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A chi piace il Motu proprio. Un’indagine sulla Messa tradizionale in Francia e in Italia

di Massimo Introvigne

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L’associazione Paix Liturgique e il sito messainlatino.it hanno fatto realizzare dalla Doxa nel settembre 2009 un’indagine sul Motu proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI, del 7 luglio 2007, che liberalizza la possibilità di celebrare la Messa tradizionale con il rito detto di San Pio V, impropriamente chiamata «Messa in latino» (dal momento che, evidentemente, anche la Messa con il nuovo rito detto di Paolo VI può essere celebrata in latino). L’indagine si segnala per la serietà dell’istituto che l’ha condotta, e ha il vantaggio di poter essere paragonata a una ricerca consimile realizzata per Paix Liturgique da un istituto ugualmente prestigioso, CSA, nel settembre 2008. Volutamente, non prendo in considerazione analoghe indagini svolte negli Stati Uniti, sia perché sono diverse queste ricerche sia perché la diffusione delle Messe tradizionali e l’atteggiamento del clero e dei vescovi negli Stati Uniti sono piuttosto diversi rispetto all’Europa.

1. L’indagine è stata realizzata con metodo CATI (computer assisted telephone interviews, cioè attraverso telefonate sulla base di un campione casuale bilanciato) e ha anzitutto accertato che il 76% degli italiani si definisce cattolico e che, all’interno di questo 76%, il 35% dichiara di andare a Messa ogni settimana e il 16% ogni mese, per un totale di «praticanti almeno mensili» del 51% di quanti si definiscono cattolici, dunque del 38,7% del campione totale. Va rilevato che scopo della ricerca non era verificare quanti sono gli italiani che si definiscono cattolici, o che dichiarano di andare a Messa (quest’ultima cifra, come è noto, è diversa da quella degli italiani che vanno a Messa, giacché è pure necessario cercare di misurare il fenomeno dell’over-reporting, cioè la percentuale di quanti affermano di andare a Messa nelle interviste ma di fatto non ci vanno). Per una piena comparazione con indagini precedenti sarebbero state necessarie domande di controllo, approfondimenti e anche un campione più esteso. I dati sono comunque abbastanza in linea con altre indagini degli ultimi anni specificamente consacrate a questi temi.

2. Una ulteriore domanda, formulata ai soli cattolici, dopo avere enunciato in breve – ma con precisione – il contenuto del Motu proprio di Benedetto XVI, chiedeva: «Lei ne ha sentito parlare?». Su questa domanda si devono fare molte riserve. Si tratta, infatti, di un quesito pericolosamente al limite della domanda suggestiva. Volendo accertare se la popolazione ha sentito parlare di qualcosa occorre infatti evitare di descrivergli prima questo qualcosa nei dettagli, ingenerando l’ovvio desiderio di non mostrarsi ignorante o poco informato. Si può comunque, anche se con ampie riserve, ricavare da questo quesito una linea di tendenza, secondo cui il Motu proprio è meno noto nel 2009 ai cattolici italiani che dichiarano una pratica almeno mensile (64%) di quanto lo fosse nel 2008 ai loro omologhi francesi (82%). La linea di tendenza interessa qui più delle percentuali che, in ragione della formulazione della domanda, appaiono senz’altro troppo elevate.

3. In Italia il 71% di chi si dichiara cattolico afferma di trovare normale che la Messa con il rito detto di San Pio V, che il Motu proprio chiama «straordinario», possa essere celebrata nella sua parrocchia (il dato non varia tra chi dichiara e chi non dichiara una pratica almeno mensile). Chi giudica la presenza della Messa tradizionale «anormale» (una sacca di resistenza «progressista») rappresenta il 22% fra coloro che si dichiarano cattolici e sale al 24% fra i cattolici che dichiarano una pratica almeno mensile. In Francia sono di meno i cattolici (62%) e rispettivamente i praticanti dichiarati (61%) che trovano normale l’inserimento «nelle principali chiese della vostra diocesi» del rito straordinario accanto a quello ordinario e cresce in modo significativo la resistenza al Motu proprio che ne trova l’applicazione «anormale» (30% dei cattolici e 34% dei praticanti). Dall’indagine italiana emergerebbero anche indicazioni su dove – per sesso, età e geografia – sarebbero più presenti queste resistenze, ma l’esiguità del campione, se lo si riferisce all’intero territorio nazionale, invita a non trarne immediate conclusioni.

4. Colpirà certo l’attenzione il numero elevato di persone che si dichiarano disposte a partecipare a Messe in rito straordinario se queste fossero celebrate nelle loro parrocchie. Fra coloro che si dichiarano cattolici in Italia il 21% ci andrebbe ogni settimana e un altro 12% almeno ogni mese. Fra chi dichiara una pratica almeno mensile la prima percentuale sale al 40% e la seconda (che evidentemente va aggiunta alla prima per avere i potenziali frequentatori almeno mensili di Messe tradizionali) al 23%, il che ci direbbe che una solida maggioranza dei cattolici praticanti (63%) parteciperebbe almeno una volta al mese a una Messa tradizionale se gli fosse offerta nella sua parrocchia. Ci andrebbero anche parecchi non praticanti. Sarebbe naturalmente sbagliato trarre conclusioni troppo frettolose sulla futura messa in pratica di queste intenzioni. In genere chi si esprime su possibilità ipotetiche manifesta le sue simpatie e aspirazioni, ma quanto alla loro traduzione in comportamenti concreti non vi sono mai garanzie e sono necessarie ulteriori verifiche. Comunque sia, davvero spettacolare è la differenza con la Francia del 2008 dove il 63% italiano che, fra chi si dichiara praticante, afferma che parteciperebbe alla Messa con rito straordinario almeno mensilmente si riduce al 34%, e all’analogo 33% italiano riferito all’insieme dei cattolici (compresi dunque coloro che non si affermano praticanti) corrisponde un misero 7%.

