. Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.78-80.

22 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp. 220.

23 Dykmans M., Le Ceremonial papal de la fin du Moyen Age à la Renaissance, 4 voll, Bruxelles-Roma 1977-85; I, p.158.

24 Paravicini Bagliani A.., Il Corpo, cit., pp.220-21; Rossi A., Il Collegio cardinalizio, cit., pp.49-50.

25* Questo dell'attesa dei cardinali assenti è un annoso problema che si è trascinato sin nel 1922 fra la morte di Benedetto XV e l'elezione di Pio XI, ed era più spossate in tempi in cui le comunicazioni erano lentissime, in mancanza di telefoni e aerei. Succedeva che la notizia della morte di un papa, affidata a un corriere (magari d'ambasciata) si doveva recapitare ai cardinali sperduti in sedi lontane da Roma, gli spagnoli, i tedeschi, gli inglesi soprattutto, e perché la notizia giungesse a destinazione (in tempo) occorrevano talora giorni e giorni. Giunto il ferale messaggio, i cardinali esteri dovevano spasmodicamente mettere su bagagli e un minimo di corte e servitù e in tutta fretta imbarcarsi sulla prima carrozza o nave disponibile diretta dalle parti della Città Eterna. E talora succedeva pure che erano necessitati a farsi la restante strada a cavallo o in carrozze di fortuna appena approdati in terra italiana, quindi fare ingresso nell'avventura: alle porte di Roma, elle campagne dell'agro pontino o della ciociaria il più delle volte erano assaliti da bande criminali del luogo e ripuliti degli averi e dei preziosi. E in questo viaggio contro il tempo poteva anche succedere che se non si finiva derubati ci si poteva in alternativa beccare un malanno, magari letale: fino al 700 sono tempi di peste e altre pandemie. E poteva ancora succedere che dopo tutto questo trafelare, lo sforzo immane di sfidare il tempo, giunti a Roma, si rivelasse del tutto inutile: il papa era morto, esequiato, sepolto e i cardinali già segregati in conclave (ed era impossibile farvi allora accesso), quando non avevano la bella sorpresa di trovare un nuovo papa già eletto. E' il dramma psicologico che racconta (su elementi storici certificati) il romanziere Henry Morton Robinson nel libro “Il Cardinale”, dell'angoscia e dell'amarezza dei principi della chiesa statunitense, imbarcati su una nave transatlantica che non solo non riuscirono a partecipare alle esequie del papa appena defunto, ma giunti a Roma trovarono i colleghi cardinali già nella clausura di un conclave ormai inaccessibile per loro, nonostante le proteste e giustificazioni più che valide, le disperate rimostranze al maresciallo del conclave. Ma le porte restarono chiuse. Molti cardinali americani allora, videro con sgomento svanire sotto gli occhi la loro occasione di partecipare ad un evento tanto straordinario, e in ragion del quale erano stati nominati, e per molti, i più anziani soprattutto, era magari l'unica e ultima occasione, non e avrebbero avute altre. Certo, consapevole del loro dramma il nuovo papa Pio XI volle riceverli per primi, e, a riparazione, promise (e fece, di volontà ferrigna qual era) che da allora in poi terminati i novendiali i cardinali elettori a Roma avrebbero atteso per dieci giorni e per tutto il tempo necessario i cardinali extracontinentali che si sapevano in viaggio -ma ormai esisteva il telegrafo e il telefono) per chiudersi insieme, nessuno escluso, nel conclave. Robinson H.M., Il Cardinale, Milano 1965, pp.324-74. Nel 2000 Giovanni Paolo II stabilì nella Dominici Gregis che i cardinali ritardatari o malati al momento della chiusura delle porte della sistina, dovevano essere ammessi al conclave già iniziato qualora ne facessero formale richiesta. Finiva così definitivamente la corsa a perdifiato durata secoli dei cardinali ritardatari per fiondarsi in tempo in conclave, a svolgere la specialissima e unica missione a loro soltanto affidata: eleggere un altro Pietro, impedire a un collega di diventarlo, magari diventarlo loro stessi o almeno assaporarne dall'interno il brivido di un'illusione. Zizola G., Il Conclave, storia e segreti, Roma 1993, documento integrale della Dominici Gregis allegato in appendice al volume pp.391-411.

26 Certo un po' di confusione può nascere dal fatto che parlando di San Pietro bisogna stare attenti al periodo, e capire se si trattava della vecchia o della nuova basilica; e anche per le cappelle vale lo stesso discorso, tanto più che furono spesso costruite e ricostruite- e talora diversamente intitolate- nel corso dei secoli; per esempio la Cappella del Coro, può essere l'attuale o quella costruita a fine '400 nella vecchia basilica... e non sappiamo se costruita al posto di un'altra omonima. Un veloce panoramica di questo passaggio in Boccardi Storoni P., Storia della basilica di San Pietro, Pavia 1988, pp. 37-80. Una analisi più sistematica nel grosso volume di Galassi Paluzzi C., La Basilica di San Pietro, Bologna 1975, pp.107-41, 176-84, 232-7.

27 Ceccheelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 23.

28 Dykmans M., Le Ceremonial, cit., pp.222 n.1000, 224 n.1011.

29 Anche Herklotz I., Paris de Grassi, Tractatus de funeribus et exequiis, Vienna-Roma 1990, p.245 n.127.

30 Dykmans M.,L'Oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le cérémonial papal de la première Renaissance, 2 voll, Città del Vaticano 1980-82, I, pp.248-52.

31 Dykmans M., Piccolomini, cit., I, p.249.

32 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.23; Moroni G., Le Cappelle, cit. pp.76, 83.

33 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.103; Desiato L., Il Marchese del Grillo, Milano 1981, pp.214-18, 240-2, 264-69.

34 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit, p. 23.

35 Qui l'Ippoliti compie l'errore, che abbiamo corretto, di confondere il feretro che contiene la salma, col catafalco che è solo un simbolo, ossia il tumulo in memoria del defunto papa; il feretro col corpo dovrebbe essere seppellito al 3° giorno di esequie, in genere il 5° o il 6° dalla morte; mentre dopo la sepoltura del papa i novendiali dovrebbero continuare per altri 6° giorni. Cecchetelli-Ippoliti R., Riri funebri, cit., p.24.

36 Santolaria J. A., Quando muore il papa, cit., p.80.

37 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.83.

38 Santolaria sostiene invece, che giunti nella cappella del Sacramento, i familiari del papa sollevavano dal catafalco il papa insieme alla lettiga e lo portavano senza bara a spalle, verso la cappella del Coro, detta anche dei Canonici. Giunto nel Coro, il cadavere veniva posto in tre casse differenti. Questa ricostruzione potrebbe essere esatta. Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit, pp.83-4.

39 Secondo Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp. 82-4.

40 Ad imbottitura in realtà, di raso o velluto o seta rosse, come si deduce dalle foto d'epoca su questo momento, incluse quelle sulle sepoltura di Giovanni Paolo II, reperibili nel volume AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., specie pp. 91, 102, 153, 205-6.

41 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 24.

42 Deve essere un difetto di memoria dell'autore: se si esclude la talare bianca e talora la mitra, questo colore è del tutto estraneo alle esequie papali, come abbiamo dimostrato: i paramenti dovevano essere rossi, come ampiamente dimostriamo nel paragrafo I Colori del Papa.

43 Stendhal, Passeggiate romane , 2 voll, Roma 1981; II, p.295

44 Chateaubriand F.R., Memorie d'oltretomba, Milano 1964, II, p.306, la lettera è datata 17 febbraio 1829.

45 Moroni G., Le Cappelle, cit., p.75.

46 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.84.

47 Moroni G, Le Cappelle, cit., p.75.

48 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.79; Moroni G., Le Cappelle, cit., p.75; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.84.

49 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.24; AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.79. Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.84.

50 Gigli G., Diario di Roma, 2 voll, Roma 1994, II, p.731.

51 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.85.

52 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.25; AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., pp.78-79; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.85.

53 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.85.

54 Cecchetelli-Ippoliti R. La Basilica vaticana tomba dei pontefici di Roma, in rivista Il Nuovo Patto, anno III n°3, Roma 1920, p. 428.

55 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p. 85

56 Officium de liturgicis celebrationibus summi pontificis, Ordo Exesequiarum Romani Pontificis, Città del Vaticano 2000, n.130, p.204.

57 L'illustrazione in Vercesi E., Pio IX, Milano 1929, p. 245; Moroni G., Le Cappelle, cit., p.75.

58 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.25; AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., pp. 78-79, il volume edito nel 2004 lo dà al n.99, l'edizione del 2007 ampliata con notizie sulle esequie di Giovanni Paolo II, lo pone al n.130, come si legge a p.90.

59 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., pp. 74

59bis Foto in rivista d'epoca, supplemento speciale a Orizzonti, settimanale cattolico di attualità n° 42, 18 ottobre, 1959, p. 4.

60 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.26.

61 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.102.

62 L'ultima delle otto ruote porfiretiche che nei secoli scorsi v'erano disseminate. Roma Sacra. San Pietro in Vaticano, a cura della Fabbrica di San Pietro, Roma 2001, p. 52.

63 Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, p.295, da notare, e vale per tutte le volte che si citano le esequie di Leone XII raccontate da Stendhal, vi è una incongruenza che appare grave nelle date e nei vari momenti cerimoniali che spesso l'autore anticipa o posticipa rispetto a quanto è previsto dal rito tradizionale. C'è da pensare a difetti di memoria e confusione dell'autore nel redigere il diario. Incredibile è che S. posticipi la sepoltura del papa a tredici giorni dopo la morte: il papa è morto il 10 di febbraio, ma l'autore dice che è sepolto il 23, mentre di regola, come abbiamo dimostrato, il rito della sepoltura avrebbero dovuto svolgersi non oltre il 15 o 16 di febbraio; persino S. fa precedere l'erezione del catafalco monumentale a prima della sepoltura del papa. Citiamo S. perchè bene rende l'atmosfera di certe cerimonie e per l'elenco di fatti che cita, ma non va preso in considerazione quanto a precisione ed esattezza delle sue affermazioni, che, è evidente, non si premura mai di verificare. Dal punto di vista strettamente storiografico va cosiderato del tutto inattendibile, e più quando parla di storia antica -dando credito solo alle leggende- e quando parla di storia a lui prossima, essendo per altro uno spirito assai poco neutrale e anzi decisamente partigiano. Inoltre, sembra, dalla confusione con cui scrive di riti particolari, che spesso non vi abbia assistito personalmente, benchè lo sostenga: probabilmente li estrapola, poi riscrivendoli andando a memoria, dal “Diario di Roma” di quei giorni... infatti paragonando i testi vi si trovano molte similitudini. Per questa ragione ometteremo spesso le date che lega ad un determinato momento cerimoniale.

64 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp., 25-6.

65 in Saba-Castiglioni, Storia dei Papi, 2 voll, Torino 1929, II, p.442.

66 Una incisione la si può vedere in Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, tav.46.

67 A cui il papa aveva affidato il perfezionamento in latino l'epigrafe che da solo Leone si era scritto, da appore sulla sua tomba; vedi Artaud de Montor, Storia del pontefice Leone XII, Milano 1844, tomo III, p.194; si trovò il biglietto con questa iscrizione sul suo comodino, appena spirato.

68 Stendhal, Passeggiate romane, cit., II, p.296.

69 A detta del AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.102, perché siamo dell'avviso che l'ultimo sia stato fatto per Pio XII, vedi nota 59bis.

70 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.102

71 La pompa funebre fatta dal cardinal di Montalto nella traslazione dell'ossa di papa Sisto V, è uno scritto del Guidiccioni Roma 1591, poi riprodotto e varimante riscritto in Cecchetelli- Ippoliti R., La tomba di Sisto V nella basilica liberiana, Roma 1923, pp.10-20.

72 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.26.

73 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp. 231-2.

74 Infessura S., Diario della città di Roma, nella famosa riedizione curata nel 1890 da O. Tommasini, Roma, soprattutto pp.14, 155-70, 278-9.

75 In Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.249-50.

76 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.26-27.

77 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 27.

78 Stendhal, Passeggiate romane, cit., III, pp.296-7, l'elogio è pronunciato tutto in latino, ma viene spesso il sospetto che Stendhal non conoscesse quasi affatto tale idioma; oltretutto storpia anche il nome dell'oratore, il celebre card. Mai in Majo.

79 Infatti la pubblica subito dopo in appendice al suo libro; Artaud de Montor, Leone XII, cit., pp. 223-9.

80 Novaes G. de', Elementi della storia de' Sommi Pontefici da San Pietro al felicemente regnante Pio Papa VII, 16 voll., Roma 1822, I, pp. 250-71.

81 La lista è contenuta in Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 28; sicuramente trae le informazioni dal Dizionario del Moroni o dai rari manoscritti dell'abate Cancellieri, che al momento ci risultano essere gli unici ad aver sfilato un simile elenco.

82 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.30.

83 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.31.

84 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.30-31.

Capitolo settimo
Sepoltura e traslazioni

1. Sepoltura

La maggior parte delle tumulazioni papali è avvenuta a Roma nei vari cimiteri della città imperiale, prima che vi fosse una basilica vaticana con relativo sepolcreto, che fu possibile solo con l'iniziativa di Costantino, della costruzione dell'antica San Pietro. Nei primissimi secoli, epoca di persecuzioni, fu periodo di catacombe: in quei sotterranei, in loculi scavati nelle pareti tufacee, furono inserite con spartana semplicità le salme dei primi papi, come tutt'oggi si può osservare nelle varie catacombe di Callisto, Priscilla, Agata, dove sono ancora segnalati talora i punti esatti delle antiche sepolture papali, e non è raro che in qualcuna ve ne sia rimasto qualche rimasuglio. Dal V secolo ebbe inizio con san Leone Magno papa (440-461) la consuetudine di seppellire i pontefici defunti nell'area antistante l'allora novello tempio costantiniano, nell'atrio esterno alla basilica cioè, detto Portico concluso e chiamato poi Paradisum, di fatto elevato a necropoli papale. Oggi corrisponderebbe, nell'attuale San Pietro, al rettangolo tra il colonnato del Bernini e fra la facciata della basilica. Qualche secolo dopo si inaugurò una nuova usanza: inumare i papi sotto il pavimento o vicino alle pareti dell'antica San Pietro. Fu un dramma alla demolizione della vecchia basilica per l'edificazione della nuova, poiché si decise di elevare il pavimento di tre metri al di sopra del livello della precedente pavimentazione: decine di corpi papali dei secoli passati furono non con troppo scrupolo scovati ovunque fossero dispersi, sotto il terreno del piano di calpestio o sopra in appositi sepolcri, e tirati fuori; lapidi e interi mausolei vennero distrutti, corpi venuti fuori quasi integri furono per imperizia (e ignoranza, inevitabile all'epoca) trattati senza precauzioni mandandoli in rovina e alla dissoluzione; alcuni resti di diversi corpi pontifici furono mischiati qualche volta fra loro e poi ammucchiati in un deposito vicino la cappella del Salvatorello, detto Poliandro, una sorta di fossa comune, murata, ove tuttoggi sono depositate le ossa e i resti organici di santi, signori, martiri, pontefici sotterrati sotto la vetero basilica. Fu uno scempio che durò fino al 1606. Tuttavia, la sopraelevazione del pavimento e il Poliandro diedero a papa Paolo V Borghese, l'idea di trarne dei sotterranei, delle grotte appunto, destinate precipuamente a farne una necropoli se non altro per i papi precedentemente defunti e sepolti entro l'area di San Pietro vecchio. Forse non pensava che in futuro quella sorta di nuove catacombe sarebbero state il luogo preferito dai papi che gli dovevano succedere per la propria tumulazione, né immaginava che avrebbero accolto anche cardinali, principi e sovrani per una qualche ragione particolarmente graditi a Santa Romana Chiesa (ma del resto anche le antiche sepolture nella vecchia San Pietro erano popolate di sacelli contenenti principi, signori e signorotti di cui s'era smarrita memoria, e vi fu trovata anche qualche sepoltura romana e pagana, ad esempio una bambina, forse princpessa di sague reale, ricolma di ori raffinatissimi che Paolo V fece fondere, inaspettato -e barbaro- contributo all'edificazione della nuova San Pietro).1

Nel medioevo il rito della sepoltura dei papi, oltre all'aspetto pratico e di pietas cristiana, andò sempre più articolandosi e assumendo significati istituzionali e giuridici, che si riflettevano persino sull'elezione del successore. La regolarità della sepoltura era garanzia di legittimo trapasso della potestas papae. Fu a questo argomento che i molti nemici di Gregorio VII ricorsero per contestare la validità della sua elezione: egli sarebbe stato proclamato papa prima che il cadavere del suo predecessore Alessandro II fosse sepolto. Bonizone da Sutri nel Liber ad amicorum forse interviene in difesa di Ildebrando quando precisa che è mentre assisteva alle esequie del precedessore che i chierici manifestarono l'intenzione di proclamarlo. Nel 1130 si verificò una vicenda assai più spinosa e che lasciò non poche ferite aperte, antipapi e dubbi su chi fosse il papa legittimo, proprio a partire dal cavillo del papa insepolto: accadde che il cardinale cancelliere Aimerico volle appressarsi all'elezione del suo candidato, facendo eleggere Innocenzo II, senza attendere la sepoltura di Onorio II; i suoi avversari presero spunto da questo fatto per dichiarare invalida l'elezione di Innocenzo, e a questi opposero Anacleto II. Il cuore della controversia era che i cardinali guidati da Aimerico avevano osato, seppure spinti dalla gravità della situazione romana scossa da odi e faide violente, prepararsi all'elezione del nuovo papa mentre Onorio II era ancora vivo sebbene allo stremo. Fu chiarita allora forse definitivamente, proprio dagli avversari dell'Aimerico, una regola destinata a durare ed essere riaffermata sino ai nostri giorni: non si può e non si deve discutere, dissero, dell'elezione di un nuovo papa mentre è ancora vivente e regnante il pontefice; né tantomeno se ne deve parlare morto il papa, se il suo corpo non è stato ancora, secondo i riti, sepolto; e aggiunsero che a tal proposito esistevano specifici canoni. Si stabilì allora che sotto pena di scomunica nessuno in futuro avrebbe dovuto avventarsi a pensare ad un nuovo papa essendo ancora insepolto il corpo del predecessore. Giustamente gli avversari di Aimerico si rifacevano agli antichi canoni decretati nel 607 da Bonifacio III, in cui era stabilito che l'elezione doveva avere inizio dal terzo giorno dopo la morte del papa; nello stesso testo, seppure in maniera assai indefinita, si parla di depositio. Nel decreto del Sinodo Lateranense del 1059 si conferma la tradizione della elezione del successore solo dopo la morte del predecessore. Il cardinale Benno nel 1098 rimise mano al decreto bonifaciano e anziché di depositio scrisse inequivocabilmente sepoltura. 2

Morto Celestino III (1198), si verificò una vicenda emblematica. Il grosso del Sacro Collegio lasciò il Laterano per rinchiudersi al sicuro a Settizonio, e procedere all'elezione del nuovo papa. Un cardinale però, Lotario da Segni, ostinatamente rimase a San Giovanni a seguire le esequie del papa defunto. Lotario fu subito dopo Innocenzo III, ma la questione non si chiuse neppure dopo la sua morte. Infatti molto dopo, alla morte di Gregorio IX nel 1241, fu eletto Celestino IV dopo una vacanza che risultò tremendamente lunga e che si concluse con la reclusione che Rosso Orsini inflisse ai cardinali a Palazzo Settizonio; alla morte subitanea dello stesso Celestino, i cardinali si rifugiarono impauriti ad Anagni. Da qui rimproverarono i confratelli romani di non aver presenziato ai funerali del papa né di aver impegnato le loro potenti famiglie romane a dare al papa una sepoltura “con gli onori che erano previsti dalla tradizione”. La vicenda di Ildebrando di Soana e di Lotario di Segni, la contestazione al cancelliere Aimerico, la protesta dei cardinali fuggiaschi di Anagni, indicano tutte che “l'elezione del nuovo pontefice doveva aver luogo non soltanto dopo la morte, ma dopo la -onorifica- sepoltura del predecessore”. A partire dall'XI secolo, si manifestò un sempre più stretto legame fra morte, sepoltura ed elezione del papa. Da quella data questi tre momenti entrarono a far parte in modo evidente del formulario delle lettere papali di inizio pontificato. E' un particolare curioso che nota Paravicini Bagliani: fra l'XI e il XII secolo, e per lungo tempo ancora vi fu la consuetudine fra i papi neoeletti di annunciare via epistola -e l'autore ne riporta vari esemplari- a principi ed alti prelati che gli erano cari per qualche ragione, la propria elezione e la relativa data, precedendola con la data di morte e sepoltura del predecessore; talora il luogo di sepoltura; più tardi qualche pontefice vi aggiunse anche eventuali accenni all'onorificenza delle esequie e alla durata del proprio conclave. Fra Gregorio IX e Martino IV si continua con quest'uso, ma l'accenno agli onori delle esequie è sostituito da un rimando generico agli usi, segno che ormai tali onori esequiali erano diventati tradizione e dati per scontati. Sotto Nicolò IV e prima del periodo avignonese, questa uso cancelleresco per varie ragioni cominciò a venire meno.4

Ad ogni modo abbiamo visto in questo e nei precedenti capitoli ripetersi alcuni fenomeni, generati nel medioevo, a partire dall'XI secolo: l'insistenza sulla natura onorifica della sepoltura del papa; il balsamo per la preparazione del cadavere; la volontà di Ildebrando e Lotario d'assistere alle esequie del papa defunto; l'indignazione del Sacro Collegio di fronte all'inadempienza degli uffici funebri; l'uso d'inserire i cenni alla morte e sepoltura del predecessore nelle lettere con cui il nuovo papa annunciava l'elezione; quindi la nascita di un autonomo ordo funebre per la morte del papa. Tutte queste cose indicano un fatto: la Chiesa dall'XI secolo guarda con sempre maggiore attenzione, religiosa e cerimoniale, giuridica e politica, alla morte e sepoltura del papa. “L'insistenza retorica e rituale sulle onorificenze dovute al papa defunto si iscrive in una prospettiva di cosciente dissociazione tra la caducità fisica del papa e la perennità del papato”. 5

TOMBE MIRACOLOSE. Al contrario di quanto nei secoli è accaduto attorno ai corpi e alle sepolture di uomini e donne, perlopiù religiosi regolari e vescovi, morti in fama di santità, le smodate manifestazioni popolari di pietà e sensazionalismo raramente si raccolsero intorno al cadavere o al sepolcro d'un pontefice. Il Liber Pontificalis ad esempio ne annovera soltanto due prima dell'XI secolo, raccontando di guarigioni ed eventi sensazionali alla morte di un papa. I racconti sarebbero anche stanchi e di prassi, se non riguardassero le tombe dei papi. E' il caso di papa Silverio (+537) sui cui resti accorsero malati “e furono guariti”. Di papa Martino è scritto che morì in qualità di confessore 6, serenamente, e che operò molti miracoli “sino ai giorni nostri”. Dopo questi casi e dopo un secolare silenzio, bisognerà aspettare la teatrale morte di Leone IX (+1054) perchè notizie simili tornassero a circolare. Trascorso un secolo, nella famosa Descriptio basilicae Vaticanae 7 indirizzata ad Alessandro III (+1178) il canonico Pietro Mallio riferendosi ai papi lì sepolti, li indica quali corpi santi. Morendo, Onorio III (+1227) dà inizio ad una lunga serie di leggende mirabili che verranno generandosi intorno i sepolcri pontifici, a cominciare dal suo sacello di porfido in Santa Maria Maggiore che attrasse la pietà popolare con voci di miracoli e guarigioni. La stessa formula si ripete, poco dopo, per Innocenzo IV (+1254), e, nota il Paravicini Bagliani, che “sanno già di topos”. E infatti, poco più di un decennio dopo la scena si ripresenta con la morte e sepoltura di Clemente IV (+1268) in Santa Maria in Gradi di Viterbo, chiesa dei domenicani, com'egli aveva ordinato, allorquando turbe di fedeli “mosse dalla sua santità e dai suoi miracoli, confluirono al suo cadavere per vederlo, toccarlo e baciarlo” 8. E a proposito di questo corpo vi fu una faida intestina fra i domenicani e i canonici della cattedrale viterbese di San Lorenzo, che proprio non volevano lasciarsi scappare l'occasione di conservare nella propria chiesa un corpo papale tanto venerato, e decidono di seppellirvelo, scomodando così persino il pontefice regnante Gregorio X, che minacciò di scomunicarli se non avessero rispettato la volontà del defunto predecessore d'essere inumato in Santa Maria in Gradi. Molti secoli dopo, nel 1885, da questa stessa chiesa, adibito ormai il contiguo convento in carcere giudiziario, la tomba di papa Clemente IV fu traslata nella chiesa di San Francesco alla Rocca, sempre a Viterbo, dove si trova anche adesso 9. Quindi fu la volta dello stesso Gregorio X (+1276), morto ad Arezzo e nella cattedrale della città sepolto. La Vita racconta, ancora una volta, di miracoli verificatisi intorno al suo sepolcro; l'atmosfera delle narrazioni rientra nei canoni dell'agiografia più classica e trita, e in effetti simili fatti mirabili furono trascritti su una tavola poi collocata sul sarcofago. Più plateali le vicende accadute non già intorno alla tomba ma al cadavere ancora esposto di Martino IV (+1285), che come Giovanni XXI si tramanda essere morto in seguito a, così si disse almeno, “incidenti alimentari” (la morte piuttosto equivoca spiegherebbe la decisione di tirare per le lunghe la pubblica esposizione del cadavere del papa, a scopo di accertamento pubblico del decesso), nella cattedrale di Perugia, ove -di nuovo il topos- si verificarono miracoli e guarigioni. A parlare è un cronista dell'epoca che dice d'aver assistito di persona agli accadimenti: <<Persone afflitte da diverse malattie, specialmente al viso, alle articolazioni, all'udito e alla parola, rimasero prostrati intorno al feretro, sul quale il corpo del papa era rimasto alcuni giorni. Essi furono visti e assistiti da numerosi chierici e laici; molti furono sanati. La serie dei miracoli non era ancora finita il 12 maggio, giorno in cui fu redatta questa scrittura; al contrario ogni giorno miracoli furono misericordiosamente operati da Dio a favore della moltitudine di fedeli che vi accorsero; e chi scrisse queste cose, le vide>>10. Oltre ad aver manifestato l'intenzione d'essere rivestito alla sepoltura col saio francescano, benchè non appartenesse all'Ordine ma fosse solo un alto protettore dei Mendicanti, Martino indicò persino la chiesa di San Francesco ad Assisi come sua ultima dimora; Onorio IV che gli successe e che già era stato designato esecutore testamentario da Martino IV, ordinò che si traslasse dalla cattedrale di Perugia. Ma qui i perugini, del tutto indisponibili a essere privati del “corpo santo e perdere un tesoro”, con i pretesti più fantasiosi assecondati dall'amministrazione del comune cercarono di allungare i tempi della permanenza in città della salma di Martino IV. Il comune infatti arrivò al punto di immettere negli Statuti sanzioni pecuniare di 25 lire per chiunque avesse tentato di recare offesa alla tomba perugina del papa Martino... era una minaccia ufficiale bella e buona, per chiunque avesse voluto e dovuto capirlo, coloro incaricati di trasferire la salma del papa ad Assisi per primi. <<Ancor più che di episodi reali di depredazione>> conclude il Paravicini Bagliani, <<l'ingiunzione perugina è preziosa testimonianza del fatto che nel Duecento, per una città come Perugia, la presenza della tomba di un papa nella cattedrale era un tesoro da proteggere e da difendere>>. Alla fine, fu proprio uno dei successori di Martino IV, Bonifacio VIII che a queste manifestazioni, di affezione e venerazione per il corpo del papa, più d'altri ci teneva, ad accettare il fatto compiuto; e anzi fece di più, e a tutti i fedeli che avessero presenziato alla traslazione del venerabile corpus dalla vecchia improvvisata tomba al nuovo sacello di Martino IV, sempre entro le mura della cattedrale, sarebbero state accordati due anni di indulgenze11. Alla morte del primo papa dell'Ordine dei predicatori, Benedetto XI (+1304), il topos miracolistico si ripete12. Nel periodo avignonese tocca a Giovanni XXII, dove la pretenziosa tomba del papa, piena di guglie e colonnette, ricalca il modello gotico di ostensori per le reliquie, proprio a sottolineare la potenza taumaturgica di quello che ormai era considerato a tutti gli effetti un corpo santo e perciò potente. Dopo l'esumazione oltraggiosa che i rivoluzionari francesi fecero al corpo di Giovanni (del quale all'epoca fu fatto scomparire tutto il corpo escluso il cranio, ma che quando a inizio '700 venne canonicamente aperto il sarcofago, dopo mezzo millennio, fu ritrovato intatto) a fine Settecento, il rimanente del corpo di questo grande papa riposa in uno reliquiario aureo, ancora oggi esistente13. Durante la cattività ad Avignone il fenomeno si ripete e alla massima potenza alcuni anni dopo, alla morte di Urbano V (+1370). I fatti prodigiosi si sarebbero verificati e ad Avignone dov'era spirato il pontefice e circa ejus corpus, sia all'abbazia di S.Vittore presso Marsiglia dove venne traslato per disposizione del fratello cardinale Anglico, e dove il papa un tempo era stato abate. Racconta il Mollat, grande studioso della cattività, che le manifestazioni di culto popolare verso il corpo di Urbano avevano preso persino forme esasperate e di certo mai raggiunte da nessun altro papa fra i secoli XIII e XIV. Un numero abnorme di immagini di cera riproducenti la sua effigie, secondo l'uso del tempo, furono appese prima davanti la tomba e poi man mano in tutta la chiesa e quindi il monastero. Furono portati in pellegrinaggio davanti il sepolcro un gran numero di fedeli che avevano scampato pericoli e malattie, a loro dire, solo invocando il nome del papa defunto. La sua Vita, forse esagerando, conclude dicendo che non v'era chiesa o luogo santo e solenne in tutto il mondo ove non via fosse almeno un'immagine dipinta del papa morto “e onorata con vigilie e oblazioni”. Il popolo dei fedeli lo considerava santo e gli riservava dunque, intorno al cadavere prima e alla tomba poi, una venerazione roboante che in genere era attribuita solo ai santi canonici, specie i taumaturghi o presunti tali. Tuttavia papa Grimoard fu beatificato solo nel 1870 da Pio IX e non certo per i miracoli, ma per motivi più politici e italiani. La beatificazione infatti cadeva proprio in coincidenza con la vigilia della presa di Roma da parte degli italiani, togliendola così al papa; Urbano era il pontefice che aveva fra mille peripezie tentato di riportare il papato nella Città Eterna ricostituendola a capo dell'Orbe cristiana14. A compendio di tutto questo, il Paravicini Bagliani sottolinea la straordinaria concentrazione cronologica di culto e venerazione intorno al corpo morto del papa, che ha inizio con Onorio III e prosegue ininterrotto in un crescendo, sino a inizio Trecento; questa ostinazione “va al di là della morte” e dell'assioma “il papa morendo ritorna ad essere uomo”, perchè il corpo morto del papa “continua ad appartenere alla serie apostolica dei corpi santi dei successori di Pietro”. Nell'epitaffio di Clemente IV (+1268) “il corpo del papa defunto è definito Ceneri di Pietro”. Paravicini Bagliani, riflette: <<La frequenza degli episodi di culto intorno alle salme papali inizia con il primo dei pontificati riformatori dell'XI secolo (Leone IX) ma raggiunge un punto culminante proprio nella seconda metà del Duecento. Se il papa è immagine vivente di Cristo in terra, la sua vita di papa non deve essere sostenuta da una purezza altrettanto cristica? [...] Ma l'innocenza e la purezza sono, come la potestas, elementi che il papa perde con la morte? No, al contrario, i corpi santi dei papi [...] prolungano al di là della morte la santità di vita>>, santità di vita che proprio in quegli anni, come discorso retorico e rituale di purificazione, viene offerto al papa come modello col contributo proprio degli Ordini mendicanti ... Il Pontefice nasce e muore apostolico, <<Da questo punto di vista, l'imbalsamazione dei papi, sempre più documentata dall'inizio del Trecento in poi, era in definitiva anche una sfida alla corruzione di un corpo virtualmente santo>>.15

A proposito di tutto questo, lo studioso del corpo del papa Paravicini Bagliani, osservando il monumento funebre a San Francesco a Viterbo di papa Clemente IV, ha una intuizione brillante. Il gisant che chiude il sarcofago (il primo in territorio italiano con tratti veristici) riproduce in rilievo i tratti di un uomo vecchio, il cui viso tirato dà una sensazione di mortale pallore e di alta stanchezza. Gli occhi del vecchio uomo sono chiusi, finalmente riposa nella morte. “Il realismo non raffigura tanto la vecchiaia del defunto ma la caducità fisica. Respingendo tutti gli attributi della bellezza fisica, il viso stanco e vecchio di Clemente IV esprime la verità della morte”. Sul frontone dello stesso sarcofago, sopra il gisant è posta una statua che dovrebbe rappresentare il Principe degli Apostoli... come anche sulla tomba di Adriano V: San Pietro indica “l'immortalità del papato”. Probabilmente, in ambo i casi, tutti questi elementi e questo contrasto fra gli elementi stessi, sta a significare che “Anche il papa muore, ma la potestas papae (pietrina) è eterna”. Lo stesso Paravicini Bagliani sospetta che il verismo del gisant di Clemente IV è attribuibile all'interesse particolare che in quel momento i padri predicatori nutrivano per il corpo del papa nella sua dimensione caduca e la particolare devozione verso la sua salma e la sua tomba. Prova fra le tante, lo scontro a Viterbo fra canonici e domenicani per dare nella loro rispettiva chiesa sepoltura al papa Clemente IV, di cui abbiamo detto: entrambi “sembrano quindi operare su due fronti non affatto contraddittori: caducità fisica del papa e memoria sorretta da una dimensione di santità”.16 Sono anche gli anni in cui su questo stesso contesto ideologico, meglio si sviluppa la coscienza della memoria della successione apostolica, quel filo invisibile di onore e fedeltà che lega ciascun papa all'altro, il regnante a quello defunto. Nel XIII secolo questa coscienza raggiunge la pienezza. Alla memoria dei propri precedessori il papato, e per primo Alessandro IV nel 1259, volle allora dedicare una solenne commemorazione liturgica annuale: ogni 5 settembre il pontefice assieme ai cardinali avrebbe nelle varie cappelle celebrato solenni messe pro defuncti in memoria della dipartita dei suoi predecessori (e anche dei cardinali defunti). In questa occasione il papa avrebbe offerto un pasto a duecento poveri sempre in suffragio dei papi defunti. Questo non significa che tali uffici non avessero precedenti assai più remoti: “Nell'obituario dei canonici di San Pietro in Vaticano, il lungo elenco di papi di cui si celebra l'anniversario inizia cronologicamente con Eugenio III (+1153). Nel formulario della cancelleria pontificia l'uso di accompagnare il nome dei papi defunti con i termini di bone memorie o sanctememorie sembra risalire al pontificato di Innocenzo III [...] Gregorio IX, tornando a Perugia vi celebra magnificamente l'anniversario del suo non immediato predecessore Innocenzo III” ivi morto... e Innocenzo IV arriva al parossismo estremo da vivo di inviare una lettera a tutte le chiese d'ogni Ordine religioso invitando a celebrare in perpetuo messe di suffragio e commemorazione con ufficio solenne ogni anniversario della sua dipartita, quando sarebbe avvenuta17. In linea con la retorica delle Ceneri di Pietro andrebbe sviluppato anche il discorso sulla consuetudine divenuta ferrea regola col passare degli anni di conservare le viscere (estratte per procedere all'imbalsamazione) dei papi defunti.

