CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

www.cesnur.org

Le origini di sinistra del negazionismo dell’Olocausto: in margine al caso Williamson
“La via del negazionismo? Prima a sinistra”

di Massimo Introvigne (il Domenicale, anno 8, numero 18, 2 maggio 2009, pp. 6-7)

img

Prendiamo, a mo’ di esempio, le dichiarazioni del vescovo “lefebvriano” mons. Richard Williamson, che tanti problemi hanno causato alla Santa Sede. La questione avrebbe potuto indurre qualcuno a riconsiderare la storia del cosiddetto “negazionismo dell’Olocausto. Ma non è stato così. Questa storia è stata data per scontata, e all’opinione pubblica” è stato lasciato credere che si tratterebbe di un fenomeno sempre e soltanto “di destra” o “fascista”, così che cattolici a loro volta “di destra” o “fascisti” graviterebbero quasi naturalmente verso il negazionismo. È una versione che sembra credibile. Ma non è vera. Se ci si riferisce al filone principale del negazionismo – quello di lingua francese, trascurando per il momento le storie parallele che riguardano la Gran Bretagna, il Canada o gli Stati Uniti (e che sono a loro volta influenzate da quanto è successo in Francia) – si potrebbe dire che è quasi vero il contrario.

Il negazionismo si compone di tre elementi. Nega che il regime nazional-socialista abbia avuto intenzione di sterminare gli ebrei. Nega l’esistenza delle camere a gas. E riduce il numero di ebrei uccisi nei campi di concentramento a proporzioni così basse da sfiorare talora lo zero. Benché il negazionismo preferisca farsi chiamare con il nome più rispettabile di “revisionismo”, sostanzialmente questo appellativo è inesatto. Se ci sono storici rispettabili i quali sostengono che questo o quel particolare sulla storia dell’Olocausto sia da rivedere, o che le ricostruzioni dei campi di sterminio da parte del “turismo della memoria” – soprattutto il più antico – non siano sempre state attendibili, il negazionismo è una posizione molto più drastica in cui di rispettabile e di storico rimane ben poco. Dal punto di vista della sociologia il negazionismo fa parte del rejected knowledge, cioè di quelle opinioni che la storia accademica ha scartato ma che affascinano ancora i teorici del complotto, per cui gli storici “ufficiali” sono sempre e necessariamente complici del Potere con la P maiuscola. Le varie forme di rejected knowledge si frequentano e si richiamano. Molti (non tutti, evidentemente) fra coloro che negano che gli attentati dell’11 settembre 2001 siano opera di fondamentalisti islamici e li attribuiscono ai servizi americani o a quelli israeliani – la forma più diffusa di teorie del complotto e di adesione a un rejected knowledge del nostro tempo – talora sono o diventano anche negazionisti dell’Olocausto. L’itinerario del vescovo Williamson, che può essere seguito attraverso le sue dichiarazioni e qualche rivistina di area, è stato precisamente di questo tipo. Frequentando un certo tipo di negazionisti dell’11 settembre e aderendo alle loro tesi Williamson a poco a poco è diventato anche un negazionista dell’Olocausto.

Tra i primi sostenitori del negazionismo dell’Olocausto ci sono certamente autori che si dichiarano fascisti come Maurice Bardèche (1907-1998), il cognato del poeta Robert Brasillach (1909-1945), giustiziato in Francia dopo la Seconda guerra mondiale come collaborazionista. Brasillach non era solo il cognato di Bardèche: era il suo idolo. La protesta contro l’esecuzione di Brasillach diventa in Bardèche protesta contro tutte le epurazioni e contro il processo di Norimberga, a suo dire fondato su documenti falsi. Da un certo punto di vista i testi su Norimberga di Bardèche sono i primi scritti negazionisti, ma sfogliando la collezione del suo giornale Défense de l'Occident si scopre che gli articoli negazionisti per i primi anni rimangono isolati e occasionali. Il negazionismo “di protesta” di Bardèche sarebbe rimasto isolato e privo di argomenti se non fosse sceso in campo un personaggio di ben altro calibro negazionista, Paul Rassinier (1906-1967).

