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Ecco perché il mito del vampiro non morirà mai

di Massimo Introvigne (il Giornale, 23 novembre 2007)

Ottomar Dracula-Kretzulesco, morto domenica scorsa, era solo uno dei molti nobili che rivendicano una discendenza da Vlad Dracula: ce ne sono altri ancora vivi, e Ottomar non era tale per sangue (è il caso di dirlo) ma perché una principessa Dracula lo aveva adottato. Vlad Dracula è un personaggio rilevante nella storia balcanica del Quattrocento. Ma di lui avrebbero sentito parlare solo pochi specialisti se centodieci anni fa, nel 1897, non avesse fatto la sua comparsa nelle librerie di Londra Dracula dell’irlandese Bram Stoker, che è ancora il romanzo più letto di tutti i tempi nonostante il Codice da Vinci.
Eppure Stoker aveva deciso di chiamare il suo personaggio “Dracula” solo all’ultimo momento. Fino alla penultima stesura, il protagonista del romanzo si chiamava semplicemente “Count Wampyr”. Ma Stoker stava leggendo un libro di viaggi di William Wilkinson sulla Moldavia e la Valacchia. Lì trovo menzionato il principe Vlad Dracula, “il cui nome – secondo Wilkinson – significa Diavolo”: un nome che gli sembrò appropriato per il suo eroe. In realtà l’etimologia del nome “Dracula” è incerta, e i contemporanei lo conoscevano più come “Vlad Tepes”, cioè “Vlad l’impalatore”, così chiamato per la punizione preferita che riservava ai nemici. Ma Stoker sapeva poco del Vlad della storia. Ne fa un conte mentre era un principe, e lo presenta come feudatario della Transilvania mentre regnava sulla Valacchia.
Comunque sia, con disappunto degli storici romeni - che preferirebbero ricordare Vlad solo come eroe della lotta contro i turchi e nazionalista ante litteram – oggi il nome di Dracula evoca per milioni di lettori il vampiro per antonomasia. Molti non sanno neppure che un Dracula è davvero esistito nella storia.
Non solo: il vampiro fa ormai parte dell’immaginario collettivo. Dopo il 1897 e Dracula non passa settimana senza che esca un nuovo romanzo di vampiri. Ci sono vampiri di tutti i tipi: cattivi come Dracula di Stoker, ambigui come Lestat di Intervista col vampiro di Anne Rice, buoni come Angel dell’omonima serie televisiva, a fumetti come il Dracula della Marvel che si batte contro il cacciatore di vampiri Blade prestato con successo al cinema, perfino comunisti come Umberto D., il “vampiro a Botteghe Oscure” protagonista nel 1984 del romanzo Anemia di Alberto Abruzzese. Per alcuni il vampiro è un mutante, il risultato di un’evoluzione dell’uomo che in futuro riuscirà a diventare immortale. Un’idea che corrisponde allo scientismo moderno, ma non è nuova: il vampiro mutante si trova già in un romanzo del 1991 di Brian Aldiss.
Il vampiro affascina ancora oggi: e ci dev’essere una ragione. Se Sherlock Holmes, un contemporaneo vittoriano del Dracula di Stoker, è la metafora della ragione moderna che risolve i problemi con la logica deduttiva, il vampiro è l’ombra del moderno, è la presenza all’interno della modernità delle domande eterne sul male e sulla morte.
Nonostante una leggenda nera che risale a Voltaire, la Chiesa cattolica fin dal Seicento è stata scettica sull’esistenza dei vampiri. Ma il Dracula di Stoker – uno scrittore protestante, che aveva però una moglie molto cattolica – è, in un suo senso paradossale, un buon cattolico: ha paura solo dei crocefissi e delle ostie consacrate. Oggi i vampiri della letteratura tecnologica e postmoderna sono molto diversi da Dracula. Ma la popolarità immutata del romanzo del 1897 deve certo qualcosa alla lezione morale (in qualche brano forse anche moralistica) dello scrittore irlandese: il male e la morte sono vinti solo da una profonda esperienza religiosa.