2. Tomba provvisoria

Finite le esequie solenni, la triplice bara veniva trasportata nel luogo destinato alla tumulazione, che per lungo tempo fu la “tomba dei provvisori”, cioè un loculo temporaneo che originariamente era collocato sopra una porta fra la cappella del Coro e della Presentazione. Ce lo indica il Moroni, che per le esequie di Gregorio XVI, nel 1846, dichiara essercene ancora uno, posizionato di preciso sopra l'arcata della porta dell'archivio dei cantori, e dove fu collocato papa Cappelari in attesa della vera e propria tomba18. Ma quasi un ventennio prima ce lo indicava anche Stendhal nei suoi diari romani, il quale scrisse che di fronte alle due effigi bronzee di Innocenzo VIII Cybo in San Pietro <<c'è una porta che conduce alla tribuna dei musicanti; sopra a questa porta viene deposto il corpo dell'ultimo papa>> e che in quel momento lì <<dal mese di agosto del 1823, riposava il venerabile Pio VII, quando Leone XII è venuto a prendere il suo posto il 15 febbraio 1829>>; quindi aggiungeva: <<Quando il successore di un papa viene ancora una volta a sostituirlo, i resti del penultimo sovrano sono calati nei sotterranei di San Pietro (le grotte), o sono restituiti alla famiglia>>19. Nel frattempo i prelati presenti alla prima tumulazione impartivano l'estrema e davvero ultima benedizione; i sampietrini con l'aiuto di argani, intanto sollevavano il feretro sino all'apertura della nicchia dei provvisori.19a

Il loculo è rimasto fino a qualche decennio fa in San Pietro, sollevato di circa quattro metri da terra; vi si trovava da secoli, ma sfuggiva allo sguardo dei più. Lì su quasi tutti i papi venivano "provvisoriamente" sepolti, in attesa della definitiva sistemazione nel monumento nella basilica o dove stabilito. A Leone XIII toccò di tenerla occupato per ultimo e per oltre un ventennio, dal momento che aveva indicato come tomba definitiva il Laterano, nel fastoso monumento che sappiamo e che costò anni di lavoro (forse è da allora che i papi decisero di non lasciare più, una volta morti, le grotte sotto San Pietro?)19b.

Fino agli anni '10 questo favoleggiato sepolcro papale provvisorio era situato, come dicevamo, sopra la porta della Cantoria, nella navata sinistra della basilica dirimpetto al monumento funebre di Innocenzo VIII. L'urna era fatta di stucco (moltissime stampe illustrano il momento lugubre della cerimonia “privata” di deposizione del feretro, sparse soprattutto in riviste illustrate d'epoca) ed “era sormontata da un cuscino su cui poggiava la tiara papale”, naturalmente posticcia. Dietro questo sarcofago (fittizio, parrebbe), si apriva un vano scavato nel muro che fungeva da loculo per la bara papale.19c

Così Artaud de Montor, ci descrive la deposizione di Pio VII nel loculo dei provvisori, a cui assistette in una tarda sera dell'agosto 1823:<<I funerali del papa, che si appellano novendiali, perchè durano nove giorni, furono celebrati con la solita pompa. Io particolarmente assistetti alle ultime cerimonie in quella sera, in cui dovevasi chiudere il cadavere nel sarcofago esteriore collocato al disopra della porta d'una tribuna della cappella de' canonici. Ho veduto abbattere il sarcofago in gesso ov'era deposto Pio VI, il quale venne trasportato in un angolo della cappella del coro. Si suggellò il feretro di piombo che racchiudeva Pio VII coperto delle vesti pontificie, dopo che eragli stata posta a fianco una borsa contenente le medaglie coniate sotto il suo regno: quindi venne innalzato al posto che occupava Pio VI, e vi si murò immediatamente un sarcofago in gesso, che più tardi doveva poi ricevere alcuni ornamenti. Dopo di che tutto il popolo cominciò a ritirarsi>>. 20

Purtroppo nel 1916, il loculo, contenente ancora l'augusta salma di Leone XIII, in attesa da anni di partire per il Laterano, fu stabilito che dovesse essere tappata dall'elevazione, su quella stessa porta della Cantoria, della statua a Pio X appena defunto. La nicchia dei provvisori con tutta la bara di papa Pecci furono traslati poco lontano, accanto, nella parete destra della cappella della Presentazione, tra i medaglioni dei papi Sisto II e s.Stefano, nello stesso punto dove oggi sorge l'altorilievo bronzeo del Manzù dedicato a Giovanni XXIII, che a sua volta tappò l'ennesimo sepolcro dei provvisori negli anni '60. Questo nuovo loculo provvisorio, destinato ad essere poco usato e ad avere quindi breve vita, fu scavato a soli 1,50 metri dal pavimento, proprio per evitare le macabre manovre di un tempo per issare con l'argano la bara fino all'altezza del loculo che, come molti ricordavano, nel 1903 a momenti non finiva in disastro: era un lavoraccio innalzare la triplice bara (allora una delle casse era davvero tutta in piombo) lassù, e quando si trattò di collocarci papa Pecci molti videro con sgomento che, per un errore di un manovale, a mezz'aria la grande triplice bara iniziò a ondeggiare paurosamente e a sbattere con violenza contro le pareti marmoree e la porta della Cantoria, generando rimbombi lugubri nella basilica, e rischiando di far precipitare il feretro. Questo nuovo effimero sepolcro fu progettato dall'architetto G.B.Giovenale ed eseguito dall'ornatista Curzio Caponetti e dal fonditore Bongirolami. Era grazioso, di un pretenzioso neo barocco, come annota Cecchetelli-Ippoliti: <<Rappresenta una grossa cornice di marmo bigio antico, adornata d'un fregio e fogliami di bronzo in stile barocco. Essa si piega nel mezzo ad arco di cerchio occupato da una conchiglia con bronzeo triregno in rilievo. Il tutto è difeso da un'inferriata a gigli di bronzo, incorniciata da un fregio di cipressi. Dietro questa, fisso soltanto nel lato superiore, c'è un paliotto pure di bronzo, su cui in un rilievo dorato figura, sorretta da due angeli, una cornice capricciosa, entro la quale si legge il nome del pontefice. Questo diaframma serve a coprire la vasta nicchia contenente il sarcofago con la spoglia del defunto. Ora (è il 1919) vi si conserva quella di Leone XIII>>.21

Pio X alla sua morte nel 1914 forse per non disturbare il sonno eterno (per quanto lì provvisorio) del predecessore dispose di essere tumulato nelle grotte vaticane, dove fu collocato nella cappella del Salvatorello, quindi pochi mesi dopo in un sarcofago marmoreo, che sarà disfatto verso gli anni '40, allorché Pio XII lo volle canonizzare: i suoi resti ricomposti furono traslati 22 in quest'ultimo nuovo loculo dei provvisori, ove era stato deposto poco prima Leone XIII, il cui feretro era partito da qualche anno per il Laterano. Una semplice lapide di marmo di Carrara indicava che lì vi era il venerabile corpo di “PII PP X”; poco dopo fu esumato di nuovo, aperta la bara e il corpo rivestito degli abiti da coro e di una maschera d'argento sagomato il volto e le parti scoperte, quindi esposto permanentemente in una teca di cristallo posta sotto l'altare della cappella della Presentazione23. Le ragioni di Pio X spinsero anche Benedetto XV (o chi per lui, della familia) a fare la stessa cosa e farsi trasferire da subito nelle grotte vaticane dopo le esequie nel 1922. Ce ne dà testimonianza un giovane prete che allora era minutante in segreteria di Stato, don Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, che in quel gennaio 1922 assiste alla tumulazione di papa Benedetto, e ci rende la sensazione del suo brivido personale e dell'atmosfera tetra che soffocava quegli momenti: <<Ieri sono stato ai funerali del papa, fatti a porte chiuse in San Pietro con solennità regale, ma poco calda di lacrime e di preghiere. La pietà del rito, del mondo lontano che assiste è poco ben rappresentata nella incomposta curiosità dei presenti. Vi fu però qualche istate di commozione veramente indimenticabile quando cessati i canti polifonici della Cappella Sistina cigolarono rozzamente le catene che calavano il feretro augusto nelle zolle dove Pietro dorme (nell'interrato sotto la Confessione, che dà accesso solenne alle grotte, passando avanti la tomba di San Pietro), povero seme di ventura risurrezione che aspetterà nel sonno l'ultima generazione>>.24

Ragioni dissimili spinsero anche Pio XI e Pio XII a scendere direttamente nei sotterranei della basilica morendo; Ratti fu murato entro un arco che fu trovato per caso25; Pacelli fu subito chiuso nel sarcofago semi-incassato nel muro della cappelletta vicino la tomba del Principe degli Apostoli, che gli era stato preparato in pochi giorni vista l'assoluta semplicità dell'avello.26

Dalla tomba provvisoria quindi il papa defunto dovrà appena possibile essere traslato nel luogo prestabilito da lui stesso o dai familiari, o dalla prassi canonica o dalla Santa Sede stessa27. Alcuni papi che avevano disposto d'essere tumulati fuori da San Pietro rimasero per un anno e talora per molti anni nella famosa nicchia (che non sempre fu collocata nello stesso punto), in attesa dell'innalzamento del monumento . Leone X vi rimase dal 1521 al 1542; Clemente VII dal 1534 alla stessa data del consanguineo Leone, 1542; Paolo IV dal 1559 al 1566; Pio IX dal 1878 al 1881; ma Clemente XI fu tumulato subito nella sua modestissima 28 fossa definitiva nel centro della cappella del Coro, sotto il pavimento, per “umiltà”.29

A proposito della sepoltura di papa Pio VI Braschi, che avrebbe voluto essere sepolto davanti la tomba degli Apostoli nell'epicentro della basilica30, ritenuta poi eccessiva simile pretesa non vi fu mai collocato, però vi si collocò la struggente statua che lo rappresentava, su cui diede le ultime scalpellate Canova, sua opera ultima che neppure terminò arrestato dalla morte (sarà fatta rimuovere da Paolo VI, e collocare in un punto anonimo delle grotte). In attesa però della sistemazione definitiva, il giorno delle esequie straordinarie officiate alla presenza di Pio VII appena il feretro di Pio VI giunse dall'esilio di Valenza, nel 1802, fu collocato proprio nel loculo dei provvisori dopo il riconoscimento avvenuto nella cappella del Coro. Dovrà abbandonare anche questo deposito oltre un ventennio dopo, nel 1923, per lasciarlo proprio al cadavere Pio VII. Di questo cambio di feretri, avvenuto privatamente a basilica chiusa e buio calato, Artaud de Montor ne fu testimone, più o meno clandestino, essendo rimasto (quasi nascosto) dentro la basilica anche dopo la sepoltura provvisoria di Pio VII, quando tutti gli altri erano stati fatti uscire. È grazie a lui se oggi abbiamo una testimonianza della ricollocazione del corpo di Pio VI e di come fu gestita l'operazione, dal momento che non vi fu alcuna cerimonia, né alcuno era presente se non i soli operai addetti alla traslazione. La lunga pagina che il de Montor scrive è commossa e commovente: siamo in pieno romanticismo, nella pullulante rivalutazione delle tombe, a cui in Italia diede il via Ugo Foscolo; il gentiluomo francese racconta e riflette:

<<Dopo che tutto il popolo cominciò a ritirarsi (dissepolto il feretro di Pio VI, ora posato nel Coro, e sepolto Pio VII al suo posto) a me le forze mancarono per uscire da san Pietro. Una certa quale intensa resistenza, che m'immaginava essere come il compimento d'un dovere, mi tratteneva dal seguire le persone che mi avevano accompagnato, e m'importava di stare nella Chiesa, finchè i san-pietrini, scelti operai addetti al servizio della Basilica, vi continuassero l'esecuzione di quanto era loro prescritto: io fui l'ultimo ad uscire dalla Chiesa. [...]. Il maggiordomo Marazzani, i canonici, i beneficiarii abbandonarono la cappella. Si spesero tutti i ceri, ed io mi trovai con sei o sette san-pietrini, i quali domandavano gli ultimi ordini del loro capo. Questi, additando il feretro di Pio VI, ch'era stato deposto in un angolo della cappella (del Coro), disse loro Trasportate questo feretro. Io non ho distinto bene le altre parole che proferì, e mi parve che, accennando con la mano il secondo pilastro a destra della grande navata, pronunciasse il nome di Innocenzo XIII e della regina Cristina. A questo comando i san-pietrini collocarono il feretro sopra un picciolo carro assai basso ed assai solido, costrutto in ferro, e colle ruote di ferro, e lo strascinarono nella direzione stata loro indicata dal cenno del loro capo. Un d'essi precedeva il carro con una face alla mano; io lor tenni dietro, senza sapere che mi facessi. Il carro avanzava lentamente attraverso la grande navata, e i diversi echi ripetevano un suono lugubre che rimbombava per tutta la chiesa. Il rumore cessò quando il carro pervenne presso il secondo pilastro, e la face mi si è avvicinata. Il capo vedendo tornare indietro gli operai, chiese loro perchè si presto ritornassero a lui. Essi risposero che avevano già eseguito i suoi comandi. Ma li avevano male intesi. Egli avea loro comandato di portare il feretro verso la Confessione di san Pietro per trasferirlo quindi nella chiesa sotterranea, e collocarlo a fianco delle ceneri della regina Cristina in un recinto preparato per riceverle interinalmente (si voleva dire “internamente”?). Il portatore della face e gli operai tornarono tosto al pilastro, ed io m'inoltrai col loro capo sino alla Confessione, la quale, com'è noto, è illuminata da 92 lampade giorno e notte. Poco tempo di poi si fe sentire il rumore del carro che s'avvicinava e che facevasi più rimbombante, perchè ripercoteva sotto la grande cupola. Il capo, che era un uomo religioso e colto, e la cui famiglia aveva molte obbligazioni a Pio VI, si disse allora, accennando il feretro che movevasi ver noi: Ecco il nostro sventurato pellegrino apostolico; quegli uomini lo fanno viaggiare anche quando è nel porto. A forza di braccia si è fatto discendere il feretro per la scala della Confessione. Il notaio, ch'erasi perduto (era colui che aveva accompagnato Artaud) nell'oscurità della chiesa, finalmente mi raggiunse, ed il capo dei san-pietrini prese allora la fiaccola e mi accompagnò ad una delle porte laterali, che aprì. Là giunto, mi rivolsi indietro a mal mio grado. Le lampade della Confessione non sembravao più che deboli lumi semi-spenti, mentre la vicina fiaccola gittava ombre gigantesche e terribili lungo l'immensità della chiesa. Consacrai un altro pensiero ai due Pontefici, né una sola parola potei proferire prima di giungere al palazzo di Francia>>.31

A sua volta, nel 1829, Pio VII fu rimpiazzato nel loculo (ma aveva già il monumento del Thorwaldsen quasi pronto) da Leone XII. Vi è testimone notturno “raccomandato” Stendhal, che descrive una scena assai poco rispettosa, molto romana, che lo ferisce molto: <<Ieri, di notte, abbiamo assistito, per uno speciale favore, ad uno spettacolo lugubre. Nell'immensa chiesa di San Pietro, alcui falegnami, alla luce di sette o otto torce, inchiodavano definitivamente la bara di Leone XII. Alcuni muratori l'hanno poi issata, con corde e con una gru, sopra la porta, al posto dov'era Pio VII. Gli operai hanno scherzato continuamente; erano battute alla Macchiavelli, argute, profonde e cattive. Parlavano come i demoni della Panhypocrisiade di Lemercier; ci ferivano. Ad una nostra compagna, che aveva le lagrime agli occhi, hanno permesso di dare due colpi di martello per battere un chiodo. Questo spettacolo lugubre non uscirà mai dalla nostra memoria; sarebbe stato meno spaventoso se avessimo amato Leone XII>>.32

Nei secoli scorsi invece i cadaveri dei papi venivano depositati provvisoriamente in speciali sepolcri collocati nei sotterranei della basilica vaticana e in svariati punti della stessa. Ad esempio il corpo di papa Paolo V Borghese in un primo tempo fu tumulato nel pilastro dinanzi al simulacro di s. Pietro. Anni prima i corpi di Leone X e Paolo III furono depositati in un vano allora collocato presso un pilastro vicino all'altare, all'incirca sotto la statua di s.Longino o della Veronica. Innocenzo XIII nel 1724 fu deposto davanti la tomba della regina Cristina di Svezia, sopra la trave della porta di una cappella, e da lì rimosso nel 1836 per far spazio al monumento a Leone XII e traslato nelle grotte vaticane in un sarcofago d'epoca romana. La salma di papa Pio VI, vittima di Napoleone, dopo Valenza tutt'oggi riposa nel modesto e precario sarcofago d'epoca romana nelle grotte vaticane: Pio XII, che aveva disposto scavi e risistemazione delle cripte sotterranee, si limitò a farvi aggiungere un semplice fregio lapideo.33

Quindi, come abbiamo raccontato, allora come oggi (fatta eccezione per il loculo dei provvisori non più esistente in San Pietro), era consuetudine ed era prescritto dai codici che quando un pontefice stabiliva in via testamentaria d'essere un giorno sepolto in un posto diverso dalla basilica vaticana, questi in un primo momento doveva essere provvisoriamente sepolto per almeno un anno in San Pietro o nelle grotte; quando poi il monumento creato per accoglierlo in altra chiesa era pronto (e non prima) poteva effettuarsi la traslazione, previa autorizzazione del pontefice regnante. Fino a quel momento doveva giacere nella sepoltura transitoria, e a questo ufficio ottemperava la nicchia dei provvisori, che però, come detto, alla morte del successore si provvedeva a liberare dal feretro del precedente defunto e a deporlo nelle grotte vaticane. Sempre che fosse in attesa un monumento dentro o fuori San Pietro, o disposizioni testamentarie del defunto sul luogo di sepoltura. In mancanza di tutto questo, nel silenzio testamentario in materia, di prassi era sepolto dentro o sotto la basilica vaticana, la collocazione e la forma della tomba lasciata alla generosità (e disponibilità economica) o del successore o di coloro che furono vicini in vita al defunto, specie i cardinali da lui creati, diversamente vi provvedevano d'ufficio la Santa Sede e la Fabbrica di San Pietro.34

3. Traslazione

Sappiamo che un papa morendo a Roma senza aver lasciato disposizioni testamentarie circa la propria sepoltura, dovrà di regola seppellirsi entro la basilica Vaticana. Ma nel caso il pontefice morisse fuori di Roma, fosse anche durante un breve viaggio, senza aver lasciato in alcuna forma istruzioni a proposito della propria sepoltura, allora il corpo sarà sepelto nella chiesa cattedrale della città dove è spirato (questo un tempo, adesso probabile si disporrebbe comunque il ritorno a Roma della salma). È il caso di Gregorio VII che morì a Salerno e tutt'oggi riposa a san Matteo, cattedrale della città; Lucio III spirò casualmente a Verona ed è sepolto nel duomo 35; Urbano III riposa nel duomo di Ferrara dove gli capitò in sorte di cessare di vivere. 36

E' chiaro che il papa può scegliere a suo criterio qualsiasi chiesa o altro luogo per esservi tumulato, e nessun luogo dell'Orbe che ricade sotto la giurisdizione della Santa Sede può (per assurdo) opporgli alcun rifiuto.

Eccettuato Pio VI, per l’eccezionalità e anomalia della sua situazione, poichè morì in esilio in Francia sotto Napoleone ma poi il corpo fu riportato in Roma dal successore nel 1802, le ultime tre traslazioni papali da San Pietro risalgono l’una, dimessa e persino misera, al 21 gennaio 1802 per Clemente XIV Ganganelli (andato in decomposizione spaventosa appena morto nel 1774, fu ritrovato alla esumazione incredibilmente in ottimo stato) verso la chiesa dei Santi Apostoli, in un monumento fattogli costruire da un commerciante sabino per gratitudine; l’ultimo trasporto verso un’altra chiesa risale a 80 anni fa, 1928, quando dopo circa venti anni di sepoltura provvisoria in San Pietro, il grande Leone XIII, per sua volontà testamentaria, fu sepolto nella cattedrale dei papi, il Laterano, non appena lo splendido monumento che lo raffigura benedicente e in tutta la sua maestà avvolto in un trionfo di paramenti pontificali e coronato di tiara (che tanto si abbinava al suo spirito regale e alla sua figura ieratica, come dopo di lui solo Pio XII seppe incarnare) fu ultimato 37. Prima di lui c'era stato il caso di Pio IX, che aveva indicato san Lorenzo fuori le Mura37bis come ultima dimora, dove giunse a tre anni dalla morte: fu la traslazione più turbolenta e memorabile per quanto semi-clandestina (ma la notizia si sparse) che si ricordi, in cui, fra ulteriori traversie oltraggiose, si tentò anche di rovesciare l’augusto corpo di Pio IX nel Tevere da Ponte Sant’Angelo, nella notte del 12 luglio 1881 ad opera di fanatici liberali antipapalini.38

Ad ogni modo, quando il pontefice moriva in Roma, in un posto diverso dal Vaticano, doveva obbligatoriamente essere portato in San Pietro per le esequie. E in san Pietro doveva essere sepolto. Sempre che il papa non avesse indicato fra le sue volontà altra chiesa come luogo eletto per la traslazione delle sue spoglie. Fermo restando le condizioni prima elencate, di sepoltura provvisoria in San Pietro per almeno un anno o fino a ultimazione del monumento altrove destinato con onore ad accoglierlo. Prima d'effettuare la traslazione si doveva provvedere alla ricognizione canonica del cadavere. Naturalmente prima d'effettuare simili operazioni, occorreva chiedere l'autorizzazione al pontefice regnante.39

Molte cose curiose sono accadute in occasione delle ricognizioni dei cadaveri papali o durante le traslazioni.

Nel 1773, secondo le intenzioni del defunto Benedetto XIII Orsini40, si provvide a estumularne il corpo da san Pietro per essere traslato alla chiesa dei suoi confratelli domenicani a santa Maria sopra Minerva, nel più sfarzoso monumento funebre mai realizzato per un papa, e che al contempo così poco corrispondeva al suo spirito schivo, spartano, bisognoso di poche essenziali cose, lontano da ogni richiamo mondano. Come i codici disponevano, si provvide all'apertura della triplice bara e alla ricognizione del cadavere. In questa occasione i prelati presenti vollero ciascuno prelevare dal cadavere ben conservato, salvo qualche macchia di muffa sull'epidermide e il colore cereo-grigiastro, un ricordo del papa che un tempo conobbero, dando inizio all'ennesima spoliazione di un pontefice morto. “Un cardinale s'appropriò il velo che sin allora aveva coperto il volto del defunto, altri gli strappò dal pallio una croce. Vi fu chi gli cambiò uno spillone, e chi portò via un pezzetto di pianeta. Essendogli poi state poste le scarpe nuove, perché quando fu sepolto le altre gli erano state rubate insieme con le calze, poco dopo gli furono tolte dai piedi nel serrare la cassa”.41 Francesco Valesio nel suo settecentesco Diario di Roma fa notare però che i prelati che si impossessarono di tali suppellettili di papa Orsini, lo fecero per la venerazione che nutrivano per quell'uomo che fu papa, e papa di una condotta di vita esemplare, dedito soprattutto agli uffici sacri42 e ignaro di quelli temporali. Ancora il Valesio scrive: <<Il cardinale camerlengo volle la mitra, il cardinale Fini, già favorito del defunto, il velo che gli copriva il volto, ed il cardinal Ottoboni, nepote d'Alessandro VIII e da lui ordinato, l'anello. Ognuno però recò al morto nuove e migliori le cose tolte>>.43

Molti furono i papi in un primo momento tumulati in Vaticano e traslati poi definitivamente in altre chiese di Roma, spesso seguendo il filo della parentela fra due papi, cioè prediligendo chiese e cappelle legate al proprio casato o alla sepoltura di antenati divenuti papi. In tali occasioni si tenevano durante il trasferimento solenni celebrazioni e affollati cortei d'accompagnamento, si leggevano orazioni funebri e s'elevavano sontuosi catafalchi.44 .Fra le più celebri e sontuose traslazioni si possono ricordare quella del 6 giugno 1542, in cui l’operoso papa Paolo III diede il nulla osta alla traslazione dei feretri dei due papi medicei, Leone X e Clemente VII, nella basilica dei domenicani di Santa Maria della Minerva. La trionfale traslazione capeggiata dal cardinale Montalto, già cardinale nepote, il 26 agosto 1591 del corpo di Sisto V verso la basilica liberiana di Santa Maria Maggiore, che ci fu descritta da Baldo Caetani; e ancora quella del grande Paolo V Borghese il 22 gennaio 1622, nella stessa basilica, di cui parla Lelio Guidiccioni; anche il trasporto della salma del religiosissimo Benedetto XIII fu davvero magnifico il 22 febbraio 1735 presso la basilica delle Minerva, accuratamente annotata nel Diario di Roma del Chracas. Ma insuperato fra tutti, per sfarzo, sontuosità, solennità e affollamento resterà la gloriosa traslazione del più importante papa dell’epoca rinascimentale, Pio V, da San Pietro verso Santa Maria Maggiore, a cui intervenne di persona il successore Sisto V incorniciato da 44 cardinali: ce ne informa il cerimoniere pontificio Paolo Aleona.45

Altri casi di traslazione furono: Onorio IV portato a S. Maria in Aracoeli; i parenti Piccolomini, Pio II e Pio III a S.Andrea della Valle; i Borgia Callisto III e suo nipote Alessandro VI in S.Maria di Monserrato. Un esodo di cadaveri papali avvenne all'abbattimento dell'antica basilica costantiniana, per costruire la nuova gloriosa San Pietro; in questa occasione, oltre all'apertura di tutti i sepolcri papali presenti, si assistette anche alla manomissione e vera e propria distruzione della maggior parte delle tombe, talora monumentali, accumulate per secoli nella vecchia basilica costantiniana. Soltanto pochi papi che ebbero la fortuna d'avere ancora in vita le proprie famiglie, tipo i papi Piccolomini, furono collocati in un altro decoroso sepolcro. Altri pochi privilegiati furono posti in salvo da orgogliosi loro concittadini o estimatori. È avvenuto così per i succitati papi Borgia, trasferiti in Monserrato da mons. Gianbattista Vives per volontà del regno di Valenza. A qualche altro sepolcro capitò di passare (quasi) illeso dalla vecchia alla nuova San Pietro, come nel caso di quello di Innocenzo VIII e Sisto IV 46... ma qui i monumenti dei papi Cybo e Della Rovere erano ciascuno un blocco unico fuso in bronzo, per di più opere del già allora celeberrimo Pollaiolo, e queste furono le ragioni della loro salvezza e permanenza anche nella nuova basilica (benchè poi la tomba e la salma di Sisto IV nel XX secolo verranno dal loro posto rimosse e separate). I restanti superstiti sarcofagi della vetero basilica con le rispettive salme, magari insieme a qualche frammento-ricordo del marmo del monumento funebre che fu, furono calati nelle cripte 47: quelli di Innocenzo VII, Innocenzo IX, Bonifacio VIII, Niccolò III, Niccolò V, Callisto III (senza la salma), Adriano IV ecc., e lì tuttora li ritroviamo.48

