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Il romanzo “Facebook: domani smetto”: una nota sui rapporti tra Facebook e religione

di Massimo Introvigne

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“Facebook: domani smetto” di Alessandro Q. Ferrari (Castelvecchi, Roma 2009) è un romanzo intelligente e che fa riflettere. Ferrari, del resto, è uno degli autori dei fumetti che di recente hanno rilanciato la Walt Disney Italia con un successo anche internazionale  ritornando alla “linea chiara” e alle storie semplici e comprensibili, e dimenticando le tentazioni d’imitare i giapponesi. Il romanzo non si consiglia ai bambini per il riferimento insistito e che sembra ormai obbligatorio in ogni opera di narrativa che si voglia vendere a un certo libertinismo sessuale: ma anche questo del resto fa parte di Facebook. In breve, l’opera – che ha una tecnica che si potrebbe definire cinematografica – mette in scena una serie di persone che si avvicinano più o meno casualmente a Facebook e – dopo qualche esperienza che in alcuni casi non è negativa – ne finiscono completamente risucchiate, dedicando al “social network” un numero spropositato di ore e finendo per perdere gli amici, le fidanzate e anche il lavoro. Il paragone con la droga è proposto in modo esplicito e insistito. Tramite gli “amici di amici” su Facebook alla fine molti dei protagonisti s’incontrano. Non per tutti la storia è a lieto fine, anzi lo è solo per coloro che riescono a smettere e ad abbandonare Facebook (alcuni abbandonano Internet in generale, e una delle protagoniste se ne va senza computer in Tailandia).

Una prima osservazione è che il libro descrive due problemi reali, il primo è stato studiato da psicologi e psichiatri già da molti anni: il rischio di una dipendenza da Internet che ricorda la dipendenza dalla droga e che isola chi ne è vittima dal mondo reale. Gli studi risalgono in gran parte a un’epoca in cui Facebook non c’era, e certo Facebook rischia oggi di aggravare il problema. Il secondo problema è al centro dello studio sociologico di Internet avviato, con altri, da Tim Jordan: si tratta del cosiddetto “information overload” (sovraccarico d’informazioni). Grazie a, o per colpa di, Internet riceviamo più informazioni di quante siamo capaci di assorbire, vagliare e organizzare e alla fine entriamo in crisi. Anche qui, Facebook può aggravare il problema.

Se dunque questi problemi sono reali, vi è un aspetto su cui il libro appare parziale e datato. Nel febbraio 2009 Facebook ha annunciato che gli utenti che sono su Facebook (che oggi sono più di duecento milioni, non più i centocinquanta milioni citati dal romanzo) principalmente per business o cause non profit sono diventati la maggioranza. Per la verità per il business a fini di lucro altri strumenti continuano a essere più importanti di Facebook, mentre quest’ultimo è forse lo strumento più rilevante al mondo per cause politiche (Obama insegna), religiose, culturali e sociali. Di questo in “Facebook: domani smetto” non c’è traccia. I protagonisti del romanzo sono su Facebook principalmente per quello che in gergo giovanile si chiama genericamente “cazzeggio” o per cercare avventure amorose. Personaggi simili, naturalmente, su Facebook ci sono e anzi pullulano: ma forse non sono (più) la maggioranza.

Il romanzo di Ferrari m’interroga e stimola una riflessione non solo come sociologo ma anche come cattolico. Facebook e altri strumenti simili sono “buoni” o “cattivi” per il cristiano?  Il problema è stato affrontato anche dal Magistero, in particolare attraverso due documenti cruciali: il Messaggio di Giovanni Paolo II per la XXXVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Internet, un nuovo Forum per proclamare il Vangelo”, del 24 gennaio 2002, e il Messaggio di Benedetto XVI per la XLIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Nuove tecnologie, nuove relazioni”, del 24 gennaio 2009. Le date sono significative: Facebook è nato nel 2004 nelle università e si è esteso fuori dell’ambiente universitario nel 2006, così che il documento di Giovanni Paolo II si situa prima dell’esplosione di questo strumento. Al riguardo, è anzitutto necessario evitare quello che i sociologi di Internet chiamano (ma l’espressione è più antica di Internet) «determinismo tecnologico», la convinzione cioè che novità tecnologiche determinino automaticamente conseguenze sociali, e che queste conseguenze siano permanenti. Quanto al primo punto, le conseguenze non sono mai automatiche ma dipendono da un numero molto alto di variabili. Quanto al secondo, la velocità con cui la tecnologia muta rende molto incauto chi pensa a conseguenze permanenti o punta tutte le sue fiche su strumenti che diventano rapidamente obsoleti. Per rimanere all’Italia, chi non ricorda i proclami di Beppe Grillo secondo cui i blog  avrebbero dominato la politica, pronunciati proprio mentre negli Stati Uniti (come poi sarebbe successo anche in Italia) Facebook stava rendendo ampiamente obsoleti i blog? O gl’investimenti di Antonio Di Pietro per costruirsi una presenza su Second Life, uno strumento che si è rivelato del tutto effimero? Anche Facebook, che oggi è sulla cresta dell’onda, con ogni probabilità sarà superato tra qualche anno da qualche cos’altro. La storia della tecnologia è sottoposta a continue accelerazioni.