Dopo avere aderito giovanissimo al Partito Comunista Francese ed esserne stato escluso nel 1932, Rassinier era diventato segretario della federazione di Belfort del Partito Socialista Francese. Di tendenze anarco-pacifiste al momento dell’occupazione tedesca fonda con altri il movimento clandestino Libération Nord. Arrestato dalla Gestapo, è torturato e deportato a Buchenwald. Tornerà a casa, ma ferito e invalido. Nel 1946 è eletto deputato socialista alla seconda Assemblea Costituente. Battuto alle successive elezioni politiche prende la strada del pacifismo integrale e dell’anarchismo sociale rappresentata dalla rivista Défense de l’homme del dirigente anarchico Louis Lecoin (1888-1971), amico di Rassinier fin dall’anteguerra. Da allora l’ex deportato svolge le sue attività nell’ambito della Federazione Anarchica. L’ambiente è litigioso: gli anarchici discutono su questioni di leadership e anche di denaro, che portano negli anni 1960 a diverse scissioni. Rassinier lascia la Federazione Anarchica per aderire a uno degli scismi, l’Alleanza Operaia Anarchica, e collabora anche con un’altra formazione scismatica, i Gruppi Anarchici di Azione Rivoluzionaria (di tendenza cosiddetta “nera e rossa”, anarco-comunista), continuando nello stesso tempo a militare nell’Unione dei Pacifisti alla cui origine si trova Lecoin.

Solo negli ultimi tre anni di vita le polemiche sul negazionismo dell’Olocausto costringeranno Rassinier a dimettersi dall’Unione dei Pacifisti. Ma fino alla morte manterrà cordiali rapporti con spezzoni del movimento anarchico i quali ricorderanno alla sua scomparsa il militante del pacifismo integrale e della lotta anarchica contro l’ordine sociale e contro la religione (la militanza atea è un’altra costante dell’intera vita dell’ex deportato).

Rassinier – che può dunque vantare di essere stato egli stesso deportato – dà al negazionismo le sue credenziali politiche e un insieme di argomenti (fra cui quello della non esistenza delle camere a gas) fondamentali per gli sviluppi futuri. Ma, al di là degli argomenti, quali sono le idee di Rassinier? Il tema principale di tutta la sua attività politica è il pacifismo assoluto di matrice anarchica, per cui qualunque pace è preferibile a qualunque guerra. La denuncia del nazismo come male assoluto tramite la descrizione dell’Olocausto, secondo Rassinier, rischia di essere fatale a questo tipo di pacifismo. Molti, infatti, si convinceranno che esiste almeno una guerra giusta, quella capace di far cessare crimini orribili come quelli perpetrati dai nazisti nei campi di sterminio. Per negare radicalmente l’idea di guerra giusta occorre – pensa Rassinier – negare il carattere unico, terribile, assoluto dei crimini nazisti, dunque negare l’Olocausto e le camere a gas. Gli argomenti tecnici in Rassinier – e lo stesso ritorno nel suo pensiero di un antisemitismo “sociale”, che vede nell’ebreo il capitalista per eccellenza riprendendo una vecchia tradizione della sinistra francese – sono sempre funzionali a un singolo tema di fondo, che è quello pacifista.

Beninteso, una certa estrema destra ha ripubblicato e ripubblica Rassinier con genuino entusiasmo, spesso senza conoscerne la storia e i motivi. Ma i suoi, gli anarco-pacifisti, non si sono sbagliati e non l’hanno mai veramente abbandonato, nonostante lo scandalo pubblico del negazionismo nella seconda metà degli anni 1960 fosse così forte da costringere a caute prese di distanze. Tuttavia Rassinier è morto nel 1967 mentre la sua bibbia del negazionismo, La menzogna di Ulisse, è del 1950; e le polemiche su questo libro non hanno impedito all’ex deportato di rimanere un dirigente importante di organizzazioni anarchiche e pacifiste almeno ancora per un buon decennio.