4. Trasporto solenne dei papi deceduti al Quirinale

Finché durò il potere temporale dei papi, molti di essi morirono nella sede politica dei pontefici (quella spirituale era il Vaticano), il Quirinale, detto una volta anche Palazzo di Monte Cavallo. Il primo della serie a risiederci e a morirci fu Sisto V (+1590); Gregorio XVI (+1848) fu l'ultimo.49 Lì ci morirono anche Gregorio XV, Alessandro VII, Innocenzo X, Clemente XII e XIII e XIV, Pio VII. Da Pio IX in poi , in seguito alla presa di Roma da parte dei piemontesi nel 1870 col Quirinale che fu adibito a reggia per i Savoia, tutti i papi sono deceduti nel Palazzo Vaticano (eccettuati Pio XII e Paolo VI che morirono nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo).50 Il Moroni ci fa capire che riteneva normale che il papa morisse al Quirinale, tuttavia non escludeva che eccezionalmente potesse venir meno in Vaticano.51

Dopo che i chirurghi avevano compiuto il macabro ufficio finalizzato all’imbalsamazione dell’apertura del cadavere del papa per l’estrazione dei precordi, anche al Quirinale lo si vestiva con sottana di lana o di seta bianca, fascia serica, rocchetto, mozzetta cremisi in genere bordata d’ermellino sulle spalle e camauro cremisi ermellinato, pantofole rosse con croce in conottiglia d’oro sul dorso, crocifisso e rosario fra le mani; talora gli si poneva la stola. Sistemato il corpo su una barella elegantemente adattata a bara, sediari e palafrenieri lo portavano a spalle generalmente nella Sala del Concistoro del palazzo. L’augusta salma allora veniva adagiata sopra un letto funebre foderato di una coltre rossa di pesante broccato, bordata di ricami dorati, il tutto sormontato da un pesante baldacchino dello stesso tessuto della coltre. Ai quattro lati quattro grossi ceri.52 Così rivestito e composto, custodito dalle guardie nobili, all’incessante salmodiare dei penitenzieri, veniva lasciato alla venerazione o curiosità del popolo romano.: <<La sera, a un’ora circa di notte [sic!], aveva inizio il trasferimento dal Quirinale verso la Cappella Sistina vaticana. Il corpo era posto in una magnifica lettiga, ed all’uscire dalla sala se ne copriva il capo con il cappello rosso. Giunto a piè delle scale, era trasportato processionalmente dal Quirinale al Vaticano, seguendo l’itinerario di San Silvestro, Monte Cavallo, piazza Venezia, Cesarini, Parione, Banchi, Ponte sant’Angelo e Borgo Nuovo… Il corteo, composto quasi esclusivamente di soldati, sembrava certamente più appropriato ad un re guerriero che ad un umile pastore d’anime>> scriveva il Cecchetelli-Ippoliti nel 191953; tuttavia bisogna ricordare –all’Ippoliti sembra sfuggito- che il papa, guerriero o meno, era davvero un re, e di uno stato importante; e che esso non era proprio “un semplice pastore d’anime”, e ben difficilmente si sarebbe considerato solo tale un pontefice, e infatti era molto di più. Del momento di questa trionfale e drammatica (se non fosse stato il popolo romano assuefatto a tutto e distaccato da tutti) traslazione per le vie della Città Eterna, troviamo testimonianza in due famose incisioni d’epoca: una rappresenta il corte alla morte di papa Innocenzo XII, l'altra quello della salma di Clemente XII Corsini, messa in vendita all'epoca dalla stamperia Neri di Roma.54

Il corteo era formato ordinatamente da queste figure:

<<Cavalleggeri incaricati di tenere le strade sgombre dalla folla; famigli della stalla pontificia con torce a vento; parte della guardia svizzera col suo capitano a cavallo ed un ufficiale in mezzo a due altri che portava la bandiera piegata ed una spada appoggiata alla spalla; un maestro di cerimonie a cavallo; molti palafrenieri di Palazzo a piedi con livree rosse e ferraioli pavonazzi e con in mano torce accese; la lettiga, foderata di panno cremisi con trine d’oro, aperta da tutti i lati fuorché di dietro, trainata da due mule bianche, entro cui stava adagiato il corpo esanime del papa vestito come s’è detto sopra. Circondavano il feretro, recitando preci, i padri Penitenzieri di s. Pietro con altre torce accese, e i lettighieri di sua Santità che camminavano a lato della bara. Alla lettiga faceva ala pure la guardia svizzera, cui seguivano le alabarde, che chiudevano in mezzo i Decani del defunto, con torce accese ed il maestro di stalla a cavallo. In appresso sette carri tirati da cavalli, con altrettanti pezzi di cannoni e con gli Svizzeri a fianco, che portavano moschetti e miccia accesa su le aste. Chiudevano il lungo corteo due compagnie di cavalleggeri e di corazzieri coi loro ufficiali alla testa: i primi con banderuole avvolte sulle aste e la pistola con la bocca rivolta a terra, e gli altri con busti di ferro e spada nuda con punta parimente in basso: ambedue con le proprie insegne avviluppate nelle aste. Durante il percorso le trombe suonavano in sordina, e battevano i tamburi scordati...>>. 55

Artaud de Montor il 22 agosto 1923 assiste incantato al trasporto della salma di Pio VII, e, con qualche variante annota: <<Alle ore nove della mattina del susseguente giorno 22, il Papa venne trasportato al Vaticano. Il corteggio, preceduto da uno squadrone di cavalleria e dal numeroso stuolo de' suoi servitori con torce accese, inoltravasi lentamente fra mezzo alla calca: era composto principalmente dalla guardia nobile, dalla guardia civica, dalla guardia svizzera e dai diversi corpi della guarnigione di Roma, con sette pezzi d'artiglieria e loro cassoni. Seguiva il corpo del pontefice, col viso scoperto, su una lettiga sormontata da un baldacchino e portata da due mule. I primari officiali della sua casa ed i dodici penitenzieri di San Pietro l'attorniavano, ma non era accompagnato da nessun altro sacerdote in abito ecclesiastico, né sentivasi alcun canto religioso. La testa era coperta del cappello pontificio. Al suono di una musica guerriera, e con un apparato che sembrava annunziare i funerali d'un generale d'eserciti piuttosto che quelli d'un sommo Pontefice, Pio VII entrò in San Pietro: ma tale è l'uso>>.56

Ora si era giunti in piazza San Pietro con tutto questo trionfale codazzo, che accompagnava il defunto pontefice sino alle soglie della scala di Costantino in Vaticano, dove i sediari e i palafrenieri cingendolo con cura lo toglievano dalla portantina e adagiato su un cataletto veniva portato nella gloria della cappella Sistina. Ricominciava daccapo il rito della “spoliazione e vestizione”: i penitenzieri gli toglievano la mozzetta e il camauro, gli lasciavano indosso solo la talare bianca e il rocchetto; con leziosità e scrupolo (ma non sempre) veniva allora rivestito degli abiti pontificali “come per celebrare”, come volle Innocenzo III specificare per sempre, cioè come dovesse accingersi a presiedere una solenne cerimonia liturgica, un pontificale; postagli a conclusione sul capo la mitra di lamina d’oro, veniva collocato su un altro letto funebre, un alto catafalco più o meno, con grosse torce accese attorno, custodito dalla guardia svizzera, vegliato e “assistito” dai padri penitenzieri che recitavano in coro preghiere in suffragio dell’anima dell’augusto defunto.57

Passava sotto gli affreschi di Michelangelo una nottata. Giunto il mattino, il Capitolo e il clero della basilica vaticana saliva verso la Sistina per ricevere in consegna dalle mani dei penitenzieri il corpo del papa. Si univano processionalmente a questo passaggio i cardinali in coro , che al loro ingresso in cappella venivano accolti dal maestoso responso “Subvenite, sancti dei” dei cantori pontifici; un canonico anziano recitava ad alta voce il Pater Noster, ancora una volta (a conclusione di un rito e all’inizio di una nuova fase rituale, segnata dal passaggio del sacro corpo in altre mani) s’aspergeva la salma con acqua lustrale e si recitavano le preghiere di rito. 58

La lettiga funebre con la salma del pontefice veniva sollevata da otto sacerdoti della basilica, <<che lo calavano giù in chiesa, facendo atto di sostenerlo alcuni canonici>>59: iniziava così l’ennesima lugubre e splendida processione: in testa il Capitolo ed il clero con croce e torce accese, seguivano i cardinali con cappa paonazza, quindi i prelati in sottana e mantelletta nera (portata in segno di lutto per tutta la durata della sede vacante) che declamano i salmi e le preci dei defunti.

Come abbiamo già raccontato, non fu raro che un papa stabilisse che dopo la sua morte i suoi resti venissero traslati in una chiesa diversa da San Pietro, cosa possibile dopo almeno un anno di giacenza del feretro nella nicchia delle sepolture provvisorie; dopodiché, col nulla osta del pontefice regnante, provveduto all’edificazione di un almeno decorosa tomba altrove, si disponeva, dopo la ricognizione del cadavere papale, ad un secondo corteo funebre verso il luogo della inumazione definitiva; corteo che però questa volta, rispetto alla traslazione dal Quirinale, era eminentemente sacro: era infatti composto dal clero, istituti religiosi e di beneficenza, dalle opere pie e dagli ospizi. Mancavano gran parte delle rappresentanze militari pontificie: la traslazione dei resti di un antico papa, regnante un altro, non era più il trasporto del corpo morto di un “re”, ma semplicemente delle “Ceneri di Pietro”; il corpo del papa anticamente defunto deteneva ancora la “dignità che non muore” che gli derivava dalla successione apostolica, ma non aveva più la potestas papae e le prerogative della sovranità che per intero adesso incorporava il successore vivente e regnante. Per questo il corteo funebre era “eminentemente” sacro e senza insegne militari. Di questi affascinanti ennesimi funerali ne troviamo descrizioni abbondanti e particolareggiate nei diari dei cronisti del tempo.

NOTE

1 AA.VV., Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004, p.74; Boccardi Storoni P., Storia della basilica di San Pietro, Pavia 1988, pp.37-58; Galassi Paluzzi C., La Basilica di San Pietro, Bologna 1975, pp. 41-56, 77-9, 87-91,161-8.

2 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del Papa, Torino 1994, p.157; Santolaria J.A., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, pp. 66-69, qui l'autore fa risalire le origini della vicenda a qualche anno prima, cioè all'elezione di Gelasio II nel 1118; tuttavia riteniamo più riscontrabile ed esatta la ricostruzione di Paravicini.

3 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.158-9.

4 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.158-60.

5 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.161.

6 Da non confondere col sacramento della confessione: si intende coloro che nei primi secoli professarono e praticarono santamente la fede cristiana senza subire il martirio.

7 Rieditata nel 1946 a cura di Valentini e Zucchetti, Il Codice topografico della città di Roma, 3 voll,, Roma 1946, III, pp. 397, 395.

8 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.199.

9 In Bertelli C., Traversie della tomba di Clemente IV, in “Paragone”, 1969 (luogo non indicato), pp.53-54.

10 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 200; per altri particolari sulle tombe e la morte di tutti i papi citati in questo paragrafo, per il XIII sec., vedi Gregorovius F., Le Tombe dei papi, Roma 1879, pp. 64-6.

11 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.200, 214; Kelly J., Vite dei Papi, Casale Monferrato 1995, p. 346.

12 Kelly J., Papi, cit., p.360.

13 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.200.

14 Mollat G., The popes at Avignon, London 1963, pp.154-61, 315-8, 393; Kelly J., Papi, cit., pp.377-80.

15 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.238.

16 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., pp.200-1; Paravicini Bagliani A., Le Chiavi e la Tiara, Città di Castello 1998, pp.88-90.

17 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 202.

18 Moroni G., Dizionario, alla voce Cappella, citato in AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.75.

19 Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, I, p.149, l'ultima affermazione è assai discutibile e arbitraria.

19a Teste L., Prèface au Conclave, Paris 1877, pp. 321-22.

19b Cecchetelli-Ippoliti R., La Basilica vaticana tomba dei pontefici di Roma, in rivista Il Nuovo Patto, anno III n°3, Roma 1920, pp. 12, 16.

19c Galassi-Paluzzi C., La Basilica di San Pietro, cit., pp. 258-63.

20 Artaud de Montor, Storia di Pio VII, 3 tomi, Milano 1865, III, p.274.

21 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.29-30.

22 Pare dalla rara foto che compare nel libro AA.VV., Pio X, un papa e il suo tempo, a cura di G.Romanato, Cinisiello Balsamo 1987, p. 285

23 Qualche anno dopo Giovanni XXIII che gli era succeduto come patriarca di Venezia e Papa, dispose una cosa mai accaduta prima d'allora: il corpo del papa santo fu portato per qualche settimana a Venezia e lì esposto, per tenere fede alla promessa dell'allora patriarca Sarto che partiva per il conclave che lo avrebbe eletto papa: <<Vivo o morto, ritornerò a Venezia!>>. Accadrà anche con il corpo di Pio IX che sarà portato in pellegrinaggio nelle sue Marche. AA.VV., I Papi del XX secolo, a cura di F.Molinari, Cinisello Balsamo 1990, p.215; Occelli P., Il B. Pio X Papa, Roma 1951, pp. 142-4.

24 Montini G.B., Lettere ai familiari 1919-1943, a cura di Nello Vian, 2 voll., Brescia 1986, pp.11,124; Cremona C., Paolo VI, Milano 1991, p.72.

25 Per ulteriori particolari sulla sepoltura nelle Grotte in un sarcofago provvisorio di legno dipinto di Pio XI, si veda il Corriere della Sera n°38, del 14, 02, 1939.

26 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.75

27 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.30

28 Primo papa a disporre l'inumazione sotto il livello del pavimento in San Pietro -eccezione per Leone Magno che già vi si trovava ma non per sua decisione-; si dovrà attendere Paolo VI, 250 anni dopo, per una decisione simile, realizzata però nelle grotte vaticane. Si veda Noè V. Le tombe e i monumenti funebri dei papi nella basilica di S.Pietro in Vaticano, Modena 2001, pp. 101-7.

29 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.36.

30 Intanto vi fu collocata la splendida statua del Canova -sua ultima opera, morirà durante la realizzazione, rifinita poi dagli allievi- che lo raffigura in ginocchio; rimossa negli anni '60 e traslata in un punto delle grotte, lontana comunque dalla cappella dove è sepolto in un sarcofago. Noè V., Le Tombe e i monumenti, cit., pp.313-20; Galassi-Paluzzi C., La Basilica San Pietro, cit., pp.185, 286,345, 417; Artaud de Montor, Pio VII, cit, pp.208-23.

31 Artaud de Montor, Pio VII, cit., III, pp.274-6.

32 Stendhal, Passeggiate romane, cit., III, p.297.

33 Noè V., Le Tombe e i monumenti, cit., pp.316-20.

34 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp. 29-30.

35 Il sarcofago tuttavia dovrebbe essere vuoto, a detta del canonico del duomo, con cui ho interloquito; anzi il duomo conserva di fatto solo una lapide tombale, manca una vera tomba.

36 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.34

37 L’Ippoliti, scrivendo il libro nel 1919 ancora non aveva assistito alla traslazione di Leone XIII nel 1928. Cecchetelli-Ippoliti, Riti funebri, cit., p.19

37bis Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.34

38 Retta dai francescani, a sua volta papa Mastai prese i voti da terziario di quell'ordine, come i mosaici nella sua cappella funeraria dimostrano ritraendolo in abiti pontificali, con sopra il rocchetto allacciato il cordone dei figli di Francesco d'Assisi. Queste informazioni mi sono state rese dal padre guardiano, padre Sergio, nonché decano del convento francescano annesso alla basilica, che gentilmente m'ha concesso di visitare la cripta e vagliare da vicino la salma di Pio IX.

39 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp. 20, 35.

40 Che prima d'essere papa era stato padre domenicano e aveva avuto residenza nel monastero attiguo a santa Maria della Minerva sede generalizia dei Predicatori scalzi di san Domenico, ove è sepolta anche la grande “Catharina” da Siena, terziara domenicana, potenza femminile del cattolicesimo medievale e fustigatrice temuta della chiesa corrotta dei suoi tempi, che da sola riuscì a riportare il papa da Avignone definitivamente a Roma. Papa Orsini al momento dell'elezione era cardinale arcivescovo di Benevento. Si veda Pastor L., Storia dei papi, 16 voll, Roma 1942, XV, pp. 633-7.

41 Valesio F., Diario di Roma, 1700-1742, 6 voll, Milano 1979, V, pp.571-2

42 Una delle sue passioni era oltre a celebrare personalmente la messa anche fuori dalla cappella privata- come era consuetudine per i papi fino a Giovanni XXIII, che mai celebravano in pubblico salvo i solenni pontificali – e consacrare altari, come in molte chiese di Roma delle targhette dell'epoca ricordano: “un papa deve morire col piviale sulle spalle” era solito dire il vecchio Benedetto XIII. Pastor L., Papi, cit., XV pp. 493-99, 633-7.

43 Valesio F., Diario di Roma, cit., V, pp.571-2

44 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.36

45 Cecchetelli-Ippoliti R., La Tomba di Sisto V nella basilica liberiana, Roma 1923, pp. 12-17.

46 Tuttavia quest'ultimo non si salvò del tutto in seguito, Noè V., Le Tombe e i monumenti, cit., pp.148-52, 203-6, 370-8.

47 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.36; Cecchetelli-Ippoliti R., La Basilica vaticana tomba dei pontefici di Roma, in rivista Il Nuovo Patto, anno III n°3, Roma 1920, pp.11-18.

48 A proposito di moltissimi di questi spostamenti dei feretri papali, vi è un grosso volume, conservato nella biblioteca vaticana, quasi per intero manoscritto da un celebre abate, Francesco Cancellieri, che racconta in dettaglio delle solenni (e non sempre lo furono) traslazioni di ben 70 papi defunti, sino a Pio VI: Notizie cronologiche della tumulazione dei cadaveri di LXX pontefici dalla città, chiese e cimiteri, da san Pietro sino a Pio VI. Cod. Vat., 9156. Purtroppo non abbiamo avuto la possibilità d'accedervi.

49 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.70

50 AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.70

51 Moroni G., Le Cappelle pontificie, in questo caso citato in AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.70.

52 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.13

53 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.18

54 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.18

55 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp. 18-19.

56 Artaud de Montor, Pio VII, cit., III, p.272.

57 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.19.

58 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.19.

59 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.19.

Capitolo ottavo
Alcuni casi esemplari

LA MORTE Più MISERABILE. <<Nessun mendicante, anzi nessun uomo muore in modo così miserabile e vile come un papa>> diceva uno dei primi seguaci di San Francesco, fra' Mansueto. Ci riflette su anche il protestante Gregorovius nei suoi scritti sulle tombe dei papi. Triste fu infatti la sorte di molti papi. Proprio nei secoli del massimo splendore del papato s'assiste a spettacoli nella stessa misura squallidi. A ricordare ancora una volta a tutti, specie a chi è arrivato con ogni mezzo più in alto d'altri che... sic transit gloria mundi proprio perchè qui in terra omnia nihil est. Tutto è illusione, dice l'Ecclesiaste. Molti papi se lo scordarono, o se ne ricordarono solo in hora mortis. Eppure resta per noi difficile immaginare a pieno il cinismo d'altri tempi e d'uomini di generazioni lontanissime dalla nostra, soprattutto ci è difficile rassegnarci. Difficile capire come preti d'ogni gerarchia e famigli addetti alla sacra persona del Vicario di Cristo, quantunque potesse essere il pessimo fra i peccatori, durante la sua “lunga morte” potessero tradirlo sino a tal punto, offenderlo e peggio ancora girargli intorno con la smania di una mosca sarcofaga o guardarlo con tanta indifferenza, distratti dal mercimonio che scaturiva da quelle lasse carni inerti. Papi medioevali e rinascimentali soprattutto, che appena morti o persino ancora agonizzanti derubati di tutto, lasciati senza cure e senza veglianti e senza mutande; momenti che dovevano essere (ai tempi di Pier Damiani) di “terrore”, di ammonimento per l'universo mondo poiché “anche Pietro muore” e figurarsi gli altri, o se non altro solenni o almeno sacri, diventavano invece un baratro oscuro di indegnità, erano invece spogliati d'ogni decoro e decenza, discesa nella barbarie e ad una sorta di cannibalismo cortigiano, qualcosa da mondo alla rovescia venuto fuori da un quadro di Bosh. Come potevano tutti questi personaggi (gente consacrata quasi sempre) sudditi e figli in Cristo del papa morente, lasciarlo agonizzare, senza pietas e senza charitas, senza preghiera e magari neppure conforti religiosi, lui che era il capo religioso dell'universo? non pensavano che il pontefice era Pietro ed era il Vicario di Cristo?

Quindi non tutte le salme papali ebbero solennissime esequie e sepolture “con onore”, cura e rispetto per i resti mortali. Alcuni cadaveri subirono l'ingiuria e i sacrilegi più infami: talora se non furono fatti materiali a recare offesa al defunto, furono le leggende nere che si costruirono sul cadavere del papa.

Riportiamo quattro casi esemplari: Silvestro II, Clemente V, i papi Borgia, Innocenzo X.

Silvestro II

A questo punto 1, bisogna ricordare un fatto inquietante risalente al 1003, ma che all'epoca doveva apparire ordinario e per nulla scadaloso se praticato per i personaggi di prestigio. La distruzione, anzi lo smembramento del cadavere del defunto, nel nostro caso del papa, per sua stessa volontà testamentaria. Il papa che si sottopone a simile trattamento è il papa “mago” Silvestro II, pontefice dell'anno Mille. Ma siamo ancora a tre secoli prima che Bonifacio VIII pubblicasse la severa Detestande feritatis scritta per condannare proprio simili atroci consuetudini: rimase famoso il caso di un vescovo di Viterbo che aveva ordinato in testamento d'essere alla sua morte tagliato in pezzi e bollito, di modo da poter essere traslato nel lontano luogo prescelto per la sepoltura senza incorrere nel rischio della decomposizione 2. Il fine era, in quest'ultimo caso, pratico, come si vede. Nella vicenda di Silvestro II, invece, vi era una valenza oltremodo autoumiliatoria, che sorge anche dalle molte sconfitte che negli ultimi tempi della sua vita, irrimediabili dopo la morte del suo protetto e protettore, il giovane imperatore Ottone III.

Il tutto nasce da una delle leggende nere e auree che il Papa dell'anno Mille fece germogliare intorno a sé, fin oltre la morte. Una di queste è una incantata, fiabesca Vita riscritta nel XII secolo da Guglielmo di Malmesbury, una vera leggenda 3. Che giunta nelle ultime pagine, ricostruisce gli ultimi istanti di vita di Silvestro, e racconta che, forse in seguito a sue pratiche diaboliche e conoscenze dei segreti degli astri, Gerberto interrogando una statua poteva,4 in determinate circostanze astrali, sapere del suo futuro, a secondo dei cenni che questa faceva con la testa. Alla domanda del papa “morrò prima di cantare messa a Gerusalemme” 5 ? La statua disse “no”. Il papa ne fu rinfrancato, immaginando lontana la sua morte, essendo che non aveva in programma per l'immediato di visitare la Città Santa. Purtroppo gli sfuggiva che a Roma v'era una famosa basilica chiamata Gerusalemme: i papi vi celebravano messa nelle tre domeniche dette, a quel tempo, Statio ad Jerusalem. Silvestro vi andò a cantar messa una di queste domeniche. Finita la messa, avvertì i presenti che non si sentiva bene, e si mise a letto. Interrogò la statua ancora: la statua gli fece notare che egli aveva interpretato male il suo precedente presagio, e che stava per morire 6. <<Gerberto fece chiamare i cardinali. Pianse a lungo i suoi crimini. Poi, fra lo stupore e il silenzio dei partecipanti, ordinò, furioso, inebetito dal dolore, che il suo corpo fosse fatto a pezzi, che i brandi fossero gettati fuori dal palazzo. Che colui, diceva, che ha cercato l'omaggio delle mie membra ne sia servito; perchè mai la mia anima ha preso parte a tal giovamento, o piuttosto a tal sacrilegio>> 7. La leggenda si chiude così, ma qualcosa di vero ci deve essere se la medievalista biografa di Silvestro II, Trystram, scrive subito dopo: <<Così si conclude la leggenda, tal quale fu trascritta e definitivamente formata da Guglielmo di Malmesbury. Bisogna aggiungere un ultimo punto che il poema non menziona: Gerberto era stato sepolto, tagliato a piccoli pezzi secondo le sue volontà, a San Giovanni in Laterano>>8.

Ma come ebbe allora sepoltura al Laterano Silvestro? Fu veramente spezzettato? Proviamo a capire. Gregorovius aggiunge altri particolari della leggenda nera, circa la sera dell'agonia alla basilica Gerusalemme: il papa avrebbe chiesto ai presenti sgomenti che appena fosse morto, e il suo cadavere fatto a pezzi <<com'ei si meritava, lo caricassero su d'un carro a due ruote, e lo sotterrassero colà dove i cavalli abbandonati a se stessi lo avrebbero trasportato>>; naturalmente s'arrestarono “presso la basilica lateranense”, dove trovò finalmente riposo eterno ciò che rimaneva del corpo del gran papa scienziato9. Un'altra leggenda nera afferma invece che il cadavere di Silvestro, non solo fu spezzettato, ma anche divorato dai corvi10, simbolo sinistro all'epoca, quasi emissari del Maligno, che insieme a “fetenti” avvoltoi accorsero a contendersi gli arti disgiunti, mentre il tronco amputato di Silvestro sarebbe stato scarrozzato fino al Laterano per esservi inumato onorevolmente.11

Non disponendo degli atti né di tracce bibliografiche della esumazione (probabile ve ne sia stata più d'una) in Laterano del corpo di Gerberto d'Aurillac, papa Silvesto II, possiamo dunque stabilire con certezza se davvero il corpo del pontefice fu in quel modo disumano macellato? Di certo la sua tomba rimase distrutta in un incendio12, quindi nuovamente ricostruita in epoca rinascimentale. E abbiamo un altro indizio: secondo uno storico spagnolo, J.M. Laboa, Silvestro II è stato esumato l'ultima volta nel 1909: quando si aprì la tomba, con grande meraviglia i presenti per pochi istanti poterono contemplare, dopo un millennio, i tratti dell'antico papa, il cui cadavere s'era mantenuto piuttosto intatto; con la stessa, se non maggiore, meraviglia i medesimi testimoni assisstettero nei medesimi istanti all'improvviso dissolversi del cadavere del papa “mago” in un nugolo di polveri (chiuso sotto vuoto per secoli, l'improvviso contatto con gli agenti atmosferici esterni fecero polverizzare i resti). Rimase solo l'anello pontificale, illeso sopra il mucchio di ceneri finissime13. Questo fatto polverizza in un istante anche le lontane leggende sopracitate, sullo smembramento del cadavere di Silvestro II, il primo papa francese, il papa dell'anno Mille.14 Ma in realtà Laboa, fra gli autori consultati, è il solo a sostenere questa esumazione e questi fatti come avvenuti nel 1909. Risulta, a conti fatti, più credibile la versione che fu Innocenzo X a ordinare l'esumazione del predessore dell'anno Mille, nel 1648 15. All'epoca era in corso la piena riabilitazione, intellettuale e religiosa soprattutto, di Gerberto, specie ad opera di personaggi coltissimi e di prima grandezza, tipo il Bellarmino, i domenicani Bzovio e Ciaconio, il medico Naudiè. Esiste una relazione su questa esumazione, opera del Rasponi, in cui si legge che sollevato il marmo e aperta la cassa, il papa apparve integro in tutte le sue parti, a dispetto della leggenda che lo voleva squartato, rivestito di tutto punto, compresa -così è scritto, per quanto improbabile - la tiara16. La definitiva conferma viene da un testimone onnipresente a Roma dal 1608 al 1670, le cui cronache quasi mai sono state smentite, Giacinto Gigli, che nel suo famoso Diario, scrive: <<In questo tempo per ordine di Papa Innocentio X, fu dato principio a restaurare la Basilica di S.Giovanni Laterano, et fu scoperto il tetto delle Navi minori dalla parte a piè della chiesa, e furno levati alcuni Depositi (intende sarcofaghi), e memorie di diverse persone, et fra li altri furno aperte le sepolture di Papa Benedetto, et di Papa Silvestro II. Il corpo del quale stava intiero, ma nel toccarlo, andò in cenere, et furno portati in sacrestia>>. Scrive in data 28 gennaio 1647. Il diarista scrive all'accadere degli eventi, in diretta diremmo oggi, e proprio per questo possiamo, giunti alla fine, con sufficiente tranquillità stabilire che questa è la versione più attendibile sul caso esumazione di Silvestro II 17. L'ultimo dubbio ci resta circa quella data tirata fuori dal Laboa, 1909 quale anno della esumazione e istantanea polverizzazione del corpo di Silvestro II. Crediamo di aver trovato la risposta a simile affermazione, che nasce da un equivoco dello storico spagnolo. Nelle note dei curatori del Diario del Gigli 18 vi è scritto: <<Al secondo pilastro della navata intermedia è il cenotafio di papa Silvestro II, erettogli dall'ungherese Frakknoi nel 1909, in memoria del fatto che quel papa patrocinò la nomina di s.Stefano a re d'Ungheria>> e continuao poi dicendo che sul monumento del 1909 vi è ancora collocata la lapide dell'antica sepoltura di Gerberto. Da questo si capisce che, nel 1909, papa Silvestro fu sì riesumato, ma per la seconda volta dopo il 1647. In questa seconda apertura, si deduce, si ritrovò quanto avevano lasciato all'epoca di Innocenzo X: ceneri e un anello pontificale, bella metafora che congiunge i due assiomi medievali : “anche il papa muore” (le ceneri) e sulla “dignità che non muore”(l'anello). 19

NOTE

1 Per la leggenda sul suo sepolcro “ammonitore” si veda il capitolo sui riti autoumiliatori, dove è riportata per intero.

2 Ne abbiamo discusso nell'inizio, nel paragrafo Sepolcro premonitore, ove rimandiamo per la bibliografia.

3 In Trystram F., L'Anno Mille, Milano 1984, pp.370-4, per il resto ne abbiamo discusso nell'inizio, paragrafo Sepolcro premonitore, ove rimandiamo per ulteriore bibliografia.

4 Rendina C., I Papi, storia e segreti, Roma 1996, p.290, parla di “Golem”.

5 Non dimentichiamo che è il primo papa ad avere l'idea delle crociate verso la Terra Santa; vedi Zanetti F., Tutti i papi attraverso le curiosità e gli aneddoti, Torino 1937, p.323.

6 La vicenda è ricostruita con varianti anche da Gregorovius F., Le tombe dei Papi, Roma 1879, pp.38-9, dove a posto di una statua egli colloca proprio il diavolo; di patto col diavolo parla Kelly J., Vite dei Papi, Casale Monferrato 1995, p. 240. Gualino L., Storia medica dei romani pontefici, Torino 1934, pp.229-32, sembra assecondare, e in uno stile retorico e ampolloso -usa una retorica artefatta, ponendo sempre gli aggettivi davanti i sostantivi-, le leggende dei patti satanici di Gerberto e tutte le più trite leggende a lui affibbiate e ogni immaginabile vizio... e naturalmente definisce il medioevo epoca di ignoranza e oscurantismo, benchè poi si smentisca nella parte finale dello scritto; Gigli G., Diario di Roma, 2 voll, Roma 1994p.511 n.5.