Insegna dunque Giovanni Paolo II che la Chiesa proclama sempre la stessa dottrina, ma le transizioni tecnologiche esigono che questa proclamazione avvenga tramite «nuove forme di evangelizzazione», le quali richiedono che la Chiesa «impari a parlare le diverse lingue» che di volta in volta emergono. Oggi si tratta di «Internet [che] può offrire magnifiche opportunità di evangelizzazione se utilizzato con competenza e con una chiara consapevolezza della sua forza e delle sue debolezze». Internet spesso «rende possibile un primo incontro con il messaggio cristiano, in particolare ai giovani, che sempre più ricorrono al ciberspazio quale finestra sul mondo». Naturalmente, non tutto va per il meglio: «Internet ridefinisce in modo radicale il rapporto psicologico di una persona con lo spazio e con il tempo. Attrae l'attenzione ciò che è tangibile, utile, subito disponibile. Può venire a mancare lo stimolo a un pensiero e a una riflessione più profondi, mentre gli esseri umani hanno bisogno vitale di tempo e di tranquillità interiore per ponderare ed esaminare la vita e i suoi misteri e per acquisire gradualmente un maturo dominio di sé e del mondo che li circonda. La comprensione e la saggezza sono il frutto di uno sguardo contemplativo sul mondo e non derivano dalla mera acquisizione di fatti, seppur interessanti. Sono il risultato di un'intuizione che penetra il significato più profondo delle cose in relazione fra loro e con tutta la realtà.  Inoltre, quale “forum” in cui praticamente tutto è accettabile e quasi nulla è duraturo, Internet favorisce un modo di pensare relativistico e a volte alimenta la fuga dalla responsabilità e dall'impegno personali».

Come ovviare a questi problemi? È necessario, risponde Giovanni Paolo II, che «la comunità cristiana escogiti modi molto pratici per aiutare coloro che entrano in contatto per la prima volta attraverso Internet, a  passare dal mondo virtuale del ciberspazio al mondo reale della comunità cristiana». «Il fatto che mediante Internet le persone moltiplichino i loro contatti in modi finora impensabili offre meravigliose possibilità alla diffusione del Vangelo. Ma è anche vero che rapporti mediati elettronicamente non potranno mai prendere il posto del contatto umano diretto, richiesto da un'evangelizzazione autentica. Infatti l'evangelizzazione dipende sempre dalla testimonianza personale di colui che è stato mandato a evangelizzare (cfr Rm 10, 14-15)».

Queste ultime parole di Giovanni Paolo II sembrano davvero profetiche se riferite ai social network come Facebook, che allora non esistevano. Forniscono già la chiave di quello che Papa Wojtyla metteva a tema: il corretto «utilizzo di Internet per la causa dell’evangelizzazione». Facebook, infatti, in modo molto più immediato e interattivo di un sito Internet o di un blog moltiplica la visibilità delle bandiere (Facebook come si è accennato ha ora superato i duecento milioni di utenti: le dimensioni di «un continente» per usare l’espressione di Benedetto XVI), e fa nascere rapporti virtuali che il gergo dei creatori dello strumento chiama precisamente «amicizie». Che cosa pensare di queste amicizie? Risponde, nel secondo dei documenti citati, lo stesso Benedetto XVI. Anzitutto, il desiderio di stringere nuove amicizie, sia pure virtuali, non è di per sé negativo: «Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione».

Ma anche qui c’è un rovescio di medaglia: «occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia. Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano». Chiunque abbia letto il romanzo di Ferrari, ma anche chiunque non si comporti come i protagonisti di quel libro e tuttavia sappia quanto tempo porta via Facebook se lo si vuole utilizzare in modo sistematico e coerente al servizio di una causa, e quanto possa sottrarre al sonno o ad altre attività, non potrà non sentire come rivolto a sé il monito del Papa.

Se dunque la prima indicazione – che vale per ogni tecnologia – è quella di considerare anche Facebook (e ogni altro strumento Internet di ieri, di oggi e di domani) come un mezzo, non  come un fine, di dominare la tecnologia e di non lasciarsene dominare, la seconda è quella – già sottolineata con grande vigore da Giovanni Paolo II nel 2002 – di non banalizzare l’amicizia rinchiudendola nel cerchio virtuale, e di passare sistematicamente e dove si può dall’amicizia virtuale all’amicizia nel mondo reale.

Dal magistero pontificio ricaviamo dunque le seguenti indicazioni:

  1. I nuovi strumenti, come ogni strumento, presentano insieme occasioni e rischi (tra cui quello di esserne assorbiti, introducendo nella propria vita rapporti distorti e malsani con il tempo), ma non  devono essere considerati di per sé negativi, anzi offrono «meravigliose possibilità alla diffusione del Vangelo».
  2. Chi si trova nelle possibilità di farlo deve trarre profitto da queste possibilità: «Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita!» (Benedetto XVI).
  3. L’apostolato via Internet e via Facebook non può né deve essere affrontato in modo casuale e dilettantesco: «Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco-romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo» (ibid.).
  4. L’apostolato funziona quando passa da online a offline cioè quando finalmente si conosce di persona chi per qualche tempo abbiamo conosciuto solo su Facebook.

Concludo ringraziando Ferrari per lo stimolo offerto dal romanzo e citando Giovanni Paolo II: «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell'evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c'è spazio per Cristo, non c'è spazio per l'uomo».