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Il mistero dei templari: quando la Walt Disney batte Dan Brown

di Massimo Introvigne

Il mistero dei templari (in inglese National Treasure), il film di successo diretto per la Walt Disney da John Turteltaub, anticipa quelli che saranno i temi del terzo romanzo “complottista” di Dan Brown con lo studioso di simbologia Robert Langdon come protagonista (dopo Angeli e demoni e Il Codice Da Vinci), di cui si sa che sarà dedicato alla massoneria e ai presunti simboli massonici disseminati nei documenti che si trovano alle origini della storia americana.

Il film parte dall’idea che il più grande tesoro della storia (un tesoro anche culturale – in quanto contiene, per esempio, pergamene della Biblioteca di Alessandria e documenti sulla storia antica a lungo creduti persi – ma di inestimabile valore economico), passato di mano in mano dall’Egitto dei Faraoni ai Romani, è stato ritrovato a Gerusalemme dai Templari, i cui eredi lo hanno portato in America. Qui una società segreta, la massoneria, si è incaricata di nasconderlo. La stessa massoneria ha lottato per l’indipendenza americana e ha tenuto nascosto il tesoro, da ultimo circondandone il nascondiglio di mille segreti per sottrarlo agli inglesi. Pochi fra i padri fondatori degli Stati Uniti erano al corrente del segreto. Charles Carroll (1737-1832), l’ultimo sopravvissuto tra i firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza e secondo il film uno dei massoni al corrente dell’ubicazione del tesoro, morente, si reca dal presidente degli Stati Uniti Andrew Jackson (1767-1845) per confidargli il segreto. Non riuscendo a parlare con il presidente, che è in viaggio, lascia un biglietto con l’enigmatica parola “Charlotte” al suo valletto (un personaggio immaginario), il capostipite della famiglia Gates. Da allora i Gates, considerati con crescente scetticismo dagli storici ufficiali, cercano il tesoro.

Ai giorni nostri l’ultimo dei Gates, Benjamin Franklin Gates (l’attore Nicolas Cage), ancora discriminato nonostante un brillante dottorato dal mondo accademico, si fa finanziare da un ricco avventuriero, Ian Howe (interpretato da Sean Bean), per recuperare fra i ghiacci dell’Artide la “Charlotte”, una nave che risale all’epoca rivoluzionaria dove si trovano una pipa e un documento che invita a cercare sul retro della Dichiarazione d’Indipendenza ulteriori indizi. Di qui comincia una caccia al tesoro che è insieme una lotta a morte fra Gates e il suo finanziatore Howe, che si rivela un gangster. Entrambi cercano di impadronirsi della Dichiarazione d’Indipendenza, e Gates precede di un soffio Howe, strappandogli anche la direttrice degli Archivi Nazionali, la bionda Abigail Chase (l’attrice Diane Kruger) che il gangster ha cercato di rapire. All’inizio scettica, la studiosa non solo crede a Gates ma se ne innamora.

Il retro della Dichiarazione d’Indipendenza mette Gates sulle tracce di altri indizi, tutti di volta in volta segnalati dal simbolo “massonico” dell’occhio sopra la piramide (il cosiddetto Grande Sigillo degli Stati Uniti d’America) che appare anche sulle banconote americane: occhiali speciali inventati dal massone Benjamin Franklin (1706-1790), nascosti nei pressi del campanile che ospitava originariamente a Filadelfia la Campana della Libertà e necessari per leggere tutto quanto è celato sul retro della Dichiarazione d’Indipendenza, e una cripta sotto la tomba di un altro patriota massone a New York, dove finalmente i nostri eroi ritrovano il tesoro, ne fanno dono all’umanità intera, e convincono l’FBI venuta ad arrestarli che il vero villain della vicenda è Howe, nel frattempo spedito a Boston con uno stratagemma.

Il film ha avuto giustamente successo, e potrebbe insegnare a Dan Brown come costruire trame credibili senza pretendere di svelare segreti mirabolanti. Naturalmente dal punto di vista storico le imprecisioni abbondano. Il Charles Carroll che firmò la Dichiarazione d’Indipendenza non era massone. Gli sceneggiatori devono averlo confuso con un omonimo patriota americano, l’avvocato Charles Carroll (1723-1783), anch’egli delegato al Congresso Continentale e in effetti massone, nonché cugino del Charles Carroll del film, ma non firmatario della storica Dichiarazione e già morto da oltre quarant’anni quando Andrew Jackson diventa presidente nel 1829. La derivazione massonica dai templari è, ovviamente, una leggenda, né la massoneria si è mai occupata di custodire favolosi tesori nascosti a beneficio dell’umanità, o degli Stati Uniti.

Soprattutto, il film cade nell’errore molto comune di confondere il simbolo – all’origine cristiano, e riferito alla Trinità, ma adottato ampiamente dalla massoneria – dell’occhio incluso in un triangolo e il simbolo dell’occhio che sovrasta una piramide scelto come sigillo ufficiale degli Stati Uniti. Gli studiosi di simbologia massonica hanno da tempo chiarito l’equivoco: non soltanto uno solo dei membri del comitato che scelse il simbolo, Benjamin Franklin, era massone, ma i resoconti delle discussioni del comitato e del Congresso fanno costante riferimento a un “occhio della provvidenza”, al simbolo dell’intervento di un Dio Provvidente a favore della nazione americana. L’occhio all’interno del triangolo, nella sua accezione massonica, non fa riferimento alla Provvidenza, e allude piuttosto a una concezione deista di un Dio che vede quanto accade nel mondo (o almeno si colloca al suo centro) ma si astiene dall’intervenire. L’occhio sopra la piramide – benché una letteratura popolare fin dal secolo XIX lo consideri di origine massonica – non è dunque un simbolo massonico, ma tipicamente americano.

Merito del film è invece quello di non infliggere allo spettatore lo sciocchezzaio complottista sulla mappa di Washington che celerebbe simboli massonici, su cui temiamo invece – sulla base di dichiarazioni già rese dallo scrittore americano – che insisterà il prossimo romanzo di Dan Brown. Anche questa tesi (che in parte nasce dalla confusione con il fatto storico che vi è negli Stati Uniti una cittadina disegnata in modo che la sua mappa rappresenti la squadra e il compasso massonici: Sandusky, nell’Ohio) è stata persuasivamente smentita da anni, anche se è stata rilanciata presso il grande pubblico da quegli stessi giornalisti della BBC Michael Baigent e Richard Leigh che sono tra le fonti principali de Il Codice Da Vinci quanto ai figli di Gesù Cristo e della Maddalena e al Priorato di Sion.  

Soprattutto, a differenza di Dan Brown, la Walt Disney non pretende di fare nulla di più che offrire alle famiglie due ore di divertimento non vietato ai minori. Il film reca la consueta avvertenza secondo cui si tratta di fiction e ogni somiglianza con persone o fatti reali è puramente casuale. Come sappiamo, Brown correda invece Il Codice Da Vinci di una pagina chiamata Informazioni storiche (peraltro non presente in tutte le edizioni italiane Mondadori) dove afferma che “tutte le descrizioni [...] di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà”, e gira per le televisioni affermando che i suoi romanzi sono solo un pretesto per rivelare al mondo inquietanti verità sulla Chiesa cattolica, il Priorato di Sion, gli Illuminati e ben presto la massoneria. Il consiglio, allora, è quello di chiudere Dan Brown e – come alternativa allo studio delle società segrete sui libri degli storici di professione, occupazione forse poco adatta ai tempi di vacanza e alle serate di svago – andare piuttosto al cinema a vedersi il più innocuo (e divertente) Il mistero dei templari.

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