7 In Trystram F., Anno Mille, cit., p.373-4; Gregorovius F., Tombe Papi, cit., pp.37-42.

8 Trystram F., Anno Mille, cit., p.374; la biografa continua il racconto, riferendosi al trasudare della tomba di Silvestro e al rumore delle sue ossa, per annunciare la morte prossima d'un papa, o la sua malattia, e se questa era mortale o meno. La medievalista si riallaccia però più alle leggende che vedono le origini di questo fenomeno nei poteri “magici” di Gerberto e della sua successiva alleanza col Diavolo, dalle qual cose scaturiva il miracolo della tomba premonitrice; in controtendenza rispetto al Paravicini che indica invece le valenze autoumiliatorie e non magiche delle leggende sulla tomba di papa Silvestro: vedi per la bibliografia completa, paragrafo Sepolcro premonitore, tratto da Paravicini Bagliani A., Il Corpo del papa, Torino 1994, pp.19-20. Sulle scaturigini delle leggende e dei fraintendimenti, volontari o meno, che hanno dato vita alla leggenda di Silvestro papa mago e alchimista, quando non proprio satanista, vedi sempre Trystam F., Anno Mille, cit., pp.374-378 e Gregorovius F., Tombe papi, cit., pp.37-40. Sui leggendari poteri magici e sul “rumore delle ossa” di Gerberto vedi anche Zanetti F., Tutti i papi, cit., pp.322-3 e Gualino L., Storia medica, cit., pp. 230-2. Gelmi J., I papi, Milano 1986, p.80, aggiunge che il patto col diavolo in cambio del potere, prevedeva come clausola “la visita a Gerusalemme” che avrebbe segnato la fine del pontificato e della vita del papa, e siccome Silvestro non aveva intenzione di andarci, credette così di gabbare il demonio... . Interessante anche la breve ricostruzione dello storico Falconi C., Storia dei Papi, 4 voll, Milano 1970, vol.II, p.543, dove si specifica, citando la leggenda nera, che si pentì della sua alleanza col demonio, e per poter espiare la colpa d'aver ottenuto attraverso simile patto il potere, stabilì che divenuto cadavere “si sarebbe fatto recidere gli arti”, quindi non si parla più di spezzettamento di tutto il corpo. Vicino a questa versione è il AA.VV., Liber Pontificalis, 3 voll, Roma 1978, vol II, p.263.

9 Da Gregorovius F, Tombe papi, cit., pp.39-40. Rendina C., Papi, cit., p.290, che parla di carro di buoi, e aggiunge anche la probabilità dell'assassinio di Silvestro. Gualino L., Storia medica, cit., p.232. Gelmi, Papi, cit., p.80, parla di cavalli che misteriosamente “apparvero”.

10 Zanetti F., Tutti i papi, cit., p.324.

11 Gualino L., Storia medica, cit., p.231.

12 Gregorovius F., Tombe papi, cit., p.40.

13 Laboa J.M., La Storia dei papi, tra il regno di Dio e le passioni terrene, Milano 2007, p.139.

14 Per la verità, crediamo in maniera assai disinformata, Rendina in I papi, cit.., p.290, anticipa l'esumazione di tre secoli, afferma che fu esumato la prima volta nel 1684, <<il sepolcro fu aperto: il corpo di Silvestro fu trovato ancora intatto, vestito dei paramenti pontificali, le braccia incrociate sul petto e in capo la tiara>> e aggiunge, quasi ricalcando la ricostruzione del Laboa che però indica il 1909, che << fu la visione di un attimo; al contatto con l'aria tutto si ridusse in cenere e si sparsero all'intorno i profumi dell'imbalsamazione>> e conclude fuori luogo <<...fu l'ultimo segno di magia>>. Due errori sono lampanti: nessun papa indossò mai la “tiara” da morto, (ammenochè non si intenda una mitra con tre fregi); e circa i “profumi dell'imbalsamazione” non ci risulta affatto che in quel periodo fosse praticata l'imbalsamazione, abbiamo dimostrato ampiamente proprio in questo lavoro: le prime notizie certe di una simile procedura l'abbiamo quasi due secoli dopo per Pasquale II. Passi pure che che Silvestro II sia stato più volte riesumato (e del resto la basilica lateranense andò più volte distrutta; si veda Gregorovius F., Tombe papi, cit., pp.37-41). Certo è che Alessandro VII fece rifare in stile barocco-decadente molte tombe papali al Laterano -fra cui quella di Alessandro III- , ma questo prima della data di questa presunta riesumazione di Silvestro nel 1684, dal momento che Alessandro era morto all'epoca da quasi un ventennio – vedi Gregorovius F., Tombe papi, cit., pp. 42-43. Quindi chi, fra lo storico della chiesa spagnolo Laboa e il saggista di cose della Roma papalina, Rendina sbaglia? Dall'imprecisione del testo, ci viene da pensare quest'ultimo. Se non fosse che ulteriore confusione aggiunge il Tutti i papi di Zanetti pg.324 ove si afferma di fatto che non fu esumato né nel 1684, in cui regnava Innocenzo XI Odescalchi, né sotto Alessandro VII, e meno ancora nel 1909 come afferma Laboa, ma che anzi la leggenda dello smembramento fu smentita <<Dall'apertura della tomba del papa, ordinata da Innocenzo X. Il cadavere apparve illeso, vestito degli abiti pontificali, con le braccia in croce e la tiara in capo. Ma appena sentì l'aria si sciolse in polvere>>, come si vede commette le stesse inesattezze del Rendina -parla di tiara sul cadavere- ma soprattutto e a dispetto di tutti anticipa l'esumazione del papa ai tempi di papa Pamphili, cioè fra il 1644-55. Come se non bastasse, s'aggiunge anche la Storia dei papi di Saba e Castiglioni (Torino 1929), che alla p.503 vol I, conferma parte delle affermazioni di Rendina -compresa la questione della tiara e dei profumi imbalsamatori- e l'epoca dell'apertura della tomba indicata da Zanetti, solo precisa avvenne nel 1648, sempre sotto Innocenzo X, quindi.

15 Approfittando forse dell'imminente conclusione del restauro della basilica, come apprendiamo da Gigli, Diario di Roma, 2 voll, Roma 1994, II, p.538.

16 Gualino L., Storia medica, cit., p.232, il quale ritiene oltretutto probabile l'avvelenamento del papa ad opera della presunta avvelenatrice di Ottone III, del quale era concubina.

17 Gigli G., Diario, cit., II, p.494.

18 Gigli G., Diario, cit., p.511 nota 5 dei curatori dell'opera.

19 Sugli assiomi vedi il primo capitolo.

Clemente V

Pensiamo al povero Clemente V, il primo papa della cattività avignonese. Giovane ma già insopportabilmente ipocondriaco, che nella speranza di rimettersi in salute aveva lasciato Carpentras per Bordeaux; ma strada facendo il suo male invece si acutizzò, dovette fermarsi per poi morire a Roquemaure il 20 aprile 1314.1

Esposto nella chiesa della città su un catafalco arrangiato, e incredibilmente senza alcun fedele o religioso a vegliarlo, durante la notte, venne a cadere addosso al cadavere una delle torce che circondavano il letto funebre, che velocemente arse le vesti del papa e poi ne carbonizzò interamente il corpo. Non finì qui. Si verificò ancora una scena destinata a ripetersi in futuro: “Trasportati a Carpentras i pochi avanzi di quella spoglia, i parenti che da lui avevano ricevuti tanti benefizi, occupati a raccogliere l'eredità, li lasciarono per molto tempo insepolti”. Fortuna che qualche anno dopo, (quando risulta conveniente per il lustro della Famiglia -specie nelle fasi di decadenza- sviluppare il culto di certi illustri antenati) un nipote gli fece innalzare (1356) un notevole monumento funebre. Ma la sfortuna con i resti di questo papa francese ebbe ancora il sopravvento: nel 1577, in piena e furiosa riforma protestante, un gruppo di fanatici calvinisti profanarono la sua tomba, estrassero i resti mortali di Clemente, diedero nuovamente alle fiamme le sue ossa e poi ne sparsero le ceneri al vento..2

NOTE

1Cecchetelli-Ippoliti R., Riti Funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p. 31

2 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.31, l’autore cita però G.Henschenio e D.Papebrochio - Propylaeum ad acta Sanctorum – Maii, vol. VIII – Antuerpie- 1742. La triste vicenda della salma di papa Clemente V è reperibile in tutte le vite dei papi; soprattutto quelle di Marcora, Saba-Castiglioni, Kelly, Falconi, Laboa.

 I papi Borgia: Callisto III e Alessandro VI

Malattia. Sono gli inizi di agosto 1503, Alessandro ha superato la settantina, è verso i 74, non poco per uno di allora. Molte sue ambizioni, costate tanto scandalo per sempre alla chiesa, gli son crollate sotto gli occhi. Non si fa più molte illusioni: anche l'amore sconfinato per la sua famiglia è stato frustrato; poco prima non ha potuto neppure presenziare al funerale del suo figlio prediletto, Giovanni, duca de Gandia, che qualcuno sospetta essere stato assassinato per gelosia proprio dal fratello, Cesare, il Valentino. E neppure Cesare sta bene: ha il mal franzoso, ossia la sifilide contratta in qualche suo rapporto occasionale, e di lì a poche ore avrà in concomitanza con suo padre la malaria1.

E' un uomo stanco per molti versi, Alessandro. E appesantito: la sua pinguedine è diventata ormai goffa obesità. Guarda ora (è il 6 agosto) dalla finestra del Palazzo Apostolico i funerali di suo cugino cardinale Giovanni: era obeso come lui. E' afflitto: "Questo mese è fatale per gli uomini pingui!" mormora. Pochi secondi dopo un barbagianni bianco gli volò vicino e si abbatté morto ai suoi piedi, e il papa che della religiosità se non la fede di sicuro serbava una popolare superstizione 2, atterrito e scosso aveva esclamato “Cattivo presagio! Brutti, brutti presagi!”; subito si era rinchiuso col cuore in tumulto nei suoi appartamenti senza voler vedere per tutto il giorno nessuno 3. Inoltre in Vaticano a momenti Alessandro poco tempo prima (nell'estate 1500) non rimaneva ucciso dal crollo sulla sua testa del pavimento della sala delle feste nell'appartamento Borgia: anche questo fu interpretato da altri e da egli stesso come un "temibile" presagio di disgrazia prossima ventura 4... o come "il diavolo che annunciava la conclusione del contratto...”. “La paura della morte, con l'aria che tirava a Roma, era assai diffusa, ma il pontefice sembrava temerla più di chiunque altro. Nessuno però s'aspettava un crollo così repentino, che molti tuttavia s'auguravano”.5 Il 7 agosto confidava all'ambasciatore veneziano Giustinian che le “tante malattie e morti che avvenivano a Roma lo riempivano di paura e che perciò voleva aversi più riguardo del solito”.6

Infatti si è nel pieno della calura estiva, e a Roma come quasi sempre in estate l'aria diventava malsana, la febbre malarica perniciosa si faceva sentire qua e là, come quell'anno; anche casi di peste non mancarono. Il papa è spossato. L'11 agosto, nella messa giubilare in Sistina, notò qualcuno, la mano gli tremava, era sudaticcio, pallido, l'occhio aveva perso il suo bollente brio, intensa la sua inquietudine, “gli mancava la giocondità che sempre mostrava in simili circostanze”: ricorreva l'11° della sua elezione, acquistata 7.. Sono in molti a malignare che egli avesse stipulato alla morte d'Innocenzo VIII un patto col diavolo il quale gli avrebbe concesso solo per 11 anni il papato; adesso Alessandro avrebbe voluto rinnovare ma non c'era niente da fare: doveva ora rendere l'anima, e Lui, Satana, avrebbe prestissimo mandato i suoi legionari a prelevarla. Qualcuno fra poco giurerà e spergiurerà che al momento di spirare lo si udiva dire, con un filo di voce: Verrò, verrò. È pur troppo giusto che tu mi chiami. Ma aspetta ancora un po'. Parole che confermavano, secondo chi diceva di essere lì ad ascoltare, la sottoscrizione del patto demoniaco8. Chiaro che, essendo forse spergiuri e in malafede, a questi presunti testimoni degli eventi non venne per nulla in mente che se davvero furono tali le sue ultime parole, potevano allo stesso modo essere rivolte anche a Dio, mancanti di soggetto esplicito com'erano. E poi il papa prima di spirare, qualcuno sostiene, era in coma da un pezzo, dal mattino.9

Per il momento di certo sappiamo che il papa aveva perso il suo solito buonumore ed era depresso, il volto trasfigurato dalla tristezza come mai si era visto. Ancora riusciva a muovere qualche passo nei giardini vaticani; e i frequenti salassi lo sedavano solo per qualche ora e tanto gli bastava per illudersi di stare già meglio e in via di ripresa. Comunque il pontefice andò alla cena di un potente cardinale, a sfidarlo a carte... un ennesimo intrigo di corte in realtà, dicono (non a caso si è portato quel criminale del figlio Cesare): un bicchiere, quello destinato al cardinale Adriano Castellesi da Corneto, doveva essere avvelenato -e del resto i Borgia avevano nel seguito un Gran Maestro dei Veleni-, per ucciderlo e impossessarsi dei suoi grandi averi, come avevano fatto con altri personaggi. I testimoni del tempo -veri o presunti- dicono che per un errore del coppiere lo bevve Alessandro. Non morì subito perché, secondo loro, Cesare aveva un po' troppo annacquato o diluito la bevanda venefica 10.

Il papa cominciò in effetti a non stare bene dal giorno appresso; ma il fatto è che neppure gli altri commensali il giorno dopo stavano meglio, compreso Castellesi, compreso il suo Cesare: questo più che a un avvelenamento, farebbe pensare semmai ad una intossicazione alimentare11. O alla malaria, più probabilmente. Altri sostengono il contrario: che fu il cardinale Castellesi ad avvelenare di proposito, per mezzo del suo coppiere, i calici dei due Borgia, facendoli entrambi passare una volta tanto per vittime innocenti, benché poi tacciano sulle ragioni di un simile gesto da parte del porporato.12

Il papa è ormai a letto: ha inappetenza, ha la febbre alta, e di lì a poco vomito e catarro. La mattina e la notte del 12, anniversario dell'incoronazione, stette malissimo: vomitò il pasto, la febbre durò e s'alternò per tutta la notte, i numerosi salassi da dissanguare un toro, le prime volte lo risollevarono un poco, in seguito lo disabilitarono di più. Andrà avanti così, fra alti e bassi. Stava precipitando. Annusando che aria funerea e potenzialmente turbolenta tirava, intanto, i cardinali si asserragliarono nei loro palazzi: sapevano che il papa sarebbe morto presto e che il popolaccio di Roma si sarebbe abbandonato a famelici saccheggi dei loro beni. Avevano un buon intuito: Alessandro in effetti ormai agonizzava. Fece in tempo a confessarsi dal vescovo di Carinola, e ricevere i sacramenti: tutta Roma si interrogava sulla confessione del papa morente, e se aveva provato rimorsi di coscienza al momento del trapasso; persino Machiavelli gli diede il buonservito: <<Io non voglio degli esempi freschi tacerne uno: Alessandro VI non pensò mai ad altro che simulare e dissimulare, per ingannare uomini, e sempre trovò chi si lasciasse ingannare>>. Molti concordarono che essendo stato papa senza religione e ingannatore, anche l'ultima sua confessione non poteva che essere pure quella un'altra farsa.13

No, non è avvelenamento: è la malaria! O forse un colpo apoplettico14 .“Febbre terzana” altri sostengono, che <<Li colse, padre e figlio (Alessandro e Cesare) all'improvviso, e nel momento peggiore, sconvolgendo i loro piani e annullando ambizioni, svuotando conquiste: annientandoli. Fu un fulmine a ciel sereno scaricatosi un'afosa notte d'agosto in casa del cardinale Da Corneto, alle pendici di Monte Mario. La calura aveva avvolto l'Urbe in un miasmatico sudario e richiamato sui suoi arsi colli dal vicino agro sciami di zanzare>>15. Ecco la scaturigine della febbre “terzana”. Terzana che si sperava sempre non degenerasse in “quartana”, come si legge nei dispacci del Costabili, uomo di fiducia del Borgia: il 17 il papa sembrò stare meglio, ma la notte fu disperata16. Ufficialmente “Terzana” dunque, ma voci di popolo al solito all'unisono con voci di nemici, teorizzavano e congetturavano. Avvelenamento o non avvelenamento? Malaria o apoplessia? Terzana o cantarella? Il popolo parlava, tutti parlavano, Guicciardini straparlava17, gli ambasciatori però tacevano.... Ora se c'era una cosa che riportava quasi sempre infallibilmente gli accadimenti esatti di una vicenda erano i dispacci riservati (veritieri proprio perché tali) che gli ambasciatori inviavano ai propri governi: in nessun dispaccio di nessun ambasciatore in quei giorni si fa il minimo cenno alla faccenda dell'avvelenamento. E se lo fanno è per smentirlo. Questa forse è la prova più solida dell'infondatezza di tale diceria, persino avvalorata da intellettuali illustri dell'epoca, come il Guicciardini (e Bembo, Giovio, Sanuto), che troppo si fece prendere la mano in questa querelle dall'odio incontenibile verso i Borgia: avrebbe fatto impiccare sua madre pur di poter screditare ancora, sin nella tomba, l'odiata dinastia. Il silenzio degli ambasciatori, quindi, è forse la prova inconfutabile che davvero Alessandro era morto di malaria, febbre “terzana” la dicevano i romani, e se vi fu apoplessia non fu che la causa ultima della cessazione della vita. Tuttavia un'eccezione c'è: il solito informatissimo ambasciatore veneziano (Giustinian, che Pastor intitola “inviato”...della Serenissima) getta anch'egli sibillino il suo sassolino nello stagno malarico dell'Urbe: <<La cagione [della malattia del papa] -scrive il 13 agosto- sembra sia questa, che Alessandro e Cesare otto giorni fa pranzarono in una villa del cardinale Adriano da Corneto e rimasero là fino a notte>>. Ma poi ammette alla fine che tutti gli invitati, a cominciare dal padrone di casa, si erano ammalati. L'inviato mantovano invece nega fermamente l'assassinio, ma tuttavia alla corte del suo Signore arrivarono persino tre versioni differenti del presunto avvelenamento18. Ma è Pastor che sulla faccenda alla fine taglierà la testa al toro: raccoglie i referti dei medici di Alessandro, che confluiscono sulla febbre malarica come causa prima e il colpo apoplettico come causa immediata del decesso; raccoglie tutte le illazioni pre-storiche dei vari studiosi Guicciardini, Giovio, Bembo, Sanuto, Pietro Martire li confronta e nota che spesso si contraddicono a vicenda e nessuno ha fonti solide, soprattutto nessuno confronta la propria opinione empirica con la scienza medica. A questi, che al decesso non erano presenti, contrappone le dichiarazioni di ambasciatori e dignitari che invece erano presenti al mortorio e all'unisono (più o meno) negano l'assassinio. Infine, Pastor, chiama degli affermati suoi amici (Tschermak soprattutto) medici, gli sottopone tutti i dati circa la degenza di Alessandro e domanda loro se si poteva trattare di avvelenamento o altro: nella diagnosi a distanza il dato più rilevante che smentisce l'avvelenamento è che i sintomi di questo si manifestano da subito e permangono ininterrottamente in un crescendo senza soste fino alla morte; mentre nel caso di Alessandro si hanno (dal momento della presunta azione venefica) iniziali giorni di benessere e in seguito giorni di malessere o quasi benessere alternati. Circa la subitanea corruzione del cadavere era facile stabilire che era dovuto al caldo umido d'agosto e che i veleni non comportano simili macroscopici fenomeni trasformativi sul cadavere (piuttosto, a quanto sappiamo, la cantarella, ossia l'arsenico produce l'effetto contrario: preserva il cadavere, tant'è che era usato in abbodanza per le imbalsamazioni); e anzi, a proposito di tali fenomeni, l'annerimento del cadavere ad esempio (ingorgo venoso) proprio questo combacia perfettamente con l'apoplessia; e oltretutto i deliqui che accusava ancora in vita, anche questi sono indice del suo temperamento sanguigno che quant'altri mai espone a crisi apoplettiche19. Sulla base di tali e tante opinioni, soprattutto dei sintomi di Alessandro, anche un brillante docente di storia della medicina dei nostri giorni, Giovanni Ceccarelli, nel suo libro La Salute di Pontefici, da Alessandro VI a Leone XIII, così precisa, a proprosito anche dell'insinuazione per cui Alessandro sarebbe morto di malattia sessualmente trasmissibile: <<Più che altro per la epidemiologia, Angelo Celli, Alfonso Corradi ad altri illustri medici venuti qualche secolo dopo sono convinti che la morte del secondo, e ultimo, papa Borja sia da ascrivere, come molte altre, alla mal aria di Roma e non certo (come molti -maligni- sostennero) al mal francese, come gli italiani si ostinano a chiamare la lue (i francesi la dicono mal napoletano). Magari, alla mal aria sarebbe bene aggiungere all'ultimo momento un ictus, lasciando perdere l'avvelenamento (da arsenico)>>.20

Cadavere. Alessandro muore: è il 18 agosto 1503. In quel giorno verso le 18 ebbe “violente ansime e deliquio; rinvenne ancora una volta per dar subito l'ultimo respiro verso l'ora del vespro” (le 20). Al ferale annuncio la prima replica venne da Bologna: “Et sepultus est in inferno!”.21 Ha gli occhi sbarrati, la bocca aperta a bere l'ultimo respiro di questo mondo, e degli ultimi strascichi del "suo mondo" medievale che muore anch'esso con lui che, vissuto nell'età di mezzo dell'Umanesimo, pure ha inaugurato il Rinascimento. Lo circondavano camerieri, medici, cardinali. Nessuno degli affetti per cui aveva disonorato sino a tal punto la Chiesa e se stesso erano accanto a lui: non le predilette amanti Vannozza o Giulia, non la figlia Lucrezia ormai Ducisse Ferrariae, non i superstiti figli maschi, non Goffredo fuori Roma pare, e neppure Cesare che oltre a strascichi di lue aveva la malaria ed era adesso mezzo morto (si riprenderà in quegli stessi giorni).22

Il papa è ora sul suo letto, è solo, “ciò malgrado fossero stati chiamati i penitenzieri per recitare l'ufficio dei morti” e qui rimarrà a lungo23. Nessuno è al suo posto. Nessuno fa il suo dovere. E infatti il cerimoniere pontificio annota: <<Dopo le 23 il mio collega mi ha fatto chiamare. Mi sono recato al palazzo quando i cardinali non avevano ancora ricevuto la notificazione dell'accaduto. L'hanno ricevuta mentre io ero lì: ma nessuno di loro si è mosso, né si sono incontrati altrove. Ho allora fatto presente al cardinale di Napoli che era opportuno prendere delle precauzioni di fronte ai pericoli incombenti. Dopo le 24 il cardinale Napoli ha mandato due suoi servitori a intimare a tutti i cardinali di degnarsi di venire, al mattino dopo alla Minerva...>>. I pochi rimasti a palazzo sono indaffarati a rubare come al solito il rubabile. Burcardo, l'onnipresente cerimoniere, lascia fare: è l'ora di vendicarsi del papa che gli ha rifiutato la porpora. <<Non è ancora spirato, che i domestici e i soldati s'affrettarono a saccheggiarne le stanze, non lasciando che qualche sedia ed alcune tappezzeria di panno inchiodate ai muri>>, scrive Burcardo nel suo Diario 24. Tuttavia molti giurano che fu proprio Cesare Borgia a dar ordine di ripulire d'ogni ben di Dio, gioielli arazzi mobili preziosi, gli appartamenti di Alessandro, a proprio vantaggio.25

Si dovrebbe procedere ai sacri riti di ricognizione del cadavere pontificio: figurarsi, fa caldo... e non c'è più nulla da rubare, ragion per cui il palazzo è quasi deserto. Non si trova traccia di imbalsamzione in alcun documento: Alessandro deve scomparire, essere dimenticato, e con esso lo strascico di medioevo che si porta dietro. Nessuno si prende cura del cadavere di Alessandro Rodrigo Borgia, ancora buttato in camicione unto e bisunto sul letto di morte, in un clima di spasmodica e isterica cleptomania generale. Solo dopo un certo tempo il “cadavere, lavato e vestito, fu posto in una sala fra due ceri. Nessuno andò a recitargli le preci dei defunti: nessuno lo vegliò quella notte”.26

Intanto, sempre nei suoi diari, perfidamente Burcardo riportava le "testimonianze" di alcuni astanti i quali giuravano d'aver visto nottetempo "attorno al letto del papa defunto 4 demoni" sotto specie di quattro "scimmie nere" che montavano la guardia nella camera da quando era moribondo: erano venuti "a prendere l'anima" e consegnarla nelle mani del Principe delle Tenebre, a conclusione del patto stipulato con lui da Alessandro in cambio del potere; mentre Alessandro, fra i rantoli dell'agonia, invocava invano Lucifero perché gli concedesse una proroga agli 11 anni esatti di potere e gloria che gli furono concessi. E guardacaso, divenuto papa un 11 agosto (1492) il suo male divenne conclamato un altro 11 agosto (1503). Secondo le cronache (attribuite) di Jacopo da Volterra 27 tutti i servitori di papa Borgia, caddero in preda al terrore, “persuasi che le furie infernali stessero per impadronirsi della sua anima e lo abbandonarono in fretta e furia lasciando... un cadavere in decomposizione”. Tuttavia bisogna dire che il clima indolente in questa circostanza abbiamo riscontrato, attorno alla salma di Alessandro, il ladrocinio incontenibile nelle sue stanze anche da parte di quei servitori, ci indicano l'esatto contrario sul clima che circondava la morte del papa; oltretutto le leggende sui diavoli pare nacquero fuori dal palazzo, per Roma e ovunque per bocca dei suoi nemici giurati.28

Come accennato, altri sostengono che al momento di spirare “lo si udiva dire, con un filo di voce: Verrò, verrò. È pur troppo giusto che tu mi chiami. Ma aspetta ancora un po'. Parole che confermavano, secondo chi diceva di essere lì ad ascoltare, la sottoscrizione del patto demoniaco 29 . Questi sedicenti testimoni degli eventi notarono che tali presunte ultime parole del papa potevano minare la loro credibilità diffamatrice, potendo allo stesso modo essere rivolte anche a Dio, mancanti di soggetto esplicito com'erano. Aggiunsero allora dei particolari: al capezzale del pontefice, poco prima del trapasso si sarebbe presentato questa volta, sotto le mentite spoglie di babbuino, lo stesso diavolo del succitato contratto. Vedendolo, Alessandro lo implora di aspettare ancora un po'. E a un domestico che voleva cacciarlo dalla stanza, avrebbe ingiunto “Lascialo stare, è Satana”. Finalmente si aveva un soggetto esplicito con nome e cognome, non sia mai si pensasse che il tremendo moribondo potesse avere momenti di abbandono a Dio. <<Non si trattava che di macabre fole, ma il fatto che si diffondessero e tanta gente vi prestasse orecchio, dimostra quanto odiato fosse il papa, e quanto fosca la sua fama>>.30 Pochi riferiscono però le uniche cose che davvero avvennero (non che, in parte, non si verificarono quelle più disdicevoli). E cioè che il papa fu circondato dai suoi medici e dai cerusici, che lo curarono secondo le poche e malferme conoscenze mediche che allora si possedevano; fecero quel che poterono, e ce la misero tutta per stabilizzare la situazione fisica del pontefice iberico. Pochi dicono, sebbene i dispacci diplomatici e i documenti, specie del Giustinian, lo ammettano, che ebbe tutti i conforti religiosi e che li accettò con mansuetudine; che il giorno prima di morire volle sedersi sul letto per assistere alla messa che si celebrava nella sua stanza, alla presenza di cinque cardinali; il giorno dopo fu egli stesso a dire che era imminente la morte, e all'ora dei vespri il cardinale vicario gli diede l'estrema unzione alla presenza del datario e dei domestici. 31

Solo più tardi gelido Burcardo ritorna dal suo papa con una pianeta, una mitra bianca, un camice, qualche cingolo neppure dei migliori recuperati qua e là, e lo riveste: “Rivestitolo finalmente degli abiti pontificali, avvolsero Alessandro in un manto rosso”32. Con precisione Burcardo fa una relazione di come ha proceduto alla vestizione del suo Signore: <<Arrivato dal papa, gli ho messo tutti i paramenti rossi di broccatello, un amitto corto, una bella pianeta e le calze. Poiché le scarpette non avevano la croce33, gli ho messo le sue pantofole di tutti i giorni di velluto cremisi, con una croce d'oro ricamata, come se fossero dei sandali; e gliele ho legate dietro ai calcagni con due stringhe. Gli mancava l'anello, che non ero riuscito a trovare. Così addobbato, attraverso due stanze, la sala dei pontefici e la sala delle udienze, l'abbiamo portato alla sala del Pappagallo. Abbiamo preparato una bella tavola lunga una canna, coperta con un tessuto cremisi e con un tappeto. Abbiamo preso quattro cuscini di broccato, uno di raso cremisi e un altro, antico, di velluto cremisi. Abbiamo tenuto uno di quelli di broccato e quello di raso cremisi, abbiamo messo quello antico sotto le spalle, poi due a fianco e uno sotto la testa del papa; che abbiamo coperto con un altro tappeto antico>>.34

Intanto dalla bocca e dal naso versa liquido chiaro frammisto a liquido marrone: secrezioni che risalgono dallo stomaco e dagli intestini. Senza imbalsamazione, senza alcuna detersione, col caldo d'agosto il cadavere del Borgia assume prima un colore rosso-violaceo, poi verde-grigio, quindi arriva sul marrone. La salma è in fermentazione gassosa, il suo già grosso corpo si gonfia ancora, enormemente: è devastato e striato da una scurissima e sinistra rete venosa putrida. Scrive il Cataneo al suo Signore marchese di Mantova il giorno dopo la morte del papa, il 19: <<Lui era in termino de poter vivere asai a la effigie e presentia sua e anchora dopoi el male quanto sia per la febre, ma li abondo al inproviso tanto el cataro chel afogò; è tuto la fatia negro e infiato, e nullo sospetto ge stato de veneno, se ben patre e filiolo ge sian tuti a uno tempo infirmati...>>35 Così racconta la lugubre vicenda un biografo dei Borgia: <<Per quasi tutta la notte dal 18 al 19 agosto Alessandro giacque solo nella maestosa stanza dov'era spirato. Quando un po' prima dell'alba, lo zelantissimo Burcardo ne varcò la soglia per lavarlo e rivestirlo, un acre tanfo assalì le sue narici e un disgustoso spettacolo gli si presentò. Nello spazio di poche ore, per la terribile afa, la salma s'era orrendamente sfigurata: il viso aveva assunto un colore brunastro, il naso s'era gonfiato, la bocca, semiaperta, spurgava una bava biancastra, che nemmeno la lingua inturgidita fin quasi a ostruire la cavità orale riusciva a trattenere. Il putrido umore digradava a rivoletti lungo il mento e il collo intridendo la camicia e le lenzuola. Gli occhi sembravano usciti fuori dalle orbite e nella penombra che avvolgeva la camera riverberavano spettralmente le fioche luci delle candele. Il maquillage fu lungo ed estenuante: a brevi intervalli il Burcardo e i suoi assistenti uscivano infatti dalla stanza per disintossicarsi da quelle pestifere esalazioni>>. Solo il giorno dopo <<la salma fu trasporta nella sala del Pappagallo>>.36

