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Mondiali: stavolta la nazionale non ha unito la Francia: "Quel falso mito della Francia multiculturale"

di Massimo Introvigne (il Giornale, 11 luglio 2006)

mondiali 2006Da Liberazione a RAI3, tutta una sinistra italiana ha versato qualche lacrima sulla Francia sconfitta, assicurando comunque che “ha unito gli Champs Elysées e le periferie”, accodandosi a una sociologia di quart’ordine nell’esaltare la saga della nazionale transalpina “black-blanc-beur” (dove “beur” sta per immigrato musulmano dal Nordafrica). La nazionale francese sembra infatti l’immagine perfetta del multiculturalismo: la maggioranza dei giocatori è di colore e una buona percentuale è musulmana, compreso uno dei pochi “bianchi”, Frank Ribery, che si è convertito all’islam.

Nel 1998 la lezione insopportabile ce la fece per settimane Walter Veltroni, in seguito divenuto più cauto: come non poteva il magnifico mosaico multiculturalista francese di neo-caledoniani, algerini, tunisini, ivoriani non trionfare sui poveri italianuzzi tutti bianchi e pallidi, portatori di un modello monoculturale occidentale e cattolico ormai superato dalla Storia con la S maiuscola? Per la verità sarebbe bastato che un tiro di Baggio (che, tra l’altro, è buddhista) uscito di un niente entrasse in porta per battere la Francia ai quarti di finale nel 1998 e risparmiarci le prediche: ma qui non stiamo parlando di calcio. Stiamo parlando del fatto che il ragionamento di quella sinistra italiana sulla nazionale francese – oltre che inguaribilmente snob (“che schifo il popolo dei tricolori, non sarà un po’ fascista?”)  –  è sociologicamente del tutto sbagliato.

Alla sinistra francofila manca un dato essenziale: che cosa pensano delle sue tesi sul calcio gli immigrati, in particolare musulmani, delle periferie francesi. L’esaltazione della nazionale francese è stata criticata duramente proprio dal più arrabbiato teorico parigino del multiculturalismo e del “meticciato”, l’antropologo Jean-Loup Amselle. Secondo lui, chi porta alle stelle la nazionale francese perché ha tanti africani e tanti musulmani non lo sa, ma è “razzista come Le Pen”. I razzisti, infatti, ammettono pacificamente che i neri siano fisicamente più forti e gli arabi più agili dei bianchi, così come molti statunitensi con tendenze razziste tifano tranquillamente per squadre di basket e di football americano dove la maggioranza dei giocatori è nera. Amselle e chi la pensa come lui non vuole che gli immigrati e i loro figli siano la maggioranza fra i giocatori della nazionale, ma fra i manager delle grandi imprese, fra i parlamentari, nel governo. Identica è la reazione degli imam arrabbiati delle periferie parigine, quelli che mesi fa hanno mandato i loro fedeli a fischiare la nazionale allo Stade de France: i musulmani, dicono, si sentiranno veramente padroni e non ospiti in Francia quando non avranno la maggioranza dei centravanti ma quella dei ministri. Quando è scoppiata la rivolta delle periferie (che ha smentito qualunque quadro idilliaco della convivenza multiculturalista in Francia), gli appelli dei calciatori musulmani alla pace sono stati ridicolizzati. La pace l’ha ristabilita la gendarmeria di Sarkozy, non i gol di qualche calciatore musulmano sul cui stile di vita gli imam hanno del resto molto da ridire.

Di fronte alle moschee delle banlieues nella notte del trionfo italiano molti striscioni recitavano: “Me ne frego”. Non è solo che questa volta la nazionale non ha unito la Francia. È che dopo l’11 settembre e le rivolte delle periferie il mito della Francia multiculturalista e unita esiste solo nella testa di qualche intellettuale di sinistra italiano.