Il 1967 è l’anno della morte di Rassinier. È anche l’anno in cui Pierre Guillaume con un nucleo importante di amici abbandona Potere Operaio, che era stato fondato in Francia dal filosofo Jean-François Lyotard (1924-1998) nel 1963, dunque prima della nascita dell’omonima organizzazione italiana. Potere Operaio preferisce parlare di espulsione, ma in realtà Guillaume e i suoi se ne vanno prima di essere espulsi, e portano con loro un numero consistente di membri. Il gruppo di Guillaume prende il nome dalla libreria che gestisce, che era stata aperta nel 1965: La Vieille Taupe, “La Vecchia Talpa”, metafora della Rivoluzione che scava sottoterra per anni prima di venire alla superficie usata già da Karl Marx (1818-1883). Comunisti anti-sovietici, i seguaci del gruppo della Vecchia Talpa oscillano fra il situazionismo e il riferimento a Rosa Luxemburg (1871-1919). Separati da Potere Operaio, Guillaume e i suoi amici scoprono Amadeo Bordiga (1889-1970), il fondatore del Partito Comunista Italiano divenuto un marxista eretico e un critico comunista dell’antifascismo, che ritiene un inganno creato dal capitale per attirare i comunisti in alleanze innaturali e distoglierli dalla lotta contro lo Stato capitalista, che è sempre lo stesso nelle sue vesti democratica, fascista e anche stalinista. Lo stalinismo per Bordiga è infatti un capitalismo di Stato, un ennesimo travestimento del dominio del capitale, e anche la critica trotzskista dello stalinismo, in quanto non supera l’antifascismo, è insufficiente.

Guillaume diventa uno dei leader del maggio 1968: secondo la storica Valérie Igounet, è forse il più importante leader “militare” del maggio parigino. Contemporaneamente, La Vecchia Talpa si ritrova nel pieno delle lotte intestine che dilaniano da sempre il bordighismo francese e internazionale, e scopre che la critica dell’antifascismo di Bordiga per molti ha come parte integrante una critica di quanto la storia afferma in merito all’Olocausto. Dal 1960 negli ambienti bordighisti gira un opuscolo, Auschwitz o il grande alibi, pubblicato anonimamente e da alcuni attribuito allo stesso Bordiga il quale, se non lo ha scritto, lo ha almeno approvato e – per quanto si sa – non lo ha mai criticato. A rigore non si tratta di un testo negazionista: denuncia l’uso di Auschwitz e dei campi di sterminio da parte dell’antifascismo per sostenere che le democrazie occidentali e lo stalinismo sovietico sono eticamente superiori al nazismo (mentre non lo sono), e afferma che gli ebrei furono deportati in quanto membri di una classe, la piccola borghesia, non più utile al capitalismo e non capace di difendersi perché divisa in se stessa. Il capitalismo – di cui il nazismo era uno dei mandatari – secondo l’opuscolo cercò in tutti i modi di evitare lo sterminio, economicamente inutile, degli ebrei (per esempio – si afferma – cercando di “venderli” ad altri Paesi), ma alla fine molti di loro furono effettivamente uccisi non in quanto ebrei, ma in quanto “scarti del processo capitalista di produzione”.

L’opuscolo contiene evidenti contraddizioni, le quali spiegano perché Guillaume – dopo avere scoperto quasi per caso Rassinier – lo legga con entusiasmo e, mantenendo l’architettura concettuale del testo bordighista su Auschwitz, ne cambi gli elementi di fatto: non solo il nazismo ha cercato di evitare lo sterminio degli ebrei, in realtà non lo ha mai compiuto, e si tratta dell’ennesima invenzione della propaganda antifascista il cui carattere perverso Bordiga aveva da tempo compreso. Non tutti i bordighisti, e neppure tutti i fondatori della Vecchia Talpa, sono d’accordo, ma parte qui un itinerario che dagli anni 1970, e fino a oggi, porterà La Vecchia Talpa di Guillaume a diventare il principale centro europeo del negazionismo dell’Olocausto. Nel 1978 il gruppo della Vecchia Talpa (di cui peraltro si dovrebbero distinguere successive incarnazioni, in cui i protagonisti cambiano anche se restano il nome e il ruolo centrale di Guillaume) incontra Robert Faurisson, un docente universitario di letteratura di Lione che si è appassionato al negazionismo ed è diventato l’erede intellettuale di Rassinier. Faurisson è sempre stato molto reticente sulle sue idee politiche, non invece su quelle religiose e sulla sua militanza nell’Unione degli Atei. Comunque sia, alla fine degli anni 1970 accetta con gioia il sostegno della Vecchia Talpa, che inserisce le sue tesi in uno schema bordighista, così come più tardi non avrà reticenze ad accettare l’aiuto di ambienti neo-nazisti e nel dicembre 2006 sarà a Teheran ospite del presidente iraniano Ahmadinejad.