La mattina seguente da improvvisati facchini scortati da canonici, vescovi e parenti, e' caricato su una barella e trasportato scoperto, come tradizione, dritto nella cappella del Sacramento nella vecchia basilica di San Pietro, a ricevere "gli omaggi della folla" come sottolinea il Burcardo sapendo di cosa parla.37

E infatti li riceve gli “omaggi”, pochi ma glieli tributano: quando non versa in stato di totale abbandono, qualche romanaccio ci entra nella basilica con compagnia di beoni che si piegano letteralmente dalle risate a contemplare quella mostruosità. E a insultarla. Burcardo lo sa, e lascia fare. Burcardo sa che potrebbe ricorre a qualche rimedio conservativo, ma lascia correre. Burcardo sa che dovrebbe darsi da fare per preparare le esequie o almeno fargli dire una messa, ma fa finta di scordarsene . Burcardo sa che di qualsiasi orrore si sia macchiato Alessandro, al di là di tutto il suo magistero è comunque valido, ma fa finta di non saperlo. Tuttavia almeno il cardinale 38 che aveva guidato la traslazione preoccupato di possibili sfregi e atti sacrileghi contro la salma per vendette personali, “lo fece collocare in una cappella, dietro una inferriata molto alta e resistente” 39. Conferma il cerimoniere: <<Ma il vescovo di Sessa, per il timore che lasciando libero accesso al popolo ne sarebbe derivato uno scandalo (vilipendio di cadavere), ha fatto spostare di nuovo il feretro dal luogo sopra detto all'entrata della cappella, fra le scale: con i piedi rivolti e accostati all'inferriata e alle porte, di modo che potessero essere toccati con la mano, attraverso l'inferriata stessa. Lì è rimasto per tutto il giorno: e il cancello è rimasto sempre chiuso>>40. Un biografo scrive citando il Guicciardini: <<Concorse al corpo morto d'Alessandro in san Pietro con incredibile allegrezza tutta Roma, non potendo saziarsi gli occhi d'alcuno di vedere spento un serpente, che con la sua immoderata ambizione, e pestifera perfidia, e con tutti gli esempi di orribile crudeltà, di mostruosa libidine e d'inaudita avarizia, vendendo senza distinzione le cose sacre e le profane, aveva attossicato tutto il mondo>>41. Aveva ragione il Vettori -nel Giudicare l'atteggiamento del Guicciardini- che malgrado tutto il resto d'acrimonia, fece questa osservazione: <<Allorché un principe s'è attirato l'odio, ognuno v'aggiunge il suo, inventa e gli attribuisce ogni sorta di vizi>>42. Annota il Burcardo, come se lui -magister cerimoniarum- non c'entrasse niente, che il povero Alessandro <<non trovò alcun sacerdote che gli recitasse le preci; sicché le guardie, veduto che la cerimonia non cominciava, si diedero a strappare le torce dalle mani dei chierici che stavano attorno alla bara; e poiché questi, avendo avuto la peggio, se l'erano svignata, il cadavere fu lasciato solo fino a sera>>.43 Succede, nel cuore della cristianità, nella prima delle chiese del mondo l'incredibile: in quella basilica si sarebbe dovuto svolgere la cerimonia funebre, ma la scomparsa del libri dei morti oltre la lite scoppiata fra soldati e chierici lo impedirono. Per paura di torbidi, tutti, compreso l'officiante, si dileguarono. Poco prima ci si era accorti che mancavano anche gli spartiti, e dunque i cori non potevano intonare il Non intres in judicium, e dovettero arrangiarsi con un Libera 44. Intanto la salma che giace semi abbandonata è diventata oscena: è gonfia ormai al massimo, l'epidermide è tanto pressata e in tensione da essere lucida e oleosa, ha assunto quello che in medicina legale si chiama "gigantismo cadaverico”. Di questa catastrofe così fa il sommario Burcardo, non senza “sarcasmo” e compiacimento nel descrivere lo stato di decomposizione di Alessandro in modo “particolarmente incisivo” che “nessuno prima di lui si era spinto così lontano”45: <<Durante tutto questo tempo il papa era stato lasciato all'interno della cancellata dell'altare maggiore, con intorno quattro torce ardenti. La bruttezza e la nigredine della faccia, già iniziati prima del decesso (cosa difficile da credere: fenomeni cadaverici di questo tipo che iniziano, a suo dire, prima del decesso), s'erano rapidamente accentuate ed era divenuto sempre più orrendo e scuro, tanto che sembrava del colore di un panno scurissimo, o se si vuole di un negro. Viso gonfio, corpo gonfio, naso fetente e bocca ingrandita, la lingua raddoppiata di dimensioni che riempiva tutto lo spazio fra le labbra, erano spaventosi: si trattava di uno spettacolo talmente orribile che tutti hanno detto di non aver mai visto nulla di simile>>46, al punto che l'ambasciatore Giustinian, fedele all'amabile e brillante meticolosità tradizionale dei dispacci degli ambasciatori della Serenissima, afferma sgomento: <<Quello del Borgia è il più orribile e mostruoso corpo di defunto mai visto. Un cadavere talmente deforme che non aveva più figura umana>>.47 Siamo all'abominio, alla decomposizione in diretta offerta all'indifferenza o al ludibrio degli astanti. Il papa sembra ora enorme, con un volume corporeo disumano; i gas putrefattivi lo sciolgono all'interno e lo deformano esternamente. Intorno alla salma e per lungo raggio s'avverte un olezzo mefitico da svenimento, insieme a crepitii lungo tutto il corpo dovuti ai gas che fermentano... con fuoriuscite di gas dagli orifizi, in una dinamica simile all'aerofagia ma con un suono simile a quello delle vespe e assai prolungato, quando non s'alterna con secchi scoppi che fanno sussultare le tegumenta. Qualcuno riporta i commenti di Machiavelli: <<La salma del papa cominciò a bollire, e la bocca a spumare, come faria uno caldaro al focho, assì perseverò mentre che fu sopra terra>> Ora il papa in volto è nero come la pece, o <<come e più che lo Diavolo>>48, nero per tutto il corpo, più sfumato verso la pancia tesa al massimo prossima a squarciarsi: siamo al fenomeno trasformativo del cosiddetto in medicina legale "aspetto negroide": occhi sporgenti dalle orbite, che sembrano quasi schizzare via, come annota anche il Cerimoniere, la faccia oltre che nera è gonfia e sfatta, quasi tonda, una palla, il naso diventato camuso,49 dal quale colano rivoli di liquame scuro e schiumoso che proviene dai polmoni e dallo stomaco. Insiste Machiavelli sul volto del morto che si tinse di nero più che lo diavolo, aggiungendo: << Era negro et gonfiato et per molti si dubita non li sia intravenuto veneno; divenne anchor ultra modo grosso i tanto che in lui non apparea forma di corpo humano, ne dala larghezza ala lunghezza del suo corpo suo era differenzia alcuna>>.50

Ora di tutto quanto abbiamo finora detto e hanno detto la quasi totalità degli studiosi e dei testimoni, sullo squallore delle esequie pontificie per Alessandro VI, non esentando dalle incontestabili responsabilità colui che era il maestro delle cerimonie e più di tutti doveva essere il guardiano della decenza e dell'etichetta, il Burcardo (che per altro con i suoi diari leziosi è di fatto reo confesso), c'è un solitario autore spagnolo che cerca di demolire tutte le ricostruzioni (per lo più confluenti), fatte in secoli di storiografia, su quei lontani e tristi eventi, soprattutto rivendica lo zelo e la conseguente pignoleria del maestro Burcardo, che secondo lui, controcorrente, non venne meno neppure quella volta. Semmai imputa l'asprezza di certi particolari raccontati e alla sagacia dei nemici contemporanei e posteriori dei Borgia e a certa esagerazione più tarda, dell'800 grottesco e gotico, romantico, anticlericale e massonico, appassionato di tombe (è il periodo dei cimiteri monumentali delle città importanti), commedie e romanzetti macabri. L'autore è Josè Apeles Santolaria. Egli scrive: <<La diligenza e la scrupolosità del grande professionista del protocollo e dell'etichetta che fu il tedesco Burcardo (Johannes Burkhardt), maestro delle cerimonie di vari papi (cinque), risparmiò al suo apostolico signore il disonore di Pulcinella, quello di non godere cioè degli onori funebri. Mentre infatti i servitori del morto si buttavano su tutto ciò che riuscivano ad acciuffare negli appartamenti del Borgia -seguendo nel farlo una selvaggia tradizione- il maestro Burcardo pulì e compose il cadavere di Alessandro VI rivestendolo di una bianca tunica e coprendolo con il ricco ornamento scarlatto che gli piaceva portare in vita. Gli calzò le pantofole papali e fece collocare il morto sopra un sontuoso catafalco coperto di arazzi prelevati dalla sala del Pappagallo. Attorno alla salma, due torce. Nella notte dal 18 al 19 agosto, pare che il corpo restò davvero solo ma, più che per le fole di reminescenza diabolica correnti per Roma, per timore del figlio del papa, il duca Valentino il quale, sebbene gravemente infermo e costretto a letto nei suoi quartieri al palazzo apostolico, continuava a essere pericoloso. Dopo quell'esordio il 19 agosto Burcardo dispose la traslazione nella Cappella Sistina dove il defunto venne collocato sopra un catafalco, però meno splendido di quello della sala del Pappagallo. Nottetempo si celebrò una messa di corpore insepulto, a proseguimento della quale vegliarono tutta la notte quattro vescovi e i penitenzieri papali. Il 20 agosto il santo padre fu traslato nella basilica di san Pietro e collocato su un tumulo dietro l'inferriata del Coro -parliamo sempre del tempio antico- dalla quale spuntavano solo i piedi, onde permettere al popolo, accorso in gran folla, di baciargli in segno di omaggio>>.51

Un vecchio e serio biografo dei Borgia, scrive: <<Nel frattempo ebbero luogo i funerali del pontefice. Il vice-cancelliere aveva ordinato ai membri elevati del clero, ai superiori dei conventi e delle confraternite, di non mancare, sotto pena d'essere spogliati della loro dignità ed offici, e di recarsi, secondo l'uso, ciascuno con un seguito adeguato, in Vaticano, per assistere ai funerali del papa. Per conseguenza, ciascuno di essi, il giorno e l'ora indicati, si presentò al palazzo pontificio da dove il corpo doveva essere trasportato nella basilica per esservi tumulato. Il cadavere fu trovato solo nella stanza mortuaria. Tutti coloro che avevano avuto a che fare con i Borgia si erano nascosti non sapendo che stava per accadere>>.52

Apeles Santolaria ancora scrive che la sera di quello stesso giorno (il 20) cominciò a manifestarsi la putrefazione53, rendendo irrespirabile l'aria, cosa naturale poiché si era nel pieno ferragosto e la canicola romana infuriava. Circostanza questa che indusse Burcardo a disporre la rapida inumazione, che venne celebrata a mezzanotte nella Rotonda degli Spagnoli, cappella scomparsa in seguito alla riedificazione di San Pietro e che era ubicata accanto all'obelisco il quale però non era situato al centro della piazza, bensì su uno dei fianchi dell'antica basilica. La tradizione prescriveva che per nessuna ragione la salma di un Papa venisse esibita dentro un feretro, con la conseguenza che le esequie solenni dei novendiali, previste per il giorno 22 vennero posticipate e gli spettatori dovettero accontentarsi di un catafalco vuoto. 54

Sepoltura. Giunti a questo punto di non ritorno, essendo ormai insopportabile in basilica questo scempio, il Burcardo si decise a sera di togliere il papa dal catafalco e porre fine all'esposizione. “Fu allora deciso di chiuderlo senz'altro nell'avello”. Dopo la lite fra chierici e soldati “tornata la calma, Burcardo e altri tre uomini si caricarono sulle spalle il cadavere, in stato ormai d'avanzata decomposione, e l'occultarono dietro l'altare maggiore”55. La sera alle 24 venne “trasportato nella cappella mortuaria da sei facchini, che si trovavano per caso di lì poco discosti a giocare” 56. Scrive il barone von Pastor: <<Secondo l'uso romano Alessandro VI venne sepolto dopo 24 ore nella chiesa di santa Maria della Febbre. I funerali seguirono quasi senza ogni onore; i nemici del Borja gongolavano dalla gioia, bersagliavano il morto di tutti gli oltraggi immaginabili e spargevano la fiaba che il diavolo se n'era portata via l'anima. E fu peggio quando giunse al pontificato il nemico giurato dei Borja, Giulio II, sotto cui si formò l'abitudine di ravvisare in Alessandro ogni tipo di malvagità e cattiveria. Lo si chiamava il marrano>>57. Altrove è scritto: “L'inumazione dovette essere fatta a ora indebita, prima di mezzanotte e senza grandi formalità, dato che il disfacimento morale del defunto si manifestò con una atroce putrefazione”58. Non si era provveduto a preparare teli damascati, sudari serici... nulla per le esequie: non trovando di meglio per "avvolgere" il cadavere, il Burcardo indicò un brutto e vecchio tappeto che doveva stare in un deposito; lo trovarono, lo posero per terra, ci stesero sopra il cadavere e lo fecero girare su se stesso in modo d'avvolgersi nello “zerbino”, “scherzando e bestemmiando in disprezzo alla salma” 59. Legarono con qualche corda il tutto, come un salame. Francesco Gonzaga, incredulo scrive alla moglie Isabella: <<Alla sepoltura fu portato senza molto onore, e dal cataletto fu trascinato per un facchino, con una corda legata al piede, al loco della sepoltura, per non trovarsi alcuno che lo volesse toccare; gli fu fatto un deposito tanto misero che la nana moglie dello zoppo l'ha lì a Mantova più onorevole>>60. Altri testimoni raccontano di quattro uomini "volgari", dei manovali che su ordine del cerimoniere in modo approssimativo tagliarono sei pezzi di legno grezzo, li inchiodarono e ne trassero fuori un cassaccia davvero miserabile. Tutto è riferito da Burcardo nei suoi liber notarum, anche se pur aggiungendo dell'altro, poi, forse per l'infamia di questo ultimo evento ch'egli avrebbe dovuto gestire, nega d'aver assistito in prima persona alla sepoltura: <<Il giorno dopo (l'esposizione), domenica, verso le ore 24, la salma fu portata nella cappella delle Febbri>> conferma il cerimoniere, <<è stata deposta presso il muro, ad un angolo alla sinistra dell'altare, questo è quanto mi è stato riferito da Camillo Crispolti, beneficiario di San Pietro>>61. Altri scrivono: <<Il Giustinian, che lo vide, dice che non aveva più alcuna forma né figura d'uomo. La sera 4 facchini e due falegnami, berciando e smoccolando, lo traslocarono nella cappella di santa Maria delle Febbri>>. Ed ecco l'ennesimo incidente: le misure della bara d'un papa, per uno dei "riti autoumiliatori" da "sic transit gloria mundi!" di cui parla Bagliani, venivano prese insieme alle misure della veste papale il giorno stesso dell'elezione... ma ora il papa essendo afflitto dal "gigantismo cadaverico" nella bara non ci entrava più “essendo troppo corta e troppo stretta” 62. O forse “erano state prese male le misure”.62a E qui avvenne la cosa più vergognosa: i manovali, soliti romani d'allora spesso mezzi ubriachi e sempre sfaticati, improperando e sbeffeggiando il comunque sacro corpo del Borgia che non entrava nella loro cassa, rimanendo la testa di fuori per via anche della gonfiezza, a botta di calci, pugni, gomitate, pressature con i piedi, a forza riuscirono a ficcarcelo dentro alla meno peggio; tuttavia la mitra ancora sporgeva, impedendo la chiusura del coperchio; gliela tolsero e gliela sistemarono accanto63; poi posero il coperchio e lo fissarono sedendocisi sopra, dunque quattro chiodi e via. “Nessun sacerdote assisteva alla macabra operazione, non un cero era acceso” (tuttavia è notte fonda, di certo ci saranno state delle torce)64. Machiavelli intanto lo affidava, nel cammino verso l'oltretomba <<a tre suoi familiari e care ancelle, Lussuria, Simonia, Crudeltade>>65. Verificandosi questa vergogna, descrivendola persino, Burcardo non sembra affatto costernato, il suo animo appare immoto: <<Il cerimoniere pontificio conosceva fin troppo bene la sorte ultima dei successori di san Pietro: buoni o cattivi che fossero stati da vivi, al momento della morte erano comunque abbandonati da tutti, preda del caos e del furto>> 66. Le esequie novendiali avrebbero avuto inizio a partire solo dal 4 settembre.67

Essì, la Santità di Nostro Signore Alessandro VI, servo dei servi, re dei re, padre dei principi e degli imperatori, reggitore dell'Urbe e pastore dell'Orbe cristiano, vescovo di Roma, primate d'Italia e patriarca d'Occidente, Pietro e Vicario di Cristo nonché povero peccatore come tutti, finì più tardi in un posto indegno delle une e delle altre qualità: nei pressi del Poliandro, nella fossa comune dei morti senza nome ma che un tempo n'ebbero uno altisonante, in un punto sperduto delle allora quasi catacombe (sarà dopo Paolo V a risistemarle) delle grotte vaticane. Una specie di sepoltura in teoria provvisoria ma che molti già sospettavano definitiva. Lì rimase, e qualche anno dopo, segno che si voleva del tutto cancellare la memoria di quella trista famiglia catalana dal papato, lo raggiunse anche un altro Borgia, lo zio papa Callisto III .68

Fu un riposo senza pace quello dei due Borgia. In un primo tempo “fu inumato nella chiesa di Santa Maria delle Febbri, da dove, nel 1610, insieme al sarcofago dello zio Callisto, passerà nella sacrestia di Santa Maria in Monserrato”.69 Non concorda sulle date l'emerito arciprete della basilica, l'ancora vivente cardinale Virgilio Noè, che colloca nel 1618 la traslazione al Monserrato70; e che oltretutto fa una importante ricostruzione storica delle prime sepolture dei due spagnoli, entro l'antica San Pietro. Alla fine dell'800, senza troppo pubblicizzare la richiesta, per evitare imbarazzi, gli spagnoli a Roma reclamarono i corpi di due dei loro tre papi71, per collocarli in un degno monumento nella loro chiesa a Roma, quella appunto degli "spagnoli" di Santa Maria in Monserrato, nei pressi di Campo de' Fiori. Ma poi si resero conto pure che nessuno voleva spendere soldi per seppellirli in un monumento che gli avrebbe creato più fastidi che glorie, suscitato più polemiche che preghiere...

Da questa “richiesta” comprediamo che i due papi non erano dentro la chiesa: ma se non erano in chiesa dove erano finiti i resti dei Borgia dopo il 1610?

A metà '800 alcuni notabili spagnoli vollero visitare le tombe dei loro papi, che però non trovavano in chiesa e ne chiesero ragione ai responsabili dell'edificio; in risposta ebbero delle imbarazzate e lacunose spiegazioni. Più tardi furono accompagnati a "scoprire" delle “cassettine” in un deposito: eccoveli i vostri cari papi... quei cofani laggiù! Callisto III e Alessandro VI: sono loro! Per pietà cristiana e patriottica allora si fece in modo di traslarli in chiesa e di farli seppellire in un punto in alto, entrando la prima cappella a destra. Ancora oggi tanta gente entra in quel tempio proprio per il brivido di ritrovarsi a tu per tu con quel che resta di questi leggendari, sciagurati e alla fine sventurati e poveri uomini come tutti: ci entrano, vagano e poi... la domanda è sempre la stessa: "ma dove stanno sepolti i papi Borgia?". Si fece in modo anche questa volta di renderli "invisibili": ci stiano in chiesa, ma che nessuno li veda (facilmente). La Damnatio memoriae continuava. Ancora ci si vergogna di loro 72. Annota Gervaso, citando Sacerdote: <<Traslate in un piccolo sepolcro decorato da due busti. Chi li scolpì sbagliò però epigrafe: sotto il nome dello zio mise quello del nipote, e sotto quello del nipote quello dello zio>>. Il boicottaggio, persino involontario, continuava contro i due indimenticabili, nel bene e nel male, catalani.73

Riflette la studiosa dei Borgia, Susanne Schuller Piroli, l'ombra della leggenda nera è stata quella che ha tolto la pace dei morti e “ai sepolcri di entrambi i papi Borja” essendo chiaro che nessuno dei duchi di Gandìa, discendenti diretti di Alessandro VI, e tantomeno degli innumerevoli cardinali e prelati consanguinei che risiedettero a Roma fecero niente per riscattare i loro grandi antenati dall'abbandono e dotarli di una tomba nuova e onorevole.74

Così il vaticanista del Corriere della Sera nel 1941 raccontò in un saggio su Roma le disavventure dei corpi dei due papi catalani:

<<A s. Maria di Monserrato, nella prima cappella a destra di chi entra, è stata tumulata la salma di Alfonso XIII [alla caduta del regime di Franco sarà estumulata e traslata all'Escorial di Madrid]... quelli che capitano nella chiesa nazionale degli spagnoli, anche senza le iscrizioni sulla lapide, saprebbero di chi si tratta. Quasi nessuno invece sa rendersi conto del monumento funebre che si vede nella parte più alta della parete, sopra il rivestimento di marmo nero. È un'urna strana che ricorda più le dimensioni di un baule che quelle d'un avello. Impossibile che un cadavere possa esserci stato disteso. È invece là dentro, come dice la doppia iscrizione che sta sotto, ci sono i resti di ben due pontefici, Callisto III e Alessandro VI, zio e nipote, due papi spagnoli, due papi del secolo decimoquinto mentre, altro argomento di sorpresa, il monumento è recente, rivela la mano stanca e i motivi tutti riflessi di uno scultore poco personale della seconda metà dell'800. S.M. In Monserrato, è stata fino a 150 anni fa semplicemente la chiesa dei catalani degli aragonesi. Nelle sue cappelle ve ne sono sepolti parecchi, alcuni proprio dai tempi di quei due papi, tra gli altri lo stesso segretario di Alessandro VI, Giovanni da Fuensalida, che fu uno dei principali benefattori del tempio. Ma la tomba del segretario, che sta in una cappella sull'altro fianco della chiesa, è di ben diverso stile, il marmo è dorato dal tempo, le lettere corrose, le linee nobilissime rivelano la stretta parentela con quel fortunato periodo dell'arte italiana che videro all'opera in Roma, il Pollaiolo, Mino da Fiesole, il Dalmata. Perché tanto strano e paradossale divario col misterioso monumento dei due pontefici?

Perchè Callisto III, se non Alessandro VI, ha già avuto altrove il monumento. Stava nella rotonda di s.Andrea, una chiesa esterna ma in comunicazione diretta con la (vecchia) basilica di san Pietro; e l'aveva fatto fare, quel monumento, proprio il nipote del papa, Rodrigo Borgia, che Callisto aveva beneficiato in tutti i modi quand'era giovane, che aveva creato cardinale e camerlengo, lo stesso che 34 anni dopo doveva succedergli sulla cattedra di Pietro ed essere lui il papa Borgia per antonomasia. Tranne quella grossa menda del nepotismo, Callisto era stato ottimo papa e uomo di austera vita. Alessandro VI invece fu diverso; non somigliò allo zio altro che nel nepotismo, divenuto per lui sfrenata passione di esaltare i propri figli. Morto d'agosto il suo cadavere si corruppe tanto rapidamente che fu sepolto dopo sole 24 ore, sepolto anch'esso in sant'Andrea, accanto allo zio.

Per le spoglie di Alessandro la sorte fu anche più cruda. Perché, incominciatosi a ricostruire san Pietro, la rotonda di s. Andrea capitò entro il perimetro del nuovo tempio e dovette essere abbattuta. Così, insieme a molti altri, fu distrutto anche il monumento a Callisto III ed i resti dei due papi furono deposti altrove. Dove esattamente non è detto; si sa però che nel 1605 dovettero essere di nuovo trasferiti e furono collocati nelle grotte di san Pietro, dove si vede anche oggi un sarcofago vuoto, appartenuto a uno dei due, senza che si sappia precisamente a quale. La sistemazione nelle grotte non dovette apparire molto onorevole ai catalani, perchè, anni dopo, essi richiesero le ossa dei loro due papi per collocarle con più onorevole sepoltura nella chiesa di Santa Maria in Monserrato. Una sera del 1610 fu fatto il trasporto, e la cassa contenente i resti, i quali avevano finito con l'essere mescolati insieme, fu deposta provvisoriamente in un locale dietro l'altar maggiore della chiesa, in attesa del nuovo monumento che non venne mai. Il perché non è noto; pare che i catalani abbiano anche meditato di trasportare i resti dei due papi in patria; certo è che il monumento non fu eretto né nel Seicento né nel Settecento, e la cassa rimase dove era stata deposta il giorno della traslazione. Ne era venuta fuori una soluzione che era anche meno onorifica di quella precedente; gli spagnoli che avevano in consegna la chiesa se ne vergognavano e rammaricavano anche perché degli stranieri si presentavano spesso a chiedere della tomba dei due papi e gli accompagnatori dovevano ricorrere ad ogni genere di pretesti per eludere la richiesta. Alcune settimane fa – racconta nel suo epistolario il diplomatico prussiano Kurd Schlozer, che fu a Roma al tempo di Pio IX – quando chiesi al custode dove si trovasse la tomba di Alessandro VI, mi rispose che questo papa lì non era stato sepolto. Pensai che fosse un ignorante, ma poco dopo seppi la verità. I Borgia si trovavano nella chiesa, ma non erano stati sepolti, ed uno dei miei colleghi, il marchese Arcillar, lui stesso imparentato coi Borgia, mi confermò questa notizia e mi disse con aria di mistero che quei poveretti stavano ancora nella cassa di legno nella quale erano stati portati nella chiesa di Monserrato nel 1610. Volendo rendersi conto personalmente della cosa, lo Schlozer si fece fare una presentazione molto autorevole che lo fece introdurre anche nello strano sacrario. Il prete – dice lo Schlozer- aprì una piccola porta insignificante ed entrammo in una bassa stanza oscura, alle pareti della quale stavano scaffali ripieni di scatole di legno con targhette: tutte ossa di martiri. Nel mezzo della stanza, al suolo, era una cassa di piombo coperta di polvere. Don Ramon alzò il coperchio e con grande disinvoltura disse: “Ecco le ossa dei due Borgia'”. Egli non aveva nessuna idea della enorme impressione che noi provammo. In questa cassa di piombo c'era una cassetta di legno chiusa, e intorno le girava una fascia bassa di tela con due sigilli rossi così vecchi che non si riconosceva più il timbro. Sopra c'era scritto su una targhetta bianca di carta, i caratteri arcaici e in spagnolo: “I resti di due papi stanno in questa cassetta. Essi sono Callisto III ed Alessandro VI. Erano spagnoli”. Vi è oggi, nell'andito che dalla chiesa mette nella sacrestia, un gran quadro che rappresenta Alessandro seduto allo scrittoio con tra le mani un atlante... al suo tavolo di lavoro il vecchio papa, coperto dal camauro, ha un viso imperioso e duro, nel cui sguardo non c'è niente della rassegnata stanchezza che si può vedere invece nell'Alessandro VI in un piviale d'oro, dipinto dal Pinturicchio nell'appartamento vaticano... quel quadro romantico è oggi il ricordo più vivo che esista nella chiesa del Monserrato relativamente a papa Borgia. Fa più impressione del monumento sotto il quale il feretro di Alfonso XIII attende un giorno di partire per l'Escurial. Quel monumentino è nato dalla sollecitudine del diplomatico amico dello Schlozer, il quale ebbe però il suo ben daffare a smuovere l'apatia dell'ambiente. Fu un gruppo di nobili spagnoli ad assumere un bel momento l'iniziativa e il mausoleo fu messo in opera solo nel 1881. Prima di deporvi la cassa di piombo furono tolti i sigilli a quella di legno e fu fatta una ricognizione. Non v'erano, dice la relazione, che pochi ossami fra il terriccio della decomposizione, e solo un uomo d'arte poté rintracciare elementi capaci di dimostrare che gli scheletri erano due e due i crani, prova che l'iscrizione diceva il vero, che zio e nipote, tanto vicini in vita, erano tornati insieme anche nel buio della tomba>>.75

Ora, se abbiamo un quadro piuttosto completo delle vicende capitate ai due pontefici dal momento della traslazione in Monserrato, rimane la confusione e la ricostruzione frammentaria circa le sorti, alterne e innumerevoli, che toccarono alle salme dopo la morte entro il raggio della vecchia San Pietro. Non pretendiamo d'essere esaustivi, ma almeno per la prima volta di dare un ordine e concatenare cronologicamente eventi e cose, facendo un po' di chiarezza.76

Al solito Gregorovius, pieno di pregiudizi verso il papato e spesso assai impreciso nelle ricostruzioni storiche, questa volta, controcorrente, smentendo tutti dà la sua veloce versione dei fatti. <<Andiamo ora a cercar la tomba di questo Borgia. Con quali virtù morali l'avranno decorata? Diana? Venere? Locusta l'avvelenatrice? Il Borgia non ebbe monumento. Ai suoi resti non fu concesso il riposo della tomba: Giulio II, acerrimo nemico dei Borgia, dalle grotte del Vaticano li fece trasportar nella chiesa di san Giacomo degli Spagnuoli 77, e quando questa più tardi cadde in rovina, furon trasferiti l'anno 1610 in S.Maria in Monserrato. Ivi si trovano ancora, secondo quel che si dice, sopra terra, cioè deposti dentro di una cassa di legno, insieme con quelli del suo zio Callisto III78. Così la nostra curiosità rimane delusa giacchè il sarcofago che oggidì nelle grotte vaticane si pretende essere di Alessandro VI, deve essere invece quello di Calisto, la cui figura giace distesa sul coperchio>>.79

La vicenda intricata della sepoltura dei due papi non finisce qui. Apporta nuovi particolari un illustre personaggio della chiesa dei nostri tempi, il cardinale Virgilio Noè 80: da questa postazione privilegiata nel 2000 scrisse un prestigioso volume storico-fotografico su tombe e monumenti funebri dei pontefici in San Pietro e nelle Grotte Vaticane. Qui il porporato, che sicuramente da arciprete poteva disporre di inedito materiale d'archivio della basilica, porta anzitutto delle modificazioni alle date delle varie traslazioni dei papi Borgia. Inoltre cerca di chiarire l'altrettanto annoso rompicapo di un sarcofago con gisant, vuoto oltretutto, che si trova da secoli nelle grotte e che ha avuto innumerevoli vicende e traversie, proveniente com'è dalla primitiva San Pietro, di certo rimasuglio del monumento funebre di un papa Borgia. Ma quale dei due? Il cardinale arciprete cercherà di rispondere, soffermandosi soprattutto su Callisto III, attribuendoglielo:

<<Quando un visitatore esce dalle grotte e si avvia verso il cortile a nord della basilica, trova sulla parete destra del corridoio che deve percorrere ciò che resta, dopo diversi spostamenti, del sepolcro di papa Callisto III, il catalano Alonso de Borja. In origine, esso era stato collocato nella Rotonda di Sant'Andrea, un tempietto a forma circolare che sorgeva attiguo all'antica basilica Vaticana, denominata all'epoca cimitero degli spagnoli. A volere la costruzione del monumento in questo spazio era stato il cardinale Rodrigo de Borja, futuro Alessandro VI e nipote del defunto. Questi aveva fatto preparare per lo zio una ricca opera in marmo che aveva anche la funzione di altare. Contrariamente a quanto è stato scritto, l'autore non fu Paolino di Antonio da Binasco, un oscuro muratore stipendiato dalla Fabbrica fra il 1457 e il 1463, anno della sua morte. In assenza di documenti, diventano guida le descrizioni dell'epoca e la lettura delle diverse parti scultoree oggi conservate. Poco dopo la metà del 1400, l'opera si presentava così: al vertice della composizione era collocato il sarcofago, sul quale giaceva l'immagine del defunto. Subito di sotto, un riquadro marmoreo presentava il Cristo sofferente, nella forma tradizionale della victima sancta. L'insieme era arricchito dalle figure dei quattro santi dottori della chiesa: Agostino, Ambrogio, Gregorio Magno, Girolamo. Altre statuine, raffiguranti i santi Vincenzo Ferrer, Osmondo da Salisbury e Nicola, hanno trovato posto in piccole nicchie. Autore dell'opera è stato un anonimo artista di cultura settentrionale... per l'accentuata carica espressiva specie nel Christus patiens. Il monumento rimase integro nell'arco di tempo 1485/1586 [...] I resti mortali del papa, insieme a quelli del nipote Alessandro VI, furono portati in un deposito provvisorio, all'interno della basilica in costruzione, retro organa, e qui rimasero per circa vent'anni. Il 19 ottobre 1605, un protonotario apostolico di Valencia, fede trasportare le salme dei due pontefici nella navata di Sant'Andrea, in un monumento addossato al muro divisorio di Paolo III, realizzato in maniera molto semplice: un parallelepipedo sormontato da una piramide. Questi i motivi del gesto di Vives: Per onore della patria comune, per la sua devozione e la stima che voleva dimostrare verso l'illustre famiglia Borja. I resti dei due papi ebbero pace nel nuovo posto solo per pochi anni, poiché nel 1618 (qui è in disaccordo con la maggioranza degli studiosi che sostengono il 1610) anche questa seconda sepoltura fu smantellata [...] In San Pietro (grotte vaticane), il monumento di Callisto III si presenta oggi in maniera molto semplice, con un sarcofago spoglio e dal fronte disadorno, che solleva a media altezza il corpo del pontefice raffigurato secondo un modello consueto nel 1400. La dignità della figura è ben espressa dal prezioso triregno a dai raffinati paramenti, tra i quali è ben visibile il pallio. Il doppio cuscino, decorato solo sul lato in vista, come nella tomba di Nicolò V, mostra nella parte destra una tacca incisa in maniera tale da non interrompere la decorazione delle quattro nappe. Questo particolare fa supporre che, probabilmente, la lastra era incassata tra due elementi architettonici verticali>>81.

