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Sorpresa in America i musulmani votano «il nemico» Bush

di Massimo Introvigne (il Giornale, 12 luglio 2004)

Chi è il leader politico internazionale è più odiato dai musulmani? Tutti crediamo di sapere la risposta: George W. Bush. Apparentemente i musulmani americani non sono d’accordo. Un’indagine di un pool di università statunitensi sui rapporti fra politica e religione patrocinata dalla Religious Research Association indica un dato sorprendente: a novembre la maggioranza (62%) dei musulmani americani che frequenta le moschee tradizionali – esclusi dunque i cosiddetti “musulmani neri”, il cui islam americano è sincretistico e ben poco ortodosso – voterà per Bush e contro Kerry.
Tre sembrano le ragioni principali. Anzitutto, molti musulmani americani, o i loro genitori, sono fuggiti dalle terre d’origine perché dissentono dai regimi non democratici che le governano. Sono ben lieti che Saddam Hussein sia stato rovesciato, applaudono Bush per questo, e si augurano che lo stesso succeda presto ai dittatori che governano i loro paesi.
In secondo luogo, la maggioranza dei musulmani in America è relativamente benestante e sostiene le politiche economiche di Bush a favore della classe media, riduzioni delle tasse in testa.
Ma il dato di maggiore rilievo internazionale è il terzo. Bush, fra i presidenti americani recenti, è quello che gode del maggiore sostegno da parte di quel segmento della popolazione degli Stati Uniti che frequenta ogni settimana le chiese, le sinagoghe o le moschee. Il 70% degli americani che frequentano settimanalmente un luogo di culto dichiara che voterà per Bush contro Kerry.
La percentuale sale all’87% fra i protestanti della corrente evangelical, un aggettivo che indica la corrente conservatrice del protestantesimo americano, di cui fa parte lo stesso presidente, che è diversa e assai più moderata della corrente fondamentalista, anche se talora è confusa in Europa con quest’ultima.
Ma Bush gode di una salda maggioranza anche fra i praticanti ebrei ortodossi e fra i cattolici. Anche se Kerry è nominalmente cattolico, le sue posizioni su aborto e matrimonio degli omosessuali non sono quelle dei vescovi, e gli elettori cattolici praticanti sembrano preferire il metodista Bush al “cattolico a modo suo” Kerry.
Dal punto di vista elettorale, il mondo di chi è attivo nella pratica religiosa conta due volte di più negli Stati Uniti – dove rappresenta il quaranta per cento della popolazione – rispetto ai paesi dell’Unione Europea dove è fermo esattamente alla metà: venti per cento. Naturalmente a novembre vota anche quel sessanta per cento di americani che non frequenta settimanalmente un luogo di culto, dunque il sostegno del mondo religioso praticante non garantisce la vittoria a Bush. Tuttavia, è molto significativo il fatto che il cittadino americano medio che pratica la religione musulmana non sia poi così diverso per mentalità e opzioni politiche rispetto all’americano cattolico, metodista o ebreo ortodosso.
La politica di integrazione alla democrazia che gli Stati Uniti vogliono esportare in Medio Oriente ha avuto successo anzitutto tra gli immigrati musulmani in America. Questi votano in maggioranza sulla base della politica interna, non della Palestina o dell’Irak. Senza proclami, senza privilegiare associazioni o movimenti islamici non necessariamente rappresentativi, gli Stati Uniti confermano che l’offerta di integrazione politica che raggiunge direttamente il singolo cittadino musulmano può, sia pure fra mille problemi, funzionare. Una lezione interessante, e utile per l’Europa.

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