Sempre nel 1978 la Libreria delle donne, storica libreria femminista parigina, è assalita da un commando di otto donne mascherate armate di rasoi e spranghe di ferro. Le responsabili dell’aggressione non saranno mai identificate, ma a Lione compaiono manifesti che inneggiano all’assalto. Sono firmati dagli amici di una rivista, La Guerre sociale, pubblicata dal 1977 come prosecuzione di King Kong International, da un gruppo di militanti post-sessantottini legati all’Organizzazione dei giovani lavoratori rivoluzionari. Secondo i manifesti l’opposizione fra femministe e maschilisti è un nuovo trucco del capitalismo – esattamente come l’opposizione fra fascisti e antifascisti – per nascondere ai lavoratori la verità secondo cui esiste un unico vero antagonismo, quello fra capitale e lavoro. Se nel 1978 aveva difeso le protagoniste dell’attentato di Parigi, nel 1979 La Guerre sociale difende Faurisson, sotto processo a Lione, diffondendo un opuscolo dal titolo Chi è l’ebreo?, il cui titolo fa allusione al fatto che il vero “ebreo”, nel senso di soggetto discriminato e perseguitato, sarebbe il professore negazionista. La Guerre sociale inizia a collaborare con la Vecchia Talpa, ma le due posizioni non sono identiche. Nel gruppo della rivista è più chiara l’idea di riportare il negazionismo alla matrice e alle posizioni ideologiche di Rassinier. Ne seguiranno interminabili dispute teoriche fra Guillaume, il gruppo de La Guerre sociale e dissidenti che fonderanno una rivista concorrente, La Banquise, al cui centro stanno tesi di un teorico del cosiddetto comunismo di sinistra, Gilles Dauvé. Si tratta però per anni di scontri tra varianti del negazionismo, anche se alcuni dei protagonisti della controversia finiranno per prenderne le distanze nel corso degli anni 1980. Tra questi ci sarà Gabriel Cohn-Bendit, fratello del leader del maggio francese Daniel Cohn-Bendit e teorico dell’educazione alternativa, il cui impegno negazionista – per quanto di breve durata (1979-1980) – gli sarà spesso rimproverato nel corso della successiva carriera culturale e politica. Seguire le dispute dottrinali sull’esatta interpretazione di Marx e di Bordiga è molto faticoso. Resta tuttavia il dato secondo cui in molti Paesi i bordighisti giocano un ruolo importante nel far conoscere il negazionismo dell’Olocausto: così in Italia, con le attività delle edizioni bordighiste (che oggi preferiscono definirsi post-bordighiste) Graphos di Genova, traduttrici di molti classici del negazionismo.

Alla fine degli anni 1980, anche a causa di queste dispute interminabili, La Vecchia Talpa sembra in crisi, ma in compenso un articolo del 1987 di una delle figure storiche del mondo anarchico francese, Maurice Joyeux (1901-1991), apparso sull’organo ufficiale della Federazione Anarchica Le Monde libertaire, commemora Rassinier a vent’anni dalla morte e ne rivendica l’opera come pienamente appartenente alla tradizione degli anarchici. Quanto alla Vecchia Talpa, si rilancia in grande stile negli anni 1990 grazie a un apporto imprevisto. Uno dei protagonisti più importanti sul piano culturale del 1968 francese e del marxismo dissidente, il filosofo Roger Garaudy, convertito all’islam, va a trovare nel 1995 Pierre Guillaume e gli propone di pubblicare in modo discreto, in una tiratura limitata, I miti fondatori della politica israeliana, un testo in cui il filosofo sostiene che il mito dell’Olocausto è stato inventato dagli ebrei per giustificare l’esistenza di Israele e le ingiustizie commesse verso i palestinesi. Per quanto discreta, la pubblicazione fa scandalo e porta a un processo e alla condanna di Garaudy. Ma si tratta di un colpo mediatico di grande effetto che fa conoscere il negazionismo, grazie anche al fatto che una figura popolare come l’abbé Pierre (Henri Grouès, 1912-2007), il “prete dei poveri” fondatore del Movimento Emmaus, si presenta a testimoniare in favore dell’integrità dell’amico Garaudy, pur dichiarando di non condividerne il negazionismo. Nasce qui una terza fase dell’opera di Guillaume e della stessa storia del negazionismo. Se l’invenzione dell’Olocausto era stata attribuita al capitalismo per giustificare dapprima la guerra e quindi la repressione delle lotte operaie e studentesche attirando le sinistre parlamentari con il mito dell’unità antifascista, ora il dito è puntato sullo Stato d’Israele, e il negazionismo è esportato in modo massiccio nei Paesi musulmani, dove trova sostenitori e finanziatori in nome della lotta contro il sionismo e per i palestinesi. Oggi sono l’Iran di Ahmadinejad e il fondamentalismo islamico i maggiori appoggi su cui può contare il negazionismo.