Nonostante la sicurezza della descrizione del cardinale Noè, ci è necessario osare delle precisazioni e delle correzioni. Per primo c'è da dire che quel sarcofago è un affastellamento a periodi successivi di pezzi non necessariamente originali. Inoltre, a tutt'o ggi molti considerano quel rilievo marmoreo sul coperchio, il gisant che raffigurerebbe Callisto III, essere quella in realtà l'effigie del nipote, Alessandro VI. Facciamo ordine, ed esponiamo le nostre ipotesi.

In un libro illustrato del 1933, scritto dallo storico dell'arte Diego Angeli, dedicato all'arte sacra romana, abbiamo reperito una fotografia dell'epoca di Leone XIII (lo si stabilisce dal fatto che tutte le facciate delle chiese fotografate hanno lo scudo con le armi del Pecci), quindi fra il 1878 e il 1903, che riporta una rara immagine del sepolcro di papa Callisto depositato nelle grotte, in quei tempi tal quali le aveva lasciate Paolo V dopo l'ultima risistemazione, nel primo decennio del '600.

Bene, la cosa che subito salta all'occhio e che molti sarcofaghi provenienti dalla vecchia basilica sono accatastati, fra cui quello di Callisto, che ne compre un altro, forse di porfido, con coperchio a volta. Ora sappiamo, a giudicare dall'attuale collocazione, che fu spostato un'ennesima volta nel 1940 circa, data dell'ultima risistemazione delle grotte: oggi infatti il sarcofago Borgia non è accostato ad alcun altro cofano funerario, come a quei tempi.

Quindi, confrontando la foto attuale e quella di fine '800 scopriamo un altro fatto, anzi più di uno. Il cofano attuale del sarcofago è completamente diverso da quello che si osservava ai tempi di Leone XIII: il primo era più basso e del tutto privo di fregi, e poggiava su due piccole assi di marmo; l'attuale invece, pur essendo un sarcofago antico, diremmo di epoca romana, è più alto, di marmo più chiaro e con sovrimpressi lisi motivi decorativi; il tutto poggia non più su due assi come nella vecchia foto, ma su una intera spessa lastra di marmo di Carrara. Dunque il sarcofago è stato cambiato (si presume perché il primo era sui bordi della chiusura talmente rovinato, che il coperchio poggiava male e lasciava intravedere l'interno). Il cambio di certo è avvenuto nei restauri del 1940, all'epoca degli scavi nelle grotte ordinati da Pio XII.

Circa il coperchio. Nella vecchia foto l'attuale coperchio non c'era proprio: il gisant, cioè l'altorilievo che raffigura il papa giacente (di sicuro, staccato dal coperchio del monumento originale nell'antica San Pietro), senza base poggiava direttamente sul cofano e fungeva esso stesso da coperchio arrangiato. Quindi il coperchio è stato pure questo aggiunto nel 1940: costruito applicando il gisant su una lastra di marmo (che meglio serra l'apertura del sarcofago), che può essere antico o tagliato in modo da farlo sembrare tale, e che soprattutto porta inciso sul bordo a caratteri simil-arcaici questa informazione: “IMAGO SEPVLCRALIS CALLIXTI III PONT.MAX, CVIVS EXVVIAE IN ECCLESIA S.MARIAE DE MONTE SERRATO CONQVIESCVNT”. Inutile aggiungere che tale epigrafe nella vecchia foto non compare, non essendoci neppure un coperchio vero allora 82

Un ultimo dubbio riguarda l'identità del papa raffigurato nel gisant sopra il sarcofago. Che sia un Borgia è certo, ma quale fra Callisto e Alessandro? Ufficialmente la chiesa (come l'epigrafe summenzionata, dimostra), e anche il cardinale Noè nel suo libro, ha stabilito rappresentare Callisto III. Molti altri invece, fra questi lo storico dell'arte Angeli nel cui libro è riportata la foto fine '800 del sarcofago, scrive essere Alessandro VI. Stendhal, nel suo diario romano, che si porta dietro tutta la faciloneria divulgativa e schizzinosa, i pregiudizi e le superstizioni dei viaggiatori illustri nordeuropei, che invasero le città d'arte italiane fra '700 e '800, scrive: <<...Scendete nei sotterranei: là si trova la tomba di quell'infame di Alessandro VI, l'unico uomo che sia apparso come un'incarnazione del diavolo>>.83

Noi propendiamo per la prima ipotesi, che raffiguri Callisto, per due motivi. Il primo è che, al momento, non abbiamo nessun documento che attesti che Alessandro ebbe mai un sarcofago (dal momento che non ebbe neppure una messa esequiale...figurarsi il resto!), tantomeno un gisat su di esso; al contrario sappiamo che Callisto aveva e il sarcofago e un intero monumento voluto proprio dal nipote destinato a succedergli come papa. Secondo motivo, i lineamenti: ci sono pervenuti molti ritratti (quasi tutti di profilo, come in uso all'epoca), se non di Callisto, di Alessandro VI, e in nessuno di questi il papa Alessandro sembra avere i lineamenti maxilo-facciali tendenzialmente oblunghi (e i gisant -vedi nel caso di Bonifacio VIII- ricercano la somiglianza veristica con l'effigiato) e angolosi. Spieghiamo. Confrontando fra di loro i ritratti più fedeli (pare) dei due papi, notiamo comunque una cosa: i due si assomigliano moltissimo, persino certi particolarI come gli zigomi, il naso, i lineamenti attorno la bocca, le arcate sopraccigliari sono identiche. L'unico particolare che li differenzia è il mento più sporgente dello zio (da qui un viso più allungato), mentre il nipote lo ha più rientrante. E forse, come dicevamo, una lieve maggiore spigolosità nei tratti facciali di Callisto, che lo allotanano dalle rotondità del nipote. Il corpo marmoreo giacente sul sarcofago nelle grote ha in effetti un mento più allungato e sporgente verso il basso. Dunque, possiamo sostenere con sufficiente approssimazione che il sarcofago vuoto depositato nelle grotte vaticane sia appartenuto a papa Callisto III nella sua prima sepoltura, ed è lui il papa raffigurato nel gisant. 84

La morte senza pace e senza fine dei Borgia, vaganti come anime in pena e senza redenzione, è più lunga e complicata del previsto: più ne scriviamo e più s'allunga e s'infittisce. Dopo che quei corpi per cinque secoli, senza sosta sono precipitati ora nell'oblio ora in baratri di sfortuna, suscita un sorriso amaro passare dal corridoio che porta dalla basilica vaticana alla sagrestia e scorgere una grande lastra di marmo sul muro dell'atrio intitolata “SVMMI PONTIFICES IN HAC BASILICA SEPVLTI”. Scorri la lista velocemente. Callisto e Alessandro risultano “sepulti” in San Pietro! Siamo di nuovo al punto di partenza. Nessuno si è accorto che da lì se ne sono andati 400 anni fa. Una storia senza fine! 85

NOTE

1 Spinosa A., La saga dei Borgia, Milano 2003, pp. 239-240.

2 Falconi C., Storia dei papi, 4 voll, Milano 1970, IV, p.356.

3 Pastor L., Storia dei Papi, 16 voll, Roma 1942, III, p.473

4 Pastor L., Papi, cit., III, p.511

5 Gervaso R., I Borgia, Milano 1977, p.311

6 Pastor L., Papi, cit., III, p.573

7 Pastor L., Papi, cit, III, p.573

8 Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., pp.241-242

9 Gervaso R., I Borgia, cit., p. 312, è uno dei pochi testi che cita esplicitamente il coma del papa, che nelle sue condizioni era assai probabile, tuttavia il saggista non rivela in quale fonte ha scovato questo particolare.

10 La vicenda è ricostruita – inventata, sostengono da tempo molti, Pastor soprattuto- dal Guicciardini indefesso e astioso antiborgiano; il fatto del calice avvelenato è ormai bollato come “favola” nera da quasi la totalità degli storici del papato, compresi Pastor L , Papi, cit., III, pp.574-77, e Gregorovius F., Storia di Roma nel medioevo, 16 voll, Roma 1941, pp.217-24; Guicciardini citato in Spinosa A., La saga dei Borgia, cit, pp. 239-242; Gervaso R., I Borgia, cit., pp.312-314; Ceccarelli G., La salute dei pontefici da Alessandro VI a Leone XIII, nelle mani di Dio e dei medici, Milano 2001, pp. 12-13.

11 Allora ai banchetti si mangiava soprattutto carne al sangue, e con quel caldo, inesistenti efficienti tecniche di refrigerio, nulle le norme igieniche... probabile che la carne fosse lievemente avariata e ricettacolo di batteri. Montanari M., La fame e l'abbondanza, storia dell'alimentazione in Europa, Bari 2003, pp 91-97; tuttavia bisogna dire che essendoci avvisaglie di malaria e peste in città, il papa stesso attraverso il suo governatore diede disposizione che si chiudessero per parecchi giorni tutte le macellerie, secondo una consuetudine igienica dell'epoca; tuttavia nei banchetti la carne al sangue era il piatto principe, senza il quale non si poteva parlare di banchetto. Possiamo dire che fu la carne il ricettacolo dei batteri che scatenarono nei convitati febbri e malaria?

12 Gesto che sarebbe peggio scellerato e demenziale se si pensa all'enormità del rischio superante qualsiasi vantaggio -se mai ce ne potevano essere- d'ammazzare un papa in casa propria. Gervaso R., I Borgia, cit., p 313; Stendhal, Passeggiate romane, 2 voll, Roma 1981, II, p.181: autore che non prendiamo in considerazione dal momento che prende per buona qualsiasi leggenda metropolitana sulla morte e non solo del papa; infatti questo letterato, di stanza a Roma, proprio in base a queste leggende di basso borgo, dà per scontate le morti venefiche forse della maggioranza dei papi Pio III, Leone X e Clemente XIV compresi. Naturalmente, basandosi sulla ricostruzione grottesca del Paolo Giovio, ch'egli stesso definisce “uno storico bugiardo ogni volta che è ben pagato per mentire, e ce lo dice lui stesso”, dice che Alessandro VI è stato avvelenato. La cronologia degli aventi che ricostruisce è piena di errori madornali, che smentiscono tutte le fonti, compreso il Giovio da cui attinge e da cui ha persino letto e copiato male... o probabilmente va a memoria. Un dato per tutti: Alessandro appena bevuto il vino in casa del cardinale di Corneto, ha immediatamente dolori e fitte allo stomaco, sarebbe – a suo dire- persino svenuto, e rinvenuto aveva la vista annebbiata. Siamo di fronte alla morte di Alessandro inventata quasi di sana pianta, persino oltre il Giovio. Lo Stendhal è il campione massimo, fra i viaggiatori-diaristi esteri a Roma del '7-800, fra i più saturi di pregiudizi, il meno interessato alla ricerca della verità e il più approssimativo nel riportare notizie di eventi storici cui non abbia assistito personalmente. E anche quando vi ha assistito, la sua memoria spesso lo inganna, basta vedere le pagine nello stesso Passeggiate romane a proposito delle vesti funebri di Leone XII, in cui afferma d'averlo visto vestito di bianco, il colore cioè più proibito alla morte del papa, la cui salma deve essere solo e solamente vestira di paramenti pontificali rossi.

13 Pastor L., Papi, cit., III, pp.572-5, giustamente riporta tutto alla mattina del 12; Gervaso R., I Borgia, cit., p. 312, parla della mattina dell'11.

14 Spinosa A,, La saga dei Borgia, cit., pp.239-40.

15 Gervaso R., I Borgia, cit., p. 313.

16 Pastor L, Papi, cit., III, pp.575-7.

17 Si veda Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., pp.238-41, che ne riporta ampi stralci.

18 Pastor L., Papi, cit., III, pp. 573-6; Gervaso R., I Borgia, cit., p. 313.

19 Pastor L., Papi, cit., III, pp. 574-5.

20 Ceccarelli G., La Salute dei pontefici, cit., pp.13-14; Gualino L., Storia medica dei romani pontefici, Torino 1934, pp.273-86, per una analisi sistematica della malattia di Alessandro.

21 Pastor L., Papi, cit., III, p. 578.

22 Gervaso R., I Borgia, cit., p. 312; Gualino L., Storia medica, cit., pp. 278-88.

23 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del papa, Torino 1994, p. 189, cita i Liber Notarum -Diari- di Burcardo

24 Burcardo G., Alla corte di cinque papi, Diario 1483-1506, ed.G.Bianchi, Milano 1988, pp.404-6; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p.32, cita Burcardo, Diarium.

25 Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., p. 243; Chastenet G., Lucrezia Borgia, la perfida innocente, Milano 1995, pp.252-3.

26 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33, cita il Burchard, Diarium_1483-1506_ Parigi, 1885_tomo 3°, agosto 1503.

27 Gregorovius F., Storia della città di Roma, cit., XIV, pp. 221-4, che si rifà comuque alla vita di Alessandro VI scritta dal Panvinio, nelle note al testo, p.224.

28 Santolaria J.A., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, p. 93.

29 Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., pp. 241-242.

30 Gervaso B., I Borgia, cit., pp.313-14

31 Chastenet G., Lucrezia, cit., p. 249, trae informazioni da Giustiniani, Dispacci; Buggelli M., Lucrezia Borgia, Milano 1931, p.285.

32 Gervaso R., I Borgia, cit., pp.314-15

33 Gli era stata strappata via, durante i saccheggi, in Chastenet G., Lucrezia, cit., p.252.

34 Burcardo G, Alla Corte, cit., pp. 404-6; Chastenet G., Lucrezia, cit., pp. 252-3.

35 Pastor L., Papi, cit., III, p.873.

36 Burcardo G., Alla Corte, cit., pp.400-10; Gervaso R., I Borgia, cit., pp..314-5, il quale aggiunge anche alla stessa pagina quanto sostenuto, e da noi citato del Burcardo: <<...adagiata su una tavola coperta di velluto e con in cima un cuscino di broccato, ma nemmeno qui essa ebbe il conforto d'una visita o d'una preghiera. I penitenzieri incaricati di vegliarla e gli stessi cardinali se ne tennero alla larga>>.

37 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33 cita Burcardo, il Diario; Gervaso R., I Borgia, cit., p.315.

38 Camerlengo? In realtà Burcardo parla del vescovo di Sessa: in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 231.

39 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33, cita Burcardo Diario; il saggista Roberto Gervaso ne fa un'altra ricostruzione della esposizione dietro cancello, e sostiene che l'esposizione nella cappella del Coro -scrive essere questa e non una presunta cappella del Sacramento nella vecchia basilica-, avvenne successivamente, dando per scontato forse che la salma fu in un primo tempo esposta anzi l'altare maggiore, almeno fino al parapiglia in basilica fra soldati e chierici di cui si racconta fra qualche rigo.

40 Al contrario di quanto avvenne per Sisto IV, a detta dello stesso Burcardo, Burcardo G., Alla Corte, cit., pp.45-46.

41 L'autore cita Guicciardini, Storia d'Italia, in Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., p. 241.

42 Pastor L., Papi, cit., III, p. 478.

43 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33, cita Burcardo Diario.

44 Chastenet G., Lucrezia, cit., p.253; Gervaso R., I Borgia, cit., p.315. Qui il biografo Gervaso racconta un particolare poco noto, che riportiamo senza ulteriori commenti, dal momento che metterebbe a repentaglio tutta la ricostruzione cronologica dell'esposizione della salma: dopo la lite, tornata la calma, Burcardo e altri tre uomini si caricarono sulle spalle il cadavere in decomposizione, e lo nascosero dietro l'altare maggiore. “Ma non vi restò a lungo. Il vescovo di Sessa (colloca adesso, non prima, la nota vicenda delle cancellate) temendo che qualcuno lo profanasse, ordinò di trasferirlo all'ingresso del Coro, coi piedi rivolti verso l'inferriata, la quale venne prudentemente chiusa”.

45 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.231

46 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33 cita Burcardo Diario; Burcardo G., Alla Corte, cit., p.406: i due testi portano trascrizioni del testo originale piuttosto diverse nella forma, ma simili nella sostanza, io ho fuso i due testi, mantenendo di ciascuno le frasi più incisive.

47 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p. 93.

48 Spinosa A., La saga dei Borgia, cit, p. 241, in cui cita forse - non lo specifica- o annotazioni del Machiavelli o del Guicciardini.

49 Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 33 cita Burcardo Diario.

50 Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., p.241, in cui cita anche qui forse - non lo specifica- o annotazioni del Machiavelli o del Guicciardini. I fenomeni di Gigantismo e Negroidale che spesso si presentano insieme tendono a stirare il corpo come un involucro di plastica gonfiabile, per rendere l'idea: , tutte le parti prima flosce si stendono e si sollevano gonfie, allo stesso modo in seguito alla pressione dei gas putrefattivi anche gli arti del cadavere, come nel caso di Borgia, tendono a sollevarsi e spalancarsi: braccia, gambe, e persino gli organi riproduttivi, dal Torre C., Manuale di tecnica dell'autopsia, Milano 1999, p.220; Tovo A., Medicina Legale e delle assicurazioni, Milano 1998, p.244.

51 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp. 92-5

52 Buggelli M., Lucrezia , cit., p.288.

53 Assolutamente falso: lo stesso Burcardo, che egli vorrebbe difendere, ammette che già la mattina seguente al decesso, fra il 18 e il 19, la decomposizione era bella che iniziata. Burcardo G., Alla Corte, cit., pp. 400-6.

54 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp. 93-98; Pastor L., Papi, cit., III, pp.574-77.

55 Gervaso R., I Borgia, cit., p.315.

56 In Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33, citazione dei diari di Burcardo; Burcardo G., Alla Corte, cit., pp.103-8.

57 Pastor L., Papi, cit., III, pp.576-9; la sepoltura dopo 24 ore data come regolare da Pastor, è di fatto presentata da altri come necessaria e fortuita solo in questo caso.

58 Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p. 93

59 In Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p. 33 citazione dei diari di Burcardo

60 In Chastenet M., Lucrezia, cit., pp.253-4, da una lettera manoscritta del duca nell'archivio Gonzaga a Mantova; Buggelli M., Lucrezia , cit., pp.286-7.

61 Burcardo G., Alla Corte, cit., pp. 406-7.

62 Citazione di Burcardo, Diario, in Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p.189.

62a Gervaso R., I Borgia, cit., pp.315-16.

63 Gervaso R., I Borgia, cit., p.316: anche in questo caso, come in tutti, i fatti di certo son ripresi dai diari del cerimoniere Burcardo.

64 In Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.33, citazione del Diario di Burcardo. Da notare che questa vicenda della bara stretta è riportata pressoché in tutti i volumi che accennano alla morte di Alessandro VI, noi ci limitiamo a citare la fonte madre, il Burcardo.

65 In Spinosa A., La saga dei Borgia, cit., p.241.

66 Chastenet G., Lucrezia, cit., p.253.

67 Pastor L., Papi, cit., III, p. 526.

68 Noè V., Le Tombe e i monumenti funebri dei papi nella basilica di S.Pietro in Vaticano, Modena 2001, pp.15-6, 85-90.

69 Gervaso R., I Borgia, cit., p. 316.

70 Noè V., Le Tombe e i monumenti, cit., pp. 85-90.

71 Se escludiamo l'antipapa Pietro de Luna, Benedetto XIII; il primo papa spagnolo fu san Damaso II, vedi Kelly J., Vite dei papi, Casale Monferrato 1995, pp. 254, 391.

72 Negro S., Roma, non basta una vita, Vicenza 1965, pp.119-122.

73 Gervaso R., I Borgia, cit., pp.316-17.

74 Schuller Piroli S., I Papi Borgia, Milano 1995, p.250.

75 Negro S., Roma non basta una vita, cit., pp.119-122; riporta un articolo del grande vaticanista del Corriere della Sera, edito nel 1941.

76 Qualche elemento di novità ai luoghi comuni, sovente approssimati e talora sbagliati, lo introduce Santolaria, che per il resto conferma quanto raccontato dall'impagabile Silvio Negro .

“La pace sepolcrale di Alessandro VI, inumato accanto a suo zio Callisto nel piedistallo dei loro cenotafi (adesso sappiamo che nella vetero San Pietro, si trovavano in quel punto) -opere del migliore gusto rinascimentale come è reso evidente dai rilievi che ornano l'opera del Ciacconio- fu turbata, eccome. I lavori del nuovo San Pietro, promossi da Giulio II, segnarono la spietata demolizione dell'ingente quantità di monumenti funerari e tombe che, dal medioevo, popolavano il recinto della venerata basilica costantiniana. Non fu neppure risparmiata la sagrestia dei Canonici di San Pietro, al punto che questi si rifugiarono nella Rotonda degli Spagnoli”. Fecero male, dal momento che Sisto V, infallibile spirito urbanizzatore più che mecenate, pratico più che esteta, all'improvviso decise di spostare l'obelisco del circo di Nerone, incastonato nella basilica, verso il centro della piazza, e di certo per lui non era un problema abbattere parte (e alla fine tutta) la cappella nazionale degli spagnoli, per lasciare passare le funi che dovevano sollevare il colosso. I poveri canonici quasi sfrattati, per procurarsi un poco di spazio da adibire a sagrestia provvisoria, non trovarono di meglio che rispondere alla demolizione con un'altra demolizione... pure questa a fini “pratici”: distrussero i sepolcri, del resto già parecchio provati e sbeccati dai lavori in corso, dei due papi valenziani, loro connazionali; i cui resti, purtroppo, per l'ennesima e non ultima volta vennero confusi e mischiati deponendoli in una cassa di piombo “collocata poi in una anticamera dell'organo dell'antica fabbrica di San Pietro”. Non è finita, in quel deposito li ritrovò all'inizio del secolo XVII, il valenzano Juan Bautista Vives, protonotario apostolico, “che mise il cofano con gli ossami dei suoi compatrioti in un nuovo feretro di legno che venne collocato nella parete tra il vecchio e il nuovo San Pietro”. Chiaro che pure questa parete doveva essere demolita, reiterando la miserabile peregrinazione senza requie dei papi Borgia. Il pietoso mons. Vives ancora una volta andò a recuperarli, pensando questa volta ad una meta definitiva, che alla prova dei fatti doveva rivelarsi più accidentata e indecente delle precedenti: Santa Maria in Monserrato, tempio dei catalani... come andarono le cose lo sappiamo già! Sepolti dopo secoli d'attesa nella prima cappella del lato dell'Epistola, dopo che un gruppo d'aristocratici spagnoli residenti a Roma fece una questua per “erigere un monumento funebre degno, che venne affidato a Moratilla e che riempie la nicchia in cui venne collocato il feretro”, potendo così i due apostolici parenti dopo quasi 400 anni di ignobili peripezie riposare in pace. “Particolare curioso: nello spazio libero che restava dietro la tomba ebbe asilo la salma di re Alfonso XIII, morto a Roma nel 1941”. Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp. 95-6.

77 Gregorovius F., Le Tombe dei Papi, Roma 1879, pg 108-12, è il solo a sostenere simile evento, e persino è il solo che cita San Giacomo come prima tappa dopo la vecchia San Pietro, invece che S.Maria al Monserrato.

78 Gregorovius scrive nel 1878-9, circa tre anni prima della creazione del monumentino in Monserrato

79 Gregorovius F., Le Tombe dei Papi, cit., pp. 108-12.

80 Già maestro delle cerimonie pontificie sotto tre papi, quindi cardinale arciprete della basilica vaticana, oggi emerito.

81 Noè V., Le Tombe e i monumenti, cit., pp.81-90.

82 Per il confronto mi sono servito del volume di Angeli D., Roma- il Rinascimento-Italia artistica, Bergamo1933, p. 112, in cui si riporta la foto d'epoca; e del volume del cardinale Virgilio Noè, Le Tombe e i monumenti, cit., pp.81-90, le foto dell'odierno sarcofago e del gisant alle pp. 81,82-83.

83 Stendhal, Passeggiate Romane, cit., I, p.71.

84 Falconi C., Papi, cit., IV, pp. 25, 98, mi sono servito per il confronto delle immagini raccolte in questo volume, poichè riporta i ritratti fedeli fatti a incisione -metodo che meglio risalta i lineamenti- dei due papi Borgia, che governarono la chiesa a 40 anni di distanza l'uno dall'altro. Entrambi poi chiaramente sono stati confrontati con le foto di primo piano del gisant del sarcofago del papa Borgia, riportate nel succitato libro del Noè.

85 La svista si può notare in Noè V., Le tombe e i monumenti , cit.,pp.14, 20 Neppure il card. Noè nel libro si è accorto dell'errore. Nessuno storico ci ha fino ad ora fatto caso. Eppure su quella lista marmorea che sempre suscita la curiosità dei turisti, peraltro eseguita verso il 1915, di sviste ve ne sono parecchie: persino i due papi Piccolomini, Pio II e Pio III, risultano ancora ivi sepolti, quando poi il primo è morto che neppure era in programma la basilica e nemmeno fu mai sepolto in quella costantiniana; e quanto al secondo, fu sfrattato per la demolizione della vecchia basilica; l'uno dopo l'altro furono portati in Sant'Andrea della Valle, ove da secoli riposano uno difronte all'altro.

