CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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Massimo Introvigne analizza "Il dramma dell'Europa senza Cristo" - Nuovo volume del Direttore del CESNUR

di Miriam Diez (Zenit, 18.8.2006)

TORINO, domenica, 20 agosto 2006 (ZENIT.org).- L’Europa ha paura di Cristo e l’allarme demografico è un indicatore tipico “delle civiltà che stanno finendo”. Parte da queste due affermazioni il nuovo libro di Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR, uno dei centri di ricerca sulle nuove religioni più importanti d’Italia.

Introvigne, autore di una trentina di volumi dedicati alle minoranze religiose, ha rilasciato questa intervista a ZENIT in cui approfondisce i temi affrontati nel suo nuovo volume dal titolo “Il dramma dell'Europa senza Cristo. Il relativismo europeo nello scontro delle civiltà”, edito dalla Sugarco (Milano, 192 pagine, Euro 16).

Il direttore del CESNUR rivela che “la maggior parte degli europei che tornano a un interesse per la religione tornano più facilmente e in modo statisticamente più rilevante a forme cristiane o almeno che conservano elementi e simboli cristiani”.

“Il dramma dell'Europa” sembra un titolo un pó pessimistico. Siamo ridotti così male?

Introvigne: Penso che non sia un titolo troppo forte. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno usato espressioni anche più drammatiche.

Giovanni Paolo II aveva usato l'espressione "suicidio demografico dell'Europa" e il mio libro parte proprio da questo tema: in Europa il numero di figli per coppia (se si escludono le coppie di immigrati, compresi gli immigrati che hanno acquisito la cittadinanza, che in alcuni paesi come la Francia alterano le statistiche) è al di sotto del livello di sostituzione naturale della popolazione ed è tipico delle civiltà che stanno finendo.

Il fatto che non nascano figli non è solo un problema economico ma morale e religioso ed è il segno di una terribile crisi della speranza. Senza speranza una civiltà finisce. La crisi morale è poi anche confermata dalla pratica e dalla legislazione su temi come il matrimonio e l'adozione da parte di coppie omosessuali, l'eutanasia in Olanda, la sperimentazione sugli embrioni.

Infine, c'è una crisi delle istituzioni europee che non riescono a mettersi d'accordo quasi su nulla e a parlare con una voce comune: quando lo fanno, è su temi di scarsa rilevanza o peggio per cercare di imporre anche ai paesi riluttanti una visione relativistica della morale su temi come l'aborto, la bioetica o le unioni omosessuali.

Lei sostiene che la paura di Cristo fa male all'Europa. Ma ci sono tanti europei che neanche conoscono Cristo. È peggiore l'ignoranza della paura o lo sdegno?

Introvigne: In realtà tutti gli europei conoscono Cristo: è sufficiente uscire di casa e ovunque si incontrano segni del cristianesimo – cappelle, monumenti, chiese –, oppure consultare la letteratura nazionale. Quella che qualcuno chiama "cristofobia" è un rifiuto consapevole di questa eredità cristiana, una paura degli obblighi anzitutto morali che abbracciare il cristianesimo comporta. Certo, fenomeni come il successo del "Codice da Vinci" dimostrano che c'è anche molta ignoranza religiosa. Non è però che non si conosca Gesù Cristo.

Si sa chi è, ma non si conoscono le verità di fede (e anche di ricerca storica accademica, laica) che lo riguardano, perché si è perso il contatto con le istituzioni religiose e anche perché si è instaurato un clima relativistico in cui un qualunque Dan Brown è considerato altrettanto autorevole di un vescovo o anche di un professore universitario magari non credente ma che conosce le fonti storiche e non avallerebbe mai le scempiaggini del "Codice da Vinci".

Che cosa è il “capitale religioso” a cui lei fa riferimento nel suo libro?

Introvigne: Secondo una certa scuola di sociologia nata negli Stati Uniti, quella dell'economia religiosa, ognuno di noi ha un "capitale religioso" che è costituito dalle credenze che ha appreso in gioventù e di cui, anche dopo un rifiuto o un distacco, rimane qualcosa e da cui non ci si separa volentieri.

Per questo quando un europeo non praticante ritorna alla religione - il che oggi capita più spesso di dieci anni fa - è più facile che torni al cristianesimo o a forme magari lontanissime dall'ortodossia ma che conservano simboli e reminiscenze del cristianesimo (come i Testimoni di Geova), che si converta all'islam o al buddhismo. La teoria dell'economia religiosa sostiene che questo avviene perché si tende a conservare il proprio capitale religioso. Chi in Europa dallo status di non praticante o agnostico torna alla religione cattolica, o diventa pentecostale, o magari anche Testimone di Geova conserva - nei tre esempi che ho appena fatto, da un massimo a un minimo - una parte di quel "capitale religioso" che gli viene dall'educazione religiosa giovanile.

Chi invece diventa buddhista o musulmano deve rinunciare a (quasi) tutto il suo capitale religioso e costruirsene uno nuovo (quasi) da zero. Per questo benché le conversioni all'islam o anche al buddhismo facciano più notizia sui giornali, la maggior parte degli europei, che - specie dopo l'11 settembre, che induce molti a interrogarsi sulla loro identità - tornano a un interesse per la religione, torna più facilmente e in modo statisticamente più rilevante a forme cristiane o almeno che conservano elementi e simboli cristiani.

Lei spiega che da 35 anni fa parte del gruppo cattolico laico “Alleanza Cattolica”. Per Alleanza non si definisce un movimento. Cosa sarebbe: un think-tank, un gruppo di pressione?

Introvigne: Preferiamo "agenzia", secondo l'espressione dell'esortazione apostolica "Ecclesia in Europa", cioè gruppo di laici cattolici impegnati in un apostolato specializzato, che per Alleanza Cattolica consiste nello studio e nella diffusione del magistero pontificio, in particolare sociale, e nella diffusione di elementi di giudizio sugli avvenimenti culturali, sociali e politici contemporanei alla luce di tale magistero.

Naturalmente non confondiamo i principi enunciati dal magistero e l'applicazione agli avvenimenti contemporanei che ne facciamo noi secondo la responsabilità che il magistero stesso affida ai laici cattolici. Nel primo caso diffondiamo direttamente, nei limiti delle nostre capacità, l'insegnamento della Chiesa. Nel secondo diffondiamo nostri giudizi su avvenimenti e tendenze contemporanee che ci auguriamo siano in armonia con l'insegnamento della Chiesa, ma che a rigore non ne fanno parte e di cui ci assumiamo noi la piena responsabilità.

Una responsabilità, peraltro, che come accennavo il magistero stesso incita i fedeli laici ad assumersi. Per usare un esempio, fa parte dell'attività di Alleanza Cattolica organizzare conferenze dove diffondiamo e presentiamo l'ultima enciclica del Santo Padre sull'amore, e anche organizzare conferenze sugli errori del già citato "Codice da Vinci".

Nel primo caso esponiamo direttamente la voce del magistero, beninteso con tutti i limiti delle nostre capacità, nel secondo esponiamo nostre opinioni in cui applichiamo a una polemica culturale contemporanea, molto sentita dal pubblico, elementi che in ultima analisi desumiamo sempre dal magistero... il quale però non è certamente responsabile delle conclusioni che, nell'ambito della missione che affida ai laici cattolici impegnati nel "mondo" e nella vita sociale secondo la vocazione e le competenze loro proprie, riteniamo di raggiungere e di proporre.