Ripetiamolo ancora una volta: nessuno intende negare che militanti che a vario titolo possono essere definiti “di estrema destra” abbiano accolto con entusiasmo e diffuso le tesi negazioniste. Tuttavia la linea principale, il “nucleo duro” del negazionismo che va da Rassinier alla pluridecennale attività della Vecchia Talpa sfociando nell’antisionismo negazionista filo-iraniano e filo-palestiniese di oggi fa parte piuttosto della storia di una certa sinistra anarchica, insurrezionalista e “comunista di sinistra”.

E i cattolici tradizionalisti legati alla Fraternità San Pio X di monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991)? Cercando con grande attenzione si trova qualche episodio più o meno isolato. Nel 1978 salta in aria l’automobile di François Duprat (1940-1978), un giovane militante che da trotzskista è diventato fascista e stretto collaboratore di Maurice Bardèche, mantenendo un forte impegno anti-israeliano e di sostegno all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Fondatore di un’Unione per la liberazione della Palestina, la sua morte – mai chiarita – è facilmente attribuita ai servizi israeliani, anche se l’inchiesta suggerirà che Duprat aveva qualche rapporto anche con i servizi francesi e forse con quelli sovietici. Duprat interessa alla nostra storia perché, dopo un periodo di silenzio, aveva rilanciato in grande stile sulle pubblicazioni di Bardèche il negazionismo, esercitando sul punto un’influenza sull’amico Jean-Marie Le Pen (che non ha mai rinnegato Duprat e continua a rendergli commossi omaggi). Il funerale di Duprat è celebrato con grande concorso di folla a Saint-Nicolas-du-Chardonnet da don François Ducaud-Bourget (1897-1984), amico di monsignor Lefebvre che nel 1977 aveva “occupato” la chiesa parigina per celebrarvi la Messa tradizionale. Per scrupolo di completezza questo episodio – insieme alla difesa, in nome più della libertà di espressione che di una vera condivisione d’idee, di negazionisti condannati dai giudici francesi da parte di questa o quella personalità o rivista vicina alla Fraternità San Pio X nel corso degli anni 1980 e 1990 – non può mancare di essere citato. Ma è necessario sottolinearne anche il carattere isolato. Monsignor Lefebvre non ha mai mostrato simpatie per il negazionismo e del resto suo padre René (1879-1944) era stato esponente di spicco della resistenza anti-nazista ed era morto a seguito delle percosse ricevute nel campo di concentramento di Sonnenburg.

Un qualche cambiamento si è verificato nel 2001. Il negazionismo dell’11 settembre – un vento che ha percorso molte destre, così come molte sinistre – ha aperto anche nella Fraternità San Pio X la porta alla pubblicazione di articoli e al contatto con personaggi che sono negazionisti anche dell’Olocausto (il che, ribadiamolo ancora una volta a rischio di ripeterci, è una caratteristica presente in alcuni ma non in tutti i negazionisti dell’11 settembre). Questa tendenza ha finito per coinvolgere anche uno dei vescovi della Fraternità, appunto monsignor Williamson. L’accorato invito di Benedetto XVI a sorvegliare con più attenzione la presenza di queste derive in futuro può valere, forse, anche come invito a studiare seriamente la storia e le radici del negazionismo dell’Olocausto.