 Innocenzo X

Qualcuno racconta dei tristi ultimi giorni di vita di Giovanni Battista Pamphilj, papa Innocenzo X per oltre un decennio. Il vecchio era diventato insopportabile, e già era un carattere insopportabile ed irancondo quando stava bene, figurarsi ora da malato: non voleva farsi visitare, diffidente e sospettoso brontolava di tutto, fino a frequenti e spropositati scoppi d'ira; talora faceva chiamare al capezzale i parenti e talora li scacciava furibondo additandoli quali -con qualche ragione- inaffidabili e ladri, a dimostrazione di quanto fosse lunatico1. L'unica che seppe dominarlo (e rovinarlo) completamente fu la cognata donna Olimpia Maidalchini, vedova del fratello del papa, che da allora i romani impararono a chiamare "la Pimpaccia", e per molti di loro semplicemente divenne la grande “strega”, “ladra”, e pure “mignotta” e protettrice di “puttane”2, nonché “papessa”, pronta com'era a gestire affari di Stato ed internazionali, in vece del papa o facendosi assecondare da lui. Non parleremo in questa sede di certo della lunga (e persino appassionante) vicenda di donna Olimpia “la papessa”,3 ma bisogna dire che se Innocenzo resistette persino eroicamente alle pretese dei nepoti, in un primo tempo, quando fu lei, Olimpia, a prendere l'iniziativa per distribuire nella parentela i frutti materiali d'un simil immenso parente, il papa cedette, e di buon grado. E fu nepotismo il più furioso! 4

Il vecchio Innocenzo, che per il resto5 fu risparmiatore (avaro secondo alcuni, ma non pro domo sua) e, cosa ancora più rara a quei tempi, d'integerrimi costumi da sempre, davanti ai capricci di lei non sapeva dire di no6. E si videro i risultati: detestato da tutti ormai, le casse dello Stato svuotate mentre s'erano riempite quelle della famiglia Pamphilj, il papa adesso giaceva sul letto di malattia e di morte completamente abbandonato e pare "pieno di merda",7 con un vecchio camicione da notte sdrucito e unto, con vecchie copertacce sgualcite, quelle buone, ancora vivo, se le erano già prese i famigliari e i famigli che a lui dovevano ogni fortuna. Tutto intorno all'agonizzante, al solito, era un ladrocinio generalizzato che non dimenticava niente (neppure il letto del moribondo), tranne il malato o il morto. La lunghissima agonia facilitò il compito a tutti, e non disturbò, giunto agli stremi, una insolita grande docilità sopravvenuta di Innocenzo: “la sua impetuosità si fece mansuetudine”. Oltretutto, nel dicembre 1654 dopo una lunga degenza, peggiorò talmente che si sparse la falsa voce che fosse morto (morirà un mese dopo), mettendo in allerta tutte le forze dell'ordine dell'Urbe, alzando barricate, fortificazioni, come per un coprilfuoco; persino si iniziarono i preparativi ( e ancor più le contromisure) per il conclave. 8

Questo fu il triste finale di Innocenzo, simile nella sventura post-mortem ad Alessandro VI 9. Infatti il diarista Giacinto Gigli, registra all'approssimarsi della morte del papa appartenente all'antica e nobilissima famiglia Pamphily, che <<Il Palazzo era voto talmente, che non vi era neanco una Scodella, ne un cocchiaro per dare un poco di brodo al Papa, et bisognò mandare a comprarne una, et nel letto istesso del Papa non vi era che una copertaccia tristissima delle più cattive, che si fussero messe in un Ospedale ad un poverello. Non vi era altra camiscia, se non quella, che teneva in dosso, et non era se non un candeliere di ottone, il quale poi sparì via, et diventò un candeliero di legno>>.10 <<Innocenzo soffriva, sentiva l'indegnità della sua posizione e non sapeva che fare. Arrivò alla sua fine progettando piani contro la sua famiglia. In punto di morte non possedeva nemmeno più un cucchiaio [...] Olimpia si appressò al suo letto, -ad Olimpia più che all'Olimpo miravano gli occhi del papa- aspettò che Innocenzo avesse esalato l'ultimo respiro poi tolse di sotto il letto e si portò via gli ultimi quattrini del defunto>>.11

Lo storico Falconi, si meraviglia di come, nonostante tutti i rapaci e palesi abusi dei Pamphilj, nonostante le gendarmerie papali sembrassero blindare e mettessero in assetto di guerra l'Urbe in attesa della morte papale, il popolo di Roma se ne stette piuttosto tranquillo, e oltre la battutaccia non andò: <<Olimpia era ancora temuta: infatti lei si comportava come se nulla fosse mutato... come se la città, anche durante il prossimo pontificato, avesse dovuto giacerle ai piedi. Sorprende, piuttosto, che sia mancata una vera e propria sollevazione di popolo: non tanto contro il defunto, quanto contro i suoi parenti, e soprattutto contro colei che se ne era fatta scudo per spadroneggiare in Roma, nella Corte e nella Curia, vera e propria epigone delle papesse del X secolo>>.12

Fortuna che almeno il suo confessore, il famoso gesuita padre Oliva, poco prima si ricordò d'accoglierne la confessione, nonostante, pare, un inizio di sclerosi del papa. Ormai gli erano accanto con devozione solo l'amato segretario di stato Chigi (destinato a succedegli) e lo stesso Oliva. <<Avvicinandosi la fine, il cardinal Chigi volle che il gesuita Padre Oliva ne avvisasse il pontefice, che ricevette il ferale annunzio con animo sereno e dispose che gli ultimi giorni fossero tutti impegnati per il grande passo: salutò li cardinali, ammonendo il cardinal Sforza Pallavicino... che tutto è vanità; augurò al cardinal Albizzi di mantenere i meriti e le virtù del posto che occupava. Non volle ricevere i parenti e si dedicò alla preghiera>>.13 Ma ciò non è vero: papa Innocenzo era innamorato follemente dei suoi parenti, non li cacciò (tanto si sarebbero presentati lo stesso, a incassare), non lo scandalizzavano i loro abusi; inoltre non era una personalità così coscenziosa nè una mente così lucida, se è vero che giunto alla fine, si può leggere dalla relazione di prima mano d'un ambasciatore piemontese (che non aveva ragione di mentire al suo Signore, cui era destinata la missiva) sull'agonia del papa, addirittura questo: << Partiti li cardinali chiamò dentro la sua famiglia, si scusò con tutti di haverli mal trattati, non beneficati [proprio così!], né mediocremente provveduti, et da lui disse non havevano havuto altro che rimproveri e villanie...>>.14 Un infante, praticamenta! Poco prima aveva ricevuto i cardinali e con aria ispirata e sofferta li aveva redarguiti e gli aveva chiesto perdono per le sue debolezze e mancanze, con umiltà tutta curiale li invitò a riflettere su che cosa erano le cose di questa terra e -lo guardassero- come “finisce la gloria del mondo”, commovendoli così tutti. Eppure, un minuto dopo, agli stessi porporati disse che aveva desiderio di fare cardinale il nipotino di 7 anni (è evidente che Olimpia gli avesse riempito la testa poco prima con questa faccenda, per non correre il rischio di ritrovarsi senza dei Pamphili in un futuro conclave), e aggiunse anche che nel prossimo conclave certi cardinali si ricordassero che da lui, un Pamphili, avevano avuto la porpora, e giurassero quindi eterna fedeltà al suo casato... come fosse la Gerusalemme Celeste. A questo punto la misura era colma, il padre Oliva, gli stessi cardinali erano stufi della voracità insaziabile e pretenziosa di questa famiglia che neppure la morte imminente inibiva o spegneva, redarguirono il papa (severamente, anche se non meno ipocritamente) dicendo che, primo, non si era mai visto cardinale un bambino di quell'età; secondo, lasciasse allo Spirito Santo il conclave; terzo, che pensasse adesso alla sua casa eterna che era quella di Dio e non al suo casato terreno che non doveva più interessarlo. Il papa tacque, non poteva dar loro torto: il lavorio egoista ed ambizioso di donna Olimpia in quei giorni fu così dunque smagliato da una curia che d'improvviso s'era irrigidita nei suoi confronti.15 Poteva essere considerato “lucido”, nel senso di uomo consapevole del peso e del valore reale delle cose che gli accadevano intorno, uno così? Poteva un sovrano ignorare, cieco e sordo (o solo lunatico... certo la sclerosi faceva il suo corso, come ci diceva pocanzi il Ceccarelli), sino a tal punto che i suoi parenti stavano mandando in rovina lo Stato della Chiesa, Roma, la curia e svergognando il papa e se stessi? Possibile che un antico uomo d'apparato come Innocenzo non capisse che i suoi parenti da tempo non avevano bisogno d'essere “provveduti” perchè erano, nell'abuso e nelle pretese, diventati largamente autonomi, e che il papa ormai non era che un loro docile strumento? Prova non ne era il fatto che Olimpia fosse ancora convinta di poter continuare a fare come prima e più di prima, morto Innocenzo? Non tenta di comportarsi da “papessa” con lo stesso Alessandro VII appena eletto? La sfortuna sua fu che il nuovo papa, che era il segretario di stato di Innocenzo, e che mai si piegò ad ossequairla come gli altri e anzi gli ostentò indifferenza sempre, bene la conosceva, e perciò rifiutò indignato le sue pesanti lusighe, e anzi la mandò a processo e in esilio.16

Papa Innocenzo spirò al Palazzo di “Monte Cavallo”, ricorda il Gigli, ossia al Quirinale, a mezzanotte del giovedì 7 gennaio 1665, dopo aver esortato i cardinali ad eleggere un buon successore.17 E aggiunge il Gigli: << ...ad hore 14 mor' Papa Innocentio Decimo nell'Anno della sua età 82. Havendo seduto anni 10. mesi 3. et giorni 14. Fu di statura alta, magro, colerico, fegatoso, con la faccia rossa, calvo dinanzi con le sovracciglia grosse, et piegate sopra il naso con un grossisimo episcinio, che dimostrava la sua severità, et acerbezza: rimase morto con gli occhj , et con la lingua di fuora, che rendeva spavento>>.18 Il cardinale Fabio Chigi gli chiudeva gli occhi; il cardinale Antonio Barberini che era camerlengo dispose si facesse l'inventario di prammatica d'ogni bene materiale del papa defunto, che eventualmente fosse rimasto dentro il palazzo.19 La stessa sera si abbatteva su Roma un temporale spaventoso e “dal cielo cadeva un'acqua torrenziale accompagnata da tuoni e grandine” e continuò fino a tardi, facendo da macabro e accidentato sfondo al trasporto processionale per le vie dell'Urbe, dal Quirinale sino a San Pietro, del povero cadavere del pontefice20*.21<<La salma fu trasporta su una meschina barella dal Quirinale a San Pietro: la coperta era troppo corta (tuttavia in simile trasporto il papa non doveva essere coperto con coltri, ma solo vestito di abiti da coro) per nascondere i piedi. Nel piccolo seguito di cortigiani e preti non si videro i nipoti>>.22

Il peggio doveva venire. Spirato Innocenzo, si raccontò, nessuno aveva voglia o tempo di provvedere a rivestire la salma. Solo dopo un paio di giorni si provvide a rivestirlo alla meglio. E a portarlo in esposizione in basilica, e giusto per togliere l'incomodo dai palazzi apostolici per non intralciare i "traslochi” furtivi. Giunto in San Pietro, il corpo del papa era rimasto esposto, continua Gigli, tre giorni “per soddisfazione del popolo”, dopodiché “non si trovava nessuno che si prendesse pensiero di farlo seppellire” e tantomeno “di fare le spese per il mortorio”. Infatti, qualcuno fece notare che forse si doveva provvedere a celebrare le esequie al papa, una messa, seppellirlo. I canonici di San Pietro indolenti, tagliarono corto: "E chi paga?" Chi paga! Nessuno di loro di certo, del resto erano freschi di appropriazioni indebite nel palazzo, e non volevano da subito sperperare quanto appena arraffato, per un funerale. Intanto Gigli, annota un detto di Giacchio da Fiore, che appioppa a Innocenzo: “Donò poco al prossimo, molto accumulò per sé, morrà povero e rimarrà senza tomba”.23 Che pagasse la sua "favorita" allora tutti convennero, quella "meretrice" di donna Olimpia “Maidalchina” la Pimpaccia, la gran cognata. In fondo era lei che aveva iniziato a ingozzarsi di tutto ciò che aveva impresso sopra lo stemma papale mentre il papa era vivo, e era quella che più di tutti aveva arraffato intorno al moribondo Innocenzo. La sua fortuna era diventata favolosa. Gliela mandarono a dire: si facesse i funerali del "cognato". In giornata, la donna per cui il papa aveva fatto follie fino a rovinarsi, fece sapere ai canonici della basilica: "Reverendissimi, sono solo una povera e sventurata vedova" e dunque non aveva i mezzi per sostenere il funerale nientemeno d'un pontefice. Se la vedessero gli altri.24 L'ambasciatore di Firenze, Ricciardi, scrive: <<Don Camillo (nipote del papa) diceva che toccava farlo alla sig.ra donna Olimpia; et essa dice che ella non è l'herede... e così Sua Beatitudine se ne sta là in un canto, in una cassaccia>>. Il cardinale Pallavicino intanto commentò: <<Grande insegnamento ai pontefici, per imparare quale corrispondenza di affetto possono aspettare dai parenti, per cui talora pongono a rischio la coscienza e l'onore>>. 25

Intanto, intorno a piazza Navona (la statua “parlante” del Pasquino è lì a pochi metri), cominciò ad apparire una scritta in versi: Finita è la foia /di questa poltrona/ di piazza Navona: chiamatele il boia. /Finita è la foia/...è morto il pastore / la vacca ci resta: /facciamole la festa, /cavatele il core./ E' morto il pastore.26

Ora erano tre giorni che il cadavere del papa giaceva incredibilmente solitario e abbandonato- si disse- nel bel mezzo della nuova basilica, senza che nessuno gli facesse visita o si premurasse di un qualche ufficio sacro... come fosse uno scomunicato. “Dei parenti nessuno si mosse”. Al solito furono dei "volgari", cioè dei pietosi operai della floreria e della basilica, muratori, a porre qualche rimedio. Con pazienza presero la lettiga con sopra il cadavere imbalsamato e non trovarono di meglio che almeno depositarlo, scoperto e senza cassa, in uno sgabuzzino della basilica dove riponevano i loro attrezzi. L'operaio più premuroso, mosso da pietà, pose accanto la testa dell'augusto defunto, che fra l'altro iniziava a guastarsi e aveva gli occhi aperti e la lingua pendente 27, un cero di sego per evitare che specie “li sorci” ne divorassero il volto (i ratti divorano le guance dei cadaveri), e poiché i ratti infestavano il deposito, un altro buon samaritano di muratore pagò dalla sua povera tasca un custode (cosa che svergognò per sempre la ricchissima famiglia dei Doria Pamphilj) e insieme agli altri colleghi misero a monte un po' di monete per fargli celebrare almeno una messa di suffragio 28. Gli stessi come poterono dopo un po' gli fecero una semplice bara con un po' di tavole. Poi a lungo restò in quel luogo per senza Dio il rampollo e la massima gloria di una delle più illustri e potenti famiglie dell'epoca, i non proprio signorili (a questo punto) Doria Pamphilj. Conclude il Gigli: <<Il giorno seguente il maggiordomo mons. Scotti, che per più anni era stato al servizio di quel papa, ma che da qualche tempo n'era caduto in disgrazia, toccato da pietà, fece fare a sue spese una cassa di albuccio; e mons. Segni, canonico di san Pietro, già licenziato da Innocenzo, rendendogli anch'egli bene per male, dette cinque scudi per farlo seppellire>> 29. Caso stranissimo e contraddittorio: leggiamo che per le esequie di Innocenzo X, fu apparecchiato un catafalco-tumulo fra i più sontuosi che si ricordino. Sarà vero? E in tal caso chi pagò? dal momento che per confezionare anche solo una bara dovettero rimetterci di tasca loro dei poveri operai, muratori oltretutto? Intanto il 18 gennaio 1655 terminarono le esequie novendiali e i cardinali si chiusero in conclave30. Qualche tempo dopo31, visto il clamore che stava suscitando simile indecenza, il cadavere del povero Innocenzo, scoccata la mezzanotte fu caricato sul dorso di due muli, che senza seguito e senza alcuna cerimonia lentamente lo portarono nella chiesa barocca che aveva voluto incastonata nel palazzo della sua indegna famiglia a piazza Navona, sant'Agnese in Agone, nella cripta della chiesa, che a tuttoggi funge da cappella funebre gentilizia dei Doria Pamphilj, alla quale si accede (non è aperta al pubblico, essendo privata) dalla sinistra dell'altare maggiore, caso unico di un papa che ha una sepoltura privata32. Eppure l'aveva voluta con tutto se stesso Innocenzo quella chiesa gentilizia, e al precipuo scopo d'esservi sepolto; fu uno dei suoi primi pensieri, tant'è che già nel 1652 i lavori erano iniziati, e con essi i dolori del papa: aveva chiamato a lavorarci gli architetti Borromini e Rainaldi, due geni di sicuro, ma anche due primedonne, che naturaliter litigavano su tutto. Questi alterchi fra i due bloccarono a lungo e più volte i lavori, che per riprenderli velocizzadoli -il papa voleva fare in tempo a vedere la sua chiesa finita- comportò alla Camera Apostolica prezzi salatissimi33.

Passarono però 22 anni dalla morte del papa, nel 1677, prima che don Camillo finalmente si decidesse a far esumare il corpo dello zio dalla basilica vaticana per farlo trasferire nella chiesa di famiglia. Purtroppo -e fu l'ennensima loro caduta- lo fece inumare senza troppe premure in fondo alle cripte della chiesa, in un punto indefinito, in un povero, se non proprio squallido loculo da comunissimo mortale, e sotto terra. Tant'è che il feretro fu ritrovato per puro caso nel 1838, da alcuni muratori che vi stavano facendo dei lavori.

Solo nel 1730, 80 anni dopo la morte del papa, il giovane figlio di Camillo, Giambattista, pronipote del defunto vollero assumersi l'onere di far portare a termine il monumento funebre nella chiesa di famiglia: in realtà l'opera era stata iniziata dall'Algardi mentre il papa era ancora vivo, ma purtroppo lo scultore morì avendo terminato solo il rilievo del martirio di san'Agnese; sarà terminato molti anni dopo dal Maini. Così come la sepoltura di Innocenzo, anche questo monumento è un unicum nel suo genere. Infatti la piccola chiesa ha una forma piuttosto ovale, con spazi tutti saturati da antiche e preziose opere barocche con capricciosi fremiti e svolazzamenti ad ogni latitudine. L'effetto è quello d'un teatro. Il simulacro di papa Pamphilj nel monumento funebre fu scolpito dal Maini a mezzo busto addirittura, su un cenotafio-balcone, sopra l'architrave interna dell'ingresso pricipale all'edificio: il papa è rivolto verso l'altare maggiore, ripreso nel marmo come intento ad affacciarsi sulla chiesa per essere acclamato dal popolo. Ai lati due figure simboleggianti la fortezza e la fede. E la mezza figura, e la relatività artistica dell'opera, e il puro teatro, e quella strana collocazione seminascosta del monumento lasciò e lascia molti perplessi; dubbioso quanto mai poi restò il Gregorovius, che non finiva di chiedersi, rimiradola ogni volta, <<Chissà perchè?!>>... perchè quel mezzobusto... Forse per risparmiare sui materiali, ci verrebbe da pensare34. Adesso la sventuratissima salma del sommo pontefice Innocenzo X riposa degnamente nella cappella di s.Francesca Romana.

E se Gigli mentisse? Giunti a questo punto bisogna porsi delle domande. Per il nostro caso, restringendole a ciò che avvenne in agonia e in morte del papa. Una domanda riguarda i funerali di Innocenzo X, l'altra l'atteggiamento di donna Olimpia in questo frangente.

In fondo qui, due sono le pietre dello scandalo: la solitudine e lo spoglio di ogni bene di Innocenzo durante l'agonia e, secondo, lo squallore dei funerali col comportamento riprovevole della famiglia del papa. Ma fu veramente così? In fondo, chi è che dice che le cose sono andate in questo modo?

Circa i dubbi su Gigli e il suo Diario. Apparentemente, dalla vasta bibliografia, ci sarebbe da pensare che tutti gli autori lo sostengono. Ed è vero, nella misura in cui tutti hanno attinto per secoli da un'unica fonte: il Diario di Giacinto Gigli, contemporaneo di Innocenzo e forse testimone di alcune vicende. Ma Gigli, che era un galantuomo certo, così si dice almeno, diceva il vero? O almeno: diceva tutta la verità, o a questa ha tolto o aggiunto elementi importanti, che cambierebbero le carte in tavola?

Gigli è figlio della Roma e del popolo romano di quel momento storico, con tutto ciò che ne consegue in sovrappiù di passioni e partigianeria, che forse ne potevano turbare la serenità di memoria, di giudizio, di scrittura. Il popolo romano papalino, lo si sapeva, era di lingua facile ed eccessiva (e all'occorrenza anche di mano lesta) quando non proprio calunniosa, spesso più rispondente agli umori della pancia che alle ragioni del cuore. Il parlare scanzonato e canzonatorio dei romani spesso non teneva per niente conto della realtà dei fatti, tendente com'era al giudizio spropositato e sbilanciato senza criterio, che gli serviva (probabilmente) a far mostra della sua indipendenza e indifferenza verso qualsiasi forma di potere costituito od etichetta o fede, esibendo così la sua anarchia di fondo, che poi il più delle volte era solo di superficie: se il potere mostrava i muscoli, il popolo romano ritornava nel luogo che gli era più congeniale: la sfera privata con i suoi vizi e le sue viltà, purchè si mangiasse, riverente e servizievole, facendosi scudo di una sbandierata atavica indolenza e apatia sociale.

Gigli è anche tutto questo: sicuri che non avesse motivi di risentimento e di vera antipatia tutta personale (che può essere anche solo data da invidia sociale) verso i Pamphili, e ne godesse a mostrarla proprio ora che la famiglia, morto il papa, in disgrazia donna Olimpia, era allo sbando? Siamo sicuri che il Gigli non sia una delle tante vittime, volontarie o meno, dei “sentito dire” popolari, senza essere reale testimone di nulla? Siamo sicuri che il Gigli non esagerò nel descrivere il trattamento riservato alla salma del papa? Perchè se facciamo lo sforzo di prescindere un attimo dagli elementi negativi che egli narra e prendiamo in considerazione alcuni dati materiali, verrebbe quasi da dire che in fondo le cose debbono essere andate diversamente; che forse pure le esequie di Innocenzo X furono al quanto regolari. Proveremo ad esaminare alcuni particolari.

Circa il dubbio su donna Olimpia. Limitiamoci solo a lei della famiglia, che è il personaggio vero e l'unica testa davvero pensante: fu davvero così rapace? fu davvero così spietata col cognato morente e morto? e se fece quel che si dice, era per rispondere ad un moto perverso del suo animo o perchè magari si sentì obbligata dalle circostanze?

Ora, non v'è dubbio alcuno che avida fosse avida (creare e mantenere un simile splendido -e recente- casato non era né facile né economico, e a quel tempo il casato era tutto!), ma è vero pure che godeva di cattiva fama presso le caustiche lingue del popolaccio romano (di cattiva stampa, diremmo oggi), che di certo moralmente non era migliore di lei (e che ancora più spesso, alla morte di un papa fece assai peggio di quel che s'imputa a questa donna); allo stesso tempo godeva di pessima fama presso le alte sfere curiali e cortigiane papaline, che pure queste non erano affatto, al pari della plebe romana, migliori moralmente di lei (e sempre, al pari del popolo, si distinsero per indecenza e ladrocinio allo spirare d'un pontefice) e da ben più antica data, come abbiamo più volte dimostrato in questa tesi. Gli uni e gli altri, popolo e curia in fondo erano aizzati contro di lei per dei motivi diversi ma che hanno una radice comune: <<Olimpia divenne il personaggio più imprescindibile e potente del pontificato di Innocenzo X, al punto che si consultava con lei prima di decidere sulle questioni importanti. Scandalizzati nel vedere una donna in cima alla gerarchia maschile per eccellenza, i cronisti contemporanei mostrarono la loro disapprovazione, attribuendole la corruzione delle buone intenzioni del papa e incolpandola dell'atteggiamento confuso e oscillante del pontificato. La letteratura politica dell'epoca aveva coniato la parola cognatismo per denominare l'insolita forma di governo che aveva sostituito il nepotismo tradizionale >>35. Aggiungiamoci la fortuna strepitosa di un casato recente alla grandezza, la ricchezza e lo splendore che né derivò, che ne moltiplicò la potenza, e allora capisci come, in una reazione a catena, poteva far esplodere tanta invidia e tanta rabbia in tutti, nella in fondo piccola e asfissiante, strapaesana Roma papalina. Questo appena il papa Pamphili fu morto, naturalmente, perchè poco prima, vivo lui, tutti, popolo aristocrazia clero, da Olimpia ci andavano a inchinarsi e talora a strisciare, e chiedere od acquistare grazie: sovente furono concesse, pagandole certo al prezzo equivalente; fu un dare e avere 36. Olimpia stessa era Roma, la Roma cialtrona e traffichina d'ogni tempo, la Roma al gran completo (era al contempo papalina, popolare -e dal quello proveniva in origine-, aristocratica, clericale e mecenate). Era la Roma profonda e antica, presente e futura, la Roma di sempre. Tutti i romani d'ogni censo, al completo, in segreto in lei si rispecchiarono: adulandola e odiandola, adorarono e disprezzarono se stessi. E' forse questa la ragione (per rispondere alla domanda del Falconi, del perchè non vi furono vere sommosse a Roma e oltraggi verso la potente signora, alla morte di Innocenzo) per cui oltre l'epiteto, la pasquinata, la calunnia, morto il gran cognato, il popolo romano non andò. Non manifestazioni contro, non saccheggi, non un dito fu alzato addosso alla “papessa”. Fu solo timore?

Circa le esequie di Innocenzo X: fu vera infamia? Furono così squallidi e irregolari l'agonia, la morte e i funerali di Innocenzo X, come abbiamo elencato all'inizio?

Eppure, al contrario di quanto si dice, donna Olimpia non abbandonò mai il papa, e soprattutto negli ultimi tempi della malattia andava ogni sera da lui “in seggina” al Quirinale, quando non potè farlo lui per la debolezza. In fondo, è lo stesso Gigli ad ammetterlo. Così come sappiamo che il papa solo di lei si fidava, e con lei solo voleva confidarsi, forse perchè tra i suoi familiari era la più vicina alla sua generazione e di lui conosceva tutto. Per tutta la lunghissima agonia del papa Olimpia fu sempre al suo capezzale intrattendosi fino anche all'una di notte. Certo, lo faceva ancora per spremere favori dal cognato (che però non dovettero proprio essere una forzatura per lui, dal momento che mai glieli negò neppure quando era in buona salute), per suggerire soluzioni a lei propizie all'orecchio del malato (come quando lo scoraggiò dall'incontrare il nipote ribelle cardinal Astalli), per regnare insieme ancora un po' e sino alla fine; ma forse lo fece anche per affetto, e per protezione: se qualcuno, durante l'estrema debolezza del vecchio papa, con un atto, in tali circostanze consueto, di sciacallaggio, poteva approfittarne, meglio che fosse lei, che di certo non avrebbe agito contro il papa e il suo casato, che di sicuro dal papa era stimata e ben voluta e l'avrebbe lasciata comunque fare anche in situazioni meno drammatiche 37. Quando si allontanò dal cognato moribondo, e siamo negli ultimi giorni, non era per abbandonarlo, è perchè e il segretario di Stato Chigi e padre Oliva glielo imposero senza complimenti: il Chigi quando ormai il papa era allo stremo, la prima cosa che fece fu di ordinare a <<Olimpia di salutare definitivamente il cognato e di non più tornare a Palazzo, in tal modo prendendo una decisione opportuna anche a salvare il moribondo da ulteriori gesti di biasimevole debolezza>> ma legata a Innocenzo quanto mai, eludendo la sorveglianza si affacciò ancora alla camera del papa morente. La reazione del padre Oliva fu severa e irata: che se ne andasse via a “farsi i fatti suoi”, che non era più quello luogo per donne.38 A questo punto si può imputare a donna Olimpia la desolazione e il ladrocinio frenetico dell'appartamento papale nei giorni dell'ultima agonia di Innocenzo, se la cognata era bandita dal palazzo?

Si dirà che comunque le appropriazioni dei beni del palazzo Olimpia le aveva inaugurate da molto prima, e del resto lo stesso Gigli racconta che tornando la sera in seggetta dal Quirinale a casa sua, i sediari dicevano che era incredibilmente più pesante di quando vi ci era andata: ossia portava via con sé dal Quirinale molti preziosi. Perchè? Semplice saccheggio? Difficile capirne gli intimi moventi psicologici; difficile anche avere una idea chiara di come all'epoca veniva percepito il concetto di proprietà e patrimonio. Ma alcune cose le sappiamo: Olimpia aveva il terrore panico della povertà, di essere derubata; sapeva che alla morte del papa e anche prima, tutti si sarebbero dati da fare per intascare tutto quanto avrebbero trovato d'appartenente al pontefice per le sacre stanze... degli estrenei! Probabilissimo anche -pensava- che la cosa sarebbe degenerata poi in saccheggio popolare ai suoi danni e del papa e dei beni dei Pamphili, dato il diffuso malcontento per l'amministrazione pontificia. Tutto questo per Olimpia era intollerabile; quei preziosi che forse volta per volta prelevò dal Quirinale, non li considerava un furto, ma un riprendersi indietro cose che appartenevano al suo sangue, al papa, dunque al suo casato, ai Pamphili e Maidalchini: in fondo, non era stata lei che sposando Pamphilio, fratello del papa, aveva portato una dote ricchissima al casato, che costituì la base della sua fortuna? Senza la dote di Olimpia, i Pamphili sarebbero mai diventati ciò che adesso erano? Dunque prima che estranei e plebei s'impossessassero di ciò che era “suo”, guadagnato con i suoi soldi, il suo sudore, la sua intelligenza, cercò di riprendersi indietro il più possibile. Che fu sempre il minimo, dal momento che altri l'avevano preceduta in quelle che un Belli chiamerebbe “le pulizie prima del mortorio” del papa. Si trattava dunque di una volgare ladra? 39

Le stanze del papa morente erano desolate e “povere” di tutto, prive persino di cucchiai e scodelle? Ma chi lo dice? Sempre e solo il Gigli 40. Sarà vero? Vi è qualcosa di esagerato nella sua cronaca? Sembra strana tutta questa esibizione d'amarezza e di indignazione del diarista, come fosse la prima volta che accadeva una cosa simile a Roma. Eppure doveva sapere che a ogni morte di papa è sempre successo così nel suo palazzo, e lui che la storia dell'Urbe la conosceva non poteva ignorarlo; come doveva sapere che talune appropriazioni erano persino ammesse se non prescritte, quasi spartite per regola e consuetudine fra la familia pontificia41.

Non dimentichiamo che Gigli inizia molte sue note (specie quando sta per fare una ammissione compromettente), con un “si disse”. Così fa, quando scrive nel gennaio 1655: <<Si disse che furno trovate doi casse di denari sotto il letto del Papa, le quali fece portar via D.Olimpia>>42. In tal caso, chi lo disse? Se le casse c'erano (che poi fossero sotto il letto, visto che esistevano di già le banche, e lo stesso segretario di Stato del papa veniva dalla più grande famiglia di banchieri, è poco credibile) e davvero la donna le avesse fatte sparire, lo avrebbe mai fatto in modo tanto plateale e con tanti loquaci testimoni? E dal momento che la depredazione, e da parte di tutti, del palazzo era già cominicata (ammesso sia vero) da tanto tempo, possibile che tutti erano così candidi all'interno della curia da non sapere che sotto il letto del moribondo vi era un tesoro? Aspettarono donna Olimpia? Che se mai se ne fosse impossessata, avrebbe avuto dalla sua l'attenuante che se non lei, poco dopo altri, degli “estranei”, lo avrebbero fatto.

Il Gigli al di sopra delle parti e attendibile? Dire che il papa non ha fatto nulla nel pontificato, che si è occupato solo della cognata, che anzi ha governato lei affamando il popolo, significa avere uno spirito pacato? Ed elencare solo alla fine come fossero cose di scarso rilievo, note di folclore, magari solo incidenti, una sfilza di tutte le iniziative del papa in campo artistico, culturale, amministativo, urbanistico di notevole importanza... e aggiungere alla fine, e ripeterlo ad ogni nuova realizzazione del papa per lo Stato della Chiesa, “ma tutte queste cose non le fece coi quattrini del suo”, tutto questo fa di Gigli un cronachista credibile e d'animo sereno? Perchè mai il papa avrebbe dovuto pagare i lavori pubblici, la decorazione della basilica vaticana o del Laterano con i suoi soldi personali? Dove mai si è avanzata come legittima una simile richiesta? Ad un certo punto scrive anche una cosa talmente gratuita, ingiustificata che davvero ci fa apparire il Gigli e i suoi scritti come ottenebrati da un livore antico verso tutti i Pamphili: <<Innocentio non fu mai amico di persone virtuose, né onorò alcuno per tal causa, ma solamente per compiacere alla cognata o vero per certi suoi capricci, e bizzarrie>> 43.

Gigli è lo stesso che nel Diario sulla morte del papa Innocenzo, scendendo fin nei particolari anatomici lo descrive da vivo in modo da apparire fisicamente ripugnante (mentre dal “Troppo vero!”, il ritratto splendido che gli dipinse Velasquez o dai busti dell'Algaldi non sembra affatto brutto), anticipo della sua anima e del suo carattere ancora peggiori; a questo quadro inquietante del papa vivo, affianca quasi a sfregio quello del papa morto: con la lingua di fuori, gli occhi strabuzzati “da portare spavento” 44. Ma Gigli il papa appena morto risulta non l'abbia mai visto. Sarà il suo solito “si disse”, eppure nessuno si accorge che descrivendo il cadavere di Innocenzo usa le stesse parole e le stesse descrizioni del Burcardo circa la salma di Alessandro VI 45, resoconti che di sicuro Gigli ha con attenzione letto. E qualche cosa di fasullo ci deve essere in questa descrizione (e nelle precedenti e successive) oscena della salma di Innocenzo X, se negli stessi giorni compare per Roma una relazione che smentisce il diarista, e che nel suo stesso Diario Gigli, indispettito, s'affretta a sbugiardare, vedendone l'ispiratore in qualcuno in “alto”, che vorrebbe addolcire certe presunte insensibilità della corte papale per non dar carne da cuocere ai luterani, sempre ghiotti di aneddoti cattolici squallidi. Al 13 di febbraio 1645, a papa da poco sepolto, Gigli scrive: <<In questi giorni fu stampata e pubblicata una relatione della morte di Papa Innocentio Decimo, ad effetto di superare la pubblica fama, pur troppo vera, di molte cose, che erano avvenute, come bugie pubblicate per odio, e non per la verità, ma sopra tutto acciò che gli Heretici, et nemici della Sede Apostolica non dichino male, ne se ridano de Catholici. In questa relatione, molte cose da me notate sono riferite alquanto diversamente per farle comparire in lode del pontefice, ma soprattutto vol condannare come falsa la voce ch'egli morisse con gli occhi aperti, et co la faccia spaventosa, et in grandissima povertà, rubbato di ogni cosa, il che fu pur troppo il vero>> 46.