5. Nonostante le riserve su alcune domande, e sull’uso spericolato che di alcuni dati potrebbe essere fatto in futuro da qualche giornalista che ha meno familiarità con le indagini sociologiche in tema di religioni, si deve essere grati a chi ha commissionato ed eseguito l’indagine che, al netto dei suoi problemi interni, ci dice con un buon grado di attendibilità tre cose interessanti.

La prima è che ci sono in Italia molti cattolici interessati alla Messa tradizionale e almeno teoricamente disponibili a parteciparvi. Benché prima del Motu proprio (per la verità, anche dopo) il numero di Messe tradizionali celebrato in Italia non sia stato elevatissimo, la maggioranza dei cattolici praticanti si dichiara interessata a parteciparvi con una certa frequenza e manifesta un forte interesse per questa liturgia. Chi alla lettura di questa indagine affermerà che di questa opinione maggioritaria i vescovi italiani dovrebbero in qualche modo tenere conto da molti punti di vista non avrà torto. La Messa tradizionale non è la Messa di pochi nostalgici, non interessa a «quattro gatti» ma è vista con favore e disponibilità dalla maggioranza dei cattolici italiani che si dichiarano praticanti. È probabile che se analoga inchiesta fosse stata svolta tra i sacerdoti o fra i vescovi italiani le percentuali di favorevoli alla Messa tradizionale sarebbero state ben minori, il che mostra bene una certa differenza di percezione fra il popolo cattolico e i suoi pastori.

La seconda è che vi è una sacca di cattolici progressisti che ha assorbito l’ostilità di molte élite cattoliche italiane nei confronti della Messa tradizionale. Questa sacca non è maggioritaria ma non è neppure insignificante, e sfiora il quarto dei cattolici praticanti. Anche di questa frazione dei cattolici italiani – più vicina alle idee manifestate privatamente e pubblicamente da molto clero – si deve tenere conto, non scambiandola per maggioritaria (non lo è) ma neppure considerandola inesistente.

La terza – forse il dato più rilevante e meglio documentato dell’inchiesta – è la rilevante differenza fra Italia e Francia. È probabile che i francesi conoscano di più l’esistenza del Motu proprio, ma la resistenza alle indicazioni di Benedetto XVI è assai più forte che in Italia, e il numero di coloro che si dichiarano insieme praticanti e disponibili a partecipare alla Messa tradizionale è quasi dimezzato rispetto a quello italiano. La disponibilità verso la Messa celebrata con rito straordinario tra i cattolici in genere (non praticanti compresi) è quasi cinque volte più bassa rispetto all’Italia. La spiegazione di questo dato richiede strumenti qualitativi, non solo quantitativi, e certo anche ulteriori indagini. In prima battuta si potrebbe dire che confermi l’egemonia culturale del progressismo cattolico, la cui ostilità alla Messa tradizionale è pressoché proverbiale, non solo nel clero ma anche tra i fedeli francesi. Senonché questo spiega la percentuale molto bassa tra i non praticanti (3%) e fra i cattolici francesi in genere, dove i non praticanti sono la grande maggioranza. Spiega meno la percentuale, non insignificante (comunque, un buon terzo del pusillus grex dei praticanti francesi dichiara che parteciperebbe a Messe tradizionali) ma dimezzata rispetto all’Italia, tra chi dichiara una pratica almeno mensile. Sappiamo infatti da altre indagini che tra coloro che manifestano idee cattolico-progressiste in Francia la pratica della Messa non è frequentissima. Questo obbliga a concludere che anche in un pubblico che non si può considerare tout court come «progressista» la disponibilità verso la Messa tradizionale in Francia è molto minore che in Italia. Il singolare dato richiede ulteriori indagini per essere spiegato. Senza assolutamente suggerire che si tratti dell’unica causa, mi chiedo se la polarizzazione del dibattito in chiave polemica – molto più frequente in Francia rispetto all’Italia anche sui grandi media –, se ha reso il Motu proprio più noto, non abbia ingenerato tra i fedeli francesi un collegamento almeno psicologico che equipara, certo in modo improprio, «partecipanti a Messe tradizionali» e «lefebvriani», così che molti cattolici non progressisti potrebbero manifestare reticenze verso la Messa tradizionale proprio perché non vogliono essere identificati con i lefebvriani. Semplici ipotesi, tutte da verificare. Nel frattempo non resta che prendere atto che quello della Messa tradizionale non è un tema «di frangia» ma suscita un forte interesse tra i cattolici, di qua e di là delle Alpi.