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Tasse di successione e cattolici di sinistra. Le mani nelle tasche dei morti

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 8 aprile 2006)

C’è una nuova tattica tra i cattolici arruolati da Prodi. Dal momento che sui temi morali è più prudente tacere, gridano sempre più forte che le scelte elettorali non vanno fatte sulla base di temi come la vita e la famiglia ma guardando al “progetto complessivo” dei due schieramenti, il cui cuore è la politica economica. Insomma, come diceva Clinton, «è l’economia, stupido» anche per i cattolici dell’Unione. Rispondere che per i cattolici fedeli al magistero di Benedetto XVI la famiglia e la vita vengono prima di ogni altro valore non è sufficiente. Sembra ammettere la tesi di Rutelli secondo cui la politica economica della sinistra è più conforme alla dottrina sociale della Chiesa. Ma anche questa è una bugia. Al di là dei facili slogan sulla solidarietà e i poveri, la sinistra è ferma a una dottrina sociale di cento anni fa. L’esempio più clamoroso è la proposta di Prodi di ripristinare la tassa di successione. Per secoli l’idea di mettere le mani nelle tasche dei morti, per confiscare a profitto dello Stato una parte importante di quanto hanno risparmiato in una vita di lavoro per i loro figli, è apparsa ripugnante ai moralisti cattolici, per non parlare di quelli protestanti. Come ha mostrato il teologo cattolico neoconservatore padre Robert Sirico, i cattolici – soprattutto quelli americani e tedeschi – accettano e anzi promuovono la tassa di successione moderna a partire dal “semi-socialismo” di padre John Ryan, uno dei teorici del New Deal di Roosevelt e dello Stato assistenziale. Ma le tesi di Ryan sono formulate nel 1910 in una situazione completamente diversa da quella di oggi. La pressione fiscale Usa del 1910 è un sesto di quella americana odierna e un decimo di quella italiana. Su molte attività non si pagano tasse, e la tassa di successione appare come l’unico modo per affidare allo Stato una parte della ricchezza in un’ottica ridistribuiva. Ma oggi non siamo più nel 1910.

Da una parte, lo Stato assistenziale è fallito: si è dimostrato che, più che ridistribuire ai poveri, usa le tasse per finanziare un’immensa e inutile burocrazia. «Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese »: sembrano parole di Berlusconi, ma sono di Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus Annus. Dall’altra, le tasse sono oggi così alte per i vivi che tassare i morti con l’imposta di successione significa tassare due volte, il che è profondamente immorale. Difendendo lo “Stato assistenziale” condannato da Giovanni Paolo II, Prodi e Rutelli ignorano la dottrina sociale di oggi e tornano al “semi-socialismo” di cento anni fa, nel frattempo più volte condannato dalla Chiesa.

Anche guardando soltanto all’economia, i cattolici hanno dunque buone ragioni per schierarsi diversamente.