Ma cosa non andò dunque ancora nei funerali di questo papa, tramandati ai posteri, per mezzo di Gigli e solo lui, come apoteosi dell'indegnità, dell'ingratitudine, dell'indifferenza?

A osservarli passo passo, non vi è nulla di straordinario, anzi quasi tutto è fin troppo ordinario.

Il papa morì nella desolazione? Non è vero, fu vegliato -come già detto- prima da Olimpia, poi ininterrottamente dal suo padre spirituale, il gesuita Oliva, spesso accostato dal degnissimo segretario di Stato Chigi.; mai rimase solo; e se vi fu solitudine e incuria da un certo punto in poi, verso la fine, fu una sua scelta precisa di rimanere da solo con se stesso e il suo Dio, staccandosi da ogni interesse mondano. Il papa ricevette con regolarità tutti i sacramenti degli infermi, e la cura spirituale accordatagli fu zelante. 47

Dei furti presunti e inventati abbiamo detto: nulla di nuovo, erano “saccheggi” rituali, di antica tradizione; 48 per il resto, perciò che riguarda i “carichi” di Olimpia, fu quasi un riprendersi indietro cose che in parte erano sue e appartenevano al casato del papa, come già abbiamo sostenuto.

Il papa negli ultimi giorni fu lasciato senza neppure un “cucchiaro” per dargli del brodo? Ma le minuziosissime relazioni mediche dei vari ambasciatori ci dicono che negli ultimi venti giorni di vita il papa non riuscì più a mangiare nulla. Il papa morì ad occhi aperti e lingua di fuori “da portare spavento”? Pazienza: succede! a chi si poteva imputare un simile fenomeno cadaverico? Ma Gigli sembra quasi volerne fare colpa a qualcuno, se non mandare messaggi subliminali contro il papa.49

Appena il papa era spirato, avevano suonato a lutto tutte le campane delle chiese di Roma, come di regola, e molti carcerati furono liberati. Oltretutto è proprio a partire da Innocenzo X che si fa l'imbalsamazione integrale del corpo dopo averlo aperto e svuotato degli organi; e questo per rispondere all'asserzione secondo cui il corpo iniziò a guastarsi”.50

Il corteo di traslazione dal Quirinale fu “meschino” come la “barella” che trasportava la salma?51 Affatto. Nonostante il temporale e il freddo di quella sera il corteo fu al completo e lunghissimo, come da tradizione, semmai mesto ma non penoso, e questa volta è lo stesso Gigli ad ammetterlo, riportando una parziale lista di tutti i presenti al chilometrico mortorio52; e quanto a quella che Bernhart liquida come “barella” si tratta di una lettiga rivestita di drappi cremisi, che poi sarà adagiata su un carretto coperto trainato da cavalli. Lo stesso autore,53 riprendendo le cronache del Gigli 54 fa notare con un certo disappunto che il papa durante il trasporto era coperto da una coltre rossa “troppo corta” e perciò spuntavano fuori i piedi. Ora da nessun cerimoniale consultato, né da alcuna cronaca, nè incisione 55 risulta che il papa nel trasporto notturno (verso la mezzanotte) dal Quirinale al Vaticano, sia mai stato coperto da null'altro che dagli abiti da coro, cioè talare bianca, rocchetto, mozzetta rossa ermellinata, stola, camauro e pantofole. Se in occasione del trasporto di Innocenzo X si adoperò questa coltre, non potè che essere per emergenza, per riparare il più possibile il corpo del papa dagli scrosci d'acqua che quella sera caddero in abbondanza (il carro comunque aveva di suo un tetto drappeggiato); circa i piedi di fuori, il motivo va ricercato o nella fretta di trovare qualche drappo per riparare alla meglio la salma dal temporale o, ed è la cosa più probabile, per rispettare la regola medioevale,56 percui in simili circostanze, come certificazione dell'avvenuto decesso, il papa dovesse essere “visibile”, ossia doveva avere scoperte mani,57 piedi e volto.

Bernhart inoltre accusa i parenti del papa e donna Olimpia di non aver partecipato alla processione per questo trasporto. Bisogna dire due cose: primo, che simili chilometrici cortei erano regolati da etichette strettissime con prestabiliti tutti i partecipanti e le precedenze che si dovevano rispettare; non ci è mai parso di leggere in alcuna relazione o cerimoniale della prevista presenza della famiglia naturale del papa al corteo di traposto dal Quirinale (e può sempre essere una nostra distrazione!).59* Secondo, nel caso di Innocenzo X, i familiari evidentemente evitarono di sfilare lungo le strade per prudenza e forse per paura, visto il pericoloso astio e malcontento che stava montando nei romani contro di loro. Cosa sarebbe potuto succedere se per strada avesse sfilato donna Olimpia? Evidentemente questa domanda se la posero anche allora.

Ancora, si disse, e lo abbiamo già scritto, che la salma versò in stato d'abbandono durante l'esposizione in basilica. Non era vero, tutto andò secondo il cerimoniale tradizionale, e anche qui è lo stesso Gigli ad ammetterlo: <<La mattina delli 8. di Gennaro fu esposto il cadavere del Papa in S.Pietro nella Cappella incontro il Choro delli Canonici, dove stette per tre giorni con grandissimo concorso di popolo, il quale hebbe assai che dire per rispetto della sua morte così stentata, et del modo come era morto, et anco perchè mentre si portava a S.Pietro, venne dal cielo un acqua grossisima con tuoni, et grandine quasi prodigiosa>>. Senza contare che per le esequie di Innocenzo X non si mancò di costruire un catafalco monumentale e splendido rimasto fra i più memorabili. <<Tutta la cerimonia si era svolta ordinatamente. La sola nota irriguardosa fu portata dal cardinale Astalli che, arrivato da Sambucci la sera stessa della traslazione in S.Pietro, si presentò alle esequie con il ricchetto smerlettato, anziché a lutto; né tampoco fece quelle riverenze e benedizioni che gli altri cardinali facevano al cadavere Pontificio, annotò un memorialista>>.58

Dunque veniamo all'evento che è giunto fino a noi come pietra dello scandalo, che per secoli i Doria Pamphili si son dovuti caricare volenti o nolenti sulle spalle, per loro disonore, e a cui in modo determinante ha contribuito il Gigli. La sepoltura di papa Innocenzo e il presunto abbandono alla mercè dei “sorci” della sua salma.59 Gli equivoci, lo scaricabarile e, non ultime, le esagerazioni su questa faccenda sono immensi. Proviamo finalmente a chiarirla per la prima volta, e definire di chi erano le responsabilità.

Si accusarono I Pamphili di non essersi fatti vivi in alcuna cerimonia funebre e che si dileguarono del tutto per quella di sepoltura. Secondo una Relazione anonima 60 <<Non ci si meravigliò che nessuno dei familiari si presentasse a ordinare una cassa degna del loro congiunto [...] perchè ormai si sapeva che questa casa abhorrisce la spesa di un centinaio di scudi per la custodia dell'ossa di quel quel Pontefice che ha sviscerato l'erario della chiesa per accendere ciascheduno di loro>>. Da altra parte si dice: <<Durante i giorni delle esequie tutta la famiglia Pamphili restò dignitosamente in disparte; ma intanto il volgo, senza più ritegno, imprecava contro le loro ruberie e la loro avarizia>>.61

Può essere che i Pamphili non si siano presentati per dignità e per comprensibile paura, dal momento che erano fin troppo, e spesso a sproposito, sulla bocca di tutti? Per evitare sceneggiate e aggressioni popolari, magari? popolaresche gazzarre che avrebbero rovinato la cerimonia e offeso lo stesso defunto? E minacce precise e mirate erano arrivate da tutte le parti. Avevano terrore di uscire fuori di casa i Pamphili e di fare qualsiasi cosa in quei giorni, anche perchè ricordavano cosa era successo un decennio prima ai nipoti di papa Barberini, che quanto ad avarizia erano ben peggiori e ben più subdoli dei Pamphili.

Non pagarono una bara al papa, e lo fecero giacere a lungo in un magazzino degli attrezzi pieno di topi, tutti dicono. Chi lo dice? Lo dice per primo sempre il Gigli 62, e dopo di lui, dandogli retta, lo ripeterono gli altri ancora oggi. Ma quando mai si era sentito che dovevano essere i parenti del papa a dover provvedere a far fare e pagare la bara e la sepoltura del pontefice? È la prima e unica volta che assistiamo, ad opera del Gigli, a una contesa di questo tipo. Che è assurda fin nelle premesse. Il compito di fare una cassa al papa morto spettava alla Fabbrica di San Pietro ossia alla floreria, che funge anche da falegnameria, e le spese (come spesso ci è capitato di scrivere e come risulta dalle esequie di tutti gli altri pontefici) doveva sostenerle la Camera Apostolica. Perchè e a che titolo allora si mandò a chiamare donna Olimpia (se mai ciò accadde davvero e qualora accadde se non fosse solo una provocazione verso la ex “papessa”) ad assumersi un simile onere e una simile spesa? Qualcuno accampa l'ipotesi che <<gli otto milioni e seicentomila scudi del debito contratto dalla Camera Apostolica durante l'ultimo pontificato erano stati tutti spesi per la fondazione della famiglia Pamphili>>.63 Sembra esagerato, e comunque il dato non era verificabile in così poche ore. E in ogni caso non giustificava, dal punto di vista formale, il fatto che si scaricasse l'onere sulle spalle dei Pamphili: poteva uno Stato per presunta sopravvenuta bancarotta di una sua istituzione, ordinare a dei privati cittadini di sostituirvisi assumendosene le responsabilità e gli oneri finanziari? Forse è questa la ragione per cui Olimpia giustamente offesa, liquida la balzana richiesta, e anzi, aggiunge che si rivolgessero a don Camillo Pamphili dal momento che lui, e non lei, povera vedova, era l'erede legittimo64. Camillo respinse, e a ragione, al mittente la richiesta che gli parve (e probabilmente lo era) provocatoria e insinuante, precisando che spettava alla Camera Apostolica la spesa per la bara, al Capitolo dei canonici di San Pietro le spese per la sepoltura, come era sempre stato del resto. Non sbaglia Camillo a rigettare quella illegittima richiesta: primo perchè non gli competeva, secondo perchè accettandola avrebbe accettato la provocazione facendosi dichiarare ladro e approfittatore: infatti, quella richiesta apparentemente innocua, fra le righe diceva -lo capì bene il principe- “siccome siete dei ladri, siccome avete svuotato le casse della chiesa, almeno pagatevi la cassa del papa vostro parente che vi ha permesso tutto questo”. Fu questa la ragione per cui la curia lasciò senza bara il papa? ( In tal caso, ragionando per assurdo, per un papa che provenisse da una famiglia povera, senza danari o senza famiglia, e la spesa delle esequie fosse prevista a carico di queste, cosa avrebbe fatto la Santa Sede, l'avrebbe lasciato dissepolto?) Ma chi era in quel momento a capo della Camera Apostolica? Il camerlengo, come di regola. Guardacaso in quel momento è un cardinale che torna da una sorta di esilio francese, Antonio Barberini. Che non è affatto un amico di Donna Olimpia e dei Pamphili. È lo stesso che, appena preso possesso dei sacri palazzi, come primo atto, pensò di far ritornare il mercato ortofrutticolo là dov'era prima dell'avvento di Innocenzo X, a piazza Navona, proprio sotto il palazzo dei Pamphili. Era la cosa che più indispettiva donna Olimpia, la prima cosa che chiese di far spostare al cognato appena di eletto papa. Era un dispetto e una provocazione, la prima di una lunga serie, quella del camerlengo Barberini... quella delle spese funerarie per Innocenzo a carico dei Pamphili, non sarà neppure l'ultima! Era lui in ogni caso il mandante.

Perchè la salma, a detta del Gigli 65, è depositata in un ripostiglio? Per indifferenza? No, per una semplice complicazione: doveva essere traslata, per volontà del defunto, nella chiesa dei Pamphili, S.Agnese in Agone, a piazza Navona, ma per incomprensioni (più che altro fra architetti), per ritardi nei preventivi di spesa e del progetto, per varie circostanze difficili, non solo la tomba monumentale di Innocenzo X non era pronta, ma vi erano lavori in corso persino per terminare la chiesa stessa. Il papa non poteva esservi traslato immediatamente66. Intanto doveva essere depositano provvisoriamente in San Pietro, appena terminata oltretutto e inaugurata dal predecessore. Il mistero sta qui ancora una volta: la nuova basilica doveva già disporre di un loculo (o addirittura più) per le sepolture provvisorie 67, perchè allora papa Innocenzo non vi fu sepolto per il tempo necessario al completamento della sua tomba in Sant'Agnese? Per non dovergli pagare la sepoltura? Ma era loro obbligo farlo, e non dei Pamphili. Ma poi quanto vi rimase in quel famigerato deposito degli attrezzi degli operai papa Innocenzo X? Così a lungo come ci fa credere fra le righe Gigli? Abbiamo notizia che vi rimase un solo giorno 68. Tanto rumor per nulla, al solito!

NOTE

1 Santolaria J.A., Cosa succede quando muore il papa, Casale Monferrato 2001, pp.35, 98-100; notizie sul carattere del papa e sull'agonia, anche in Zanetti F., Tutti i papi attraverso le curiosità e gli aneddoti, Torino 1937, pp.696,700; Ceccarelli G., La salute dei pontefici, da Alessandro VI a Leone XIII, nelle mani di Dio e dei medici, Milano 2001, pp. 101-2 sulla salute, ove sospetta l'autore-medico, dalle descrizioni pervenuteci, un Parkinson; e aggiunge che diffidente verso i medici, spesso si fidava di cirlatani che gli propinavano strani intrugli. Ancora si veda: Saba-Castiglioni, Storia dei papi, 2 voll, Torino 1929, II, p. 432; Marcora C., Storia dei Papi, 4 voll, Milano 1962, IV, p.292, dice che pur burbero, era a modo suo un uomo buono; Gregorovius F., Le tombe dei Papi, Roma 1879, p.169, lo definisce bruttissimo e torvo ma di buon cuore. Per una dettagliatissima cronaca giorno per giorno, ora per ora della lunga degenza e morte di Innocenzo X si rimanda a: Gualino L., Storia medica dei romani pontefici, Torino 1934, pp.553-562, basate sulle relazioni incrociate di scrupolosi “agenti piemontesi presso la santa sede”, ossia Bagnasco, Costa e Gini.

2 Rendina C., I Papi, storia e segreti, Roma 1996, pp. 563-4.

3 I ritratti e le storie su Olimpia sono inumerevoli, e tutti più o meno somigliati fra loro; vedi Zanetti F., Tutti i papi, cit., pp. 698-700; una bella biografia, molto meno sbilanciata di altre, che rinuncia in parte alle leggende metropolitane su Olimpia, e cerca di ricostruirne con serità la figura e l'opera in Chiomenti Vassalli D., Donna Olimpia, o del epotismo nel Seicento, Milano 1979; Saba-Castiglioni, Papi, cit., II, pp.430-2; Gregorovius F., Le Tombe dei papi, cit., p.169; in Marcora C., Papi, cit., IV, pp.271-2, dove comunque si ammette che fu la vedova Olimpia, che sposando il fratello maggiore del futuro papa, Pamphilio, portando una ricca dote, fece la fortuna della famiglia Pamphilj, e proprio per questo il papa le riservò sempre enorme considerazione, e ammirazione per la sua abilità manovriera, da qui lo spazio gestionale che lasciò alla donna durante il pontificato.

4 Qualcuno coniò la parola “cognatismo”, in Laboa J.M., La Storia dei papi, tra il regno di Dio e le passioni terrene, Milano 2007, p.290.

5 Specie a inizio pontificato, quando persino fece inquisire i Barberini, parenti del predecessore, che in 20 anni di pontificato dello zio Urbano VIII avevano accumulato, a spese dello stato e dell'erario, una fortuna patrimoniale davvero spaventosa; vedi Paschini e Monachino, I Papi nella storia, 2 voll, Roma 1961, II, p.701; Zanetti F., Tutti i papi, cit., p.698.

6 Rendina C., Papi, cit., p.565; Seppelt e Schwaiger, Storia dei Papi, 3 voll, Roma 1964, III, p.505; Ceccarelli G., La Salute dei pontefici, cit., p.101; Falconi C., Storia dei papi, 4 voll, Milano 1970., IV, p.632, oltre a delineare un ritratto del papa piuttosto critico, afferma che il suo spirito risparmiatore consisteva nel gravare di tasse il popolo, e di quei soldi spenderne pochissimi per lo stato, ma piuttosto conservarli per la sua famiglia.

7 Ceccarelli G., La Salute dei pontefici, cit., pp.102-3, dove descrive le gravissime disfunzioni fecali del papa negli ultimi tempi: “a distanza”, valutando tutti i sintomi descritti, Ceccarelli diagnostica un “un'affezione neoplastica intestinale con metastasi epatiche”; Gualino L., Storia medica, cit., pp.553-562; Gigli G., Diario di Roma, Roma 1994, II, pp.716-20.

8 Falconi C., Papi, cit., IV, p.632; Ceccarelli G., La Salute dei pontefici, cit., p.103; AA.VV., Sede apostolica vacante, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice, Città del Vaticano ed. 2004, p.42; Pastor L., Storia dei Papi, 16 voll, 20 tomi, Roma 1942, XIV/I, p.283; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.35.

9 Peraltro con lui imparentato; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.100.

10 Gigli G., Diario di Roma, cit., II, p.729; anche in Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri per la morte del papa, Perugia 1919, p. 33; Moroni citato in Paschini, Papi, cit., II, p.701; Visceglia M.A., La Città rituale, Roma e le sue cerimonie in età moderna, Città di Castello 2002, p.60-61; Zanetti F., Tutti i papi, cit., p.700, cita anche il Dizionario di Moroni circa lo stato del cadavere.

11 Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, Verona 1936, pp.346-8.

12 Falconi C., Papi, cit., IV, p.633.

13 Marcora C., Papi, cit., IV, p.291.

14 Gualino L., Storia medica, cit., p.561.

15 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.231

16 Per quanto poi, su insistenza di Francesco Barberini e per via di eventi più gravi che vennero a profilarsi, la cosa venne edulcorata e quasi revocata; vedi a proposito Falconi C., Papi, cit., IV, p.633; Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., pp.242-9.

17 Ceccarelli G. in la La salute pontefici, cit., p.103 sostiene che l'esortazione la fece solo al cardinale Chigi; Saba-Castiglioni, Papi, cit., II, p.432; Gualino L., Storia medica, cit., pp. 553-562.

18 Gigli G., Diario, cit., ediz.1958, II, p.729.

19 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.234.

20 Sembra strano che il papa venga trasportato dal Quirinale al Vaticano lo stesso giorno del decesso, oltretutto in una buia sera di gennaio: con l'acquazzone le torce che illuminavano il cammino del corteo si sarebbero spente, e il percorso sarebbe stato impossibile. Tuttavia, il diarista Gigli è di certo testimone oculare degli eventi, e non aggiungendo nulla altro, neppure se vi fu il lunghissimo corteo funebre di prammatica per la traslazione da Monte Cavallo, non possiamo al momento aggiungere né smentire nulla neppure noi.

21 Gigli G., Diario, cit., ed. 1958, p.388; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., pp.33-34; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p. 99.

22 Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, cit., pp.347-8.

23 Gigli G., Diario, cit.,II , pp.716-20; 732; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.34

24 Gigli G., Diario, cit., II, pp.731-2; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.34; Rendina C., Papi, cit., p.563; Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, cit., pp.347-8... questo fatto, è ricordato da tutti gli autori che hanno scritto o solo accennato alla morte di Innocenzo X -almeno quelli da noi consultati-, è basato per di più sulla testimonianza del diario del Gigli, ragion per cui evitiamo di enumerare tutta la vastissima bibiliografia.

25 Zanetti F., Tutti i papi, cit., p.700; anche in Ceccarelli G., La Salute dei pontefici, cit., p.103; Marcora C., Papi, cit., p. 291, dove precisa che simili cose il Pallavicino le scrisse nella sua biografia di Alessandro VII.

26 In Rendina C., Papi, cit., p.566.

27 Marcora C., Papi, cit., p. 291; Laboa J.M., Papi, cit., p.292, aggiunge i particolari macabri, che sembrano quasi mutuati dalla morte di Alessandro VI... in realtà, li riprende dal Gigli, Diario, cit., II, p.729; circa l'imbalsamazione vedere Visceglia A.M., Città rituale, cit., p.83.

28 Gigli, Diario citato in Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.34; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., pp. 99-100.

29 Gigli, Diario citato in Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.34; Marcora C., Papi, cit., p.291; anche questo episodio è raccontato in tutti i saggi che trattano anche della vita e della morte di Innocenzo X.

30 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.238; AA.VV., Sede Ap.Vac., cit., p.120.

31 Al momento non sappiamo per quanto tempo vi rimase in deposito; abbiamo trovato notizia che la permanenza durò un solo giorno, tuttavia ci è stato impossbile ritrovare la fonte dove era citato un simile particolare, lo riferisce Visceglia A.M., Città rituale, cit., pp.75-87, che appunto sostine essere stato un solo giorno.

32 Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, cit., p. 348.

33 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p. 228.

34 Gigli G., Diario, cit., II, nelle note dei curatori edizione 1994, pp.754-5 n. 8; Santolaria J.A., Quando muore il papa, cit., p.100; Rendina C., Grandi famiglie di Roma, 2 voll, Roma 2006, I, p.306; Marcora C., Papi, cit., p.295, con relativa foto del monumento funebre; Gregorovius F., Le Tombe dei papi, cit., p.159; Saba-Castiglioni, Papi, cit., II, p.432.

35 Laboa J.M., Papi, cit., p.290.

36 Lo dice lo stesso Gigli G., Diario, cit., II, p.730 nella ediz.1958.

37 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., pp.227-9; Gigli G., Diario, cit., pp.445, 457, 471, nella ediz.del 1958.

38 In Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.232, cita la cronaca del card. Pallavicino sul conclave che elesse Alessandro VII, che a sua volta, abbiamo notato, mutua l'affermazione dal solito Diario del Gigli, che aggiuse inoltre “...e ponendoli la mano dietro le spalle la fece voltare a dietro”; in Gigli G., Diario, cit., II, p.729, ediz.1958.

39 Gigli G., Diario, cit., p.471, ed.1958; Vassalli D., Olimpia, cit., pp.228-9.

40 Gigli G., Diario, cit., pp.716-34.

41 Paravicini Bagliani A., Il Corpo del papa, Torino 1994, p.210.

42 Gigli G., Diario, cit., II, p.730.

43 Gigli G., Diario, cit., II, pp.729-39.

44 Gigli G., Diario, cit., II, pp.729-30.

45 Per la bibliografia, vedi paragrafo sui Papi Borgia

46 Gigli G., Diario, cit., II, p.736, ove concede che la relazione era opportuna, per non dare corda ai protestanti; e in effetti scrive che in quei giorni era a Roma il figliolo del re di Svezie Heretico, che pare collezionasse tutte le pasquinate scritte a Roma contro i papi, pagandole a peso d'oro... e fu la ragione per cui in quegli stessi giorni delle esequie del papa vi fu un'esplosione di questi mordaci versi, che colpivano contemporaneamente Innocenzo e Olimpia, con allusioni pesantissime e spesso sacrileghe. Per non allertare i nemici protestanti soprattutto, il governatore di Roma Rospigliosi, futuro papa, mandò in galera e all'inquisizione parecchi di questi autori imprudenti. Gigli G., Diario, cit., II, pp.733-4.

47 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., pp. 225-34 ; Gigli G., Diario, cit., II, pp.716-7.

48 Paravicini Bagliani A., Il Corpo, cit., p. 201; Gigli G., Diario, cit., II, p.729.

49 Gigli G., Diario, cit., II, pp.729,733; Gualino L., Storia medica, cit., pp.552-62.

50 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.235; Visceglia A.M., La Città rituale, cit., p.83; Moroni G., Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, da san Pietro sino ai nostri giorni, 103 voll., Venezia 1849-61, VI, pp. 195-208.

51 Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, cit., pp.347-8.

52 Gigli G., Diario, cit., II, p.731.

53 Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, cit., pp.347-8.

54 Gigli G., Diario, cit.,II, p.731.

55 A proposito si può vedere una della tante immagini disponibili di trasporto dal Quirinale della salma papale, in AA.VV., Habemus Papam, Le elezioni pontificie da s.Pietro a Benedetto XVI, Roma 2007, p.45, in occasione della morte di Benedetto XIV.

56 Per la bibliografia si rimanda al paragrafo Esposizione.

57 Se le mani fossero visibili sopra la coltre, non è specificato né dal Gigli né dal Bernhart.

58 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.235; Gigli G., Diario, cit., II, p.731; Cecchetelli-Ippoliti R., Riti funebri, cit., p.25; Bernhart J., Vaticano potenza mondiale, cit., pp.347-8.

59 Gigli G., Diario, cit., II pp.731-2, al contrario di quanto è previsto nella cerimonia di chiusura della bara del papa per la sepoltura, dove i cerimoniali prevedevano un ruolo- facoltativo- e un posto preciso nella cappella del Coro per i parenti del papa che avessero voluto presenziare alla funzione; per la bibliografia vedi capitolo Esequie

60 “Malattia e morte di Innocenzo X”, senza titolo né autore, citata in Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., pp.235, 246.

61 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., pp.235, sebbene poi l'autrice dica che non pagarono la bara al papa proprio per “avarizia”, e tuttavia lo dice citando il summenzionato scritto anonimo.

62 Sui nipoti Barberini, Gigli G., Diario, cit., II, p.429; Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.236.

63 Diario, cit., II, p.729; Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.236.

64 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.236; Gigli G., Diario, cit., II, p.731.

65 Diario, cit, II, p.731.

66 Chiomenti Vassalli D., Olimpia, cit., p.246.

67 Vedi paragrafo Tomba provvisoria, per la bibliografia.

68 Purtroppo, come già detto, non lo possiamo confermare, dal momento che non ci è stato possibile ritrovare la fonte in cui era annotato questo particolare; solo nelle note dei curatori del Diario del Gigli, edizione 1994, si sostiene sommariamente che il corpo “vi restò alcuni giorni”, prima che Mons. Segni si decidesse a farlo seppellire a sue spese in San Pietro, senza indicare in che punto preciso della basilica. Gigli G., Diario, cit., II, pp.754-5, n. 8; Visceglia A.M., La Città rituale, cit., pp.75-87, sostiene fra le righe che rimase un solo giorno.

Conclusione

Alla fine di questo mio lavoro di ricerca sulla morte dei papi nella storia, che si ferma al decesso di Giovanni XXIII e ai primi tempi del Concilio Vaticano II, un pensiero non può non andare a ciò che è venuto dopo. Ai mutamenti liturgici post-conciliari, e di riflesso ai cambiamenti e dei rituali funebri in morte del papa e delle significanze del corpo stesso del romano pontefice. Da Bonifacio VIII all'ultimo decesso papale molte cose traumaticamente sono finite, ma non si è interrotto il filo idelogico della successione petrina. Cambiate le forme, la sostanza resta.

Molto è finito. Ma molto altro ha avuto inizio con l'attentato nel 1981 a papa Giovanni Paolo II. Per la rilevanza cosmica assunta dal suo corpo ferito, per il corpo papale monstratum per la prima volta platealmente, come carne viva e sensibile, dopo l’attentato a Wojtyla è lecito soffermarci a indagare un secondo sul repentino mutamento di significato, simbolico, del corpo del papa, che fino a Paolo VI (che sembrava non averne neppure uno di corpo, puro spirito e intelletto, puro cuore e alterezza, essenza asessuata com’era) era talmente sacro da dover essere quasi nascosto, splendere nel rendersi invisibile, presente come essenza apostolica ma intangibile e inconsistente come carne: il corpo del papa come sacro, del quale tanto s'era discusso nei secoli, paradossalmente per essere tale doveva come corpo petrino apparire come un non-corpo. Decontestualizzato dall’umanità corrente quotidiana carnale decadente, esso doveva essere già altrove, teoricamente e pubblicamente lontano da umani richiami. Il corpo del papa era tutto sacralità e maestà fino alla fine, oltre la morte. Con l’attentato al papa polacco, il corpo non è più solo sacro e lontano, ma irrompe d’improvviso nella quotidianità con la sua umanità, gaudente o dolente che sia.

Così facendo, esso, il corpo del papa, si ingrandisce e sminuisce al contempo, si sgonfia e smette d’essere sideralmente altro e sopra tutti, e diventa anche come gli altri. Ma a questa normalizzazione del corpo si aggiunge (ripompandolo) ancora un carattere di eccezionalità attorno al quale l’universo intero fedele e infedele sembra ruotare e partecipare, con tutti i suoi mezzi di comunicazione, vociante e a suo modo trionfale.

La pompa che portava fin poco prima attorno al corpo sacro la sua corte pontificia romana con orpelli e protocolli, adesso la porta la massa con le sue tecnologie, il suo consenso roboante ed oceanico, le sue dinamiche psicologiche, che corre a milioni incontro e al seguito del romano pontefice, nuova corte universale: gli uni e gli altri sono modi diversi di partecipare alla glorificazione del corpo di Pietro.

A partire dalla fine del '900, dunque, il corpo sacro diventava anche corpo umano e corpo mediatico. A ciascuno gli elementi del suo tempo per comunicare l’immagine della perennità del corpo di Pietro: a Bonifacio VIII il marmo e l’oro (la maestà) e la sottolineatura dell’alterezza e primazia sua verso tutto il resto, a Giovanni Paolo II il video e i viaggi e le folle oceaniche (il carisma) e la sottolineatura del rapporto di comunanza e pastoralità con la massa. Il corpo del papa si sgonfia della eterea barocca ma bellissima pompa magna romana, con le sue albe e flabelli, ma trasfigurato si rigonfia a dismisura della sua mediatica nuova dimensione universale che abbraccia il globo intero.

A modo suo, come voleva Bonifacio, Pietro (e il suo corpo), trasfigurato, è ancora eterno. Non più sopra gli altri magari, ma al centro sì. I funerali di Giovanni Paolo II, dei quali siamo stati testimoni diretti, lo hanno dimostrato: nella spartana semplicità, stratosferici mediaticamente, sproporzionati, perciò comunque trionfali, hanno sostituito l’eccesso di addobbi di una volta con catafalchi mastodontici e tempietti di cartapesta dei Bernini e dei Michelangelo o di altri sommi artisti… con altri simulacri, che oggi si chiamano RAI, NBS, BBC, CNN, CBS. Nell’uno come nell’altro caso, effimeri. Ma Pietro resta (meno romano e più universale, certo). Sempre uguale sempre diverso, ma resta, come la sua Chiesa in tutta la sua crudele bellezza, mentre il resto evapora: …non prevalebunt! Aveva ragione Bonifacio!

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