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Harry Potter: retromarcia sul cristianesimo

di Massimo Introvigne (Avvenire, 25 luglio 2007, il titolo è redazionale)

Nel sedicesimo capitolo del nuovo Harry Potter and the Deathly Hallows – un titolo che fa riferimento ai tesori che la Morte un tempo ha donato a tre fratelli – il protagonista viene in contatto con un altro tipo di tesori da cui la sua autrice, J. K. Rowling, lo aveva sempre tenuto lontano: le ricchezze del cristianesimo. Harry si reca nel villaggio dove sono sepolti i suoi genitori e dove in gioventù ha vissuto anche il suo defunto maestro Silente. È la vigilia di Natale e Harry e i suoi due compagni si ritrovano in una chiesa. Qui scoprono la tomba della madre e della sorella di Silente, che reca incisa una citazione dal Vangelo di Luca (12, 34): “Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. La stessa chiesa ospita la tomba di Ignotus Peverell, un antenato di Harry e uno dei tre fratelli che ricevettero i doni della Morte. Mentre sulla tomba dei suoi genitori, uccisi dall’Oscuro Signore Voldemort, Harry Potter trova una frase di San Paolo: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (I Corinti 15, 26).

Qui J.K. Rowling sembra volere fare finalmente i conti con chi l’accusa di avere creato una saga non cristiana. La scrittrice ricorda spesso di essere una fedele della Kirk, la Chiesa di Scozia fondata dal fiero predicatore calvinista John Knox: una comunità oggi tollerante sulla morale (e certo pienamente aperta alle divorziate risposate come la Rowling) ma tradizionalmente conservatrice in teologia. Ma in che senso le due citazioni della Scrittura si applicano alla missione di Harry Potter?

La prima va intesa effettivamente nel suo senso cristiano: il vero tesoro è spirituale. È perché qualche volta ha inseguito i tesori materiali – deathly hallows compresi – che un mago grande e nobile come Silente ha mantenuto un lato oscuro, ignoto ad Harry Potter fino al settimo volume, e non a lui è stato dato di sconfiggere l’Oscuro Signore. Questa missione è di Harry, perché dal punto di vista morale l’allievo è migliore del maestro, ed è disponibile a rinunciare a ogni tesoro per la salvezza dell’umanità minacciata da Voldemort.

Qui si arriva al centro della simbologia cristiana del settimo volume. Harry Potter – che percorre una sua via dolorosa – diventa esplicitamente una figura di redentore, e la sostanza di un lungo discorso che gli fa lo spirito di Silente è una parafrasi – pur senza citazione esplicita – della frase del Vangelo di Giovanni 15, 13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Figure redentrici che adombrano la missione di Gesù Cristo non sono nuove nella letteratura per bambini. Il loro capostipite – che muore e risorge – è il leone Aslan ne Il leone, la strega e l’armadio, la prima delle Cronache di Narnia di C.S. Lewis. Se quest’ultimo è dichiaratamente uno scrittore cristiano, le cose si fanno più ambigue quando la figura di salvatore fa irruzione in uno scenario spoglio di riferimenti al cristianesimo, come nel film Superman Returns del 2006 o nel ruolo attribuito al vampiro pentito Spike nel finale, dopo sette stagioni, della serie televisiva Buffy.

Harry Potter, qualunque cosa si sia letta in qualche recensione frettolosa, a un certo punto del libro (ma prima della sua battaglia finale con Voldemort) non muore e risorge. Lo spirito di Silente, a ripetute domande di Harry, risponde che il ragazzo non è morto. Ha una tipica near-death experience, una “esperienza di pre-morte”, una sorta di coma in cui vive l’alternativa tra lasciare questa vita salendo”in alto” o (come sceglierà) risvegliarsi e continuare la lotta contro l’Oscuro Signore. Anche se non risorge, però, Harry Potter assume certamente un ruolo salvifico. Ma questo non risolve il dibattito fra estimatori e critici cristiani della Rowling: perché i secondi obietteranno che ci si affida qui a un salvatore puramente umano, mentre i primi risponderanno che l’umanità di Harry è una possibile metafora dell’umanità di Gesù Cristo.