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Chavez spegne una rete tv e accende la sua dittatura

di Massimo Introvigne (il Giornale, 18 maggio 2007)

Fino a qualche giorno fa la sinistra italiana che inneggia al presidente venezuelano Hugo Chavez - il primo capo di Stato ricevuto a Montecitorio in pompa magna da Bertinotti - sosteneva che il suo non era un regime dittatoriale, dal momento che le principali televisioni del Paese erano ostili al governo eppure continuavano a trasmettere. Fino a mercoledì, quando Chavez ha annunciato la chiusura della principale e storica rete televisiva del Paese, Radio Caracas Television (Rctv). È su Rctv che il Venezuela ha visto i primi passi dell’astronauta Neil Armstrong sulla Luna nel 1969, i funerali di Giovanni Paolo II e la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio. È grazie a Rctv che sia i vescovi cattolici sia gli esponenti laici e liberali ostili al neo-comunismo di Chavez riuscivano a diffondere le loro idee.

Il provvedimento di Chavez è del tutto illegale: il contratto del governo con Rctv scade nel 2022, e il rinnovo della concessione nel 2007 è un atto dovuto. Il presidente ha avvertito la Corte Suprema, presso cui l’emittente ha presentato ricorso, che «comunque decidano i giudici, Rctv sarà chiusa». Qualcuno potrebbe obiettare che il presidente venezuelano ha un mandato popolare, avendo vinto le ultime elezioni con ampio margine. Tuttavia anche a proposito delle elezioni stanno emergendo particolari interessanti. Migliaia di funzionari pubblici sono stati convinti che il governo - grazie al voto elettronico - poteva sapere per chi avrebbero votato, e che chi «votava male» sarebbe stato licenziato. Certo, secondo gli osservatori internazionali risalire dal voto elettronico all’elettore era in realtà difficile. Ma perché le minacce avessero effetto bastava che si credesse che era possibile. Inoltre, con il cosiddetto «Progetto Identità» sono stati registrati come elettori decine di migliaia di lavoratori stagionali e di immigrati colombiani, dichiarati cittadini senza troppe cerimonie. I risultati del «Progetto Identità» sono stati trionfali per i successi elettorali di Chavez, ma tragici per l’ordine pubblico. Molti dei colombiani naturalizzati - che, in quanto cittadini, ora non possono più essere espulsi - sono criminali in fuga dal loro Paese o truppe mandate dalla criminalità organizzata a impiantare lucrose filiali in Venezuela. Ne è nata un’immediata recrudescenza del traffico di droga e dell’industria dei sequestri di persona, di cui come si sa hanno fatto le spese anche uomini d’affari italiani. Il rimedio di Chavez? Settimane obbligatorie d'indottrinamento a Cuba per funzionari e poliziotti.

Quando Benedetto XVI ha denunciato in Brasile il sorgere in America Latina di nuove «forme di governo autoritarie» a Chavez devono essere fischiate le orecchie. Ma sulle parole del Papa dovrebbero riflettere anche i troppi fan italiani del caudillo di Caracas. Dopo tutto, qualche «Progetto Identità» per reclutare elettori fra gli immigrati sembra in programma anche da noi.